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aleluca
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lunedì 31 marzo 2025
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specchio d''acqua
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Un film (adattamento del romanzo Queer di Burroughs) che ho trovato di difficile comprensione. Le tematiche trattate mi risultano abbastanza chiare ma la difficoltà, alcune volte, sta nel collegarle emotivamente alle scene. La difficoltà di Eugene di scoprire se stesso assieme a William, le dipedenze da alcol e droga di William e un legame complesso tra i due sono i fili conduttori di questa storia.
Ho notato una repulsione da parte di William, soprattutto all'inizio del film, nell'affrontare quei momenti di "vuoto interiore" che lo spingono ad interrogarsi sulla direzione che la sua vita sta prendendo. Invece nelle scene finali del film (2 anni dopo la relazione con Eugene), ho riscontrato un William più riflessivo.
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Un film (adattamento del romanzo Queer di Burroughs) che ho trovato di difficile comprensione. Le tematiche trattate mi risultano abbastanza chiare ma la difficoltà, alcune volte, sta nel collegarle emotivamente alle scene. La difficoltà di Eugene di scoprire se stesso assieme a William, le dipedenze da alcol e droga di William e un legame complesso tra i due sono i fili conduttori di questa storia.
Ho notato una repulsione da parte di William, soprattutto all'inizio del film, nell'affrontare quei momenti di "vuoto interiore" che lo spingono ad interrogarsi sulla direzione che la sua vita sta prendendo. Invece nelle scene finali del film (2 anni dopo la relazione con Eugene), ho riscontrato un William più riflessivo.
Ho notato una profonda cura nei dettagli in Queer: cura nella scelta degli oggetti, dei vestiti e degli ambienti ricreati in Italia. Quello che mi ha più colpito è la scelta consapevole sull'usura degli oggetti scenici che rendono la pellicola più definita e preziosa.
Le scene che riprendono William e Eugene sotto l'effetto dello Yage, una droga che promette di raggiungere la telepatia, le ho trovate affascinanti e rappresentative della chimica che c'è tra i due.
Sono sicuro che rimarranno incisi nella mia mente quei momenti in cui William accarezza con delicatezza Eugene senza toccarlo fisicamente. Sono scene che non possono lasciarmi indifferente.
Complessivamente ho apprezzato il film. Come detto all'inizio, l'ho trovato di difficile comprensione ma allo stesso tempo non voglio e non pretendo che nessuno me ne riveli i significati. La mia intenzione è quella di leggere, in futuro, il romanzo e riguardare il film con un bagaglio di vita e di conoscenze diverso. Adesso, nel presente, avrei tempo per farlo ma non ne ho la voglia perchè altri libri e film hanno rapito maggiormente la mia attenzione.
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johnny1988
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domenica 27 aprile 2025
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morte a citt? del messico
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William Lee è un uomo di mezza età statunitense, fuggito in Città del Messico dopo un blitz dell’antidroga. Qui l’uomo si rifà una vita, come diversi altri omosessuali fuggiti dal clima repressivo americano (siamo all’inizio degli anni ’50) e tra i fumi dell’alcol e degli psichedelici, vagabonda come una mosca da bar alla ricerca oziosa di “divertimento”. Finché non lo catalizza l’ingresso in scena del giovane Eugene Allerton (Drew Starkey), da poco uscito dalla leva militare. Evidentemente, Lee non ha armi sufficienti per sedurre il ragazzo, tuttavia si abbassa a qualsiasi stratagemma pur di elemosinare la sua compagnia e le sue attenzioni.
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William Lee è un uomo di mezza età statunitense, fuggito in Città del Messico dopo un blitz dell’antidroga. Qui l’uomo si rifà una vita, come diversi altri omosessuali fuggiti dal clima repressivo americano (siamo all’inizio degli anni ’50) e tra i fumi dell’alcol e degli psichedelici, vagabonda come una mosca da bar alla ricerca oziosa di “divertimento”. Finché non lo catalizza l’ingresso in scena del giovane Eugene Allerton (Drew Starkey), da poco uscito dalla leva militare. Evidentemente, Lee non ha armi sufficienti per sedurre il ragazzo, tuttavia si abbassa a qualsiasi stratagemma pur di elemosinare la sua compagnia e le sue attenzioni. La relazione, dapprima impacciata, esplode in un gioco carnale, ma deflagra in una frequentazione servile e infine tossica, in cui potere e capriccio si alternano ponendo sempre Lee in una posizione di svantaggio rispetto al comportamento evasivo e intollerante dell’altro. Lee le prova tutte, con l’alcol, con le sostanze, ma finisce solo per farsi assistere come un paziente malato, con sporadica, se non eccezionale, premura da parte di Allerton. Fino addirittura a convincere lo studente ad attraversare insieme a lui l’Amazzonia per sperimentare lo jagué, una radice psichedelica usata nei rituali sciamanici che stimolerebbe, così dice l’uomo, abilità telepatiche. Quando invece tutti sanno, protagonisti inclusi, anche se non se lo dicono, che l’intenzione di Lee è capire quali sentimenti muove la sua controparte e di possederla, in qualche modo.
Le premesse non danno spazio a un finale conciliante, ma non occorre risparmiare questa informazione al pubblico. La direzione della storia è già tracciata fin dal suo esordio.
Luca Guadagnino, dopo trent’anni dichiarati di attesa, trascrive insieme a Justin Kuritzkes il racconto tormentato omonimo di William Burroughs, una serie incompleta di appunti autobiografici inediti fino agli anni ‘80, quando il regista palermitano, allora diciassettenne, si ritrovò catturato dentro quelle pagine.
È impossibile non includere subito Queer a una realtà letteraria e cinematografica di lunga tradizione. D’altronde l’amore fatale è un sentimento universale, che affonda nella psiche umana e trova un bacino di rappresentazione in tutte le epoche. Abbiamo una lunghissima lista che precede Burroughs e alla quale è molto probabile che l’autore abbia attinto, forse anche inconsciamente. Prima di tutti Morte a Venezia di Thomas Mann, in cui spiccano, probabilmente più di ogni altro esempio letterario del Novecento, il tema di Eros e Thanatos, della divinizzazione morbosa dell’oggetto del desiderio e dell’afflizione. Ma non solo, abbiamo altri illustri esempi, da Il Talento di Mr. Ripley, La strada Scarlatta, I dolori del giovane Werther, Madame Bovary, Cime Tempestose, il Cyrano de Bergerac. Il cinema, inoltre, in particolare il noir, dà corpo e immagine alla femme fatale (un esempio può trovare la sua acme drammatica in Fatal Attraction con Glenn Close e Michael Douglas).
E per esteso, all’homme fatale.
Si pensi solo a Querelle, My Own Private Idaho, Beau Travail, All About Lily Chou-Chou, La Pianista, Les Amour Imaginaires.
In tutta la filmografia di Guadagnino sobbolle una vasta preparazione umanistica e letteraria.
È palese nel suo stile iconografico, nella composizione della fotografia e delle inquadrature (le citazioni a Fassbinder, a Storaro, a Coppola si sprecano). E risalta nel suo cinema ancora una volta l’amore impossibile, un tema, forse proprio per la sua trasversalità, che gli ha dato fortuna oltreoceano, quello interrotto, disperato.
I due protagonisti di Queer non sono altro che l’ultima, ma sempre attuale, manifestazione degli esseri umani come predatori e prede dell’Eros.E in una certa maniera, Guadagnino è bravissimo a raccontare le tappe consequenziali dei rapporti affettivi – già lo avevamo visto in Call me by your Name da cui eredita anche la grafica.
Eppure, al di là delle immagini, così ben realizzate, la ricostruzione incredibile negli studi di Roma di Città del Messico, dell’interpretazione sentita di entrambi gli attori, che si spogliano (anche letteralmente) di tutto il virilismo con cui vengono pubblicizzati dallo star system, il film non sonda a sufficienza le psicologie dei suoi personaggi, azzerando infelicemente l’immedesimazione. E non riesce a scostarsi del tutto da scelte che appaiono, in fondo, manieristiche. Non mancano infatti le simmetrie semantiche fra l’Eros e l’eroina. Così come si ripresentano, secondo una logica trita e ritrita, i giochi mitologici di contrasto fra il sublime sirenico – pulito, liscio e “scivoloso” - e il bestiale – ruvido, scabro e lascivo. Guadagnino non gioca certo di sottrazione, aggiunge infatti sovraimpressioni che raccontano i desideri inespressi; inserisce spunti di realismo magico e accenni al surrealismo notturno caro a David Lynch; fino all’erotismo pelvico, al simbolismo camp (il ciondolo a forma del millepiedi, detrivoro che vive nel buio e nell’immondizia, è una denuncia aperta della personalità liminale di Allerton), l’utilizzo della macchina fotografica come mezzo di congelamento della bellezza, ma inanimata. Persino la danza, tanto cara al Teatro Fisico quanto al pubblico LGBTQIA+, assume una forte centralità – vedi la scena del trip allucinogeno in cui i fisici bronzei di Daniel Craig e Drew Starkey si compenetrano, grazie al contributo di una CGI sottilmente elaborata.
In questa vicenda decadente non è del tutto chiara, però, la posizione che assume lo stesso Guadagnino. Se ne vuole assumere una, e quanto ci sia di suo. Se la sua sia solo la volontà di mostrare voyeuristicamente corpi e anime che si corrompono a vicenda o se ci sia sotto una partecipazione emotiva e morale alla mostruosità del protagonista. Una deformità, quella di William, che si potrebbe giustificare in un bisogno umano di amore, ma che si macchia delittuosamente di narcisismo e manipolazione.
Difatti, per quanto possa sembrare Allerton il personaggio ritratto come quello mercuriale e opportunista, non è questi a intrappolare il suo “Oscar Wilde”, non si concede su transazione (checché abbiamo malinteso i recensori e buona parte degli spettatori), ma attraversa faticosamente a sua volta un’iniziazione identitaria e accetta passivamente, suo malgrado, un ruolo accudente. Finché non comprende definitivamente, senza bisogno di verbalizzarlo, in simmetrico contrasto con il suo “protettore”, di essere lui il soggetto manipolato e a “rischio”.
Non può e non dovrebbe esserci scusa, in questo senso, per il Single Man di Queer, che, a differenza del suo analogo di Tom Ford, si insozza l’anima – il film ce lo mostra con costanza in abiti lisi, imbibito di sudore e alcol, sudiciume – per il suo, diciamolo!, laido obiettivo. E non può che esserci comprensione per il giovane Allerton, destinato anche lui forse a seguirne le orme, che è cosciente della tossicità di Lee, sebbene non faccia nessuno sforzo per apparire simpatico agli occhi del pubblico.
Forse sta in questo il vero aspetto degno di nota nel film di Guadagnino, ovvero di come il regista ridiscute con tono antifrastico il castigo di un anti-eroe corrotto nello spirito. Ma è difficile trovare altri spunti “straordinari”, nel senso stretto del termine, di riflessione.
Notevole il riutilizzo anacronistico del grunge dei Nirvana e il post-punk dei New Order da parte della coppia Trent Reznor - Atticus Ross (qui per la terza volta di fianco al regista), che per quanto “ruffiani“, ereditano le atmosfere e i testi della beat generation e risuonano con estrema efficacia fra le ombre e le luci delle passeggiate nottambule di William.
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felicity
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giovedì 7 agosto 2025
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pungente, schivo, enigmatico
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Queer è uno sguardo strano e scoraggiato su un uomo che si consuma a causa del desiderio.
Parla anche di altre cose: le sottili ed evidenti predazioni della vita da espatriato, la ricerca di un'esperienza trascendente, anche se tutto sembra ricondursi alla fissazione di un uomo per un altro uomo, una fame folle e soddisfatta solo in parte.
Queer è un film anticonformista, astratto, irregolare nell'umore e nel ritmo, come si addice a un adattamento dell'opera di Burroughs. Può essere un film cattivo e sconcertante, anche se una parte della nostra repulsione nasce dall'orrore dell'auto-riconoscimento. Per ravvivare l'atmosfera, Guadagnino propone alcune scene di sesso che, se spogliate del contesto, forse si qualificano come sexy.
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Queer è uno sguardo strano e scoraggiato su un uomo che si consuma a causa del desiderio.
Parla anche di altre cose: le sottili ed evidenti predazioni della vita da espatriato, la ricerca di un'esperienza trascendente, anche se tutto sembra ricondursi alla fissazione di un uomo per un altro uomo, una fame folle e soddisfatta solo in parte.
Queer è un film anticonformista, astratto, irregolare nell'umore e nel ritmo, come si addice a un adattamento dell'opera di Burroughs. Può essere un film cattivo e sconcertante, anche se una parte della nostra repulsione nasce dall'orrore dell'auto-riconoscimento. Per ravvivare l'atmosfera, Guadagnino propone alcune scene di sesso che, se spogliate del contesto, forse si qualificano come sexy. Utilizza canzoni anacronistiche – ci sono due cover dei Nirvana, per esempio – come colonna sonora delle scene, accanto alle composizioni originali pulsanti e meccaniche di Trent Reznor e Atticus Ross.
Il film è un tripudio di stile e tecnica, sempre più surreale mentre Lee insegue Gene e una conferma che non arriverà mai.
I fan della letteratura gay dell'era Beat, con la sua grinta, il suo sogno e il suo disprezzo per sé stessi, otterranno grande soddisfazione dal film. Chi non ama questi toni particolari avrà più difficoltà. Queer è il Guadagnino più opaco e alienante: persino Suspiria è più invitante.
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b3nway
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domenica 20 aprile 2025
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occasione sprecata
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Per tutta la prima parte del film William Lee (alter-ego di Burroughs) è proiettato in un' ambientazione messicana ai miei occhi sterile, posticcia ed avulsa da ogni contesto sociale.
In merito alle azioni compiute dal protagonista, l'unico motore sembra essere la pulsione fisica.Sebbene l'omosessualità di Lee venga descritta in modo minuzioso, manca l'aspetto dissacratore nei confronti della morale di stampo borghese.
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Per tutta la prima parte del film William Lee (alter-ego di Burroughs) è proiettato in un' ambientazione messicana ai miei occhi sterile, posticcia ed avulsa da ogni contesto sociale.
In merito alle azioni compiute dal protagonista, l'unico motore sembra essere la pulsione fisica.Sebbene l'omosessualità di Lee venga descritta in modo minuzioso, manca l'aspetto dissacratore nei confronti della morale di stampo borghese.
Guadagnino mi sembra invece più desideroso di subentrare con dovizia di particolari nell'evoluzione sentimentale di un vita di coppia tra Lee ed il suo amante Allerton.
Nei punti visivamente più espliciti vengono forzatamente intercalate didascalie paesaggistiche.
Personalmente questa scelta deliberata del voler mostrare con riserva mi lascia disorientato.
Purtroppo anche il tema centrale della droga mi appare affrontato in modo superficiale e sbrigativo.
Il fisico dei Lee non mi ricorda quello di un dipendente da oppiacei. La scena madre sull'assunzione di eroina mi risulta pressapochista, digiuna di particolari e deludente per quanto riguarda l'epilogo.
Tra i numerosi passi di culto dell'universo Burroughsiano (ricordiamo la contrattazione con il medico compiacente), i più mi risultano sbiaditi ed insipidi Particolarmente spiazzante è stato l'ingresso nel secondo atto
Fuori da ogni apparente continuità narrativa, subentra un viaggio in sud- America.
E se prima il movente era la spasmodica ricerca erotico-sentimentale, ora non mi è chiaro cosa spinga Lee ad addentrasi nella giungla amazzonica privo di equipaggiamento, alla ricerca dello Yage.A confondermi le idee, entra anche in gioco una discontinuità nello stile cinematografico.
Il primo incontro notturno con il serpente guardiano mi lascia il sapore di un action movie completamente avulso dal contesto.
Anche la ghiotta occasione del confronto tra civiltà, la modernità di Lee e le tradizioni indigene, viene persa con il personaggio (mediatore?!?) della ricercatrice/neo sacerdotessa.
E chiudendo così la porta ogni dimensione mistica, lo Yage viene assunto dei protagonisti della vicenda con un rito perlopiù caricarturale.
Quello che invece riemerge ancora prepotentemente è ancora il tema del rapporto di coppia,
L'effetto dello Yage è dunque reso in terza persona mostrandoci la compenetrazione dei corpi di Alletron e Lee, come a voler rimarcare una tematica a senso unico.
Vorrei esprimere ora una mia cosiderazione sulle musiche.
Sappiamo del rapporto di stima ed amicizia repiproca intercorso tra Curt Cobain e Burroughs.
ricordiamo anche esempi ben riusciti di decontestualizzazione musicale come il fortunato “Marie Antoinette" di Sofia Coppola.
In questo caso pero' l'introduzione di alcuni pezzi dei Nirvana non mi sembra aver arricchito il vocabolario narrativo di Queer.Concludendo, entrando in sala ho vissuto quasi l'obbligo morale di rivivere sul grande schermo le critiche sociali espresse da William Burroughs nel secolo scorso.
Ai miei occhi mi sono invece imbattuto nella narrazione dell'esperienza sentimentale di una coppia omosessuale.
Se la pellicola non fosse stata un adattamento cinematografico di un'opera di Burroughs, il risultato potrebbe essere considerato senza dubbio apprezzabile.
Cosiglierei a questo punto di rispolverare il lavoro di Cronberg a cui Queer deve numerose citazioni portate pari pari ( la recitazione a memoria del passo letterario ad opera del protagonista seduto al tavolo del caffè...)
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francesco
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mercoledì 30 aprile 2025
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l?impossibilit? dell?amore e il fastidio dell?esistenza
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Luca Guadagnino, artista mutaforma e tra i cineasti pi? coraggiosi della sua generazione, torna con Queer, un film che non si lascia amare facilmente, ma che come un corpo sudato nella notte ci resta addosso, lasciando tracce, odori, impressioni persistenti. Tratto dal romanzo postumo di William Burroughs, Queer ? solo apparentemente un film sull?identit? sessuale: ? invece, pi? profondamente, una riflessione sulla solitudine dell?uomo moderno, sulla ricerca disperata di un senso attraverso l?altro, e sull?incapacit? di amare quando l?amore diventa un?ossessione.
Il protagonista Lee, alter ego dello scrittore, ? l?archetipo dell?expat disilluso, dell?uomo che fugge il proprio paese, la propria storia, ma non riesce a sfuggire al proprio vuoto interiore.
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Luca Guadagnino, artista mutaforma e tra i cineasti pi? coraggiosi della sua generazione, torna con Queer, un film che non si lascia amare facilmente, ma che come un corpo sudato nella notte ci resta addosso, lasciando tracce, odori, impressioni persistenti. Tratto dal romanzo postumo di William Burroughs, Queer ? solo apparentemente un film sull?identit? sessuale: ? invece, pi? profondamente, una riflessione sulla solitudine dell?uomo moderno, sulla ricerca disperata di un senso attraverso l?altro, e sull?incapacit? di amare quando l?amore diventa un?ossessione.
Il protagonista Lee, alter ego dello scrittore, ? l?archetipo dell?expat disilluso, dell?uomo che fugge il proprio paese, la propria storia, ma non riesce a sfuggire al proprio vuoto interiore. Insegue giovani corpi e momenti di estasi, brevi come una dose di alcol o di droga. Quando incontra Eugene ? bellissimo, sfuggente, impossibile ? il desiderio si trasforma in dipendenza, e la dipendenza in condanna. Eugene non ? solo un oggetto del desiderio, ? un miraggio, una promessa di fusione mai mantenuta. ? la grande bellezza che non si lascia afferrare.
La regia di Guadagnino ? lenta, volutamente imperfetta, quasi disturbante. L?estetica glam ? screziata da dettagli stonati: magliette rovinate, orli sporchi, denti imperfetti, insetti striscianti come la scolopendra che torna a pi? riprese sullo schermo. ? un?estetica del fastidio, un?estetica del reale che si scontra con la bellezza desiderata, proprio come accade al protagonista. Lo spettatore sente sulla pelle quella sottile inquietudine che attraversa il film, e che si fa metafora del nostro tempo: un?epoca in cui tutto ? disponibile, ma nulla ? davvero raggiungibile.
La sezione amazzonica del film ? con la ricerca della yag? e la fusione psichica tra Bill e Gene ? si configura come un viaggio iniziatico, un tentativo di penetrare le barriere del s?. La telepatia tanto evocata ?, in fondo, solo il sogno di poter comunicare, finalmente, davvero. Ma il sogno resta sogno, e come spesso accade nei film di Guadagnino, la soglia della trasformazione non viene attraversata. Rimane aperta, dolorosa, irraggiungibile. Il tempo dell?amore non coincide mai con quello dell?altro.
Come in un film di Lynch o Cronenberg, la realt? scivola verso il simbolico, il perturbante. Ma non c?? mai compiacimento. Guadagnino, come sempre, non cerca di piacere: cerca di dire. E lo fa con un linguaggio sempre nuovo, mai derivativo, che sfida lo spettatore anzich? blandirlo. Queer non ? un film comodo, n? rassicurante. Ma ? cinema autentico, vivo, che pulsa di verit? e dolore.
Alla fine, Queer non ? la storia di un amore queer. ? la storia di un uomo ? e forse di tutti noi ? che non ? mai riuscito a vivere pienamente, e che lascia dietro di s? solo la scia amara di ci? che poteva essere. Guadagnino ci ricorda, con la forza di un regista che non ha paura di essere scomodo, che il cinema pu? ancora essere un?esperienza. E che vale la pena attraversarla, anche se fa male.
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francesco
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mercoledì 30 aprile 2025
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l?impossibilit? dell?amore e il fastidio dell?es
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Luca Guadagnino, artista mutaforma e tra i cineasti più coraggiosi della sua generazione, torna con Queer, un film che non si lascia amare facilmente, ma che come un corpo sudato nella notte ci resta addosso, lasciando tracce, odori, impressioni persistenti. Tratto dal romanzo postumo di William Burroughs, Queer è solo apparentemente un film sull’identità sessuale: è invece, più profondamente, una riflessione sulla solitudine dell’uomo moderno, sulla ricerca disperata di un senso attraverso l’altro, e sull’incapacità di amare quando l’amore diventa un’ossessione.
Il protagonista Lee, alter ego dello scrittore, è l’archetipo dell’expat disilluso, dell’uomo che fugge il proprio paese, la propria storia, ma non riesce a sfuggire al proprio vuoto interiore.
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Luca Guadagnino, artista mutaforma e tra i cineasti più coraggiosi della sua generazione, torna con Queer, un film che non si lascia amare facilmente, ma che come un corpo sudato nella notte ci resta addosso, lasciando tracce, odori, impressioni persistenti. Tratto dal romanzo postumo di William Burroughs, Queer è solo apparentemente un film sull’identità sessuale: è invece, più profondamente, una riflessione sulla solitudine dell’uomo moderno, sulla ricerca disperata di un senso attraverso l’altro, e sull’incapacità di amare quando l’amore diventa un’ossessione.
Il protagonista Lee, alter ego dello scrittore, è l’archetipo dell’expat disilluso, dell’uomo che fugge il proprio paese, la propria storia, ma non riesce a sfuggire al proprio vuoto interiore. Insegue giovani corpi e momenti di estasi, brevi come una dose di alcol o di droga. Quando incontra Eugene – bellissimo, sfuggente, impossibile – il desiderio si trasforma in dipendenza, e la dipendenza in condanna. Eugene non è solo un oggetto del desiderio, è un miraggio, una promessa di fusione mai mantenuta. È la grande bellezza che non si lascia afferrare.
La regia di Guadagnino è lenta, volutamente imperfetta, quasi disturbante. L’estetica glam è screziata da dettagli stonati: magliette rovinate, orli sporchi, denti imperfetti, insetti striscianti come la scolopendra che torna a più riprese sullo schermo. È un’estetica del fastidio, un’estetica del reale che si scontra con la bellezza desiderata, proprio come accade al protagonista. Lo spettatore sente sulla pelle quella sottile inquietudine che attraversa il film, e che si fa metafora del nostro tempo: un’epoca in cui tutto è disponibile, ma nulla è davvero raggiungibile.
La sezione amazzonica del film – con la ricerca della yagé e la fusione psichica tra Bill e Gene – si configura come un viaggio iniziatico, un tentativo di penetrare le barriere del sé. La telepatia tanto evocata è, in fondo, solo il sogno di poter comunicare, finalmente, davvero. Ma il sogno resta sogno, e come spesso accade nei film di Guadagnino, la soglia della trasformazione non viene attraversata. Rimane aperta, dolorosa, irraggiungibile. Il tempo dell’amore non coincide mai con quello dell’altro.
Come in un film di Lynch o Cronenberg, la realtà scivola verso il simbolico, il perturbante. Ma non c’è mai compiacimento. Guadagnino, come sempre, non cerca di piacere: cerca di dire. E lo fa con un linguaggio sempre nuovo, mai derivativo, che sfida lo spettatore anziché blandirlo. Queer non è un film comodo, né rassicurante. Ma è cinema autentico, vivo, che pulsa di verità e dolore.
Alla fine, Queer non è la storia di un amore queer. È la storia di un uomo – e forse di tutti noi – che non è mai riuscito a vivere pienamente, e che lascia dietro di sé solo la scia amara di ciò che poteva essere. Guadagnino ci ricorda, con la forza di un regista che non ha paura di essere scomodo, che il cinema può ancora essere un’esperienza. E che vale la pena attraversarla, anche se fa male.
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fulvio wetzl
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giovedì 1 maggio 2025
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false piste nella foresta dell''inconscio
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Giovanni Wetzl, Mio Figlio: Hai visto Queer?
Fulvio Wetzl: Ho visto Queer giovedì il giorno della prima, e lo giudico un assoluto capolavoro. Sono rimasto turbato per giorni, per notti.
Giovanni Wetzl: A me non piaciuto.Visto due volte
Fulvio Wetzl: So della tua avversione per Guadagnino, questa volta mi è sembrato molto sincero e sofferto quindi mi è piaciuto.
Giovanni Wetzl: A me no
Trovo che il suo film con il tema più sentito sia "Call me by your name"
Questo lo vedo più come un esercizio di stile scriteriato
Ho apprezzato qualche scena più “semplice”
Tipo la prima scena di sesso tra Lee e Allerton
O il piano sequenza con lui che si fa di eroina
Infatti "Call me by your name" è un film che mi ha fatto soffrire
Perché parla di una situazione veramente reale e che tantissimi hanno vissuto
Ho apprezzato anche la scelta dei pezzi dei Verdena nella colonna sonora
Abbastanza geniale
Su Queer
Fulvio Wetzl: Io penso esattamente il contrario.
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Giovanni Wetzl, Mio Figlio: Hai visto Queer?
Fulvio Wetzl: Ho visto Queer giovedì il giorno della prima, e lo giudico un assoluto capolavoro. Sono rimasto turbato per giorni, per notti.
Giovanni Wetzl: A me non piaciuto.Visto due volte
Fulvio Wetzl: So della tua avversione per Guadagnino, questa volta mi è sembrato molto sincero e sofferto quindi mi è piaciuto.
Giovanni Wetzl: A me no
Trovo che il suo film con il tema più sentito sia "Call me by your name"
Questo lo vedo più come un esercizio di stile scriteriato
Ho apprezzato qualche scena più “semplice”
Tipo la prima scena di sesso tra Lee e Allerton
O il piano sequenza con lui che si fa di eroina
Infatti "Call me by your name" è un film che mi ha fatto soffrire
Perché parla di una situazione veramente reale e che tantissimi hanno vissuto
Ho apprezzato anche la scelta dei pezzi dei Verdena nella colonna sonora
Abbastanza geniale
Su Queer
Fulvio Wetzl: Io penso esattamente il contrario. "Chiamami con il tuo nome" è un esercizio di stile, elegiaco, ma scritto da Ivory, quindi esteticamente pregnante ma essenzialmente gradevole. Qui lui sulla scorta di un romanzo che lo ha traumatizzato fin da bambino, è riuscito ad andare "nel buco del culo del mondo" raggiungendo e superando i livelli lisergici di "More" dei Pink Floyd, "Stati di allucinazione" di Ken Russell e la sequenza nel cimitero di "Easy Rider"
Giovanni Wetzl: Io ti parlo di contenuto
"Call me by your name" è una storia dolorosissima
Proprio perché è lineare e semplice a me arriva di più
Queer è più sperimentale e sregolato e ciò lo ha reso ai miei occhi e cuore più freddo e confuso nei contenuti
Poi a livello di citazioni cinematografiche è sicuramente più ricco
Però non mi ha emozionato nel complesso, e non ho amato il finale
Il libro l’ho letto a 18 anni comunque
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peer gynt
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sabato 7 settembre 2024
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viaggio per uscire da sé ed entrare nell''altro
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Trasposizione di un romanzo breve di William Burroughs dei primi anni Cinquanta, "Queer" riesce ad essere contemporaneamente un ottimo film 'letterario' (capace di recuperare non la lettera del testo, ma la sua aura più intima) e una storia di viaggio. Singolare viaggio, quello di un uomo (Lee, scrittore americano, omosessuale, alcoolizzato, drogato) che nel primo capitolo è un girovagare continuo fra i bar della capitale messicana a ripetere coattivamente la sua ricerca di stordirsi con sesso e alcool, nel secondo capitolo diventa viaggio arioso alla ricerca di un tesoro nascosto e nel terzo capitolo si fa avventura surreal-lisergica alla conquista della droga introvabile che sviluppa poteri telepatici e che ti fa uscire da te ed entrare nell'altro.
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Trasposizione di un romanzo breve di William Burroughs dei primi anni Cinquanta, "Queer" riesce ad essere contemporaneamente un ottimo film 'letterario' (capace di recuperare non la lettera del testo, ma la sua aura più intima) e una storia di viaggio. Singolare viaggio, quello di un uomo (Lee, scrittore americano, omosessuale, alcoolizzato, drogato) che nel primo capitolo è un girovagare continuo fra i bar della capitale messicana a ripetere coattivamente la sua ricerca di stordirsi con sesso e alcool, nel secondo capitolo diventa viaggio arioso alla ricerca di un tesoro nascosto e nel terzo capitolo si fa avventura surreal-lisergica alla conquista della droga introvabile che sviluppa poteri telepatici e che ti fa uscire da te ed entrare nell'altro. Sospeso fra Hopper (il pittore) e Lynch (il regista), Guadagnino riesce a fare cinema con le sue ossessioni, citando altre storie e altre immagini ma riuscendo ad essere, qui molto più che nei suoi film precedenti, autore con uno stile. E il finale cosmico chiude bene un film difficile ma riuscito.
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athos
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venerdì 18 aprile 2025
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un amore indimenticabile
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Nella vita di William Lee, ricco americano alcolizzato, appare un giorno la sagoma atletica ed enigmatica di Eugene, un giovane che non dimenticherà mai. Il film si snoda con lentezza nella Mexico city degli anni '50 per poi passare in un viaggio in Sudamerica e nella foresta amazzonica, alla ricerca di un erba che procura visioni telepatiche.Guadagnino rimane un grande regista, per alcuni controverso e per altri, come nel mio caso, sincero. Piaciuto.
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marco o
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martedì 22 aprile 2025
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per nulla convincente
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Iniziamo dalle cose più bella: Daniel Craig è molto bravo. Se vi piace anche fisicamente andate a vedere il film. Se lo apprezzate come attore... comunque non vi consiglieri la visione.
Il film non lo definirei brutto, ma ha sicuramente motle cose brutte.
Brutti sono alcuni inserti musicali che trabordano e decontestualizzano un già contesto confuso; brutte sono alcune immagini (solo alcune, altre sono quantomeno interessanti); il ritmo narrativo per me è assente: atratti mi sono un po' annoiato.
ORRIBILE è l'effetto "speciale" usato nell'ultima scena (non dico alro per chi non ha visto il film e intende vederlo).
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Iniziamo dalle cose più bella: Daniel Craig è molto bravo. Se vi piace anche fisicamente andate a vedere il film. Se lo apprezzate come attore... comunque non vi consiglieri la visione.
Il film non lo definirei brutto, ma ha sicuramente motle cose brutte.
Brutti sono alcuni inserti musicali che trabordano e decontestualizzano un già contesto confuso; brutte sono alcune immagini (solo alcune, altre sono quantomeno interessanti); il ritmo narrativo per me è assente: atratti mi sono un po' annoiato.
ORRIBILE è l'effetto "speciale" usato nell'ultima scena (non dico alro per chi non ha visto il film e intende vederlo).
Il film è diviso in capitoli... poco significativa come scelta e ad un certo punto secondo me non rendono neppure coerente il racconto.
Altri due elementi positivi: una bella scena che descrive un trip verso la fine del film; molto simpatico e riuscito il personaggio di Joe (Jason Schwartzan).
Non capisco bene perchè Giadagnino riscuota tutto questo successo e neppure come si faccia a dire (recensine di My MOvies) che "...Giadagnino è il più vivo trai i grandi autori del cinema italiano..." a me non pare proprio! ne che sia il più vivo ne che sia fra i grandi autori del cinema italiano.
Qui ri-trovo un film dall'impasto un po' pretenzioso davvero poco convincente. In una storia sciramente contorta e piena di eccessi, gli elementi caratterizzanti i personaggi sono da un lato solo fatti intravvedere e in altri momenti rappresentati quasi didascalicamente. Un po' di sesso esplicito cerca di aggiungere pepe alla pellicola (gusto retrò) forse con l'intento di scandalizzare? non credo però si scandalizzi più nessuno! 135 minuti un po' buttati.
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