medz
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domenica 15 luglio 2007
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le luci del destino in un film di grande intensità
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Luci nella notte" (Feux Rouges, semafori rossi) è un film di grande intensità, tratto da un romanzo di George Simenon. Marito e moglie in viaggio verso i figli che si trovano in una colonia estiva, un litigio durante il viaggio a causa della tendenza al bere del marito, la scomparsa della moglie durante una sosta, e la forsennata ricerca del marito nella notte. Ma poi un incontro; con un uomo che gli chiede un passaggio; un uomo che è un evaso da prigione. Di lì in poi le cose si complicano, fino ad arrivare ad un punto di smarrimento completo in cui il coinvolgimento e l'immedesimazione con il protagonista (il fantastico Jean-Pierre Darroussin) sono totali. Uno stile asciutto ma surreale, onirico che percorre appassionatamente kilometri di strade in notturno e affascina lo spettatore con le luci della notte, che forse illuminano poco ma rendono le cose più chiare di quando sarà giorno; ovvero quando si giungerà al finale, dove tutto sembra chiaro, ma dove in realtà i due protagonisti si portano dietro il loro peso, il loro dolore, qualcosa di nascosto, portano con se, dentro di loro, la notte che hanno appena vissuto, e, come afferma lo stesso Antoine, probabilmente per loro non sarà mai più giorno.
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Luci nella notte" (Feux Rouges, semafori rossi) è un film di grande intensità, tratto da un romanzo di George Simenon. Marito e moglie in viaggio verso i figli che si trovano in una colonia estiva, un litigio durante il viaggio a causa della tendenza al bere del marito, la scomparsa della moglie durante una sosta, e la forsennata ricerca del marito nella notte. Ma poi un incontro; con un uomo che gli chiede un passaggio; un uomo che è un evaso da prigione. Di lì in poi le cose si complicano, fino ad arrivare ad un punto di smarrimento completo in cui il coinvolgimento e l'immedesimazione con il protagonista (il fantastico Jean-Pierre Darroussin) sono totali. Uno stile asciutto ma surreale, onirico che percorre appassionatamente kilometri di strade in notturno e affascina lo spettatore con le luci della notte, che forse illuminano poco ma rendono le cose più chiare di quando sarà giorno; ovvero quando si giungerà al finale, dove tutto sembra chiaro, ma dove in realtà i due protagonisti si portano dietro il loro peso, il loro dolore, qualcosa di nascosto, portano con se, dentro di loro, la notte che hanno appena vissuto, e, come afferma lo stesso Antoine, probabilmente per loro non sarà mai più giorno. A meno che, sia chiaro, quello vissuto da Antoine non sia solamente un sogno... Un sogno in cui finalmente può riscattarsi dalla sua naturale debolezza, in cui può manifestare la sua rabbia e la sua violenza; e, inconsapevolmente, come si scopirà alla fine (colpo di scena), giustamente, verso un uomo che a lui ha già fatto del male. Le luci della notte sono dei lampi, sono dei bagliori del destino, qualcosa che porta l'uomo a perdersi in strade lunghissime, in strade già di per se perdute, in cui niente ha più senso, ma rimane solo l'uomo con se stesso, con il suo essere che si scontra per forza di cosa con altri esseri, come in un enorme giostra, in un enorme girotondo; ma quei lampi sono ben programmati dal destino, perchè quando quella giostra si ferma tutto assume apparentemente un senso a chi guarda da fuori, ma non al protagonista che forse si sente più perso che mai. Cedric Kahn è bravissimo nel delineare i personaggi che emozionano con pochissimi dialogi e lunghissimi silenzi, poche musiche e tanta tensione, espressa in modo stupendo nella sequenza delle chiamate al telefono che dura circa 10 minuti; una stile calmo, pacato, che si contrappone all'enorme tensione del protagonista che cresce fino al finale. Già nella scena delle telefonate si intuisce lo stile particolare del regista e tutti possono riconoscere il suo enorme fascino. Ci rimane da sperare che ciò che ha fatto Antoine in quella notte sia vero (che la vendetta sia compiuta); oppure, se vogliamo, no; e continuiamo a sperare che Antoine anche in quella folle notte abbia preservato la sua piccola umana debolezza...
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francesco2
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domenica 13 marzo 2011
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l'uomo senza treno
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Intreccio in questo titolo quelli di due interessanti opere che risalgono a otto/nove anni fa: "L'uomo del treno" e "L'uomo senza passato". Il primo oltretutto è di Leconte, che con Kahn condivide la nazionalità ma, a giudicare da quest'opera, anche lo stile rarefatto-europeo- intellettualistico di certo cinema.
Il film si apre illuminandoci (Parzialmente) su una coppia che vive di piccole bugie e disagi: l'autore è bravo ad anticiparci il travagliato futuro che li attende, soffermandosi in primo piano su una fotografia con i bambini e zoomando dall'alto sull'autostrada su cui si incamminano. Sembra quasi, l'ho già scritto per un altro film, il "Film parlato" di de Oliveira, dove i familiari salutano fazzoletto alla mano la nave dei parenti, e con essi forse la civiltà europea che sta morendo.
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Intreccio in questo titolo quelli di due interessanti opere che risalgono a otto/nove anni fa: "L'uomo del treno" e "L'uomo senza passato". Il primo oltretutto è di Leconte, che con Kahn condivide la nazionalità ma, a giudicare da quest'opera, anche lo stile rarefatto-europeo- intellettualistico di certo cinema.
Il film si apre illuminandoci (Parzialmente) su una coppia che vive di piccole bugie e disagi: l'autore è bravo ad anticiparci il travagliato futuro che li attende, soffermandosi in primo piano su una fotografia con i bambini e zoomando dall'alto sull'autostrada su cui si incamminano. Sembra quasi, l'ho già scritto per un altro film, il "Film parlato" di de Oliveira, dove i familiari salutano fazzoletto alla mano la nave dei parenti, e con essi forse la civiltà europea che sta morendo.
Il dialogo dilatato dei due rischia in realtà di incriminare l'accattivante (E francese) ambiguità che si era creata, ma questa prima parte rappresenta anche un'anticipazione dell'INCOMUNICABILITA' del film. I personaggi non dialogheranno mai. Ma andiamo con ordine. Quando la Bouquet abbandona Darroussin davanti un bar, costui
entra, comtempla il cadavere di una mucca appeso al tetto( (trovata forse didascalica, ma anch'essa "Illuminante") e mentre parla con un bizzarro individuo confidandogli le proprie angosce, senza che egli gli risponda, gli viene domandato se avesse visto un pericoloso evaso: noi non vediamo le fattezze d ichi gli rivolge queste domande, forse per una (Intelligente) scelta stilistica, ma forse anche perché Kahn, risparmiandoci gli ozpetekismi ei muccinismi da "Saturno contro" & c., vuole illuminarci sull'incomunicabilità che permea tutta la pellicola. I poliziotti che Darroussin incontra, accompagnato dall'evaso con cui imprudentemente si mette al volante, o forse già prima con la moglie, appaiono figure al contempo da sogno e rigidamente plastificate, ciò ad accreditare la tesi secondo la quale buona parte del film non è che un sogno ma anche come se, seguendo la (Presunta o vera) strategia di Agatha Christie, il regista volesse suggerirci che gli indizi delle nostre tragedie sono presenti, ma noi non ce ne accorgiamo.
Tornando ad un paragone con "L'uomo del treno", altra (Migliore) "Partita a scacchi" francese in cui due figure maschili si guardano, si sfidano, forse alla fine si stimano, bisogna dire che i dialoghi restano tra le parti più deboli e non contribuiscono a caratterizzare meglio né l'evaso, maledetto e violento, né lo s esso marito, ubriacone d'oltralpe tormentato e voglioso i trasgressioni tout court, con un codice morale che gli fa preferire i criminali "Trasgressivi" alle brave persone "Ordinarie" (Ascoltate quei discorsi sul "Codice d'onore").
Ma l'evaso è una figura troppo estrema affinché uno dei due non compia un gesto estremo, come avveniva in un altro "Duello senza sciabole" nel "Sole ingannatore " di Mikhalkov, anche quello guarda caso visto come un possibile "Film sognato".
La seconda parte si apre con una placida panoramica sulla natura, accompagnata però da un'accattivante musichetta ironica già sentita. Sembra quasi una "Storia vera" di Lynch, rilassata apparentemente quanto tesa sottopelle. Il film, ora che il protagonista si dedica alla ricerca della moglie, e non riesce (neanche qui) a parlare con gli ospedali, come con la moglie ed il delinquente, assume sostanzialmente i risvolti di un giallo, come forse il libro di Simenon da cui è tratto. Che fine ha fatto la moglie? E quanta colpa ha lui se, come accerterà, le è avvenuto qualcosa di male?
La tensione , quando la trova, viene ulteriormente accentuata dalla domanda della Bouquet: "Ma te l'ha detto?", ed il regista si congeda restituendoci l'immagine di una coppia al contempo ritrovata ed angosciata. Ritrovata perché questo momento di travaglio sembra averli riavvicinati, angosciata perché la violenza subita dalla donna resterà per entrambi, probabilmente, un ricordo incancellabile per tutta la vita. La chiave fondamentale sembra comunque l'ottimismo, come dimostra il volto sorridente della Bouquet in macchina: sembrta quasi il finale di "Luce dei miei occhi", che però ci lascia un pò di (Sana) inquietudine in più, tipicamente d'oltralpe.
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gianleo67
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domenica 23 marzo 2014
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crisi coniugale...con delitto
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Coppia in crisi coniugale, impiegato lui e avvocato in carriera lei, parte per un viaggio in auto alla volta della colonia estiva dove soggiornano i figli. Tra discussioni e incomprensioni lungo la strada, lui si ferma a bere in un bar e lei si allontana dall'auto scrivendo che proseguirà in treno; un pericoloso evaso però si aggira nei paraggi ed a quanto pare entrambi ci dovranno fare i conti...
Da un giallo di Simenon (Feux rouges - 1960) con interessanti spunti psicologici e di stralunato intimismo centrati sulle dinamiche di una crisi di coppia su cui aleggia l'ombra sottile e inquietante di una minaccia incombente, il francese Khan sembra per una volta in più alle prese con le atmosfere rarefatte di una quotidianità apparentemente ordinaria che sembra attingere però al dominio dello straordinario e dell'inconscio, manifestando quelle pulsioni (auto) distruttive che si annidano all'interno della insospettabile quietudine delle relazioni umane.
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Coppia in crisi coniugale, impiegato lui e avvocato in carriera lei, parte per un viaggio in auto alla volta della colonia estiva dove soggiornano i figli. Tra discussioni e incomprensioni lungo la strada, lui si ferma a bere in un bar e lei si allontana dall'auto scrivendo che proseguirà in treno; un pericoloso evaso però si aggira nei paraggi ed a quanto pare entrambi ci dovranno fare i conti...
Da un giallo di Simenon (Feux rouges - 1960) con interessanti spunti psicologici e di stralunato intimismo centrati sulle dinamiche di una crisi di coppia su cui aleggia l'ombra sottile e inquietante di una minaccia incombente, il francese Khan sembra per una volta in più alle prese con le atmosfere rarefatte di una quotidianità apparentemente ordinaria che sembra attingere però al dominio dello straordinario e dell'inconscio, manifestando quelle pulsioni (auto) distruttive che si annidano all'interno della insospettabile quietudine delle relazioni umane. Costruito come un giallo on the road (similmente alle cronache disperate del biopic su Roberto Succo dello stesso autore) dove la silenziosa, ed apparentemente banale, cronaca di una tensione coniugale sembra scandita da una attonita discesa agli inferi del protagonista maschile (tra doppi whiskey e boccali di birra) e dalla misteriosa scomparsa della controparte femminile, Khan predilige un racconto per immagini in cui le allusioni e le suggestioni emergano dalle minacciose ombre del possibile (se qualcosa può andar storto,lo farà) più che dall'ordinaria dialettica dei dialoghi, precipitando la storia nel vortice di una dimensione fantastica e grottesca, talora onirica, che solo le luci dell'alba contribuiranno a dissipare.
Giocato sull'alternanza tra le apparenti certezze del giorno e le imprevedibili insidie della notte, il racconto si dipana lungo un arco temporale che in 24 ore sembra sconvolgere la serenità di uno stanco menage familiare ma che in realtà,con paradossale ed ironica intempestività, ne rafforza legami e intese all'insegna di una morale letteraria che,tra le righe del racconto di Simenon, sembra suggerire che 'Tra moglie e marito è meglio non metterci mai il dito' e dove le minacciose intenzioni di uno spietato criminale fungono da detonatore di un bizzarro riassetto del legame di coppia a spese dello stesso, malcapitato, ergastolano. Scontando una certa linearità della messa in scena e la prevedibile inverosimiglianza del soggetto, in realtà il film di Khan sembra appiattirsi sulla dimensione simbolica del romanzo, laddove la traduzione in immagini appare ora frammentata ora irrisolta e dove l'impianto narrativo sembra rievocare le atmosfere oniriche e rarefatte di 'Una sera... un treno' del fiammingo Delvaux tra treni,incidenti e crisi coniugali, affidando come può le espressioni di meraviglia e terrore al volto spaesato e sgomento del bravo Jean-Pierre Darroussin e quelle materne e comprensive a quello dolce ed elegante di una sempreverde Carole Bouquet.
Passato un pò inosservato a pubblico e critica è comunque un buon esempio di stile e di una originale impronta espressiva. Crisi coniugale...con delitto.
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venerdì 22 febbraio 2019
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il caldo, la coda, la birra...
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Interessante e, gran lavoro per Cedric Kahn, qua alle prese con un road-movie arricchito da una invidiabile suspence generata dall'inquietante avventura di due coniugi, in affrettata partenza per le ferie estive. Si inizia a Parigi. Antoine esce dall'ufficio, prende la metropolitana e si reca in un bistrot per aspettare Helene, la moglie che lavora in uno studio legale. Lei però tarda e lui beve una birra. L'attesa si prolunga e Antoine comincia a irritarsi, è agosto e fa molto caldo: beve un'altra birra poi, esasperato, ha un diverbio piuttosto marcato con Helene al telefono e le birre... diventano tre! Poi finalmente arriva la moglie e vanno a casa: lei vuole fare una doccia per poi preparare i bagagli.
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Interessante e, gran lavoro per Cedric Kahn, qua alle prese con un road-movie arricchito da una invidiabile suspence generata dall'inquietante avventura di due coniugi, in affrettata partenza per le ferie estive. Si inizia a Parigi. Antoine esce dall'ufficio, prende la metropolitana e si reca in un bistrot per aspettare Helene, la moglie che lavora in uno studio legale. Lei però tarda e lui beve una birra. L'attesa si prolunga e Antoine comincia a irritarsi, è agosto e fa molto caldo: beve un'altra birra poi, esasperato, ha un diverbio piuttosto marcato con Helene al telefono e le birre... diventano tre! Poi finalmente arriva la moglie e vanno a casa: lei vuole fare una doccia per poi preparare i bagagli. Lui invece esce dicendo che vuole controllare la vettura: ma in realtà la berlina Rover neppure la apre, si reca nel bar vicino e beve un doppio whisky. Poi fanno una cena fredda e partono. Fuori Parigi trovano subito coda e Antoine decide di uscire dall'autostrada per viaggiare su strada normale. Devono recarsi a prendere i bambini, in colonia estiva, per poi continuare il viaggio delle vacanze nel sud della Francia. Al primo bar Antoine si ferma e beve un altro doppio whisky: quando risale in macchina l'atmosfera si è guastata. Complice l'alcool, lui insulta neppure troppo convinto Helene e poco dopo si ferma ancora in un'area di sosta: quando ritorna Helene non c'è e sul sedile ha lasciato un biglietto scrivendo che continuerà il viaggio in treno. Antoine si reca in stazione e ha la conferma che il treno è appena partito, dunque riparte in auto sperando di trovare la mattina dopo la moglie all'hotel che hanno prenotato. Nella sosta seguente Antoine esce completamente di binario, nel senso che "attacca bottone" senza motivo con un giovane cupo ed introverso, e gli racconta pure i suoi problemi personali. Poi gli dà un passaggio, pur sapendo dalla radio che nella zona è appena fuggito di prigione un pericoloso criminale. Durante il viaggio ci sono dei battibecchi e il giovanotto con la sua arroganza prende il sopravvento su Antoine, che diventa debole ed arrendevole. Poi la situazione precipita: lui capisce che il giovanotto è l'evaso e con un attrezzo lo colpisce infinite volte sul volto: lo crede morto, invece se lo trova davanti all'auto, barcollante e sanguinante. A questo punto c'è uno buco (voluto) di sceneggiatura: Antoine si ritrova con la vettura guasta con una ruota a terra. Un contadino gli dà un passaggio sul trattore fino in paese per trovare un meccanico: mentre la vettura viene riparata Antoine cerca la moglie al telefono, ma non la trova in hotel e non è neppure andata a prendere i bambini. Dove è finita? La ragazza del bar gli permette di fare un numero illimitato di telefonate e alla fine viene a sapere che Helene è in ospedale: è stata derubata e violentata sul treno dal criminale appena evaso, lo stesso al quale Antoine ha poi dato un passaggio. Si trova poi il corpo sfigurato del malvivente, ucciso da una macchina che lo ha schiacciato più volte. Tutto è chiaro: nel "buco" creato dal regista Antoine ha investito più volte l'evaso, per poi trovarsi in stato confusionale sul ciglio della strada con una gomma a terra. Alla fine dunque, "tutto è bene quello che finisce bene", ma quello che finisce meglio di tutti è lo spettatore, che certo non ha bisogno di un caffè per vedere questo film. Jean-Pierre Darroussin è strepitoso: regge tutto sulle sue spalle, anche se Carole Bouquet (un pò in ombra) e "l'evaso" Vincent Deniard lo aiutano non poco. Cedric Kahn dimostra di possedere il controllo assoluto della situazione: la scelta di ambientare il viaggio di notte è fondamentale, creando una situazione di inquietudine e paura che cresce ogni minuto. Un bel film da vedere subito, da soli e, possibilmente, di notte... - di "Joss" -
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philippe
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sabato 28 maggio 2005
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semafori rossi
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Non ci siamo. Kahn è troppo schifiltoso per sporcarsi davvero le mani con il nero abissale del genere e troppo sguaiato per riflettere con sufficiente lucidità sulle tensioni latenti e patenti della coppia. Né gioco al massacro psicologico né fatale deragliamento nei territori dell'assurdo, "Luci nella notte" (titolo vagamente sensazionalistico che tradisce lo scarno ed efficace "Feux rouges", "Semafori rossi") si apparenta, nell'ammiccante inconcludenza stilistica, all'ultima operina di Leconte, "Confidenze troppo intime", condividendone concessioni bozzettistiche e caricaturali sottotesti psicoanalitici. Proprio non ci siamo.
[+] leconte, kahn e.......
(di francesco2)
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[+] severità...comprensibile
(di gianleo67)
[ - ] severità...comprensibile
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