Beautiful People

   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

È dal 1978 che il bosniaco Jasmin Dizdar, classe 1961, dirige cortometraggi. Col suo primo "lungo", Beautiful People, si è subito guadagnato l'ingresso a Cannes, il primo premio della sezione "Un certain régard" e un bel po' di stima internazionale. Anche sceneggiato e dialogato da Dizdar, il film ha una struttura corale a partire da una situazione-limite che funziona come reagente chimico: le conseguenze a catena che ne derivano cambiano la vita di parecchi personaggi, provocando in ciascuno di essi una nuova consapevolezza intorno alla vita e ai rapporti interpersonali. Londra, 13 ottobre 1993. È il giorno in cui l'Inghilterra gioca la partita decisiva contro l'Olanda per la qualificazione ai campionati europei. Più o meno compresi nelle loro faccende private, i londinesi non si danno pensiero del resto: neppure del fatto che la guerra di Bosnia sia entrata nella fase più calda. Finché non accade un evento imprevisto. Un profugo serbo e uno croato si incrociano su un autobus, si riconoscono e replicano subito il conflitto etnico in forma di rissa a due. Il loro inseguimento per le strade della città costituisce la scena centrale di Beautiful People, mentre rappresentanti eterogenei del popolo britannico incrociano i rispettivi sentieri con la guerra, direttamente (un hooligan drogato è paracadutato in pieno fronte bosniaco) o indirettamente. Ci sono i Mouldy, famiglia in crisi di un medico oberato di lavoro (Nicholas Farrell) che è stato lasciato dalla moglie e cerca di ottenere l'affidamento dei figli; i Midge, direttore scolastico cinquantenne, consorte con l'esaurimento nervoso, figlio emotivamente instabile; i Thornton, conservatori e membri della classe privilegiata; gli Higgins, artista lei, lui corrispondente di guerra per la BBC in missione nei Balcani. Anche i "tory" hanno le loro ambasce perché Portia (Charlotte Coleman), la figlia ribelle, si è innamorata di un militare bosniaco che non parla una parola d'inglese. Con occhio satirico, ma non aggressivo, Dizdar mette in scena personaggi disillusi e pieni di guai, che rappresentano una sintesi delle classi sociali e degli stili di vita della capitale britannica. Il suo film non si può certo definire una commedia rosa: anzi, le situazioni sono intinte in uno humour nero che ricorda, a tratti, quello di Emir Kusturica. Tuttavia si tratta di una commedia e la morale è ottimistica. L'incontro fortuito con i profughi duellanti rappresenta una rivelazione per molti dei characters in gioco, cui fa scoprire la propria fortuna e una inattesa possibilità di essere felici.
Da La Repubblica, 3 aprile 2000

di Roberto Nepoti, 3 aprile 2000

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