ziccheddu
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sabato 1 agosto 2015
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conflitto tra tradizione e modernità
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La recensione di Giancarlo Zappoli è da amante dei film holiwoodiani. Non ha saputo cogliere le sottigliezze di una cultura antica che affronta le sfide della modernità. Ovviamente tutto ciò che è "islamico" è troppo lontano dalla sua weltanschauung cristiano-occidentale per comprendere come un popolo e suoi governanti possono vivere e morire in nome della fede. Certo, il film ha delle pecche, La sceneggiatura, anch'essa come Zappoli, ha una visione tipicamente occidentale come ad esempio di certe relazioni tra uomo e donna, tra figli e padri. Tuttavia ciò che conta è l'interpretazione dello scontro tra visioni diverse della tradizione e della prospettiva del futuro dentro una stessa cultura.
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La recensione di Giancarlo Zappoli è da amante dei film holiwoodiani. Non ha saputo cogliere le sottigliezze di una cultura antica che affronta le sfide della modernità. Ovviamente tutto ciò che è "islamico" è troppo lontano dalla sua weltanschauung cristiano-occidentale per comprendere come un popolo e suoi governanti possono vivere e morire in nome della fede. Certo, il film ha delle pecche, La sceneggiatura, anch'essa come Zappoli, ha una visione tipicamente occidentale come ad esempio di certe relazioni tra uomo e donna, tra figli e padri. Tuttavia ciò che conta è l'interpretazione dello scontro tra visioni diverse della tradizione e della prospettiva del futuro dentro una stessa cultura. Una cultura che si dibatte nella cristallizzazione di un ternpo eternamente presente scritto sul Libro ma allo stesso tempo un Libro tutto da interpretare secondo le contingenti esigenze culturali. Il film ha una certa smania di dare un accento epico a un conflitto tribale e pecca di eccessive reminiscenze del ormai annoiante Lawrence d'Arabia, holiwoodiana epopea tesa a glorificare l'imperialismo occidentale e a mostrare l'incapacità di certi popoli ad adeguarsi agli occidentali. Il film di Annaud non pecca di questa logica d'imperialismo culturale occidentale. Interessante è un Banderas che finalmente non gigionezza più di tanto. Gli altri attori recitano da professionisti ma su tutti primeggia Mark Strong. A qualcuno il film può sembrare lento, come se vivere e agire nel deserto fosse la stessa cosa che vivere a New York. Se si conoscesse di più la cultura islamica il film sarebbe più comprensibile alla massa. Scenografia ottima, fotografia e montaggio pure di alto livello, sceneggiatura come detto da occidentale che vuol imitare altro da sé. Regia pregevole.
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aliasname
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giovedì 29 novembre 2018
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molto bello e senza fronzoli
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Trama molto avvincente, ricca di colpi di scena, gli attori sono ottimi come ritengo azzeccata la parte volutamente trash dell'emiro ribelle anteposta a quella più tradizionale e antica dell'altro.
Il film ha dialoghi molto ben fatti ed è ricchissimo di perle di saggezza in ogni confronto verbale, tantissimi personaggi tutti ben recitati e credibili.
Trovo veramente curioso leggere recensioni negative su un film di questa fattura, almeno morale... ce ne fossero di pellicole che usano la semplicità in questo modo magistrale, unica nota dolente ma che ritengo comunque svolga il suo ruolo, è la lentezza di alcune parti, comunque un bel film, diverso.
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Trama molto avvincente, ricca di colpi di scena, gli attori sono ottimi come ritengo azzeccata la parte volutamente trash dell'emiro ribelle anteposta a quella più tradizionale e antica dell'altro.
Il film ha dialoghi molto ben fatti ed è ricchissimo di perle di saggezza in ogni confronto verbale, tantissimi personaggi tutti ben recitati e credibili.
Trovo veramente curioso leggere recensioni negative su un film di questa fattura, almeno morale... ce ne fossero di pellicole che usano la semplicità in questo modo magistrale, unica nota dolente ma che ritengo comunque svolga il suo ruolo, è la lentezza di alcune parti, comunque un bel film, diverso.
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salvo996
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lunedì 27 agosto 2012
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manca qualcosa...
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Concordo a pieno quanto scritto da cenox.
Buon film, solo che è veramente troppo lento!!!
La trama è interessante, ti fa capire come forse è iniziata l'ascesa del potere economico arabo, però sei lì che guardi il film in attesa che finalmente si accenda la "miccia" per far decollare la vicenda e invece.....niente!!!!!
Mah...TROPPO NOIOSO
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davidearte
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venerdì 30 dicembre 2011
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basta il deserto per un film epico?
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Due principi arabi, Amar e Nesib (Mark Strong e Antonio Banderas), pongono fine a una guerra sanguinosa e inutile per il controllo di un fazzoletto di deserto detta “striscia gialla”, che rimarrà per sempre terra di nessuno e a suggello del patto Amar affida i suoi due figli a Nesib. Qualche tempo dopo si scopre un grande giacimento petrolifero celato sotto quell’inutile pezzo di deserto che permette all’avido Nesib di arricchire la sua città e migliorare le condizioni di vita del suo popolo, occidentalizzando i suoi costumi e la sua politica. Amar interpreta questo fatto come una dichiarazione di guerra e la rottura dell’accordo stipulato anni prima, ma nel frattempo i suoi figli sono cresciuti e il più giovane di loro, Auda (un talentuoso Tahar Rahim, già pluripremiato in Francia), dedito ai libri più che agli esercizi di un guerriero, si innamora della figlia di Nesib e viene suo malgrado implicato in faccende politico-culturali molto più grandi di lui: una lotta intestina tra la forza, il misticismo che evocano le tradizioni islamiche da un lato e la fame di vita e l’arrivismo più tipici del XX secolo europeo e americano dall’altro.
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Due principi arabi, Amar e Nesib (Mark Strong e Antonio Banderas), pongono fine a una guerra sanguinosa e inutile per il controllo di un fazzoletto di deserto detta “striscia gialla”, che rimarrà per sempre terra di nessuno e a suggello del patto Amar affida i suoi due figli a Nesib. Qualche tempo dopo si scopre un grande giacimento petrolifero celato sotto quell’inutile pezzo di deserto che permette all’avido Nesib di arricchire la sua città e migliorare le condizioni di vita del suo popolo, occidentalizzando i suoi costumi e la sua politica. Amar interpreta questo fatto come una dichiarazione di guerra e la rottura dell’accordo stipulato anni prima, ma nel frattempo i suoi figli sono cresciuti e il più giovane di loro, Auda (un talentuoso Tahar Rahim, già pluripremiato in Francia), dedito ai libri più che agli esercizi di un guerriero, si innamora della figlia di Nesib e viene suo malgrado implicato in faccende politico-culturali molto più grandi di lui: una lotta intestina tra la forza, il misticismo che evocano le tradizioni islamiche da un lato e la fame di vita e l’arrivismo più tipici del XX secolo europeo e americano dall’altro. Questo scontro lo porterà a vivere una affascinante avventura, ma forse non convincente fino in fondo. Tra gli interpreti Antonio Banderas colpisce più di tutti dimostrando la sua grande professionalità e il suo talento di attore, decisamente esaltato dalla voce potente e corposa di Luca Ward. Il regista sembra aver perso il suo smalto e il magniloquente monumento che costruisce per la cultura tibetana in Sette anni in Tibet sembra solo un ricordo lontano, un modello a cui rifarsi ma con risultati a tratti poco convincenti. Il film certamente non annoia e le due ore circa di pellicola si seguono senza distogliere l’attenzione dalle incantevoli scenografie e dai crudi e aridi paesaggi (delle vicine terre tunisine!). Ma in fondo sembra manchi qualcosa di importante, colpa in parte della regia e in parte della sceneggiatura, adattata da un romanzo del 1957. Gli eventi spesso accadono per puro caso o in maniera prevedibile con largo anticipo (mi riferisco soprattutto ad alcuni assassinî).
Un film che esprime un’epica stanca e pedissequa, un po’ annacquata, ma non per questo da buttare via.
il voto è 2 stelle e mezzo: quasi discreto.
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