lorenzopud
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venerdì 13 gennaio 2023
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trama interessante, ma mal riuscito
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Questo film è un remake britannico di un film giapponese. Un'operazione tutt'altro che banale e che non sembra riuscita. Nonostante la ottima interpretazione di Bill Nighy, il film è banalotto, lento in alcuni passaggi, superficiale in altri. I dialoghi hanno una impostazione irreale (lenti, troppo ossequiosi) per la cultura occidentale, anche quella britannica, probabilmente erano appropriati per un film immerso nella cultura giapponese, quale era il film originale. Poi ci sono alcuni rapporti tra i protagonisti poco approfonditi (come quelli tra Mr Williams ed il figlio). La scenografia del film è anche discutibile, c'è sempre poca luce, pochi colori.
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Questo film è un remake britannico di un film giapponese. Un'operazione tutt'altro che banale e che non sembra riuscita. Nonostante la ottima interpretazione di Bill Nighy, il film è banalotto, lento in alcuni passaggi, superficiale in altri. I dialoghi hanno una impostazione irreale (lenti, troppo ossequiosi) per la cultura occidentale, anche quella britannica, probabilmente erano appropriati per un film immerso nella cultura giapponese, quale era il film originale. Poi ci sono alcuni rapporti tra i protagonisti poco approfonditi (come quelli tra Mr Williams ed il figlio). La scenografia del film è anche discutibile, c'è sempre poca luce, pochi colori. Non consiglierei di andare a vederlo se non per l'interpretazione di Nighy
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angelo umana
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domenica 8 gennaio 2023
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andare in giro in mutande
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Confesso che non conoscendo il film di Akiro Kurosawa del 1952 di cui Living è un rifacimento (a sua volta ispirato a una novella di Lev Tolstoj), mi ha tratto in inganno il trailer: mi attraevano le immagini del protagonista anziano e gentile che in un'altalena di notte e con la neve si dondolava piano e sussurrava a sé stesso che capiva finalmente cosa significasse vivere, sentiva di aver ricominciato a farlo come mai prima. In extremis, dopo la scoperta di essere portatore di un tumore che gli lasciava pochi mesi di vita. Ma sono o non sono i film un'esperienza culturale personale? Mettevo la cosa in relazione a un fatto del tutto privato: una volta un signore a Venezia mi disse di avere 70 anni e che i medici gli davano 6 mesi di vita, pure lui per un tumore.
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Confesso che non conoscendo il film di Akiro Kurosawa del 1952 di cui Living è un rifacimento (a sua volta ispirato a una novella di Lev Tolstoj), mi ha tratto in inganno il trailer: mi attraevano le immagini del protagonista anziano e gentile che in un'altalena di notte e con la neve si dondolava piano e sussurrava a sé stesso che capiva finalmente cosa significasse vivere, sentiva di aver ricominciato a farlo come mai prima. In extremis, dopo la scoperta di essere portatore di un tumore che gli lasciava pochi mesi di vita. Ma sono o non sono i film un'esperienza culturale personale? Mettevo la cosa in relazione a un fatto del tutto privato: una volta un signore a Venezia mi disse di avere 70 anni e che i medici gli davano 6 mesi di vita, pure lui per un tumore. E aggiunse: “Se avessi 40 anni come lei me ne andrei in giro in mutande!”. Presi la sua “rivelazione” come una spinta a vivere appieno le emozioni della vita, a esprimermi liberamente (anche col pericolo di dire cortesemente o educatamente cose sconvenienti), a non far parte di congreghe di cui osservare le regole, a imparare dai bambini e dalle persone più giovani che sorridono alla vita, a cogliere gli aspetti più gustosi del Living, così come nel film vuole essere descritto. Ma il suo ritorno alla vita è poca cosa nel prosieguo: la frequentazione di una collega più giovane ed aperta, sempre disposta al sorriso, qualche bevuta e frequentazione in locali giusto per cantare un'antica canzone scozzese che gli ricorda la moglie defunta, la danza con spogliarello di una donna, neanche tanto hot.
Così è accaduto al protagonista Mr. Williams nella Londra degli anni 50. Compassato e con bombetta come tanti executives di allora, “ingessati” e impettiti nei loro abiti “gessati”, di scarse parole e di stentati colloqui che non andavano oltre le forme di distante cortesia (la privacy inglese tra persone), pure nei treni che li portavano a Londra a occuparsi di istanze dei cittadini in uffici comunali polverosi e pieni di stanze dove ogni settore dava corso, o avrebbe dovuto, ai desiderata della cittadinanza. Ma le pratiche restavano a lungo impilate sui loro tavoli, più erano alte le pile e maggiore era la considerazione e la alacrità presunta di ogni impiegato, sarebbe sembrato altrimenti che non avessero molto da fare. Così i fascicoli rimanevano inevasi, la cosa non avrebbe nuociuto granché (a loro). Stanno seriamente lavorando! (da Edoardo Bennato), il danno derivava ai cittadini peregrinanti che non vedevano soddisfatte le loro esigenze.
L'inganno del trailer deriva dunque dalla presentazione di un signore che riscopriva la voglia e i piaceri della vita, ma si trattava infine di storie di ordinaria burocrazia, egli stesso ne aveva vissuto. Quell'altalena dove si dondolava era in un piccolo parco giochi che egli stesso, forse guardando i bambini e venendo mosso dal desiderio di alcune madri, era riuscito a far realizzare, questuando a sua volta in uffici “competenti” come il suo.
In fondo il film verte su questo per molta parte e … come non pensare all'italietta di oggi? Ecco: le competenze, gli uffici pubblici che osservano scrupolosi i loro metodi e non splafonano di un minuto il loro orario di servizio. I commenti degli spettatori di questo film, più o meno gradevole e un po' fuorviante, si sono incentrati sulle difficoltà dei privati nell'avvicinarsi a sportelli pubblici, presi a loro volta da regolamenti, da lassismo (...qualche volta). Noi italiani non siamo più nella Londra degli anni 50, che nel frattempo si è molto sveltita e progredita, ma chissà cosa penseranno vedendo questo film i nostri 3 milioni di impiegati pubblici e soprattutto i loro dirigenti, o i politici di alto o basso rango che determinano le loro procedure? Includendo questi ultimi e i dipendenti di società para-pubbliche o partecipate, assommeranno probabilmente al 5-6% della popolazione italiana (1,5% in Gran Bretagna).
Ed infine, altra riflessione personale: Venezia Milano Torino Roma Palermo e tante altre nostre belle città, quanto a efficienza nelle procedure pubbliche anche al servizio dei cittadini, sono più vicine a Vienna a Londra Parigi Berlino Zurigo oppure invece a Tehran, Kabul, Il Cairo, Istanbul o Islamabad? Ai posteri, e ai loro padri ancora viventi, l'ardua sentenza! “Poi uno si chiede perché questo Paese sia al crepuscolo!” (scripsit Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano recentemente riguardo a una politicante di basso rango).
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fabriziog
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martedì 3 gennaio 2023
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un film da oscar
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“Living” del regista sudafricano Oliver Hermanus, sceneggiato dal Premio Nobel Kazuo Ishiguro, è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa “Vivere”, a sua volta ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il'ič”.
Film bellissimo che certamente vincerà Premi cinematografici internazionali al pari dei Golden Globe e degli Oscar, “Living” è una lunga carrellata di immagini, fotografie (Jamie Ramsay), ambientazioni, atmosfere. Gli arredamenti vittoriani degli scompartimenti del treno e dei salotti dove i personaggi narrano le proprie storie sono essi stessi emozioni, emozioni che mutano in scene.
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“Living” del regista sudafricano Oliver Hermanus, sceneggiato dal Premio Nobel Kazuo Ishiguro, è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa “Vivere”, a sua volta ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il'ič”.
Film bellissimo che certamente vincerà Premi cinematografici internazionali al pari dei Golden Globe e degli Oscar, “Living” è una lunga carrellata di immagini, fotografie (Jamie Ramsay), ambientazioni, atmosfere. Gli arredamenti vittoriani degli scompartimenti del treno e dei salotti dove i personaggi narrano le proprie storie sono essi stessi emozioni, emozioni che mutano in scene. Le musiche (Emilie Levienaise-Farrouch) ritmano i dialoghi e le sequenze. La recitazione ha la veridicità e l’incisività del teatro.
Al centro del racconto si posiziona Williams (un formidabile Bill Nighy) che incarna il dilemma in cui si possono imbattere gli uomini: come si cambia quando prendi contezza che hai pochi mesi di vita? Puoi peggiorare, abbandonarti all’offuscamento di te stesso, oppure puoi passare da essere un funzionario “accatastatore di pratiche inevase” per disinteresse ed indolenza, a divenire responsabile del proprio lavoro e realizzare, così, una piccola opera, un parco giochi, al posto di una putrida discarica.
La morte si apre ad altri significati, conduce ad altre albe, e può far morire con il sorriso sulle labbra mentre ci si dondola su una altalena al freddo, un freddo, però, che non si avverte, perché dinanzi agli occhi si vede realizzata, per la prima volta nella propria vita, una iniziativa per il bene della comunità.
Fabrizio Giulimondi
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goldy
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martedì 3 gennaio 2023
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l''efficacia della linearità narrativa
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Quando si ha qualcosa da dire la soluzione narrativa è una sola: la linearità. E qui di cose da dire ce ne sono tante: le scelte di vita individuali, le responsabilità verso sè stessi e gli altri, l'etica nel lavoro, la ricerca di senso, l'obbligo della felicità. Tutto si tiene in questo film che sembra girato negli anni '50 e invece parla a chiuunque sia capace e abbia voglia di ascoltare. Lo fa con modalità molto british, di quella vecchia Inghilterra che sembra ormai scomparsa ma che conserva intatto il suo fascino.
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