franco django
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lunedì 31 agosto 2020
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non più
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Ma è possibile che nel 2020 esistano ancora film così datati? Volevo Nascondermi nasce piatto e muore piatto. È brutto da dire ma è il regista che dovrebbe nascondersi. 8 euro buttati.
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mirko
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lunedì 31 agosto 2020
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germano non nasconderti mai !
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Ignoravo colpevolmente che Ligabue (il pittore) fosse bizzarro come i cavalli che dipingeva, che avesse avuto una vita così triste e sventurata. A vedere VOLEVO NASCONDERMI ci si chiede allora se anche Elio Germano non abbia gli stessi problemi per come è riuscito a rappresentarlo in maniera così vivida e dolorosamente atroce.
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Ignoravo colpevolmente che Ligabue (il pittore) fosse bizzarro come i cavalli che dipingeva, che avesse avuto una vita così triste e sventurata. A vedere VOLEVO NASCONDERMI ci si chiede allora se anche Elio Germano non abbia gli stessi problemi per come è riuscito a rappresentarlo in maniera così vivida e dolorosamente atroce. Più probabilmente Germano non ha alcun tipo di disturbo mentale ma solo una straordinaria e peculiare capacità mimetica che lo colloca inconfutabilmente fra i migliori interpreti della sua generazione.
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marilena roffi
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lunedì 31 agosto 2020
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si può piangere
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Vorrei solo aggiungere la mia esperienza personale. Sono uscita dalla sala con il groppo in gola che avevo dal primo fotogramma del film, amarissimo come una poesia di Giovanni Pascoli, di cui condivide la drammaticità e l'elegia. E poi, se voglio posso anche piangere.
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arsenio
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domenica 30 agosto 2020
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‘ritratto elementare’
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Di Pacifico Arsenio
Volevo Nascondermi è cervellotico solo per il gusto di essere cervellotico: ritmo contorto, sceneggiatura complicata e monotona, un po' di bella fotografia minimalista che non guasta.
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Di Pacifico Arsenio
Volevo Nascondermi è cervellotico solo per il gusto di essere cervellotico: ritmo contorto, sceneggiatura complicata e monotona, un po' di bella fotografia minimalista che non guasta. A differenza dello sceneggiato Tv finisce per sembrare una versione ripulita. Manca la cattiveria, la follia e il percorso narrativo è banale. L'ambizione di molte scene e' spesso esilarante per la serietà con cui vengono architettate. E l'insipido e narcolettico procedere di traiettorie prive di una vera tesi non aiuta di certo salvare il pubblico (o quantomeno il sottoscritto). Elio Germano invece bacia il film con toni sfumati e toccanti: frenetico, claustrofobico, spettrale. Spiragli tarkovskjiani qua e là di Andrej Rublev e, sul finale, di Zerkalo, per un’opera minore e derivativa.
Pacifico Arsenio
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vincenzo
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domenica 30 agosto 2020
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scuola media
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Le intenzioni erano corrette, ma si sente il calcolo: rifare da zero il Giovane Favoloso.
Stesso Germano (qui insopportabile dove invece era incantevole) stesso registro ruffiano e democristiano perfetto per la visione delle scolaresche, ma il flop è dietro l'angolo.
Volevo Nascondermi è un film fatto con la calcolatrice e mai con il cuore.
Volevano nascondersi.
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domenica 30 agosto 2020
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bizzarra definizione
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Aldilà della recensione, sufficientemente accurata, una cosa mi ha davvero impressionato ahimè in negativo: la definizione appioppata al grande Ligabue nella sorta di sinopsi che introduce alla recensione, quel testo cioè pubblicato in home page che introduce alla recensione vera e propria. Se Ligabue, cui Diritti e Germano rendon giustizia in modo esemplare e senza spargimento di quelle lacrime - o altra analoga ottundente manifestazione emotiva - che sarebbe stato fin troppo facile suscitare, NON è stato qualcosa è esattissimamente "un protagonista fondamentale dell'arte contemporanea internazionale". È infatti il suo resistente, non negoziabile essere ed esistere al di fuori e al di là da ogni flusso, scena, movimento, avan o retroguardia, tendenza più o meno riferita ad un critico (Restany e il Nouveau Realisme, Celant e l'Arte Povera, la Transavanguardia di Bonito Oliva), che consegna quel guerrigliero gentile alla sua propria grandezza, che ne fa un creatore supremo perché inafferrabile da qualsiasi tentacolo del sistema dell'arte.
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ralphscott
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sabato 29 agosto 2020
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natura generosa e matrigna
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Un racconto per immagini intenso ed emozionante; commozione e qualche risata per un Germano totalmente aderente al dramma del grande artista. Il dolore di Ligabue è quello di tutti gli emarginati,l'amore per la Fauna scaturisce, come capita a chi si immerge pienamente nel mondo animale, anche come spontanea risposta alle vessazioni, allo scherno che l'umano offre al diverso.
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francesca meneghetti
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giovedì 27 agosto 2020
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tra naturalismo ed espressionismo, la storia di un artista matto e "foresto"
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"Volevo nascondermi" è un film che merita di essere visto, ma non per svago: esso richiede allo spettatore una partecipazione intelligente ed emotiva alla triste storia di Antonio Ligabue, così come l'ha raccontata Giorgio Diritti, regista e co-sceneggiatore. Non è la prima volta che il nostro Van Gogh padano attira l'interesse del cinema. Se escludiamo i primi documentari degli anni '60, le opere più importanti sono "Ligabue" del 1977, interpretato da Flavio Bucci, regia di Salvadore Nocita e il recente (2015) docufilm "Antonio Ligabue, L'Uomo", regista Ezio Aldoni. Ritornare sullo stesso tema è dunque una sfida che punta non tanto ai contenuti, in buona parte già noti, quanto alla forma, per dirla in maniera crociana: cioè si dà valore al modo di narrare.
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"Volevo nascondermi" è un film che merita di essere visto, ma non per svago: esso richiede allo spettatore una partecipazione intelligente ed emotiva alla triste storia di Antonio Ligabue, così come l'ha raccontata Giorgio Diritti, regista e co-sceneggiatore. Non è la prima volta che il nostro Van Gogh padano attira l'interesse del cinema. Se escludiamo i primi documentari degli anni '60, le opere più importanti sono "Ligabue" del 1977, interpretato da Flavio Bucci, regia di Salvadore Nocita e il recente (2015) docufilm "Antonio Ligabue, L'Uomo", regista Ezio Aldoni. Ritornare sullo stesso tema è dunque una sfida che punta non tanto ai contenuti, in buona parte già noti, quanto alla forma, per dirla in maniera crociana: cioè si dà valore al modo di narrare. Quattro sono i punti di forza di questo grande film. Anzitutto l'interpretazione di Elio Germano, che è stata premiata alla Berlinale, e che comporta una totale metamorfosi dell'attore che ne coinvolge il volto (sapientemente truccato), le espressioni degli occhi, la voce, la postura animalesca, i gesti, spesso enfatizzati all'estremo, come si addice a "un matto" (Bucci, per quanto bravo, mantiene una postura dritta, e si affida soprattutto allo guardo, allucinato). In secondo luogo la focalizzazione tematica, sulla scia degli altri film di Giorgio Diritti (formatosi come documentarista), in particolare: "Il vento fa il suo giro", "L'uomo che verrà". In tutti questi lavori si delineano, con precisione antropologica, dei microcosmi chiusi, ricchi di personaggi, di codici, di regole, alle prese con un corpo estraneo, che può essere rifiutato da tutti (come la coppia francese del primo film, giunta nella comunità pastorale di Valle Maira) o come i nazisti nel secondo, oppure può dar luogo a un mix di ostracismi e aperture, come ha scritto Fabio Ferzetti. In questo senso Ligabue è emblema dello Straniero. Ma Giorgio Diritti non gioca all'ideologo: racconta ciò che accade con un distacco documentario che non lascia però indifferente lo spettatore (ci si può indignare o si può piangere, come quando il pittore si inchina davanti alla madre di Renato Marino Mazzacurati, il primo che gli apre le porte a Gualtieri, dopo che Ligabue, espulso dalla Svizzera (dove nasce da genitori italiani che lo danno in affido), si trova a vivere come un animale selvatico lungo il Po. Il terzo elemento è lo stile della regia. Diritti non compie una narrazione compatta e lineare. Procede per sequenze frammentarie, ricorrendo a flashback specie nella prima parte, e richiedendo la partecipazione attiva dello spettatore, chiamato a incollare, ordinare, completare. Si aggiunga il ricorso alla reticenza, all'allusione, più che all'esplicito dire, efficaci per ricomporre la psicologia complessa e sofferta dell'artista. Il personaggio, a questo riguardo, risulta particolarmente dinamico e si dimostra, con il tempo, reattivo alla compassione e alla stima degli altri, tanto da uscire da quella condizione di bestia ferita dell'infanzia e della giovinezza, e da potersi relazionare, almeno un poco, con le altre persone. Molto meno con il sesso femminile (il che lo porterà a un travestitismo consolatorio: vestendosi da donna, si illuderà di averne una accanto). Infine, terzo elemento caratterizzante lo stile è la mescolanza del registro documentario-oggettivo con quello espressionistico, tendente al caricaturale, come quando Ligabue imita gli animali per coglierne lo spirito e dipingerli con vivacità. Questa dialettica naturalismo/rappresentazione della realtà carica di colore, si ritrova nell'ultimo punto di forza del film: la fotografia diretta dal giovane Matteo Cocco (vive all'estero), e premiata con il Globo d'oro. In realtà la variante espressionistica, che ci si aspetterebbe in un pittore naif, ma forse non digiuno della lezione di Van Gogh e dei Fauves, trova spazio soprattutto alla fine, quando i titoli di coda scorrono in sovraimpressione: sullo sfondo la pittura coloratissima di Ligabue. E all'inizio, quando un occhio sospettoso fa capolino da un grande mantello nero, dietro il quale Ligabue voleva nascondersi. Ma per il resto le immagini scorrono all'insegna di un'insolita naturalezza. In controtendenza rispetto al trend di moda (perseguire un'altissima definizione, forte contrasto ed estrema saturazione), Cocco opta per lo sfumato "leonardesco", nei contorni e nelle luci, così che un pulviscolo dorato viene a coprire il paesaggio padano. Altrimenti, per accentuare i momenti oscuri di Ligabue, ricorre alla sottoesposizione, senza correggerla con flash o luci artificiali. Tecnicamente meravigliosa, dunque, la fotografia di Cocco.
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angelo umana
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giovedì 27 agosto 2020
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complimenti a vanessa zarastro
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Vanessa Zarastro, i miei più sinceri complimenti per come lei scrive, chiunque lei sia, dettagliata informata capace di esprimersi sulla fattura o tecnica di ogni film. Davvero una delle commentatrici (o commentatori) più qualificate su MyMovies. Scrive su qualche sito o blog? Complimenti ancora.
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angelo umana
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martedì 25 agosto 2020
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gli abbracci negati
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Volevo nascondermi mi piacerebbe nominarlo “volevo gli abbracci mancati”. Potrebbe dirsi, se vi pare, il film sugli abbracci negati al bambino Ligabue o Laccabue, e sulle conseguenze che questa mancanza ebbe. In una scena ad inizio film compare la sua mamma che lo consegna ad una coppia adottiva a Zurigo e l'immagine di lui che piange mentre la mamma va via rimane forte in mente. Questo abbandono pare produrgli un rifiuto della realtà circostante e di questi genitori adottivi, è rifiutato e deriso a sua volta dall'ambiente e dagli altri bambini, un insubordinato per la scuola e per il lavoro, un disadattato che soggiornerà in manicomi quando verrà mandato a Gualtieri in Emilia, il padre naturale era di colà.
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Volevo nascondermi mi piacerebbe nominarlo “volevo gli abbracci mancati”. Potrebbe dirsi, se vi pare, il film sugli abbracci negati al bambino Ligabue o Laccabue, e sulle conseguenze che questa mancanza ebbe. In una scena ad inizio film compare la sua mamma che lo consegna ad una coppia adottiva a Zurigo e l'immagine di lui che piange mentre la mamma va via rimane forte in mente. Questo abbandono pare produrgli un rifiuto della realtà circostante e di questi genitori adottivi, è rifiutato e deriso a sua volta dall'ambiente e dagli altri bambini, un insubordinato per la scuola e per il lavoro, un disadattato che soggiornerà in manicomi quando verrà mandato a Gualtieri in Emilia, il padre naturale era di colà. Esistettero in Svizzera questi affidi con supposti “scopi assistenziali” a famiglie che facevano lavorare tra gli stenti dei bambini senza che nulla fosse loro riconosciuto, nemmeno l'istruzione. Verdingkinder si chiamavano, bambini a contratto (sull'argomento fu fatto un film). Si apprende qui che i genitori adottivi di Antonio ricevevano un sussidio per l'”impegno”.
Le immagini dell'infanzia tornano prepotenti e ossessive nel film e nella memoria di Antonio – inserti appropriatissimi della regia di Giorgio Diritti e della sceneggiatura - ogni volta che crescendo vive esperienze scomode o sgradite; ne fu segnato per sempre. Le sue reazioni, il nascondersi, la vergogna – derivanti dall'abitudine a scarsi contatti con essere umani - ci fanno partecipi della sua disperazione, le immagini sono così “marcate” da farci sentire vicini al protagonista, siamo con lui dentro il film e dentro le sue vicende: merito grandissimo di Elio Germano che lo interpreta e della regia che ci fa immergere, o sprofondare, nelle scene drammatiche ch'egli vive, “breathless” o da togliere il respiro.
Ligabue crebbe attratto dagli animali e da quelle persone che gli regalarono rare carezze, il personaggio dice di capire subito se un uomo è buono o cattivo. Gli animali li imitava, li vedeva nei suoi dipinti come creature vere; la pittura si rivelò la forma d'espressione con la quale il suo spirito trovava un po' di pace e cominciò ad essere apprezzata. Rimase impressionato dagli occhi di una bambina morta che volle riportare su tela; gli parve inaccettabile quella morte, un'esperienza mai vissuta, che talmente lo scosse da farlo vagare disperato e urlante in cimitero di notte.
Tante e ricche le citazioni della sceneggiatura, o forse cose vissute da Ligabue (1899-1965). La tassa sul celibato che gli si minaccia nel fascismo e cose da lui dette quando venne riconosciuto come grande pittore e scultore naif, sempre schivo e semplice, un po' rozzo ma immediato: “perché parlare dei quadri, i quadri si vedono, cosa puoi dirne?” o “il maggior condimento sulla pasta è riservato alla gente importante”; il paltò nuovo indossato in estate per tutto il freddo patito in vita, eppoi una certa affermazione di sé o autoriconoscimento, “sono un artista, di un artista o artigiano resta qualcosa, nulla resta di un autista!”
Commovente che in punto di morte gli ricompaia il volto della sua giovane madre naturale, gli dà la mano, lo chiama a sé, lui l'ha sempre attesa. Un film magnifico, ebbe solo un Orso d'argento a Berlino per Germano, ma tant'è.
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