martin
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giovedì 8 dicembre 2022
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un attentato al cinema
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Premetto che il cinema dove sono andato a Padova descrive la trama del film come se fosse un film "normale", mentre è un horror in piena regola, nessuna menzione al cannibalismo nella sinossi del film, con grave mancanza di rispetto verso il pubblico; eravamo quattro gatti in sala ed alcuni hanno lasciato la sala durante la proiezione (giustamente).
Fatta questa piccola premessa, credo che il cinema sia in un momento di grande decadenza, un vuoto assoluto di sceneggiature, regie ed attori, in Italia è un disastro completo,speriamo che passi presto.
Il fatto che questo film sia stato premiato a Venezia conferma il livello di crisi del cinema italiano, ma anche di tutta la industria cinematigrafica, critici compresi, evidentemente orientati nel giudizio dai grandi produttori come NETFLIX, e dal sistema dello star system americano, sterile meccanismo votato al mero flusso di capitali e lustrini e all'imbarbarimento delle masse.
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Premetto che il cinema dove sono andato a Padova descrive la trama del film come se fosse un film "normale", mentre è un horror in piena regola, nessuna menzione al cannibalismo nella sinossi del film, con grave mancanza di rispetto verso il pubblico; eravamo quattro gatti in sala ed alcuni hanno lasciato la sala durante la proiezione (giustamente).
Fatta questa piccola premessa, credo che il cinema sia in un momento di grande decadenza, un vuoto assoluto di sceneggiature, regie ed attori, in Italia è un disastro completo,speriamo che passi presto.
Il fatto che questo film sia stato premiato a Venezia conferma il livello di crisi del cinema italiano, ma anche di tutta la industria cinematigrafica, critici compresi, evidentemente orientati nel giudizio dai grandi produttori come NETFLIX, e dal sistema dello star system americano, sterile meccanismo votato al mero flusso di capitali e lustrini e all'imbarbarimento delle masse.
Non bastano due attori americani quotati a dare corpo ad un film che negli anni 80 sarebbe stato classificato come B movie, si vede una buona mano registica, ma latita la sceneggiatura, si indugia troppo sulle scene macabre, alcuni attori sono consapevoli di essere in un pastrocchio e lo danno a vedere ammiccando troppo in camera.
Credo che il buon Guadagnino possa tranquillamente cambiare mestiere o lavorare solo per NETFLIX nel futuro, i miei soldi non li vedrà più.
Il cinema è un'altra cosa.
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amgiad
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mercoledì 7 dicembre 2022
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come spesso capita
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Come spesso capita, il cinema secondo Guadagnino è una perditina di tempo utile. Meglio impiegare i soldini del biglietto in altre opere di carità.
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pitcaf
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lunedì 5 dicembre 2022
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inutile truculenza
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L'inizio è a sorpresa. La protagonista, Maren, è una studentessa appena maggiorenne che vive in ristrette condizioni con un padre affettuoso. In un momento d'afflato con una sua compagna di scuola, che sembra essere premonitore di un interesse sentimentale, le morde improvvisamente un dito quasi a staccarglielo. Si capirà poi che la ragazza non è la sola al mondo a soffrire di cannibalismo ereditario. Della madre che ha abbandonato la famiglia quando lei era in tenera età, non ha ricordi. Dopo che anche il padre, arresosi alla incurabilità della figlia, l'avrà anch'egli abbandonata, conoscerà da un documento la città di nascita della madre e si metterà in viaggio, lì diretta, alla sua ricerca.
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L'inizio è a sorpresa. La protagonista, Maren, è una studentessa appena maggiorenne che vive in ristrette condizioni con un padre affettuoso. In un momento d'afflato con una sua compagna di scuola, che sembra essere premonitore di un interesse sentimentale, le morde improvvisamente un dito quasi a staccarglielo. Si capirà poi che la ragazza non è la sola al mondo a soffrire di cannibalismo ereditario. Della madre che ha abbandonato la famiglia quando lei era in tenera età, non ha ricordi. Dopo che anche il padre, arresosi alla incurabilità della figlia, l'avrà anch'egli abbandonata, conoscerà da un documento la città di nascita della madre e si metterà in viaggio, lì diretta, alla sua ricerca. Nel viaggio incontra un primo inquietante suo simile di mezza età, Sully, che le insegnerà il potere del loro olfatto e col quale consumerà un "fiero pasto" a spese di un'anziana moribonda nella cui casa hanno atteso il decesso. L'incontro con Lee, un altro suo giovane simile, la porta verso un sentimento mai provato in precedenza e il ragazzo decide di accompagnarla attraverso le pianure di vari Stati del Midwest fino al ritrovamento della madre. Non manca qualche momento di tensione, ma ad abbondare è il sangue, del quale dopo i "pasti", i protagonisti fanno quasi sfoggio, in un crescendo che terminerà con l'uccisione per legittima difesa di Sully, invaghitosi di Maren, con tanto di gratuito prelievo del cuore. La speranza dello spettatore nel corso del film è che l'horror del cannibalismo, sia una metafora per giungere magari a una conclusione ottimista, anche se banale, del tipo: "l'amore vince tutto" di caravaggesca memoria. Invece no, la conclusione è tragica e senza senso. L'interpretazione che il regista abbia voluto metaforicamente rappresentare la sopraffazione tra individui vittime di quella società dell'edonismo reganiano degli anni ottanta, spiega la critica estremamente favorevole della stampa di sinistra. In realtà il risultato è esattamente contrario, perché a ben vedere il film conferma un pensiero di destra, cioè che più dell'influenza della società, a contare nelle scelte della vita è la natura umana, anche genetica, ricordate l'aneddoto dello scorpione e della rana in quel capolavoro de "La moglie del soldato"?
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storyteller
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giovedì 1 dicembre 2022
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quando il cuore è più forte del sangue
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L'amore può assumere molte forme, non tutte necessariamente piacevoli - come ben saprà chi ha intrecciato più di una relazione sentimentale -, ma quella raccontata nel film di Guadagnino è una storia romantica a suo modo tradizionale, in cui al timore del rifiuto subentra una timida presa di coscienza, seguita da trepidazione, desiderio, (ri)scoperta delle reciproche vulnerabilità e, soprattutto, dall'impellente necessità di proteggere e sostenere l'altro.
Non tutti i mostri sono mostri per scelta: alcuni, come i protagonisti di "Bones and all", lo sono a causa di un mero imperativo biologico, e malgrado questo non vada ad intaccare in maniera sensibile la loro moralità, li spinge a vivere perseguitati dallo spettro di un onnipresente giudizio e a convivere con il peso delle proprie azioni.
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L'amore può assumere molte forme, non tutte necessariamente piacevoli - come ben saprà chi ha intrecciato più di una relazione sentimentale -, ma quella raccontata nel film di Guadagnino è una storia romantica a suo modo tradizionale, in cui al timore del rifiuto subentra una timida presa di coscienza, seguita da trepidazione, desiderio, (ri)scoperta delle reciproche vulnerabilità e, soprattutto, dall'impellente necessità di proteggere e sostenere l'altro.
Non tutti i mostri sono mostri per scelta: alcuni, come i protagonisti di "Bones and all", lo sono a causa di un mero imperativo biologico, e malgrado questo non vada ad intaccare in maniera sensibile la loro moralità, li spinge a vivere perseguitati dallo spettro di un onnipresente giudizio e a convivere con il peso delle proprie azioni.
Contrariamente a quanto affermano le parole stizzite di certi spettatori dal disgusto facile, non parliamo di un'opera eccessivamente cruenta o impressionante: a dispetto dei temi trattati, la pellicola si distingue per una sorprendente levità, un lirismo naturalista ed essenziale che occasionalmente beneficia della straordinaria colonna sonora industrial di Trent Reznor per punteggiare le sequenze più crude.
Uno dei meriti più grandi che gli attribuisco è di rappresentare - insieme a "Una storia vera" di David Lynch - un rarissimo caso di film "on the road" privo di quel retrogusto pretestuoso che caratterizza altri esponenti dello stesso genere. Qui il costante bisogno di muoversi è giustificato, sia da evidenti motivazioni pratiche che dalle opposte forze che muovono i protagonisti, l'una in cerca della propria famiglia e l'altro perennemente in fuga per proteggerla. C'è una bellezza pittorica nel continuo intervallarsi di cittadine e campagne, eppure, sotto sotto, balugina la speranza agrodolce di fermarsi e mettere radici, lo struggente miraggio di una vita "normale" che accomuna quasi tutte le anime vagabonde.
Molto buona la prima parte, un po' più farraginosa quella centrale. A brillare sono però i bravissimi Taylor Russell e Timothée Chalamet, capaci d'infondere ai loro personaggi il tenero soffio vitale di una giovinezza venata dai germogli di una maturità precoce, due bambini saggi che navigano alla cieca, feriti ma - e che splendido contrasto - sempre e comunque incorrotti.
Peccato per l'epilogo, di cui condivido appieno la filosofia e l'idea (neanche troppo latente) di romanticismo, ma a mio avviso un po' forzato e ridondante sul piano narrativo - al netto di un'immagine finale che sprigiona una straordinaria forza evocativa riallacciandosi in modo brillante alla sequenza di apertura.
In conclusione, "Bones and all" è un film che tratta solo in apparenza di omicidi e carnalità tribale, ammantandosi di una commovente tensione verso la vita, piuttosto che di una cinica smania di sopravvivenza. Il suo più grande pregio, in definitiva, è anche il suo maggior difetto: la fusione di generi è equilibrata e quando funziona ha del miracoloso, ma l'impressione postuma è che i turbamenti emotivi fossero resi con maggior efficacia in "Chiamami col tuo nome", e che l'orrore grottesco funzionasse meglio nel remake di "Suspiria".
Il mio voto finale è tre stelle. Alzo la valutazione di un punto perché trovo che un regista italiano in grado di andare oltre la vetusta idea di cinema radicatasi nel nostro Belpaese vada premiato.
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aldot
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mercoledì 30 novembre 2022
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una sorpresa
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Non conoscevo il tema e devo confessare il film mi ha spiazzato. Ben girato, Bellissima fotografia e bellissima musica. Bravissimi gli attori
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johnny1988
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martedì 29 novembre 2022
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pasto incompleto
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Guadagnino è forse uno dei registi-autori italiani più popolari ma anche maledetti. Snobbato anni fa dai critici e dai distributori che vedevano in lui un falso intellettuale, di quei parvenu della penultima generazione che si infiltravano nei salotti borghesi con un Hawthorne sottoascella, nel giro di un film soltanto e la benedizione del pubblico che ha visto il CAPOLAVORO in una storia altolocata gay e nella scelta azzeccata di due belloni, Luca Guadagnino si riscatta e si consacra star in Italia e all'estero.
Sicuramente un “Muccino” più preparato e con più libri (letti) da mostrare, ma non per forza un Visconti, con cui condivide i natali ma non la stessa raffinatezza.
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Guadagnino è forse uno dei registi-autori italiani più popolari ma anche maledetti. Snobbato anni fa dai critici e dai distributori che vedevano in lui un falso intellettuale, di quei parvenu della penultima generazione che si infiltravano nei salotti borghesi con un Hawthorne sottoascella, nel giro di un film soltanto e la benedizione del pubblico che ha visto il CAPOLAVORO in una storia altolocata gay e nella scelta azzeccata di due belloni, Luca Guadagnino si riscatta e si consacra star in Italia e all'estero.
Sicuramente un “Muccino” più preparato e con più libri (letti) da mostrare, ma non per forza un Visconti, con cui condivide i natali ma non la stessa raffinatezza. E i cannibali teenagers di Bones and All mettono sotto test l'infrangibilità della sua ascesa.
Il testo omonimo del 2015 di Camille DeAngelis viene interpretato qui da Taylor Russell e Timothee Chalamet e segue il lungo viaggio on the road di una giovane antropofaga, abbandonata dal padre, che si accompagna a un altro ragazzo cannibale come lei, alla ricerca della madre, la quale tanti anni addietro ha deciso di farsi internare in una casa di igiene mentale. Il viaggio iniziatico si trasforma presto in una storia d'amore e nel tentativo dei due innamorati di mimetizzarsi nella soscietà e di trattenere, per scelta morale, la loro fame assassina.
Non importa aver visto (né amato) i già lustri “Addiction” di Abel Ferrara, “Only Lovers Left Alive” di Jim Jarmush e nemmeno “Twilight” per accorgersi che di “vampiri” parliamo. Senza però il fantasy e il folklore letterari. Di condiviso con i suoi prototipi, c'è in questo film sicuramente una matrice romantica, “carnale” appunto, che nella sua allegoria si vogliono descrivere l'emarginazione e un'umanità subordinata alle convenzioni. Non a caso la storia viene ambientata pochi anni prima della minaccia dell'AIDS. Ma se da un lato si loda il sottotesto socio-politico, dall'altro è impossibile trattenere il sorriso di fronte all'horror ora truculento ora anche comico, tipico di stragrande parte del cinema di questo filone, con zero spazio per l'immaginazione, fra gli sguardi alla “Intervista col Vampiro” e una mamma tutta matta che cerca di magnarsi la figlia, vuoi per amore, vuoi per astinenza.
Il limite del film non sta tanto nell'esposizione dell'orrore e della mostruosa natura predatoria dell'uomo, che forse trova anche un senso in questa trasposizione che trascende il genere, bensì probabilmente nell'incapacità consolidata di Guadagnino di creare due antieroi con cui creare una relazione empatica, più freddi e poco interessanti anziché contorti e seducenti. Intorno a un tema fuori tempo massimo, quello delle malattie a trasmissione sessuale. A meno che non si voglia parlare di no Vax e riapparizione del vaiolo.
Complice una scelta della fotografia, attentissima a restituirci attori sempre frontali e bellissimi, pur insanguinati, piuttosto che profondi e ripresi dal profilo peggiore. Con anche un macabro antagonista di repertorio ora scrupoloso come un fruttariano poi spietato come un avvoltoio.
Un film in fondo in fondo da vedere, ma con la dovuta distanza, come da Hannibal.
Sceneggiatura dell'inseparabile David Kajganich, fotografia pastosa e ipercontrastata di Arseni Khachaturan, musiche di Trent Reznor e Atticus Ross (già premiati all'Oscar per Soul, della Pixar). Il film é stato cosí voluto da essere infine prodotto da regista, attore principale e sceneggiatore insieme.
L'espressione Bones and All (traducibile con “le ossa e tutto il resto”) è da intendersi nell'esperienza unica ed epifanica di mangiare un uomo fino al midollo.
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mauro.t
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martedì 29 novembre 2022
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melò horror on the road
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Liberamente tratto dal romanzo “Fino all’osso” di Camille DeAngelis, premio Alex nel 2016. Maren è una ragazza di 18 anni che viene abbandonata dal padre. Questi le lascia un nastro registrato, dove ne spiega i motivi. Maren, rimasta da sola, inizia a vagabondare per gli States e prende gradualmente coscienza del suo “problema”. Sulla strada incontra altre persone simili a lei, tra cui l’anziano Sully, che avrebbe piacere di continuare ad avere la sua compagnia, e il giovane Lee, un ragazzo col quale fraternizza e inizia un viaggio on the road. L’ossessione di Maren è di rintracciare la mamma, che non ha mai conosciuto, e alla fine la trova in un ospedale psichiatrico, dove lo sconvolgente incontro consentirà alla ragazza di collocare l’ultimo pezzo del puzzle che le mancava.
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Liberamente tratto dal romanzo “Fino all’osso” di Camille DeAngelis, premio Alex nel 2016. Maren è una ragazza di 18 anni che viene abbandonata dal padre. Questi le lascia un nastro registrato, dove ne spiega i motivi. Maren, rimasta da sola, inizia a vagabondare per gli States e prende gradualmente coscienza del suo “problema”. Sulla strada incontra altre persone simili a lei, tra cui l’anziano Sully, che avrebbe piacere di continuare ad avere la sua compagnia, e il giovane Lee, un ragazzo col quale fraternizza e inizia un viaggio on the road. L’ossessione di Maren è di rintracciare la mamma, che non ha mai conosciuto, e alla fine la trova in un ospedale psichiatrico, dove lo sconvolgente incontro consentirà alla ragazza di collocare l’ultimo pezzo del puzzle che le mancava. La storia si sviluppa come un thriller horror con diversi momenti di grande tensione. Dal momento che la caratteristica di Maren non può essere reale, ma deve essere per forza allegorica, lo spettatore che è sopravvissuto fino alla fine del film, si interroga in proposito. Se nel libro della vegana DeAngelis si voleva forse anche sensibilizzare ai problemi etici del consumo di carne, Guadagnino sembra puntare più all’indagine psico-sociale, toccando i temi della diversità scabrosa e della difficoltà di accettare il “mostro” dentro di sé. Ma più nello specifico sembra parlare della tendenza alla sopraffazione nelle relazioni, con l’interessante corollario della trasmissione tra genitori e figli. La ragazza ha ereditato la sua natura dalla madre e porta nel mondo questo tratto molto problematico, di cui non è colpevole e dal quale cercherà di liberarsi. Riuscirà alla fine l’amore a separarsi dalla tendenza distruttrice? Riuscirà il bene a trionfare? Guadagnino aveva forse in mente un film allegorico ed elaborato su un tema indubbiamene pesante e interessante, però riesce a confezionare la cosa peggiore: un melò horror on the road inadatto per stomaci deboli. Taylor Russel è troppo dolce per indossare i panni del mostro, un po’ più credibile risulta Timothee Chalamet, molto bravo è Mark Rylance. Guadagnino vince il Leone d’Argento 2022 a Venezia per la regia, ma il film non è di metallo pregiato.
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alessio paradiso
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lunedì 28 novembre 2022
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una sola parola: orrendo.
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Veramente orribile, addirittura disturbante. Mai visto un film tanto sgradevole. Molte scene sono talmente crude da essere non solo vomitevoli ma proprio inguardabili. Di fronte a questo abominio, passa in secondo piano la buona qualità della fotografia, dei dialoghi e delle musiche. Penso che il regista dovrebbe parlare con un bravo psichiatra. Auguri.
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alessio paradiso
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lunedì 28 novembre 2022
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una sola parola: orrendo.
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Veramente orribile, addirittura disturbante. Mai visto un film tanto sgradevole. Molte scene sono talmente crude da essere non solo vomitevoli ma proprio inguardabili. Di fronte a questo abominio, passa in secondo piano la buona qualità della fotografia, dei dialoghi e delle musiche. Penso che il regista dovrebbe parlare con un bravo psichiatra. Auguri.
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rosmersholm
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lunedì 28 novembre 2022
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insulso
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Forse Guadagnino ha voluto raccontarci qualcosa della sua adolescenza? Di come si sentisse diverso e solo? Ma insomma, un grande autore come lui, cinquantenne e di grande maestria, non pensa di dissipare il suo talento in un film tardo adolescenziale che meglio sarebbe stato in mano ad un regista più giovane, con la giusta rabbia e imperfezione stilistica? (Reagan gli adolescenti di oggi, neppure sanno chi fosse) Eggià, perchè il film così è perfettamente girato, montato ed interpretato (accipicchia, persino Rylance nel ruolo del villain), risulta un po' insulso e fastidioso, oppresso da battute deprimenti, paesaggi scontati, eccessi di musica ed effettacci sonori.
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Forse Guadagnino ha voluto raccontarci qualcosa della sua adolescenza? Di come si sentisse diverso e solo? Ma insomma, un grande autore come lui, cinquantenne e di grande maestria, non pensa di dissipare il suo talento in un film tardo adolescenziale che meglio sarebbe stato in mano ad un regista più giovane, con la giusta rabbia e imperfezione stilistica? (Reagan gli adolescenti di oggi, neppure sanno chi fosse) Eggià, perchè il film così è perfettamente girato, montato ed interpretato (accipicchia, persino Rylance nel ruolo del villain), risulta un po' insulso e fastidioso, oppresso da battute deprimenti, paesaggi scontati, eccessi di musica ed effettacci sonori... Vola più alto caro regista, sei troppo bravo.
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