felicity
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venerdì 6 gennaio 2023
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un film pieno di idee, ma non del tutto riuscito
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È un po’ difficile tirare le somme su Blonde: da una parte si rimane affascinati dalla performance di Ana de Armas e dalla padronanza espressiva di Dominik, che è riuscito a fabbricare un meccanismo molto potente e capace di mettere seriamente in difficoltà lo spettatore; dall’altra, a volte il film inciampa nel suo stesso slancio finendo per cedere un po’ troppo all’estetica pura, scordandosi di rendere giustizia ai contenuti.
Blonde mi è un film pieno di idee, ma forse più interessante che riuscito. Dominik è senz’altro un cineasta consapevole e capace di coinvolgere lo spettatore, ma a tratti si fa prendere la mano dal suo stesso gioco finendo per sciogliere i contenuti nella pura estetica, o per indulgere troppo su certe situazioni a discapito del ritmo.
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silver90
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lunedì 3 ottobre 2022
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l'icona delle icone
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Il film, non a caso intitolato Blonde, parte dal 1933 per raccontare la vita dell'icona delle icone, Marilyn Monroe, qui interpretata da un'eccellente Ana de Armas: un personaggio costruito a tavolino dai produttori, ma che, in barba alle sue vicissitudini e alle sue problematiche personali, che ne causeranno la morte per un cocktail di barbiturici nel 1962, all'età di soli ventotto anni, divenne il simbolo di una certa età dell'oro di Hollywood. Nell'intento di Dominik e, prima ancora, dell'autrice del libro da cui è tratto il film, Joyce Carol Oates, la dicotomia tra l'attrice e la donna costituisce l'intera vita della protagonista, tant'è che, con un complicato procedimento psicologico, riusciamo a comprendere molte più cose sulla prima, seguendo in realtà il filo narrativo della seconda.
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Il film, non a caso intitolato Blonde, parte dal 1933 per raccontare la vita dell'icona delle icone, Marilyn Monroe, qui interpretata da un'eccellente Ana de Armas: un personaggio costruito a tavolino dai produttori, ma che, in barba alle sue vicissitudini e alle sue problematiche personali, che ne causeranno la morte per un cocktail di barbiturici nel 1962, all'età di soli ventotto anni, divenne il simbolo di una certa età dell'oro di Hollywood. Nell'intento di Dominik e, prima ancora, dell'autrice del libro da cui è tratto il film, Joyce Carol Oates, la dicotomia tra l'attrice e la donna costituisce l'intera vita della protagonista, tant'è che, con un complicato procedimento psicologico, riusciamo a comprendere molte più cose sulla prima, seguendo in realtà il filo narrativo della seconda. E, tuttavia, l''enfasi che viene posta, in maniera ossessiva e martellante, su questo conflitto interiore ed esteriore dell'artista finisce per trasformare il personaggio Marilyn nel doppio psicotico che Norma Jeane sarà costretta a recitare fino alla fine, anche sul palcoscenico della sua vita. La visione registica, che con ellissi e giustapposizioni va dall'infanzia sino all'età adulta, si gioca, dunque, su uno "sdoppiamento di verità", riuscendo a evidenziare anche un'altra, problematica, scissione, che forse ci colpisce in maniera più netta: quella tra lo sguardo di Norma Jeane, in fondo rimasta sempre la bambina traumatizzata che provava a salvare sé stessa dalla furia della madre nelle prime scene, e quello del pubblico, che la osservava e in lei vedeva solo un mito da celebrare. Sotto questo punto di vista, la ricostruzione della vita di Marilyn non si sposa appieno né con la visione collettiva dell'attrice né con i dati di fatto in nostro possesso sulla sua biografia, in parte romanzata. Riavvolgendo il nastro di più di mezzo secolo, quel che il regista vuole comunicare in maniera evidente è un'idea forte, cioè il fatto che Marilyn non fosse affatto un'oca bionda come lo showbiz soleva rappresentarla, ma una donna piena di fragilità, di molte delle quali la crudeltà di quel mondo ha saputo cogliere solo l'aspetto problematico, stritolandone, come spesso accade, l'essenza. Il finale forse non soddisfa la nostra curiosità sempre inappagata di decifrare l'enigma Marlyn, come lei stessa non riuscì a risolvere quello della maternità negata o dell'assenza del padre. Ed è bello, allora, credere di poter almeno dubitare, insieme alla famiglia di Joe Di Maggio, della naturalezza del colore dei suoi capelli, dal momento in cui tutti vorremmo aver avuto Marilyn Monroe, e non Norma Jeane, nel nostro salotto.
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luca scialo
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martedì 25 ottobre 2022
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una vita tormentata trasformata in un horror
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Blonde è un film scritto e diretto dal regista neozelandese Andrew Dominik, alla sua sesta pellicola e più importante. Si basa sull’omonimo libro di Joyce Carol Oates dedicato a Norma Jeane Mortensen, nota al mondo come Marilyn Monroe (Ana de Armas).
Il film inizia con Marilyn bambina vittima di una madre, Gladys (Julianne Nicholson), con gravi problemi psichici. Al punto da tentare di ucciderla più volte e finire in una struttura psichiatrica, mentre la piccola Norma Jean finisce in più case famiglia. Prima di intraprendere la carriera di fotomodella prima e attrice poi.
La madre Gladys gli mostra la foto di suo padre, asserendo che non potrà incontrarlo perché egli è un uomo importante di Hollywood e non può prendersi cura di lei perché la sua esistenza finirebbe per danneggiarlo.
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Blonde è un film scritto e diretto dal regista neozelandese Andrew Dominik, alla sua sesta pellicola e più importante. Si basa sull’omonimo libro di Joyce Carol Oates dedicato a Norma Jeane Mortensen, nota al mondo come Marilyn Monroe (Ana de Armas).
Il film inizia con Marilyn bambina vittima di una madre, Gladys (Julianne Nicholson), con gravi problemi psichici. Al punto da tentare di ucciderla più volte e finire in una struttura psichiatrica, mentre la piccola Norma Jean finisce in più case famiglia. Prima di intraprendere la carriera di fotomodella prima e attrice poi.
La madre Gladys gli mostra la foto di suo padre, asserendo che non potrà incontrarlo perché egli è un uomo importante di Hollywood e non può prendersi cura di lei perché la sua esistenza finirebbe per danneggiarlo. Quella foto rimbomberà nella testa di Marilyn per tutta la sua esistenza e conoscere suo padre diventerà la sua ossessione. Riceverà da lui molte lettere, nelle quali gli promette un incontro che non avverrà mai, fino alla spiazzante sorpresa finale.
Nel corso del film, viene evidenziato il lato tragico della vita di Marilyn Monroe: dalle tre gravidanze interrotte ai matrimoni falliti con il campione di baseball Joe di Maggio (Bobby Cannavale) e il famoso sceneggiatore Arthur Miller (Adrien Brody), passando per le tante crisi di nervi durante le riprese con tanto di sedativi per placarla fino al rapporto nascosto e violento con il presidente degli Stati Uniti John Fritzgerald Kennedy.
Ci sono poi aspetti inediti ai più sulla sua vita, come il triangolo amoroso con Eddy Robinson Jr. (Evan Williams) – figlio del famoso attore Edward G. Robinson – e Charles “Cass” Chaplin Jr. (Xavier Samuel), a sua volta figlio del leggendario Charles Chaplin.
Il film ricalca in modo forse troppo eccessivo il lato tragico della vita della Monroe. Per dirla in un linguaggio Social “Mai una gioia“. Alcune sequenze sanno addirittura di film Horror. Certo, nessuno mette in dubbio che la sua breve vita non sia stata felice e che nel buio dei riflettori accecanti di Hollywood fosse una donna sola, depressa, segnata da una infanzia traumatica e dal mancato incontro con suo padre.
E’ proprio su quest’ultimo aspetto che si basa la più grande menzogna sulla quale ruota tutto il film. Il quale assurge come verità il libro di Oates, che di fatto è più un romanzo che un biografico. Infatti, come sottolinea Den of Geek, la vera Marilyn sapeva chi era suo padre e che il vero Charlie Chaplin Jr. le è sopravvissuto di sei anni, l’intera sequenza è una bugia completa.
Infatti, nel finale di Blonde vediamo Marilyn apprendere della morte di Charlie Chaplin Jr. da una telefonata del loro amico (e nel film amante) Eddy Robinson Jr. Il quale gli spedisce come ricordo un orsacchiotto che piaceva tanto alla Monroe avendone uno uguale da bambina e che i tre avevano trovato per strada mentre passeggiavano.
Tuttavia, nel pacco c’è anche un biglietto, col quale Cass gli rivela che le lettere che ella riceveva dal padre in realtà gliele inviava lui per cercare di colmare quel vuoto. E sarebbe proprio questa notizia a spingerla ad assumere un cocktail di barbiturici che la portarono al suicidio.
Il tutto però è pura invenzione. Norma Jean in realtà nella vita reale sapeva chi fosse il padre: Charles Stanely Gifford, con cui la madre ebbe una breve relazione mentre lavorava a Hollywood come tagliatrice di pellicole. Tra l’altro, proprio ad inizio 2022 un test del DNA ha confermato che fosse suo padre.
Inoltre, Chaplin Jr. è sopravvissuto a Marilyn sei anni, morendo anch’egli molto giovane, a soli 42 anni. Mentre Edward G. Robinson morì anche prima, a 40 anni. Quindi sia la morte del primo che la telefonata del secondo visti nel film sono pura invenzione. Certo, entrambi vissero male il fatto di portare dei nomi così ingombranti come quelli dei loro padri. Di fatti ebbero una carriera spinta più dall’anagrafe che dal talento. Ma ciò, più che un vantaggio, fu soprattutto la causa della loro infelicità ed auto-distruzione.
Nel film si vede anche la Monroe portata come fosse un pacco postale nella stanza del presidente Kennedy, il quale la tratta come un oggetto. In effetti, se il film mostra con coraggio e anche in modo alquanto spinto questo aspetto, non va in fondo alla cosa. Visto che, come riportiamo qui, i Kennedy sono tra i principali sospettati della sua morte. Ma preferisce deviare verso strade puramente inventate. Del resto, parliamo di un colosso del mainstream come Netflix.
Blonde ha avuto molte critiche anche riguardo il tema dell’aborto, visto che mostra il feto che parla a sua madre. Quasi per intenerire e scoraggiare le donne che optano per questa scelta. Come se non fosse già traumatica e dolorosa. Di fatto le critiche femministe non si sono fatte attendere.
Da salvare è sicuramente l’interpretazione di Ana de Armas, bellissima attrice cubana, che abbiamo già apprezzato in pellicole come Blade Runner 2049 o No time to die. La quale ci mette tutta l’intensità per rendere il risultato finale quanto più triste e atroce possibile. In quello che finisce per essere un incubo di circa 3 ore da quale non si vede l’ora di svegliarsi.
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giuseppe marino - slowfilm
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domenica 8 gennaio 2023
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un film intimamente sgradevole, e bellissimo
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Blonde di Andrew Dominik è un’opera brutale con al centro Marilyn Monroe, ma non un film su di lei, un film intimamente sgradevole, e un film bellissimo. Blonde è uno sguardo nichilista non solo sugli anni ’50 americani, ma sulla perversione del pubblico di ogni tempo, ed è principalmente questo che a gran parte del pubblico non va giù. La creazione di Marilyn è del tutto estranea alla volontà di Norma Jeane, non è Marilyn a creare il desiderio maschile, sono il desiderio e la violenza a creare lo specchio in cui esaltarsi. La colpa di Dominik è quella di aver svelato di cosa è fatta un’icona, dal desiderio esclusivamente egoistico di chi la costruisce: non c’è nessuna donazione, ma continua sopraffazione.
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Blonde di Andrew Dominik è un’opera brutale con al centro Marilyn Monroe, ma non un film su di lei, un film intimamente sgradevole, e un film bellissimo. Blonde è uno sguardo nichilista non solo sugli anni ’50 americani, ma sulla perversione del pubblico di ogni tempo, ed è principalmente questo che a gran parte del pubblico non va giù. La creazione di Marilyn è del tutto estranea alla volontà di Norma Jeane, non è Marilyn a creare il desiderio maschile, sono il desiderio e la violenza a creare lo specchio in cui esaltarsi. La colpa di Dominik è quella di aver svelato di cosa è fatta un’icona, dal desiderio esclusivamente egoistico di chi la costruisce: non c’è nessuna donazione, ma continua sopraffazione.
Dominik fa un cinema aggressivo, riporta l’impossibilità della protagonista di definire sé stessa riservando lo stesso trattamento allo spettatore, cambiando le luci, i formati dell’immagine, sconvolgendo le espressioni dei volti, rendendo il visibile qualcosa di diverso da quello che viene raccontato. Come in Mulholland Drive, la rappresentazione dello star system e l’ambizione di farne parte sono solo l’evidenza più immediata di uno smarrimento molto più ampio, intimo quanto comune a ciascuno, perché nato da pressioni che l’individuo, parte di un incubo condiviso, subisce e genera.
Contribuiscono, non poco, alla sostanza straniante del film le musiche di Nick Cave e Warren Ellis. Dominik è stato il regista dei due film di Cave One More Time with Feeling e This Much I Know to Be True, che sono a loro volta, assieme agli album da cui nascono, qualcosa di quasi ingestibile, un connubio fra dolore e arte che non ha niente di pudìco. Come la regia di Dominik ha dato immagine e movimento all’opera di Cave, le sonorità di diretta derivazione dall’album Ghosteen pervadono ogni scena di Blonde, contribuendo in maniera fondamentale a trasportare tutto in una dimensione impersonale, dove l’unico scopo dell’individuo sembra sia realizzare la propria negazione.
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