sergio dal maso
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domenica 14 novembre 2021
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tra passato e futuro
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“… i venessiani i xe tornai casti e puri, dopo che i se ga venduo anca el sal petà sui muri”
Herman Medrano & Sir Oliver Skardy (Naltra Venessia)
Tre fratelli. Toni, Piero e Alvise. Sono riuniti con le rispettive famiglie nella casa dove sono cresciuti, all’isola della Giudecca.
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“… i venessiani i xe tornai casti e puri, dopo che i se ga venduo anca el sal petà sui muri”
Herman Medrano & Sir Oliver Skardy (Naltra Venessia)
Tre fratelli. Toni, Piero e Alvise. Sono riuniti con le rispettive famiglie nella casa dove sono cresciuti, all’isola della Giudecca. Un’isola, o meglio, un gruppo di otto isole tra loro collegate, tutto sommato estranee ai circuiti turistici veneziani.
La tradizione di famiglia li vorrebbe tutti e tre “moécanti”, pescatori di “moéche”, i piccoli granchi che nel periodo della muta perdono il carapace - il guscio - e diventano delle croccanti delizie da friggere; un tempo piatto popolare, oggi molto ricercato e costoso. Ma il pescatore di laguna è un mestiere difficile e faticoso, non a caso ne sono rimasti poche decine.
Da una parte, a continuare la tradizione, ci sono Toni e Piero, dall’altra Alvise, inserito nel circuito turistico che affitta stanze e residenze a gestione famigliare, in difficoltà finanziarie dopo il crollo di turisti per la pandemia.
In mezzo c’è la vecchia casa dei genitori, che Alvise vorrebbe ristrutturare e trasformare in un resort di lusso, per “offrire ai turisti una esperienza nuova, di charme”.
Sono schèi sicuri e facili quelli a cui mira Alvise, opposti a quelli sudati e incerti della faticosa pesca di laguna, che Piero non pensa nemmeno per un istante di abbandonare, anzi, insegna paziente al nipote i trucchi del mestiere. Piero sente che abbandonare i luoghi cari in cui è cresciuto è come recidere le proprie radici, vendere o snaturare la propria anima. Perdendo la protezione della casa, come accade ai granchi con il carapace, ci si ritrova indifesi e si rischia di venire mangiati.
Due visioni del futuro e della vita inconciliabili, un conflitto latente che cova sotterraneo e destinato ad esplodere quando all’improvviso Toni verrà a mancare.
Quello tra Alvise e Piero non è solo un conflitto tra fratelli, ha un respiro più ampio, quasi universale.
Attorno al microcosmo delle famiglie coinvolte nella faida immobiliare, in cui ciascun componente ha motivazioni e obbiettivi diversi per auspicare o boicottare la vendita, c’è anche il conflitto tra tradizione e modernità, tra l’idea di Venezia vista come un “parcogiochi” turistico e quella di un luogo fragile, da preservare e proteggere.
Welcome Venice conclude la trilogia di Andrea Segre sulla trasformazione di Venezia, iniziata con i documentari Il pianeta in mare e Molecole. Il lungo e paziente lavoro di documentazione evidenzia il profondo affetto del regista per la città lagunare, il desiderio di difenderla dalla sua fragilità, di recuperarne la cultura autentica.
Segre non si schiera né con Piero né con Alvise, cerca innanzitutto di capire, di sviscerare le cause dei problemi che affliggono Venezia, come il fenomeno della gentrificazione, ossia la riqualificazione dei centri storici e lo spostamento degli abitanti residenti in altri quartieri, specie dopo l’esplosione del turismo “airbnb”. Sono molti i veneziani che preferiscono andare a vivere a Mestre e affittare le proprie case ristrutturate a turisti occasionali.
Lo sguardo poetico del cineasta padovano ci restituisce inquadrature evocative di struggente bellezza, con colori ed effetti di luce incredibili nella loro naturalezza - splendida la fotografia di Matteo Calore - lontanissimi dalle immagini da cartolina a cui siamo abituati.
La sceneggiatura, scritta a quattro mani con Marco Pettenello, è ben costruita, calibrata anche sui personaggi minori, profonda e al tempo stesso ricca di ironia, con diverse invenzioni spassose, come i resoconti strampalati dei film visti in tv durante la pesca. Anche l’uso del dialetto è efficace, intriso di humour veneziano e mai sopra le righe.
Andrea Pennacchi e Paolo Pierobon sono straordinari nelle interpretazioni dei due protagonisti: Piero, nella sua cocciutaggine, ha in alcuni passaggi una carica quasi animalesca; la cialtronaggine di Alvise riesce invece a ispirare simpatia. Per quanto diversi è difficile non entrare in empatia con entrambi. Ma tutti gli attori sono veramente bravi, da Roberto Citran a Ottavia Piccolo, senza dimenticare gli altri.
Il crepitio del sorprendente finale allontana il pessimismo, “i gransi ghe sarà sempre”.
Tocca all’uomo, invece, creare le condizioni per poter continuare a dire Welcome Venice. Anzi, bentornata Venezia.
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gaia pulliero
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sabato 4 settembre 2021
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un’ironizzazione poetica sulle priorità
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Con Welcome Venice Andrea Segre riapre il capitolo di ambientazione lagunare e lo fa con un film profondamente ancorato alle tradizioni del territorio, donandogli però (ancora una volta) un un carattere dal respiro universale.
Già con Io sono Li (2011) la cittadina di Chioggia era stata insignita di un alone macrocosmico facendosi teatro del fenomeno immigratorio, ora in Welcome Venice la laguna di Venezia e l’Isola della Giudecca si fanno portatrici di quel sentimento di “prepotenza economica” che sempre più sembra minacciare la quotidianità dei piccoli centri abitati.
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Con Welcome Venice Andrea Segre riapre il capitolo di ambientazione lagunare e lo fa con un film profondamente ancorato alle tradizioni del territorio, donandogli però (ancora una volta) un un carattere dal respiro universale.
Già con Io sono Li (2011) la cittadina di Chioggia era stata insignita di un alone macrocosmico facendosi teatro del fenomeno immigratorio, ora in Welcome Venice la laguna di Venezia e l’Isola della Giudecca si fanno portatrici di quel sentimento di “prepotenza economica” che sempre più sembra minacciare la quotidianità dei piccoli centri abitati. Centri che da storici si fanno via via turistici, perdendo così la loro autenticità.
È con la consapevolezza di questa trasformazione che in Welcome Venice la “poetica del paesaggio” di Segre prescinde da quell’ormai abusato voyeurismo turistico nei confronti delle location e riesce a plasmare le ambientazioni come facessero parte del quotidiano del pubblico in sala. Il costante fuoco sui personaggi - e quindi il ruolo secondario attribuito dichiaratamente alle ambientazioni - permette infatti allo spettatore di non farsi distrarre dal fascino novello dei luoghi e di fare così propria la storia narrata sentendosi legittimato come soggetto attivo (immagini travolgenti sono comunque presenti, ma sono sempre proposte in chiave evocativa e mai sotto forma di “cartolina”). La storia è pertanto sviluppata partendo dal fil rouge degli affetti personali, ma è capace di attrarre su di sé riflessioni provenienti da più contesti relazionali, sociali e settoriali (affronta temi quali la famiglia, il turismo, la pandemia, le tradizioni…).
Infine, impeccabili le interpretazioni di Andrea Pennacchi (Alvise) e Paolo Pierobon (Piero) che hanno saputo tessere con estrema delicatezza, ma anche determinazione, sfumature caratteriali capaci di portare a momenti di totale empatia con il personaggio, ad altri di rancore e ad altri ancora di profonda rabbia. E tutto questo lo fanno interpretando ruoli apparentemente opposti, eppure accomunati da quello stesso fil rouge.
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angelo umana
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domenica 12 settembre 2021
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moeche vincenti
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Evviva, le moeche di Andrea Segre hanno vinto! O almeno sono state le protagoniste di un atroce dispetto fatto ad Alvise, massì, ad Alvise Ballarin (Andrea Pennacchi). Lui, con Toni e Piero, è uno dei fratelli che possiedono per eredità la casetta di famiglia alla Giudecca, la parte più povera di Venezia, ma rustica e verace, autentica. E' solo un caso che “moeche” (“molli”, i granchi quando perdono la corazza, buoni da mangiare impastellati con uova e farina e poi fritti) richiami il termine Molecole, altro film di Segre, sua testimonianza sulla Venezia deserta nel lock-down del 2020 e dei ricordi che ha del suo papà che alla Giudecca fu di casa.
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Evviva, le moeche di Andrea Segre hanno vinto! O almeno sono state le protagoniste di un atroce dispetto fatto ad Alvise, massì, ad Alvise Ballarin (Andrea Pennacchi). Lui, con Toni e Piero, è uno dei fratelli che possiedono per eredità la casetta di famiglia alla Giudecca, la parte più povera di Venezia, ma rustica e verace, autentica. E' solo un caso che “moeche” (“molli”, i granchi quando perdono la corazza, buoni da mangiare impastellati con uova e farina e poi fritti) richiami il termine Molecole, altro film di Segre, sua testimonianza sulla Venezia deserta nel lock-down del 2020 e dei ricordi che ha del suo papà che alla Giudecca fu di casa.
E' un film-manifesto su visioni diverse che i veneziani stessi hanno della città, o di cosa molti vorrebbero che Venezia non fosse, una cartolina postale vivente che i turisti vanno a visitare ospitati in costosi bed and breakfast. Due dei tre fratelli vorrebbero tenerla la casa, serve “per pescare” dice quello con maggiore autorità, Toni (Roberto Citran), seguito da Piero (Paolo Pierobon) che ne sosterrà la volontà dopo l'improvvisa morte del primo, anche perchéi turisti magari non tornano più, ma i granchi sì! Alvise invece ha il taglio più imprenditoriale, degli imprenditori azzardati però: altro ritratto tipico veneto, di presunti danarosi tutti brindisi e gioielli, e schei, ma è un veneziano che non sa nuotare. Liquida indebitandosi le famiglie dei fratelli per fare della casa proprio un b&b. Eppure osserva che Venezia non l'aveva mai veramente guardata, davanti al Ponte dei Sospiri non mi ero mai fermato... Sull'isola della Giudecca poi non c'è più nessuno dei nostri, un posto che a suo dire è isola di delinquenti sempre pronti a fare a pugni. In più, dicono altri, sarebbe un modo per fare schei dormendo, soldi veri senza più la vita faticosa in laguna di Piero, che in quel posto ci vive (se mi lascio andare so' perso, altre parole sue).
Avvisaglie di una guerra familiare che monta paiono essere i rumori profondi del mare, simili a tuoni lontani, ma la disputa andrà come andrà. Il film è interessantissimo per l'autentica rappresentazione dei luoghi. I colori del film sono a volte scuri, bluastri, come a far presagire conflitti, a volte luminosi di una Venezia città aperta, una “caput-mundi” dove tutti vogliono prima o poi andare. Da amare sono i ritratti molto paesani che Segre ben conosce, i ritrovi familiari, un solo tocco solenne di campana al funerale di Toni, un Piero sognante ma amante delle sue fatiche quotidiane, che pure cita storie e fatterelli, curiosità o dicerie. Il nipote adolescente di Piero che col nonno scopre angoli di cui è impossibile non innamorarsi e sembra imparare presto il mestiere del mare, e amarlo. Del resto era stato detto anche in Molecole, che chi impara a pescare starà bene tutta la vita.
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francesca meneghetti
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mercoledì 15 settembre 2021
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welcome venice non è welcome to venice
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Uno degli ultimi lavori di Segre di ambientazione veneziana si intitolava Molecole, in omaggio alle ricerche del padre, fisico-chimico, morto nel 2008. Moeche è il termine dialettale per indicare i granchiolini in fase di muta. Una squisitezza della cucina veneziana. Sembra una pura coincidenza questa affinità di suono tra le due parole, ma forse non lo è. E forse da cosa nasce cosa. Con Molecole, girato durante il primo, duro, lokdown, che riprendeva una città vuota, spenta e silenziosa, l’artista cercava in realtà di radicarsi in quella che era stata la patria del padre, colta negli aspetti meno luccicanti e farlocchi proposti ai turisti. E così entrava nel mondo dei pescatori e dei cacciatori di vongole, che si muovono tra le barene, nei canali, tra bricole.
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Uno degli ultimi lavori di Segre di ambientazione veneziana si intitolava Molecole, in omaggio alle ricerche del padre, fisico-chimico, morto nel 2008. Moeche è il termine dialettale per indicare i granchiolini in fase di muta. Una squisitezza della cucina veneziana. Sembra una pura coincidenza questa affinità di suono tra le due parole, ma forse non lo è. E forse da cosa nasce cosa. Con Molecole, girato durante il primo, duro, lokdown, che riprendeva una città vuota, spenta e silenziosa, l’artista cercava in realtà di radicarsi in quella che era stata la patria del padre, colta negli aspetti meno luccicanti e farlocchi proposti ai turisti. E così entrava nel mondo dei pescatori e dei cacciatori di vongole, che si muovono tra le barene, nei canali, tra bricole. Un ambiente che può apparire piatto, indistinto tra cielo e terra, se si vede in pieno giorno, ma che all’alba o al crepuscolo regala dei giochi di luce straordinari. Questo è uno degli sfondi topici del nuovo film Welcome Venice. L’altro è rappresentato dagli interni di una vecchia casa della Giudecca, dove viveva un pescatore di moeche, mestiere ereditato da due dei suoi figli, Pietro e Toni, mentre Alvise ha obiettivi più ambiziosi. Vorrebbe “rigenerare” questa casa in funzione di un affare redditizio: l’affitto a danarosi turisti alla caccia del pittoresco. Dopo la morte improvvisa di Toni, Pietro, sfortunato nella vita, solitario, appassionato di film in tv, profondamente attaccato alle sue tradizioni come un peocio al suo scoglio (dixit, più o meno, Verga), si trova a fronteggiare il fratello affarista. Benché questo sia interpretato da un personaggio mediatico e popolare come Andrea Pennacchi, la simpatia del regista va alla figura del suo antagonista, cioè Pietro, interpretato da Paolo Pierobon, grande stazza, occhi dolci. Così Segre ritorna a un tipo umano che gli è caro: l’uomo del passato, robusto, solido, radicato alla sua terra (penso ai pescatori di Io sono Li, ai montanari de La Prima neve, a certi personaggi di Molecole). E in un certo senso si verifica il paradosso per cui l’ancoraggio al passato è più rivoluzionario della trasformazione futurista… Del resto Pietro non ama solo le valli della laguna, ma conosce anche angoli reconditi e silenziosi della città, che condivide con il nipotino. C’è a questo riguardo una scena straordinaria dal punto di vista fotografico e simbolico: nonno e nipote sono in barca, in un canale deserto. La macchina da presa indietreggia, così che si forma, oltre il ponte, una sorta di grande occhio luminoso. Sarebbe peccato mortale riferire la conclusione, non priva di umorismo. E giocata sull’equivoco: Welcome Venice non è Welcome to Venice, formula che si rivolge ai turisti. Ma significa: una Venezia ritrovata.
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telor
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mercoledì 8 settembre 2021
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essere o avere ... a venezia
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Andrea Segre in "Welcome Venice", affronta una dicotomia del pensiero umano che, detta in termini contemporanei è quella fra “l’essere o l’avere”, ma che affligge l’uomo da sempre come il mito del Re Mida e del suo tocco d’oro, insieme -a mio parere- all’adorazione del Vitello d’oro che alla stessa scelta -in sostanza- rimanda (altrimenti perchè proprio d’oro?).
Quindi un tema antico e fondante, che il regista però esalta in chiave moderna ambientandola nella laguna di Venezia.
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Andrea Segre in "Welcome Venice", affronta una dicotomia del pensiero umano che, detta in termini contemporanei è quella fra “l’essere o l’avere”, ma che affligge l’uomo da sempre come il mito del Re Mida e del suo tocco d’oro, insieme -a mio parere- all’adorazione del Vitello d’oro che alla stessa scelta -in sostanza- rimanda (altrimenti perchè proprio d’oro?).
Quindi un tema antico e fondante, che il regista però esalta in chiave moderna ambientandola nella laguna di Venezia.
Dei fratelli, dunque, che si dividono sul diverso significato della propria vita: uno che vive nella e della natura lagunare, contento di fare levatacce notturne, di faticare nell’allevamento delle moeche (granchi senza il carapace a causa della muta) e di fare colazione con biscotto secco inumidito; l’altro, sempre in abito e cravatta, che invece non si sa bene cosa faccia, a parte che affittare immobili ad uso turistico, e stappare bottiglie di vino buono. Questi, vuole raggiungere l’apoteosi del benessere della sua famiglia, in primis la propria ma anche quella dei fratelli, trasformando anche la casa natale di tutti loro, dove abita il pescatore, in una residenza de charme.
Potrebbe sembrare la contrapposizione fra antico e moderno, come spesso si qualificano a Venezia le due posizioni contrapposte fra chi vorrebbe una città di abitanti e chi la vuole piena di turisti. L’accento della narrazione di Segre è proprio su come non ci si trovi difronte ad una scelta conservatrice ed una innovatrice, bensì difronte ad una scelta etica fra un ambiente per l’uomo o un ambiente per lo sfruttamento. La fotografia è bellissima, con dei paesaggi lagunari toccanti.
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fabiofeli
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sabato 18 settembre 2021
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bentornata venezia!
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Siamo ai nostri giorni, in periodo di chiusura per covid-19: Piero, Toni e Alvise vivono a Venezia e festeggiano una ricorrenza. Al mattino presto Toni e Alvise si recano alla loro postazione in laguna per pescare come di consueto: il bottino più importante dovrebbe essere quello delle “moeche”, granchi in periodo di muta, quindi senza corazza e teneri, che diventano un piatto prelibato se infarinati e fritti. Non è chiaro che cosa accade a Toni (E’ stato colpito da un fulmine? È morto per un infarto?). Una quieta cerimonia ed un trasporto in barca portano la sua bara al cimitero. In famiglia gli eredi sono Piero, che ama la pesca e si alza alle 4 di mattina, e Alvise che vagheggia “schei” (soldi) fatti dormendo, utilizzando la casa in cui vive Piero per allestire un Bed & Breakfast costoso in un punto suggestivo di Venezia.
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Siamo ai nostri giorni, in periodo di chiusura per covid-19: Piero, Toni e Alvise vivono a Venezia e festeggiano una ricorrenza. Al mattino presto Toni e Alvise si recano alla loro postazione in laguna per pescare come di consueto: il bottino più importante dovrebbe essere quello delle “moeche”, granchi in periodo di muta, quindi senza corazza e teneri, che diventano un piatto prelibato se infarinati e fritti. Non è chiaro che cosa accade a Toni (E’ stato colpito da un fulmine? È morto per un infarto?). Una quieta cerimonia ed un trasporto in barca portano la sua bara al cimitero. In famiglia gli eredi sono Piero, che ama la pesca e si alza alle 4 di mattina, e Alvise che vagheggia “schei” (soldi) fatti dormendo, utilizzando la casa in cui vive Piero per allestire un Bed & Breakfast costoso in un punto suggestivo di Venezia. Sinceramente siamo sicuri che un qualsiasi angolo della Città Lagunare frutterebbe schei-fatti-dormendo, perché faremmo fatica a trovare un luogo non suggestivo. A quale prezzo, però, per chi vive lì seguendo ritmi di lavoro che lo portano dentro il paesaggio, in luoghi dove si osserva il cielo, si annusano vento e nuvole, si scruta il volo degli uccelli come facevano gli aruspici in tempi lontani? I turisti sono spariti e magari torneranno, ma al momento non sono per nulla attraenti per chi ha vissuto là e che ha visto ‘cose che noi umani’ non scoprirebbero in anni di vita passati lì. Meglio la sicurezza delle moeche e le luci della laguna; e potersi fermare, se si vuole, a guardare il ponte dei Sospiri; o girare a caso con la barca per trovare un piccolo ponte che riflesso nell’acqua si trasforma in un grande occhio che ti osserva... Citran, Pietrobon e Pennacchi sono attori ricorrenti dei film di Segre e alla squadra vincente si sono aggiunte Ottavia Piccolo (!), Anna Bellato e Sara Lazzaro, ed un bambino (non sappiamo il suo nome) che canta canzoni tradizionali e che sta “imparando Venezia”, distinguendo le moeche buone da quella “matte”. Segre conosce i tempi slow della città e solo per gioco esce un indiavolato rock (dei Clash?) come passione di Piero per il Punk. E allora Bentornata Venezia (dopo i bei film di Segre sulla laguna: Io sono Li, di una decina di anni fa, e Molecole dello scorso anno)! Gli schei passano, Venezia resta. Resta come sei, Venezia; resta di quei veneziani che non ti vendono perché ti amano. E dai il tuo Welcome solo a chi ti rispetta. Valutazione **** FabioFeli
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