Il principe del deserto |
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Un film di Jean-Jacques Annaud.
Con Tahar Rahim, Antonio Banderas, Mark Strong, Freida Pinto, Riz Ahmed.
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Titolo originale Black Gold.
Drammatico,
durata 130 min.
- Francia, Italia 2011.
- Eagle Pictures
uscita venerdì 23 dicembre 2011.
MYMONETRO
Il principe del deserto
valutazione media:
2,28
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Basta il deserto per un film epico?di davidearteFeedback: 936 | altri commenti e recensioni di davidearte |
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venerdì 30 dicembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Due principi arabi, Amar e Nesib (Mark Strong e Antonio Banderas), pongono fine a una guerra sanguinosa e inutile per il controllo di un fazzoletto di deserto detta “striscia gialla”, che rimarrà per sempre terra di nessuno e a suggello del patto Amar affida i suoi due figli a Nesib. Qualche tempo dopo si scopre un grande giacimento petrolifero celato sotto quell’inutile pezzo di deserto che permette all’avido Nesib di arricchire la sua città e migliorare le condizioni di vita del suo popolo, occidentalizzando i suoi costumi e la sua politica. Amar interpreta questo fatto come una dichiarazione di guerra e la rottura dell’accordo stipulato anni prima, ma nel frattempo i suoi figli sono cresciuti e il più giovane di loro, Auda (un talentuoso Tahar Rahim, già pluripremiato in Francia), dedito ai libri più che agli esercizi di un guerriero, si innamora della figlia di Nesib e viene suo malgrado implicato in faccende politico-culturali molto più grandi di lui: una lotta intestina tra la forza, il misticismo che evocano le tradizioni islamiche da un lato e la fame di vita e l’arrivismo più tipici del XX secolo europeo e americano dall’altro. Questo scontro lo porterà a vivere una affascinante avventura, ma forse non convincente fino in fondo. Tra gli interpreti Antonio Banderas colpisce più di tutti dimostrando la sua grande professionalità e il suo talento di attore, decisamente esaltato dalla voce potente e corposa di Luca Ward. Il regista sembra aver perso il suo smalto e il magniloquente monumento che costruisce per la cultura tibetana in Sette anni in Tibet sembra solo un ricordo lontano, un modello a cui rifarsi ma con risultati a tratti poco convincenti. Il film certamente non annoia e le due ore circa di pellicola si seguono senza distogliere l’attenzione dalle incantevoli scenografie e dai crudi e aridi paesaggi (delle vicine terre tunisine!). Ma in fondo sembra manchi qualcosa di importante, colpa in parte della regia e in parte della sceneggiatura, adattata da un romanzo del 1957. Gli eventi spesso accadono per puro caso o in maniera prevedibile con largo anticipo (mi riferisco soprattutto ad alcuni assassinî). Un film che esprime un’epica stanca e pedissequa, un po’ annacquata, ma non per questo da buttare via. il voto è 2 stelle e mezzo: quasi discreto.
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