Britt Reid, in seguito alla morte del padre, eredita tutte le sue ricchezze e la sua testata giornalistica, una delle più stimate e vendute della città. Non avendo mai assunto responsabilità o impieghi di qualsivoglia genere, il nostro protagonista si trova a dover “addomesticare” un vero e proprio impero mediatico. Ma con Kato, l’uomo del cappuccino nonché sottovalutato meccanico, deciderà di creare un nuovo eroe in città, un eroe che agisce da criminale, The Green Hornet, un mix di stupidaggine, fortuna, etica e filantropia. Calpesteranno i piedi a qualcuno, ma si sa, in certi film la mancanza di un lieto fine è probabile come un pugno sulla carotide in una sacrestia.
Herodementia ho chiamato questo genere di commedia-azione, perché corre su binari già percorsi da altri film (il più celebre dei quali è Kick-Ass di Matthew Vaughn) dove il nostro “eroe” è il prodotto sregolato di un susseguirsi di eventi affrontati con poca serietà o, se vogliamo, poco ortodossia, dal quale però scaturisce un’irrefrenabile voglia di azione, sangue, giustizia, vendetta.
The Green Hornet è il capolavoro di Gondry, il Tarantino della herodementia se vogliamo, la cui unica sfortuna sono stati gli effetti speciali a dir poco maldestri e una recitazione del nostro Seth Rogen non propriamente all’altezza, quasi da Razzie Awards. The Green Hornet non è un eroe, e nemmeno un criminale, altro non è se non il frutto del potere mediatico, della forza fisica, dell’ingegno, della cultura e dell’idiozia, una bomba sociale insomma. Divertente e geniale la psicoanalisi del nostro ideatore di The Green Hornet: dall’alto della sua stupidità ed inconsapevolezza, Reid ha intravisto (e non che ci volesse più di tanto) in Kato un vero talento nella meccanica e nelle arti marziali, e come ogni buon uomo di potere lo ha sottomesso ai sui servigi facendo leva sull’ingenuità e sulle tergiversazioni; come se non bastasse il tutto è nato da un episodio sporadico, dove sventano una colluttazione ed uno stupro per pura casualità, ma cavalcando l’onda dell’euforia da eroe, decidono appunto di diventare degli eroi, seguendo una psiche criminale dettatagli inconsapevolmente dalla bella segretaria Lenore, una Cameron Diaz a mio avviso troppo marginale in un film decisamente tra le sue corde. Allora, ricapitoliamo: abbiamo l’eroe (di facciata), l’aiutante eroe (il vero eroe), la bella fanciulla(la mente dell’eroe) ed il giornale (che ha inventato il nostro eroe a livello mediatico)… ma l’antagonista? E qui la platea si scalda: il cattivo dal nome impronunciabile è Al Capone dei giorni nostri, con meno fare gentile, meno italico ma più sanguinario, violento e… depresso!!! Sissignori, avete capito bene, è in preda ad una crisi di mezza età, è vittima di paranoie tipiche di una mente criminale, come il non fare più paura o non ricevere abbastanza rispetto, fino al punto che anche lui vuole trasformarsi in un supercattivo, con tanto di costume e “frase d’addio”. Da qui in poi una serie di eventi che saranno davvero erodemenziali, una sequenza di atti-fatti fedele allo schema classico di una favola: eroe, aiutante eroe, l’antagonista, la crisi tra gli eroi, la riunione tra i due ed il successo, manca solo la donzella da salvare in pratica.
La regia condisce il tutto con un tocco di classe, davvero un ottimo montaggio, specialmente alcune inquadrature degne di nota, come la sequenza alla Ocean’s prima dell’epica battaglia.
Gondry è riuscito a creare un supereroe senza superpoteri, un supercriminale senza criminialità, attualissimo a livello sociale e quasi critico nei confronti della società odierna, facendone una satira spontanea di un panorama dove la mente ed il braccio non sono più i motori dell’azione, lasciando spazio al potere mediatico, il vero deus ex machina.
Un film da vedere, da capire, da approfondire, un film che non va visto con gli occhi della serietà ma che al contempo esige che si lasci in tasca la superficialità e lo snobbismo. Un bel film.
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