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edmund
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lunedì 13 ottobre 2025
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justine il parassita solidale
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Come avrei agito io se fossi stato al posto del protagonista? Cos’è giusto e cos’è sbagliato? Cos’è “giustizia?”. Dove sta di casa l’equità? Ma poi, la verità qual è? Anzi dov’è? Queste e altre domande simil masturbatorie si pone il regista. Un genere di film questo che mira sfacciatamente a far sentire il povero spettatore medio puntualmente una merdina di essere umano, divorato da sensi di colpa, ma senza aver commesso alcunché, non ancora almeno (e non è così che funziona classicamente il senso di colpa?). E non mi piace sentirmi in colpa, dopotutto. Da qui forse la mia moderata avversione per l’opera in questione.
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Come avrei agito io se fossi stato al posto del protagonista? Cos’è giusto e cos’è sbagliato? Cos’è “giustizia?”. Dove sta di casa l’equità? Ma poi, la verità qual è? Anzi dov’è? Queste e altre domande simil masturbatorie si pone il regista. Un genere di film questo che mira sfacciatamente a far sentire il povero spettatore medio puntualmente una merdina di essere umano, divorato da sensi di colpa, ma senza aver commesso alcunché, non ancora almeno (e non è così che funziona classicamente il senso di colpa?). E non mi piace sentirmi in colpa, dopotutto. Da qui forse la mia moderata avversione per l’opera in questione.
Intendiamoci, il film è abbastanza godibile, se riesci a resistere alla tentazione di confrontarlo incessantemente con “La parola ai giurati” (Twelve Angry Men) di Lumet e se sei capace di sorvolare sull’insulsaggine di alcuni dialoghi che mi suonano un tantino scontati.
Che dire allora? Eastwood prova a sparigliare rispetto al capolavoro del 1957, introducendo l’elemento del giurato che si strugge nel rimorso, ma non basta a toglierti quella spiacevole sensazione di Déjà vu. Certe dinamiche tra i giurati in “camera di consiglio” poi sono imbarazzanti per il modo sfacciato con cui richiamano quelle del film di Lumet (un omaggio all’illustre predecessore?)
La questione non è banalmente cosa farei io se mi trovassi nella posizione del protagonista. Ma se valga ancora la pena oggi farsi guidare da certi nobili principi di fronte al decadimento di una società che nella realtà sembra assumere tutt’altro andazzo e i cui modelli spingono verso l’individualismo, l’egocentrismo, l’indifferenza, la furbizia, l’impunità, l’arroganza prepotente, la negazione della realtà storica di questo mondo, persino, ma della realtà in sé potremmo dire, tante volte.
Mi chiederei tra le altre se sia più conveniente guardare all’individuo o alla società nel suo complesso (e qual è il confine?) per rispondere agli accorati appelli del regista. Secondo me, l’ottica individuale qui non funziona. Forse il regista punta il dito sull’«uomo qualunque» perché vuole dirci che il problema da individuale diventa collettivo …sociale, economico, politico e culturale e nessuno se ne può sentire estraneo?”. Una sorta di chiamata di correità, insomma? Di sicuro, quelle dell’etica e della morale sono manifestazioni complesse a cavallo tra l’aspetto psicologico individuale e quello sociologico collettivo.
Justin si muove in un contesto che di certo non coltiva lo spirito di gruppo, ma che in nome della famiglia e della religione o della carriera consente tacitamente di commettere nefandezze inaudite.
E che dire degli altri membri della giuria che vogliono evadere velocemente la pratica perché armati di santi pregiudizi o perché in tutt’altre faccende affaccendati? È questo il clima che respira Justin che ha avuto la ventura, a differenza degli altri giurati in veste di rappresentanti tipici della donna e dell’uomo medi, di venire a contatto con la propria ombra e con quella di una società dalla morale molto discutibile.
E allora, è più morale fingere di essere innocenti spettatori del sistema, o è più morale ritenerci soltanto un misero ingranaggio del sistema in modo da poter sempre razionalizzare le cose addossando la responsabilità finale sulle spalle di qualcun altro?
Il film nasce sicuramente dall’esigenza del regista di criticare il livello sordido dell’etica collettiva di una comunità. Fa benissimo a pestare sul punto, seppure col solito afflato romantico e con una punta di idealistica ingenuità, forse.
E allora approfittiamone per chiederci ancora e ancora se esista attualmente la “Morale” quella con la “M” maiuscola. Quella che dovrebbe regolare gli interessi comuni degli individui e della collettività nel suo complesso.
O se invece esistano tante morali quante sono le situazioni in cui siamo coinvolti o i ruoli che ricopriamo in società, meglio. Qualcuno dice che siamo tutti sostenitori acritici della “morale tecnica” che favorirebbe una sorta di “Dissociazione” interna grazie alla quale con molta facilità ci sentiamo sollevati dalla responsabilità delle conseguenze delle nostre azioni nell’ambito delle relazioni umane. E se è vero che nessuna personalità si esaurisce nella sua funzione (non siamo, per fortuna, soltanto quello che facciamo) allora Justin non è morale o immorale di per sé, ma avrebbe soltanto fatto prevalere la logica o la “morale familista del (buon?) padre di famiglia” e per quanto orribile possa apparirci. È possibile oggi immaginare una giustizia morale che non si riduca a mera giustizia legale che di sicuro non ha come scopo principale il ”bene comune”, ma che fatalmente si interessa soltanto di “limitare il male?”. Esiste alla fin fine soltanto una “verità” processuale? Che non deve essere per forza “giusta”. La giustizia non deve essere “giusta”, ma soltanto “efficiente?”
La giustizia è cieca, la religione è tossica, Dio è morto, e la morale è sorda, e il pensiero è muto, e la realtà te la puoi rigirare come ti pare…Più che una società sembra un immenso sanatorio a cielo aperto… Non c’è da stare tanto allegri. Nemmeno al destino ci si può più appellare per giustificare certe nefandezze personali e collettive. A donne e uomini non resta che scegliere tra il bene e il male, «quindi, possono salvarsi o dannarsi con le sole proprie forze e persino mantenersi immuni da ogni peccato». Almeno, cominciassimo a prenderci la responsabilità delle nostre azioni e pensieri. Sarebbe già un bel progresso.
Non si può dire che Justin sia giusto o sbagliato o morale o immorale, dunque. Io lo vedo soltanto come un parassita. Un “parassita solidale” che fa dello sciacallaggio morale. Nel senso che l’individuo questa volta trae sì un vantaggio dalla “società-ospite”, ma non a spese dell’ospite, cioè non le crea alcun danno alla fine, anzi promuove “entusiasticamente” col suo comportamento individuale egoistico lo sviluppo del tipo di società sostanzialmente “Amorale” che lo ospita. Nessuno è immune da questo genere di “parassitismo”, anzi si potrebbe dire che quest’ultimo è diventato la “forma associativa” prevalente degli esseri umani tra loro.
E Faith Killebrew pubblico ministero che si presenta alla fine con sguardo torvo alla porta di Justin è l’ulteriore metafora di una verità che “si disvela e si nasconde”. Perché la verità non è il “soggetto” che la rivela: “essa si svela da sola”, eventualmente (vedi Heidegger). E forse non la sapremo mai la verità.
Justin descrive nel suo piccolo il vero eroe contemporaneo, postmoderno, quello che sguazza nella palude dell’assenza di Moralità o delle “moralità multiple”. E in questa palude i Justin di turno riescono non solo a rimanere a galla, ma ne traggono linfa vitale per inventarsi nuove opportunità personali.
Qui “l’etica elementare dell’eroismo si fonde con l’etica dell’edonismo. In questa accoppiata perversa il desiderio assoluto e personale, si separa definitivamente dal bene comune, e si realizza pervicacemente in un interesse esclusivamente personale perseguito con ostinazione, ossessivamente, e senza badare alle contingenze e senza preoccuparsi di chi ne fa le spese.
Justin in buona sostanza potremmo dire che è “vittima” e carnefice insieme di “un approccio esclusivamente duale alla vita”. E questo senza l’ombra di voler concedere al protagonista la benché minima “attenuante”. Tendenzialmente, il protagonista come immagino la maggior parte di noi spettatori paganti “finisce per ricondurre all’interno dello spazio tra la coppia il fulcro dell’esperienza emotiva ed esistenziale più in generale che bene che vada sfocia nell’ “allargamento familista” dei propri orizzonti. Tutto ciò che è Altro dalla coppia è il nemico da abbattere. E cosa non faremmo per proteggere questo spazio? Dopotutto è questione di sopravvivenza individuale. Di questa morale perversa ne paga questa volta il conto Sythe il “cattivo”, la “mala erba” della situazione. Il prossimo a farne le spese potrebbe essere un’altra “brava persona”, un altro Justin di turno. Il prossimo potresti essere tu!
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alexfilm
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martedì 7 ottobre 2025
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la giustizia secondo clint
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Questo capolavoro, risultato di una lunga ed intensa vita da uomo e da artista, ci consegna un'America in crisi, debole, che sta perdendo contro le forze del Caos, non pi? capace di opporre la Ragione alla Casualit?, a dimostrazione del fatto che non basta scrivere la legge e le regole, esse devono essere parte integrante del vissuto.
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paolo guillaume
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lunedì 15 settembre 2025
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grazie clint
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Film teso e struggente .
Il finale è lasciato libero
di essere interpretato e ,per
come si è sviluppato il film credo
sia la scelta migliore.Grazie Clint
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paolo guillaume
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lunedì 15 settembre 2025
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nin@24
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Ancora una prova da fuoriclasse. Film teso e struggente, Finale lasciato volutamente alla coscienza dello spettatore. Speriamo non sia l'ultimo. Grazie Clint.
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neremsone
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venerdì 15 agosto 2025
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trama non realistica
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La sceneggiatura non si tiene insieme, a cominciare dalla dinamica dell' incidente (la caduta oltre il parapetto), e l'amico avvocato (i 10 secondi di Sutherland nel film) che consiglia il silenzio, e il testimone oculare con la smania di sentirsi importante. Un'accozzaglia di personaggi buttati là, incluso il giurato protagonista che apprende della vicenda solo all'avvio del processo. Per arrivare dove? Ad elogiare il dubbio o la manipolazione? Più la seconda, dico io.
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luca_1968
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lunedì 4 agosto 2025
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grandissima delusione
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L'idea per fare un buon film c'era, ma non ne è venuto fuori praticamente nulla... gelo del pubblico ai titoli di coda
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gabriella
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domenica 3 agosto 2025
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uno sguardo tagliente
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Film recuperato, fortunatamente, in una rassegna estiva, l'ultimo lavoro del novantaquattrenne attore e regista californiano, anche se speriamo non l'ultimo nel senso non ne vedremo altri, perchè il cinema sobrio e crepuscolare di Clint Eastwoodci porta sempre a riflessioni e interrogativi, con le sue storie intime e profonde , caratterizzate da sobrietà e rigore morale. Justin Kemp è un ex alcolista, ora pulito, prossimo a diventare padre, viene convocato a fare da giurato per un caso di omicidio in cui scopre di essere lui l'artefice, seppure involontario della morte di una ragazza trovata in un dirupo e non l'accusato, il fidanzato di lei tipo poco raccomandabile, spacciatore e violento .
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Film recuperato, fortunatamente, in una rassegna estiva, l'ultimo lavoro del novantaquattrenne attore e regista californiano, anche se speriamo non l'ultimo nel senso non ne vedremo altri, perchè il cinema sobrio e crepuscolare di Clint Eastwoodci porta sempre a riflessioni e interrogativi, con le sue storie intime e profonde , caratterizzate da sobrietà e rigore morale. Justin Kemp è un ex alcolista, ora pulito, prossimo a diventare padre, viene convocato a fare da giurato per un caso di omicidio in cui scopre di essere lui l'artefice, seppure involontario della morte di una ragazza trovata in un dirupo e non l'accusato, il fidanzato di lei tipo poco raccomandabile, spacciatore e violento . Da qui il dilemma morale, condannare un innocente e proteggere la sua famiglia e la ritrovata serenità o confessare? Con inquadrature minimali, e narrazione asciutta, ne esce un ritratto tormentato e diviso tra senso di colpa e dovere civico che ci accompagna per tutta la durata del film. Emerge l’imperfezione del sistema giudiziario, ribaltando l’idea collettiva e individuale sul significato della verità e sui valori americani. Il processo che si svolge in un’aula di tribunale a Savannah, in Georgia è condotto con zelo dal procuratore Faith Kllebrew ( una bravissima Toni Colette), che crede nel sistema costruito sulle certezze, ma ignora elementi ambigui che metterebbero in discussione il verdetto, preferisce il metodo dimostrativo che non ammette errori, anziché il dubbio, vuole dimostrare una tesi, non la verità, seppure in buona fede. Cosa è giusto e cosa è necessario, i personaggi di Eastwood sono quasi sempre persone imperfette, che si trovano a un bivio e devono decidere che strada prendere, di scegliere chi si vuole essere o diventare. Il suo cinema è una testimonianza potente e significativa che ha dimostrato di evolvere nel tempo, acquisendo sempre di più spessore, maturità e consistenza, e che possiede uno sguardo universale che non smette mai di cercare.
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giovanni m.
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domenica 16 marzo 2025
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stavolta clint ha toppato
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Sinceramente non capisco tutto l'entusiasmo di molti utenti verso questo film...un prodotto che è molto lento nella narrazione, non ha la verve di un vero legal thriller (gli avvocati sono di una mosceria inaudita) e non riesce a esternare a pieno il contrasto emotivo del protagonista ... penso il peggiore film di Clint Eastwood che io abbia mai visto...bocciatissimo!!!
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ivan il matto
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domenica 2 marzo 2025
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e la giustizia sta a guardare
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E’ consolante accorgersi che a 94 anni qualcuno possa ancora avere le energie per pensare e girare un legal thriller del calibro di “Giurato numero 2”, se poi quel qualcuno si chiama Clint Eastwood, ed è alla sua quarantaduesima regia, allora tutti i conti tornano. Già nel lontano 1957 Sidney Lumet aveva dato “La parola ai giurati”, entrando in una complessa camera di consiglio, dove un giurato si metteva, da solo, contro tutti gli altri. Ma qui il regista di San Francisco aggiunge temi e sfaccettature ulteriori. Intanto un clima ‘southern’ (siamo in Georgia) come in “Mezzanotte nel giardino del bene e del male”, la parabola di un individuo tormentato fra delitto e castigo, un bisogno laico di confessione e redenzione per un omicidio avvenuto su un ponte reiteratamente inquadrato, come quelli di “Madison Couty”.
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E’ consolante accorgersi che a 94 anni qualcuno possa ancora avere le energie per pensare e girare un legal thriller del calibro di “Giurato numero 2”, se poi quel qualcuno si chiama Clint Eastwood, ed è alla sua quarantaduesima regia, allora tutti i conti tornano. Già nel lontano 1957 Sidney Lumet aveva dato “La parola ai giurati”, entrando in una complessa camera di consiglio, dove un giurato si metteva, da solo, contro tutti gli altri. Ma qui il regista di San Francisco aggiunge temi e sfaccettature ulteriori. Intanto un clima ‘southern’ (siamo in Georgia) come in “Mezzanotte nel giardino del bene e del male”, la parabola di un individuo tormentato fra delitto e castigo, un bisogno laico di confessione e redenzione per un omicidio avvenuto su un ponte reiteratamente inquadrato, come quelli di “Madison Couty”. Savannah, Georgia, un solo giurato, il numero 2, si mette contro gli altri 11 che devono giudicare l’assassinio di una ragazza da parte del suo violento compagno, una notte, sul fosso di una strada maledettamente piovosa. Ma quella stessa notte il medesimo giurato non era in casa e combatteva, ancora, contro l’alcolismo. Cosa ne emerge? Un giallo? Un thriller? Un ammirevole apologo sulla possibile/impossibile coincidenza fra giustizia e verità? Comunque la mettiamo un film perfetto, benché ‘piccolo’, secondo l’asciutto stile Malpaso (casa di produzione fondata dallo stesso Eastwood) delle ultime pellicole, da qualunque angolazione lo si osservi. Impaginazione da grande cinema classico dai tempi dilatati; giusta tensione emotiva per intercettare il grande pubblico; la maturità di chi ha una precisa visione del mondo (la si condivida o meno), volando alto verso l’essenzialità di un racconto morale. Irreprensibili i due interpreti principali: Nicholas Hoult, l’angosciato Justin, (già apprezzato co-protagonista dell’ultimo “Nosferatu” di Robert Eggers) che regge con disinvoltura gli interminabili primi piani del regista sui suoi occhi ‘azzurro liquido’; Tony Collette, l’avvocato dell’accusa, destinato a diventare procuratore distrettuale, che evidenzia una padronanza incredibile della sua mimica facciale. L’ennesimo film terminale del ‘nostro’ Clint (ricordate gli spaghetti western?) dopo “Gran Torino”, ci mostra quanto sia più faticoso il dubbio rispetto ai facili dogmi, ed in questo senso vanno lette le due inquadrature (iniziale e finale) della Dea bendata Dike: presso i greci emblema della giustizia
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felicity
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venerdì 10 gennaio 2025
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sulla contrapposizione tra etica e morale
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Giurato numero 2 è un legal-thriller da manuale, di quelli che hanno un po’ il sapore degli anni ’90, l’età d’oro del genere giudiziario al cinema e di autori di bestseller come John Grisham. In realtà Giurato numero 2 è un sentito omaggio ad un film che ha precorso quei tempi ovvero La parola ai giurati di Sidney Lumet.
Giurato numero 2 ha tutto il fascino che ha fatto del crime televisivo un genere tanto in voga e ingloba in sé molto della personalità di Eastwood autore.
In questo caso Eastwood dirige da una sceneggiatura originale e il risultato è un racconto che si fruisce tutto d’un fiato, senza colpi di scena eclatanti, ma non per questo meno sorprendente nel suo epilogo, che ci ricorda che alla fine sono le persone che compongono quell’ingranaggio chiamato giustizia a fare quasi sempre la differenza, sia nel bene che nel male.
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