La sindrome di Stendhal |
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Un film di Dario Argento.
Con Asia Argento, Paolo Bonacelli, Marco Leonardi, Thomas Kretschmann, Cinzia Monreale.
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Giallo,
durata 120 min.
- Italia 1996.
MYMONETRO
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l'Io, l'inconscio, l'Arte
di charlusjacksonFeedback: 0 |
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venerdì 25 maggio 2007 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In Francia questo film è considerato modello assoluto di thriller psicologico. Ma qui, si sa, siamo in Italia, dominati dal morettismo, dalla poesia (?) impegnata, dal materialismo più crudo, e un film di Argento (un autore che, udite udite, in pieni fermenti anni Ottanta-Novanta, i "Cahiers du Cinema" hanno proclamato il più grande cineasta al mondo) per essere apprezzato deve aspettare da un minimo di 10 a un massimo di x anni. Il film nasce dalla volontà del regista di rappresentare il valore perturbante dell'arte. Lo stesso autore invita a prestare seria attenzione ai dialoghi, specie con lo psicologo. L'apertura visionaria è sfolgorante, una sublime rappresentazione della perdizione dinanzi al potere magnetico e allo squassamento interiore indotto dall'arte che esiste come anarchica espressione delle tensioni dell'Io e il suo rapporto col metafisico. La protagonista, vittima del suo stato di devolezza, subisce le violenze di uno stupratore (la bruta realtà?)... ma dopo qualcosa in lei prende una strana direzione. Afferma che il maniaco, che lei ha ucciso, non è morto perchè è dentro di lei. In un dialogo con lo psicologo racconta una storia: un viandante chiede a un giudice se può usare la sua barca. Ma la barca era rotta e il viandante affonda. Il giudice si difende "la questione delle condizioni della barca non mi era stata posta". La protagonista sentiva di essere diventata "una persona della massa, mediocre, amorfa", ma ora si sente rinnovata. Ma porta avanti una serie di assassinii in quanto guidata dal maniaco oramai "dentro di lei". Poco prima di venire arrestata riepiloga i "doveri quotidiani" cui dovrà ottemperare. Di fronte allo slancio selvaggio dell'arte verso una dimensione assoluta, o come emersione di pulsioni mai sopite ("Il perturbante" di Freud, è la citazione più banale che si può fare) la protagonista sente su di sè il potere violentante della società come induttrice di classificazioni che imbalsamano l'Io e danno luogo all'incomunicabilità. Che si tratti di un discorso sociale (la società come impositrice) o già filosofico (il senso comune come restrittore dell'individuo entro principi di corporeità e spazio-temporalità che mentre pretendono di definire la sua identità la alterano), è lasciato all'interpretazione dello spettatore. Di fronte a tensioni di tale violenza, alla tensione - eterna - di andare oltre il proprio corpo, l'individuo rimane schiacciato (e qui il richiamo alla sequenza visionaria iniziale, dove il soffitto artisticamente decorato sembra crollare sulla protagonista).
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