carloalberto
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giovedì 19 agosto 2021
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capolavoro di un profeta dei nostri tempi
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Il film è la condanna senza appello dell’alienazione prodotta dal lavoro in fabbrica di uno dei due grandi poeti visionari del nostro cinema novecentesco, morto a 53 anni come l’altro profeta dei nostri tempi, P. P. Pasolini.
Petri pone al centro della sua opera l’Uomo in assoluto, svincolato dal contesto sociale, dagli ideologismi, dalle politiche sindacali e dalle strategie di partito del suo tempo. Per questo fu stroncato, non capito, dalla critica di sinistra.
E’ un dramma epocale che soltanto un poeta della cinepresa può riassumere in sole due ore di immagini e suoni, che concorrono, attraverso l’esaltazione parossistica dei caratteri umani del protagonista, ad una sovrabbondanza di pathos che coinvolge lo spettatore fino alla sublimazione del contingente nella comune, eterna, umana aspirazione ad una vita giusta e libera.
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Il film è la condanna senza appello dell’alienazione prodotta dal lavoro in fabbrica di uno dei due grandi poeti visionari del nostro cinema novecentesco, morto a 53 anni come l’altro profeta dei nostri tempi, P. P. Pasolini.
Petri pone al centro della sua opera l’Uomo in assoluto, svincolato dal contesto sociale, dagli ideologismi, dalle politiche sindacali e dalle strategie di partito del suo tempo. Per questo fu stroncato, non capito, dalla critica di sinistra.
E’ un dramma epocale che soltanto un poeta della cinepresa può riassumere in sole due ore di immagini e suoni, che concorrono, attraverso l’esaltazione parossistica dei caratteri umani del protagonista, ad una sovrabbondanza di pathos che coinvolge lo spettatore fino alla sublimazione del contingente nella comune, eterna, umana aspirazione ad una vita giusta e libera.
La voce stridula, si direbbe volutamente stonata perché fuori dal coro, del protagonista, uno straordinario Volontè, si contrappone disperatamente al vocio malevolo ed invidioso dei compagni di lavoro, agli slogan degli studenti di sinistra gridati nei megafoni, al politichese contorto dei sindacalisti.
E’ il volto di un povero cristo qualunque quello magnificamente reso dalla recitazione di Volontè, un uomo frastornato dai suoi simili, dalle macchine della sua fabbrica, dalle chiacchiere della compagna, che una volta licenziato, liberato dalle catene, analizza lucidamente la sua condizione attribuendo un valore ai mille oggetti inutili che si ritrova in casa non calcolabile e traducibile nella pura astrazione di una somma di danaro bensì in ore di lavoro sottratte alla sua vita.
Ricevere paccottiglia consumistica in cambio di ore di vita è una cosa che oggi tutti facciamo e consideriamo normale, ma nel 1971 era una denuncia violenta ed anarchica del sistema che organizzava la società con i ritmi della produzione trasformando il Paese in un enorme opificio a cielo aperto e suonava come una cupa profezia sul destino dell’Occidente e del mondo globalizzato, asservito alla logica della frenetica produzione a basso costo di merce destinata al consumo ottuso e nevrotico delle masse.
Nella sequenza finale, di una potenza drammatica raramente raggiunta nel cinema, il sogno urlato da Volontè ai compagni per cercare di sovrastare l’assordante rumore dei macchinari della catena di montaggio, in una impari lotta di suoni, in cui alla voce all’uomo si contrappone il sordo martellio dei meccanismi, c’è la prometeica rivolta dell’Uomo contro il potere il vano tragico tentativo di abbattere le mura che lo tengono prigioniero del reale negandogli la libertà e la dignità stessa di essere umano.
Nel sogno ritorna l’immagine di Militina, il vecchio operaio impazzito, interpretato da Salvo Randone, con quel suo sorriso beffardo ed il ghigno amaro senza speranze, icona vivente del cinema di Petri, che sbatte i pugni contro il muro del manicomio, insieme alla fabbrica, strumento del Potere per controllare le menti, abbrutire i corpi, dominare, trarne profitto, accrescere, a spese dell’uomo ridotto ormai a bestia da soma, il capitale.
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flyingfrank
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giovedì 19 novembre 2020
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assordante, alienante, disturbante... raro capolavoro
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Il secondo capitolo della trilogia sul potere vede ancora una volta tre mostri sacri in azione: un incredibile Gian Maria Volonté, il genio registico di Petri e la sinistra quanto inebriante colonna sonora del grande Morricone. Lulù Massa è un operaio espertissimo del cottimo, ovvero un ottimo modo per aumentare la produzione in fabbrica senza realmente premiarne l'artefice. Quando Lulù perderà un dito a causa del suo "orgoglio cottimista", la sua vita rischia di cambiare profondamente. Un film rumoroso: la colonna sonora richiama il continuo funzionamento delle macchine in fabbrica, e non solo sovrasta le urla continue di Lulù e compagni, ma sembra quasi fondersi con le loro voci. I primi piani ravvicinati, forzati e angoscianti rimangono un punto di forza del cinema politico di Petri.
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Il secondo capitolo della trilogia sul potere vede ancora una volta tre mostri sacri in azione: un incredibile Gian Maria Volonté, il genio registico di Petri e la sinistra quanto inebriante colonna sonora del grande Morricone. Lulù Massa è un operaio espertissimo del cottimo, ovvero un ottimo modo per aumentare la produzione in fabbrica senza realmente premiarne l'artefice. Quando Lulù perderà un dito a causa del suo "orgoglio cottimista", la sua vita rischia di cambiare profondamente. Un film rumoroso: la colonna sonora richiama il continuo funzionamento delle macchine in fabbrica, e non solo sovrasta le urla continue di Lulù e compagni, ma sembra quasi fondersi con le loro voci. I primi piani ravvicinati, forzati e angoscianti rimangono un punto di forza del cinema politico di Petri. E Volonté (ancora una volta sugli scudi) va ben oltre il nevrotico e alienato operaio. Quando, con molta leggerezza, vi viene in mente di dare del bravo attore all'ultimo arrivato, pensate ai veri interpreti, quelli che strappano l'anima ai loro personaggi. Altri due elementi del film tendono a esaltare negativamente questa atmosfera sinistra: il freddo e le sbarre. Un gelo costante accompagna gli operai all'ingresso e all'uscita della fabbrica; e le sbarre sono presenti persino all'uscita di scuola... con grande abilità registica, Petri non nasconde i riferimenti ai campi di prigionia. Ai rumori della fabbrica, si aggiungono le continue proteste dei sindacalisti ai megafoni; discorsi prosaici, vagamente o fantasiosamente marxisti che hanno solo lo scopo di dare l'illusione della vittoria; l'illusione di una vita diversa da quella logorante del salariato in fabbrica. Girato nel periodo dei maggiori tumulti e scioperi operai, "La classe operaia va in paradiso" non vuole piacere a nessuno. Non piacque allora ai politicanti (destra e sinistra, poco importa) e riesce a stupire ancora oggi per la sua terrificante, a momenti quasi distopica visione dell'uomo moderno: una pura e semplice macchina, incapace persino di dare e ricevere piacere.
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dandy
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giovedì 1 ottobre 2020
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cottimo.
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Come per il precedente "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto",un altro film "scomodo" per l'epoca in cui uscì,sulle condizioni degli operai nelle fabbriche(girato nella fabbrica bloccata Ascensori Falconi a Novara).Col senno di oggi il discorso su capitalismo e cultura di massa(non a caso il nome del protagonista) appare meno lucido,merito di una regia che non azzecca del tutto il connubio tra cinema impegnato,commedia,discorsi politici(con anessi studenti rivoluzionari) e toni grotteschi.Ma l'interpretazione esagitata e sanguigna di Volontè è come sempre impeccabile,e la contraddizione sul sindacato nel finale è azzeccata.
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Come per il precedente "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto",un altro film "scomodo" per l'epoca in cui uscì,sulle condizioni degli operai nelle fabbriche(girato nella fabbrica bloccata Ascensori Falconi a Novara).Col senno di oggi il discorso su capitalismo e cultura di massa(non a caso il nome del protagonista) appare meno lucido,merito di una regia che non azzecca del tutto il connubio tra cinema impegnato,commedia,discorsi politici(con anessi studenti rivoluzionari) e toni grotteschi.Ma l'interpretazione esagitata e sanguigna di Volontè è come sempre impeccabile,e la contraddizione sul sindacato nel finale è azzeccata.Con i suoi pregi e i suoi difetti,il genere di film che doveva essere girato,emblematico di un'epoca di grandi tumulti e cambiamenti.Colonna sonora di ennio Morricone,che appare nell'ultima sequenza,tra le migliori che abbia mai composto.Sceneggiatura del regista e Ugo Pirro.Palma d'oro a Cannes.Infinite polemiche all'uscita,tanto dalla sinistra che dalla classe dirigente,e da parte dei critici(alla prima il regista Jean Marie Straub affermò che tutte le copie del film avrebbero dovuto essere bruciate...).
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onufrio
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sabato 26 dicembre 2015
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ossessione operaia
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Lulù lavora in fabbrica otto ore al giorno, come tutti del resto, ma con un ritmo davvero impressionante, in modo da poter guadagnare di più grazie per l'appunto al "cottimo", contestato dagli altri operai, Lulù prosegue per la sua strada sino a quando un incidente sul lavoro gli fa cambiare idea e decide di schierarsi insieme ai sindacalisti e ai propri "compagni", pronto a combattere gli alti vertici. Analisi spietata di Elio Petri, un film che suscitò non poche polemiche e che lasciò "scontenti" tutti sia a destra che a sinistra.
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great steven
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martedì 9 giugno 2015
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spietata e veritiera analisi di un folle sistema.
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LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO (IT, 1972) diretto da ELIO PETRI. Interpretato da GIAN MARIA VOLONTé, MARIANGELA MELATO, SALVO RANDONE, GUERRINO CRIVELLO, GINO PERNICE, LUIGI DIBERTI, MIETTA ALBERTINI, DONATO CASTELLANETA, ADRIANO AMIDEI MIGLIANO, EZIO MARANO, FLAVIO BUCCI
Lulù lavora in un’industria milanese come saldatore, e grazie al suo lavoro ininterrotto e svolto con meticolosità mantiene due famiglie. È criticato dai colleghi per il suo eccessivo servilismo nei confronti dei padroni e deve subire le lamentele della compagna, con la quale non riesce ad avere rapporti intimi per la stanchezza che accumula lavorando. Un giorno gli capita un incidente mentre traffica vicino ad un macchinario, e perde un dito.
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LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO (IT, 1972) diretto da ELIO PETRI. Interpretato da GIAN MARIA VOLONTé, MARIANGELA MELATO, SALVO RANDONE, GUERRINO CRIVELLO, GINO PERNICE, LUIGI DIBERTI, MIETTA ALBERTINI, DONATO CASTELLANETA, ADRIANO AMIDEI MIGLIANO, EZIO MARANO, FLAVIO BUCCI
Lulù lavora in un’industria milanese come saldatore, e grazie al suo lavoro ininterrotto e svolto con meticolosità mantiene due famiglie. È criticato dai colleghi per il suo eccessivo servilismo nei confronti dei padroni e deve subire le lamentele della compagna, con la quale non riesce ad avere rapporti intimi per la stanchezza che accumula lavorando. Un giorno gli capita un incidente mentre traffica vicino ad un macchinario, e perde un dito. Immediatamente la fabbrica fa uscire un comunicato che inveisce contro la mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, e Lulù, che mai s’è interessato di movimenti politici e proteste radicate, decide di aggregarsi all’organizzazione, ma per via della contestazione viene licenziato, in quanto indicato dai superiori come uno dei promotori della rivolta. Viene riassunto alla catena di montaggio grazie ad una vittoria del sindacato. Dopo l’ottimo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che vinse anche l’Oscar per il film straniero, Petri e Volonté tornano a collaborare in un film che presenta un pessimismo estremo, e svela la sua capacità di sviscerare la condizione dell’operaio, o di qualunque lavoratore del settore secondario, senza la minima pietà, mettendo in piedi un apologo socio-politico la cui terribilità è scandita dai monotoni e asfissianti ritmi della produzione industriale. Il regista conosce perfettamente la materia che tratta e la dipana come una matassa analizzando gli aspetti più crudeli e meno evidenti di una figura umana che, da una situazione di asservimento pressoché totalitaristico e un comportamento da animale da soma, passa ad un impegno sanguigno che, anziché realizzare il paradiso di derivazione comunista auspicato dai grandi filosofi del passato (in particolar modo Marx ed Engels, benché quest’opera cinematografica sia ben lontana dall’assumere uno stampo marxista), rischia di peggiorare le circostanze iniziali o al massimo le cambia di poco intensificando le sofferenze e aumentando un carico di lavoro sempre più alienante e spersonalizzante. Un Volonté estroverso e sardonico, una bizzarra Melato, un Randone eccellente e funzionale nel ruolo del vecchio mestierante caduto in una lucida follia filosofeggiante. La speranza non è nelle corde di questo film, che provvede a giustiziarla ed eliminarla alla radice, entrando nel mondo delle fabbriche italiane con un occhio quasi malvagio, esente da qualunque pietà e determinato a tracciare un quadro un po’ pleonastico ma di una sincerità indubbiamente spiazzante. Esemplificativa in tal senso è la sequenza in cui Lulù chiede all’impazzito Militina, mentre lo va a trovare in manicomio, quand’è che ha cominciato a capire che la sua mente si stava destabilizzando. Questo piccolo capolavoro di Petri ha il grande merito di non accusare il sistema in sé per sé, ma di polemizzare contro il suo funzionamento in particolare aggredendo gli uomini che lo gestiscono, e suggerendo che possono comportarsi diversamente per evitare di trasformare i propri dipendenti in automi cui rimane solo il raziocinio, a fronte di una perdita delle sensazioni umani più elementari e viscerali. Bravi anche i comprimari, fra cui si distingue il timido e inibito G. Crivello nelle vesti del progettista industriale, ciarliero e criticone, vessato all’unanimità dagli operai. Il montaggio di Ruggero Mastroianni e le musiche di Ennio Morricone contribuiscono a scandire le fasi della negatività che trasuda specialmente dalle scene finali, accompagnate dai sonori clangori delle macchine che necessitano dell’impiego indiscriminato e incondizionato di gruppi umani ridotti ad assomigliar loro quasi senza accorgersene. Palma d’oro al Festival di Cannes 1972. Nastro d’Argento alla Melato e a Randone (migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista).
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antonio tramontano
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sabato 8 febbraio 2014
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opera sociologica di un maestro del cinema
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“La religione è l’oppio dei popoli” scriveva Karl Marx. Secondo la dottrina del materialismo storico, la futura rivoluzione proletaria avrebbe inaugurato, dopo un periodo di dittatura, un nuovo ordine basato su una giustizia sociale tale da realizzare il paradiso sulla terra. Di tutt’altro avviso è quest’opera di Elio Petri, dove il paradiso degli operai è un sogno raccontato da Lulù Massa, instancabile lavoratore odiato dai “compagni” colleghi, mal visto da studenti ed intellettuali a causa della sua devozione ai “padroni”e al sistema del cottimo che concerne esasperanti ritmi di lavoro con la promessa di guadagni maggiori.
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“La religione è l’oppio dei popoli” scriveva Karl Marx. Secondo la dottrina del materialismo storico, la futura rivoluzione proletaria avrebbe inaugurato, dopo un periodo di dittatura, un nuovo ordine basato su una giustizia sociale tale da realizzare il paradiso sulla terra. Di tutt’altro avviso è quest’opera di Elio Petri, dove il paradiso degli operai è un sogno raccontato da Lulù Massa, instancabile lavoratore odiato dai “compagni” colleghi, mal visto da studenti ed intellettuali a causa della sua devozione ai “padroni”e al sistema del cottimo che concerne esasperanti ritmi di lavoro con la promessa di guadagni maggiori. L’ottima narrazione di Petri, mostra una forma di società dove i sindacati hanno la funzione di ammortizzare le direttive del potere e gli studenti sembrano distanti dalle reali problematiche degli individui, primo fra tutti, un Gian Maria Volontè ai limiti della follia, la cui successiva ma poco convinta ribellione, è frenata dalle catene di un sistema immobile,che non permette alcun riscatto e che ben si inserisce nella poetica pessimistica del racconto. Memorabile l’interpretazione di Salvo Randone nel ruolo del “compagno Militina”, vecchio operaio ricoverato in una casa di cura per disturbi mentali, a cui si rivolge più volte Lulù nella speranza di ottenere qualche consiglio, trovando nella sua follia e nell’esperienza di vita, una forma di saggezza.
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brando fioravanti
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martedì 24 settembre 2013
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magistrale
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Lulu è un operaio che lavora il cottimo con dei ritmi incredibili, tanto che la fabbrica lo utilizza come mezzo di misura. Finche un giorno perde un dito e da allora diventa un contestatore, perde il lavoro e alla fine viene riassunto. Film che analizza la lotta operaia in maniera imparziale. Ovviamente essendo un film politico cè sempre qualcuno fortemente contrario. Comunque da vedere per il grande stile, un grandissimo Volonte e le musiche tra le più belle di Ennio Morricone
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filippo catani
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venerdì 30 novembre 2012
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ma che è vita questa lulu?
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In una fabbrica metalmeccanica lombarda, c'è un operaio che riesce a produrre più pezzi di tutti. Lo scenario cambierà quando l'uomo, a causa del suo frenetico lavoro, perderà un dito e comincerà a prendere parte, insieme ad altri colleghi, alle lotte sindacali.
Forse il punto più alto del cinema impegnato e di denuncia sociale a firma di Elio Petri. Intanto vengono mostrate le terribili condizioni di uomini e donne nella fabbrica con turni massacranti che, nella stagione invernale, iniziavano con il buio e finivano con il buio. E poi il problema del cottimo che, per chi come il protagonista aveva due famiglie da mantenere, diventava un modo per portare a casa più stipendio ma rischiando di mettere a repentaglio la propria salute fisica e mentale.
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In una fabbrica metalmeccanica lombarda, c'è un operaio che riesce a produrre più pezzi di tutti. Lo scenario cambierà quando l'uomo, a causa del suo frenetico lavoro, perderà un dito e comincerà a prendere parte, insieme ad altri colleghi, alle lotte sindacali.
Forse il punto più alto del cinema impegnato e di denuncia sociale a firma di Elio Petri. Intanto vengono mostrate le terribili condizioni di uomini e donne nella fabbrica con turni massacranti che, nella stagione invernale, iniziavano con il buio e finivano con il buio. E poi il problema del cottimo che, per chi come il protagonista aveva due famiglie da mantenere, diventava un modo per portare a casa più stipendio ma rischiando di mettere a repentaglio la propria salute fisica e mentale. Non è un caso che il protagonista Lulu vada spesso a fare visita al manicomio a un vecchio collega che, dopo anni di lavoro incessante, è uscito di testa. E purtroppo sarà la stessa fine che farà Lulu ormai completamente alienato da se stesso e da ciò che lo circonda. E' inquietante a questo proposito la domanda che gli rivolge uno degli studenti fuori dai cancelli della fabbrica: ma che è vita questa Lulu?. Gli uomini non erano considerati come persone ma solo come merce e forza lavoro ed è inquietante la figura della persona che va a cronometrare i tempi di produzione e minaccia gli operai di multa. E poi il dilemma; meglio protestare energicamente con gli studenti o affidarsi alla contrattazione sindacale?. Un film che, specialmente di questi tempi, è veramente di grandissima attualità specialmente per il fatto che molte delle conquiste che sono state fatte in quegli anni stanno venendo di nuovo eliminate alla luce di fantomatici ed inesistenti piani industriali, referendum finti con la pistola alla tempia e un sindacato che non è più quello di un tempo. La pellicola è poi impreziosita dalla sublime interpretazione del grande Volontè che insieme al regista è protagonista anche di altri due film cult quali Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e il più denso Todo modo che compongono una triade di film che riflettevano amaramente su quel periodo storico.
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mirko77
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martedì 1 novembre 2011
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marx al cinema
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Un film che ha il merito di diffondere il linguaggio marxiano e di svelare alcune contraddizioni latenti del sistema capitalistico e della lotta operaia stessa.
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gianni lucini
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venerdì 14 ottobre 2011
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a lulù piacciono poco gli intellettuali
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Nome cognome e provenienza? «Massa Ludovico, detto Lulù, Lombardia, quasi svizzera....» Così si presenta ai due giovani meridionali cui dovrebbe insegnare il lavoro Lulù, il protagonista del viaggio cinematografico di Elio Petri nel tunnel dell’alienazione e delle lotte dei primi anni Settanta per migliorare la condizione operaia. Non è un eroe Lulù, anzi è un fragile ingranaggio di una macchina che rischia a ogni passo di stritolarlo. Nella sua camera da letto, sopra la sveglia del comodino c’è lo scudetto del Milan. Il primo giornale che legge mentre fa colazione è il “Tuttosport” e la discussione con il figlio di Lidia che apre la giornata riguarda la campagna acquisti delle squadre di calcio.
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Nome cognome e provenienza? «Massa Ludovico, detto Lulù, Lombardia, quasi svizzera....» Così si presenta ai due giovani meridionali cui dovrebbe insegnare il lavoro Lulù, il protagonista del viaggio cinematografico di Elio Petri nel tunnel dell’alienazione e delle lotte dei primi anni Settanta per migliorare la condizione operaia. Non è un eroe Lulù, anzi è un fragile ingranaggio di una macchina che rischia a ogni passo di stritolarlo. Nella sua camera da letto, sopra la sveglia del comodino c’è lo scudetto del Milan. Il primo giornale che legge mentre fa colazione è il “Tuttosport” e la discussione con il figlio di Lidia che apre la giornata riguarda la campagna acquisti delle squadre di calcio. Non ha certezze su niente e quando comincia a cercarne (un po’ perchè capisce che la realtà è da cambiare e un po’ perché si sente obbligato ad averne) si mette nei guai. Le sue contraddizioni non lo abbandonano mai. Quando la storia sembra farsi epica con l’esplodere del conflitto in fabbrica lui da un lato è un trascinatore degli operai e dall’altro si comporta da superficiale egoista nel fugace rapporto sessuale con la giovane operaia Adalgisa. Per questa ragione nell’Italia fortemente politicizzata del 1971 una parte della critica e un nutrito gruppo di intellettuali storcono il naso di fronte al film ritenendo il personaggio interpretato da Volonté troppo ambiguo per rappresentare davvero le punte avanzate della conflittualità operaia. Non la pensa così il pubblico, che affolla le sale e decreta il successo del film dimostrando che forse chi la vita di fabbrica la vive davvero tende a identificarsi più nella fragilità di Lulù che nella sicurezza degli studenti o degli attivisti sindacali. Anche la sua progressiva presa di coscienza non procede per astrazioni ma si nutre di fatti e osservazioni della realtà. Parte dalla perdita di un dito, viaggia attraverso la consapevolezza che la sua condizione è uno specchio della società in cui vive («sembrate piccoli operai» dice al figlio quando lo vede uscire dalla scuola) e si conclude con una impietosa analisi del consumismo che lui concretizza dando un valore in ore di lavoro a ogni oggetto della sua casa.
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