The Mastermind

   
   
   

Anatomia di un magnifico fallimento Valutazione 5 stelle su cinque

di marcodirani


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sabato 1 novembre 2025

l nuovo lavoro di Kelly Reichardt non è un heist movie tradizionale; è la de-glorificazione sublime e malinconica del crimine come atto di ribellione. The Mastermind ci trascina in un Massachusetts degli Anni Settanta ricostruito in modo stupefacente per ambientazioni e atmosfere, dove la quiete borghese nasconde un silenzioso disastro esistenziale.

Il protagonista, J.B. Mooney (un magistrale Josh O'Connor), non è un criminale geniale, ma l'incarnazione del fallimento di un'epoca. Il film ci scuote subito: non tutto in quel clima di protesta e radicalismo degli anni Settanta era impegno etico. Mooney è un disoccupato inetto che, sentendosi schiacciato dalla vita della villetta, della mogliettina, dei figli da accompagnare a scuola e delle cene con i parenti benpensanti, orchestra un furto d'arte non per ideologia, ma per un disperato e squallido bisogno di evasione.

Il genio della Reichardt sta nel farci simpatizzare con questo antieroe fallimentare. Il suo crimine non è un gesto radical o off, ma un tentativo maldestro di ristabilire un controllo sulla sua vita castrata.

 

La Degenerazione Magnifica

 

Il valore cinematografico del film risiede nel modo in cui l'opera nasce con brividi da poliziesco e degenera magnificamente in una fuga nostalgica, disperante e off road. La rapina è liquidata in fretta; ciò che conta è il dopo, l'inevitabile disgregazione.

La pellicola si trasforma in un road movie interiore, scorticando l'immagine di un'America che fu, ormai tramontata e mitizzata. Non è la strada della libertà, ma la manifestazione fisica di una profonda crisi di identità. Lo spettatore è chiamato a identificarsi nel fallimento esistenziale di Mooney, l'uomo che si crede una "mente superiore" ma che è destinato a scontrarsi con la sua abissale incompetenza.

 

💎 La Chicca per Cinefili

 

Il vagabondare disorganizzato di Mooney—il tentativo disperato di fuggire dal proprio ruolo e di riscrivere il proprio destino—richiama direttamente le grandi narrazioni sulla dissoluzione dell'identità nel cinema d'autore. Si avverte chiaramente l'eco di Michelangelo Antonioni in opere come Professione: Reporter, dove la scelta del protagonista di scambiare la propria identità con un morto era l'unica via per sfuggire all'ipocrisia del mondo. La fuga di Mooney è la versione borghese e patetica di quello scambio: un disperato tentativo di auto-annullamento.

The Mastermind è un gioiello di tensione sommessa e un ritratto indimenticabile dell'uomo comune schiacciato dalla mediocrità.

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