E' proprio un ottimo film questo "I gatti persiani": un pò indagina sociologica, un pò racconto poetico e romantico, un pò documentario, senza sbagliare in nessuno di questi.
La storia ruota intorno alla realizzazione del desiderio di un gruppo di giovani musicisti: lasciare l'Iran per suonare all'estero liberamente la musica che nella madrepatria è vietata, ovvero tutta la musica che non è conforme ai dettami oltranzisti del regime (ed è utile ricordare che alle donne è vietato cantare, se non in un ruolo di corista).
In primo luogo l'ambientazione, visiva e di contesto: il film porta finalmente lo spettatore ad aprire gli occhi su una realtà normalmente oscura (ed oscurata) a noi occidentali, che non riusciamo ad immaginare come vivano e cosa pensino le persone che abitano Teheran, quali siano i loro sogni, le loro frustrazioni, se e quanto ci assomiglino (non posso non pensare al titolo di un libro che finalmente mi deciderò a comprare "Leggere Lolita a Teheran" di Nafisi Azar).
Purtroppo (per loro) no, non ci assomigliano, se non in minima parte. Le nostre ambizioni sono altre: un lavoro soddisfacente, una famiglia amorevole, il riconoscimento degli altri. Loro invece vogliono respirare a pieni polmoni il sapore della libertà, la libertà che solo la musica (questa si, uguale dappertutto) riesce a regalare a chi si lascia attraversare dal suo passaggio. E questi ragazzi lo fanno.
Ovviamente avbrebbero molto da insegnarci, e da insegnare alle nuove generazioni: inseguire un sogno a volte è più importante della vita stessa, soprattutto se questa vale poco, maltrattata com'è da burocrati e gerarchi del regime. Non è un caso che questo film, osteggiato in patria, sia stato spinto e promosso da Amnesty International, che in fatto di diritti umani ne sa abbastanza.
Però (ecco il secondo insegnamento, ed ecco l'errore fondamentale che ha fatto il regime nel bandire questo titolo) questi ragazzi continuano, nonostante tutto, ad amare il loro Paese: nonostante le vessazioni, la corruttela, le ingiustizie palesi, l'approssimazione, gli espedienti necessari ad ottenere ciò che per "gli altri" è un diritto sacrosanto. Loro vorrebbero andare a Londra, ma poi ritornare, non abbandonare un paese che ora li ama poco, o che forse non è capace di amarli nel modo più giusto.
Neanche visivamente Teheran ci è nota, se non a livello assolutamente ideale: alzi la mano chi pensa che ci siano profonde differenze tra "tutte quelle città": Teheran, Beirut, Taskent, Baku....nell'immaginario collettivo un pò si somigliano tutte, un misto di confusione, sporcizia, traffico e disordine architettonico. Beh, nel film in effetti Teheran appare esattamente così.
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