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L’ambientazione del film è splendida: un mare blu, cristallino, con una profondità gelosa dei propri tesori; una nave affondata nella seconda guerra mondiale, ricettacolo di una fauna e flora marine sorprendenti; le saline di Trapani con contrasti di colore da paesaggio donchisciottesco; e in lontananza la montagna di Erice. Il bello dovrebbe penetrare nei personaggi come una danza di vita, con una energia dove l’amore dovrebbe trascinare tutti a godere di quello che gli è stato donato. Ma non è così. L’ambiente è invece intriso di morte: morte delle relazioni umane, terrore di essere uccisi, umiliazione di essere sottomessi, dove l’unica apparente via di fuga è la malattia mentale (e Rocco (Gaetano Bruno) è uno psicopatico, vero quanto poco interessante perché non esiste la fantasia negli psicopatici, solo dei comportamenti stereotipati e prevedibili): la natura del male è infatti essere privo di tutto quello che è rappresentato dal sale della vita. E lo spettatore ne comprende rapidamente il perché: lì regna la mafia di Don Calò, ha bisogno di schiavi facilmente spendibili, da fare sparire, per recuperare il carico che trasportava la nave Afrodite, una montagna di panetti di tritolo, utile per mantenere il suo maligno potere. In questa avventura vi è costretta Lodovica (Ambra Angiolini), una insegnante dell’immersione di sommozzatori, per ripagare il debito contratto con la mafia dal suo compagno, e per questo suicidatosi. E Sabrina (Giulia Michelini), sommozzatrice, in coppia, tanto obbligata, quanto oppressiva, del necrofilo psicopatico Rocco. Riusciranno le donne a far trionfare la vita, sconfiggendo la morte di quel mondo maschile senza vie d’uscita?
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