enrico omodeo sal�
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domenica 12 agosto 2012
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film ingiustamente snobbato dalla critica
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Film ingiustamente snobbato dalla critica. Ritmo incalzante, splendido uso del chiaroscuro grazie alla fotografia di Russel Metty, duello recitativo di altissimo livello tra Edward G Robinson e lo stesso Welles. Interessanti i simbolismi: l'orologio del campanile, metafora di un tempo sospeso, quello della fuga del gerarca che tenta di rifarsi una vita; apparecchio che, non appena ricomincia a muoversi, segnerà l'ineluttabilità del destino di Charles "Franz Kindler". Il buio ricorrente, simbolismo più scontato ma esteticamente bellissimo dell'ambiguità del protagonista, che nel momento della confessione avrà metà della faccia interamente nera.
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Film ingiustamente snobbato dalla critica. Ritmo incalzante, splendido uso del chiaroscuro grazie alla fotografia di Russel Metty, duello recitativo di altissimo livello tra Edward G Robinson e lo stesso Welles. Interessanti i simbolismi: l'orologio del campanile, metafora di un tempo sospeso, quello della fuga del gerarca che tenta di rifarsi una vita; apparecchio che, non appena ricomincia a muoversi, segnerà l'ineluttabilità del destino di Charles "Franz Kindler". Il buio ricorrente, simbolismo più scontato ma esteticamente bellissimo dell'ambiguità del protagonista, che nel momento della confessione avrà metà della faccia interamente nera. La provincia americana - viene in mente "Furia" di Fritz Lang - dove tutti sanno tutto di tutti ad eccezione dello "straniero", richiamo alla paura del diverso, in questo caso stranamente non vittima di pregiudizio, poichè viene scoperto solo da un altro straniero, che fa aprire gli occhi a tutta la comunità. Ultimo ragionamento che emerge dalla pellicola, quello sulla famiglia americana, sulla fedeltà cieca della moglie innamorata, disposta a coprire l'assassino in tutto e per tutto, fino all'emergere, come dice E.G.Robinson, del subconscio.
Film più attuale e meno datato di quello che può sembrare. Da non perdere.
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daniele fanin
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venerdì 1 maggio 2020
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tic toc tic toc
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L’ossessione del protagonista, Charles Rankin/Franz Kindler, per gli orologi è uno dei due geniali ancorché’ evidenti simboli apertamente inseriti dal regista Orson Welles in questo film che, sebbene spesso sottovalutato sia dalla critica che dal pubblico, oltreché’ dallo stesso regista, ha indubbiamente passato la prova del tempo e risulta perfettamente godibile anche dopo molti anni, rappresentando un ottimo esempio di film noir americano, genere prodotto dall’amara consapevolezza, compresa anche oltre oceano con la Seconda Guerra Mondiale, che il male alberga fra di noi e non sono sufficienti i film di Frank Capra, che nello stesso anno peraltro dirige La Vita E’ Meravigliosa, a zittirlo.
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L’ossessione del protagonista, Charles Rankin/Franz Kindler, per gli orologi è uno dei due geniali ancorché’ evidenti simboli apertamente inseriti dal regista Orson Welles in questo film che, sebbene spesso sottovalutato sia dalla critica che dal pubblico, oltreché’ dallo stesso regista, ha indubbiamente passato la prova del tempo e risulta perfettamente godibile anche dopo molti anni, rappresentando un ottimo esempio di film noir americano, genere prodotto dall’amara consapevolezza, compresa anche oltre oceano con la Seconda Guerra Mondiale, che il male alberga fra di noi e non sono sufficienti i film di Frank Capra, che nello stesso anno peraltro dirige La Vita E’ Meravigliosa, a zittirlo.
L’orologio da riparare, il sisifico e simbolico tentativo del nazista in fuga Franz Kindler di evitare la cristallizzazione del tempo e quindi dei suoi crimini, si accompagna al gioco della dama, il secondo simbolo inserito dal regista nel film, che avrebbe probabilmente dovuto essere sostituito dagli scacchi (la cui tempistica peraltro non avrebbe permesso un adeguato ritmo cinematografico), e rimanda alla sfida trasversale fra il gatto, il detective Wilson ottimamente interpretato da Edward G. Robinson, e il topo Franz Kindler, che alla fine, dopo aver sacrificato, fisicamente (il cane Red ed il nazista pentito Konrad Meinike di Konstantin Shayne) o moralmente (la sposa Mary, un’anonima Loretta Young nella parte peraltro forse più difficile da interpretare), tutti i suoi pedoni e pezzi secondari, subisce scacco matto nel duello finale fra i due re di questa storia, Orson Welles e Edward G. Robinson.
Anticipando di tre anni il mefistofelico Harry Lime del Il Terzo Uomo di Carol Reed, Orson Welles ci confeziona un personaggio che non nasconde mai allo spettatore la propria malvagità, bassezza e doppiezza, direttamente spostando l’attenzione dal carattere dei personaggi (solo Mary evolve nel corso del film) alla sfida tra il male (Franz Kindler) che tenta di nascondersi nell’anonima provincia americana e assolversi sposando la figlia di un noto magistrato ed il bene (Mr. Wilson, che sottilmente nel film non ha un nome proprio) che non gli dà tregua.
Girato dopo il disastro commerciale e reputazionale del capolavoro assoluto Quarto Potere (1941) e le difficoltà incontrate nel 1942 con L’Orgoglio deli Ambersons, Lo Straniero era considerato dallo stesso regista uno dei suoi film meno personali. Peraltro, ad alcune scorciatoie nel dialogo quasi sempre sopperiscono l’ottimo ritmo e dalla buona struttura narrativa, a cui si aggiunge una sofisticata fotografia, che utilizza in maniera magistrale il chiaroscuro, rimandando in maniera evidente al cinema espressionista tedesco per l’uso delle ombre e delle loro proiezioni.
Ne risulta un film che a pieno titolo reclama un posto di rilievo fra i film noir, tuttora uno dei generi per i quali il cinema americano deve essere a buon diritto ringraziato.
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paolp78
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lunedì 24 agosto 2020
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magistrale escalation di tensione
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Orson Welles è stato un cineasta immenso, questo film né è la dimostrazione sia nel soggetto, che nella sceneggiatura, e soprattutto nella strepitosa tecnica registica adoperata per girarlo.
Quanto al soggetto, si deve ricordare che la pellicola è immediatamente successiva alla fine della Seconda Guerra Mondiale, pertanto la questione trattata era di estrema attualità, aspetto che le conferisce ancora maggior pregio. L'argomento senz'altro delicato viene affrontato senza inibizioni o limitazioni di sorta.
La sceneggiatura disegna un quadro complesso in modo raffinatamente studiato: delizioso e stimolante sul piano intellettuale il gioco di false identità e bugie, che complica apprezzabilmente la trama.
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Orson Welles è stato un cineasta immenso, questo film né è la dimostrazione sia nel soggetto, che nella sceneggiatura, e soprattutto nella strepitosa tecnica registica adoperata per girarlo.
Quanto al soggetto, si deve ricordare che la pellicola è immediatamente successiva alla fine della Seconda Guerra Mondiale, pertanto la questione trattata era di estrema attualità, aspetto che le conferisce ancora maggior pregio. L'argomento senz'altro delicato viene affrontato senza inibizioni o limitazioni di sorta.
La sceneggiatura disegna un quadro complesso in modo raffinatamente studiato: delizioso e stimolante sul piano intellettuale il gioco di false identità e bugie, che complica apprezzabilmente la trama. Welles pone al centro della narrazione gli stati emotivi e psicologici dei personaggi, rappresentandone stupendamente l'escalation di tensione, ansia e stress.
L'interpretazione di Loretta Young è da applausi per espressività e per la capacità davvero straordinaria di rendere gli stati d'animo ed il tormento interiore del suo personaggio; molto bravo anche Orson Welles, che riserva a se stesso il ruolo certamente più intrigante; perfetta la scelta di Edward G. Robinson nella parte del cacciatore di nazisti in incognito, ruolo a cui si adatta perfettamente la recitazione del grande attore con la sua presenza placida ed inquietante al contempo.
La regia di Welles è semplicemente geniale. Inquadrature innovative ed assolutamente sbalorditive e spettacolari arricchiscono la pellicola, facendone un capolavoro indimenticabile: nemmeno si contano gli autentici virtuosismi alla macchina da presa di cui si dimostra capace l'immenso autore americano.
Troppe le scene leggendarie per ricordarle tutte: tra le altre restano memorabili quella dell'assassinio iniziale del criminale di guerra, e soprattutto l'occultamento del corpo nel bosco; quella del rientro a casa di Welles che si stupisce alla vista della moglie ancora viva; ed ovviamente lo spettacolare e suggestivo finale.
Di grande effetto la citazione di una frase emblematica di Ralph Waldo Emerson, declamata dal personaggio interpretato da Robinson.
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