brunopepi
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martedì 10 novembre 2020
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ligabue è germano e germano è tutto il film
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La vita dell'acclamato pittore, tra i più importanti artisti naif del xx secolo viene riportata nel lungometraggio attraverso flashback della sua infanzia e gioventù nonché lungo la sua complessa e poco salubre esistenza. Il regista e sceneggiatore ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cinema lavorando a fianco di autori come Pupi Avati del quale si percepisce quello stile narrativo poetico e delicato senza qui però, riuscire ad introdurre emotività ed esaltazione in un soggetto dal quale, riguardo ciò, si sarebbe potuto fare di più.
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La vita dell'acclamato pittore, tra i più importanti artisti naif del xx secolo viene riportata nel lungometraggio attraverso flashback della sua infanzia e gioventù nonché lungo la sua complessa e poco salubre esistenza. Il regista e sceneggiatore ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cinema lavorando a fianco di autori come Pupi Avati del quale si percepisce quello stile narrativo poetico e delicato senza qui però, riuscire ad introdurre emotività ed esaltazione in un soggetto dal quale, riguardo ciò, si sarebbe potuto fare di più. Il film nella sua durata di due ore non scade mai in sequenze noiose, dietro una direzione che mantiene attivo l'interesse soffermandosi forse un po' troppo sui disturbi nevrotici e psicofisici del personaggio. Se il film non avesse avuto una narrazione eccessivamente cavillosa e fedelmente rigida offrendo più spunti emozionali e viscerali anche attraverso la musica peraltro carente, avrebbe potuto raggiungere quel maggior carisma cinematografico.
Cast semplice ed inespressivo composto da comparse, dove l'unico fiore all'occhiello è Elio Germano che, così come in "Come Dio comanda" e " L'uomo senza gravità" senza citarne altri, riesce con il suo imperialismo artistico a mantenere il giudizio finale di alcuni suoi lavori, come del resto questo, dentro un'abbondante sufficienza. Quindi potremmo anche affermare che il personaggio di Ligabue è Germano e che Germano è il film, e non per nulla premiato al Festival di Berlino con l'Orso d'Argento per il miglior attore.
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sergio dal maso
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giovedì 29 ottobre 2020
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volevo nascondermi
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«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
Un occhio guardingo e spaurito spunta dalla fessura di un mantello calato sulla testa. Con uno sguardo diffidente spia cosa c’è fuori, sembra osservarci.
L’uomo rannicchiato sul pavimento della stanza dell’ospedale psichiatrico è Antonio Ligabue, Toni el mattper i compaesani di Gualtieri, piccolo borgo vicino a Reggio Emilia.
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«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
Un occhio guardingo e spaurito spunta dalla fessura di un mantello calato sulla testa. Con uno sguardo diffidente spia cosa c’è fuori, sembra osservarci.
L’uomo rannicchiato sul pavimento della stanza dell’ospedale psichiatrico è Antonio Ligabue, Toni el mattper i compaesani di Gualtieri, piccolo borgo vicino a Reggio Emilia.
Ha avuto una vita durissima.
Affidato già da neonato a un’anziana e austera coppia svizzero-tedesca, dopo essere stato abbandonato in un orfanatrofio di Zurigo, il piccolo Antonio è cresciuto in un ambiente ostile e difficile per un bambino gracile e con diversi problemi di salute. Deriso dai compagni, umiliato a scuola dai maestri, ha alternato alla vita famigliare periodi in istituti di rieducazione, fino all’espulsione dalla Svizzera dopo l’internamento in manicomio.
La prima parte del film ripercorre, con l’uso dei flashback,le dolorose tappe di un’infanzia disgraziata, il calvario di esclusioni e umiliazioni subite sia da parte degli altri bambini che dei adulti. E’ narrativamente destrutturata perché si cala nei suoi stati d’animo, mettendo al centro la solitudine e la sofferenza che ne hanno accompagnato l’infanzia.
L’arrivo nella provincia emiliana, terra di origine del padre, non è facile. Anche qui è un estraneo, uno straniero, se prima in Svizzera eral’italiano, adesso lo chiamano el tudesc (il tedesco).
Continua la sua vita errabonda, schiva e solitaria, si rifugia in una capanna sulla riva del Po tra fame e freddo. Lavora ogni tanto nella sistemazione degli argini del fiume. La svolta che gli cambia la vita è l’incontro con Marino Mazzacurati. Lo scultore bolognese si prenderà cura di lui e lo ospiterà a casa sua. La madre dell’artista lo tratterà con dolcezza e umanità, con quell’affetto che da bambino non aveva mai ricevuto.
Soprattutto, Mazzacurati lo avvicinerà alla pittura, riconoscendo da subito il talento cristallino e la genialità creativa che lo faranno diventare uno dei più importanti pittori italiani del novecento.
Pian piano, quell’uomo fragile ma irascibile, malato di rachitismo, dall’incedere curvo e scomposto, inizierà ad essere accettato, in particolare dalla comunità contadina e dai bambini, con cui passerà momenti di gioia e serenità. La comunità di Gualtieri imparerà a convivere con le bizzarrie di Toni el matt, come andare in giro col cappotto a luglio o comprarsi tredici delle sue adorate motociclette.
La notorietà seguita al riconoscimento artistico della sua pittura completerà il difficile inserimento sociale, purtroppo sempre precario per l’instabilità psicologica che non lo ha mai abbandonato.
Emotività che Ligabue esprime nei quadri, in cui, ai paesaggi agresti della vita contadina alterna spesso scene popolate da bestie feroci in lotta, come tigri, giaguari e leoni. Prima di dipingerle ne imita i ruggiti con una fisicità animalesca, interiorizza la loro ferocia per esorcizzare la rabbia che ha dentro, il demone interiore con cui convive dopo anni di patimenti e tribolazioni.
Nell’interpretare il pittore emiliano Elio Germano è ai limiti del sovrumano, in assoluto stato di grazia. Non è solo una mimesi totalizzante ma un abbandono incondizionato, quasi mistico, alla sua intimità. L’intensità espressiva degli occhi, la trasformazione del corpo con quella postura sgraziata e quel borbottio aspro e gutturale in un dialetto incomprensibile, ci trascinano nel labirinto insondabile della malattia mentale, della fragilità di un uomo in cui ognuno può, in parte, riconoscersi.
L’attore romano, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino come miglior attore, ha aggiunto con Ligabue un’altra interpretazione che resterà negli annali del cinema italiano.
Ma Volevo nascondermi è un film straordinario sotto molti punti di vista, dalla regia impeccabile alla splendida fotografia di Matteo Cocco, passando per una scenografia curatissima.
Il regista Giorgio Diritti ha ricostruito gli ambienti rurali della metà del novecento con un realismo autentico, senza caricature o luoghi comuni. I personaggi della campagna emiliana sono veri e credibili, ricordano i contadini dei film di Olmi con quelle facce ruvide e sincere di un popolo che non esiste più. Quel mondo antico dove l’inclusione e l’accettazione del “diverso” era ancora possibile.
Anche nelle opere precedenti di Diritti al centro della narrazione c’era il rapporto tra l’estraneo e il resto della comunità, una riflessione sul valore della diversità. Per il cineasta bolognese l’anima dell’uomo viene prima di quella dell’artista, della figura di Ligabue cerca di scandagliarne la fragilità, l’umanità che resiste malgrado tutto, anche nel dolore più estremo.
E commovente è stato Elio Germano nel dedicare l’Orso d’oro “a tutti gli storti, gli sbagliati, gli emarginati, tutti i fuori casta e ad Antonio Ligabue, perché gli artisti, prima di essere riconosciuti, sono tutti così, persone fragili che non nascondono la loro umanità."
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sibilla galiano
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lunedì 12 ottobre 2020
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grande pittore, grande attore, grande regista
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Elio Germano è un attore magico. Riesce a rendere ogni personaggio che interpreta vivo. Ha una bravura che si fa fatica a definire. E’ aiutato da una fisicità non particolarmente bella, che quindi non lo vincola nella scelta dei copioni e gli permette di offrire il suo corpo e la sua faccia a personaggi così intensi come in questo caso. Il film ha tutto di perfetto, la sceneggiatura, la regia, l’interpretazione. E’ un’opera che va vista perché ci racconta di un grande italiano e i nostri grandi personaggi vanno conosciuti, soprattutto se il racconto è così deciso e carico.
Giorgio Diritti è un regista che mi piace sempre.
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Elio Germano è un attore magico. Riesce a rendere ogni personaggio che interpreta vivo. Ha una bravura che si fa fatica a definire. E’ aiutato da una fisicità non particolarmente bella, che quindi non lo vincola nella scelta dei copioni e gli permette di offrire il suo corpo e la sua faccia a personaggi così intensi come in questo caso. Il film ha tutto di perfetto, la sceneggiatura, la regia, l’interpretazione. E’ un’opera che va vista perché ci racconta di un grande italiano e i nostri grandi personaggi vanno conosciuti, soprattutto se il racconto è così deciso e carico.
Giorgio Diritti è un regista che mi piace sempre. Non c’è un suo film che non mi abbia lasciato qualcosa, che non mi abbia fatto pensare che è ha un punto di vista diverso da tanti altri.
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robbiedikappa
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venerdì 2 ottobre 2020
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che noia
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La caratteristica principale dell'ultimo film dell'ottimo Giorgio Diritti è la noia.
Può' un personaggio così particolare come Ligabue non scuoterci, non coinvolgerci? A quanto pare si. Non basta un Germano in forma seppur a volte prevedibile, difetto da dividere col regista. Due su cinque.
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maria f.
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mercoledì 23 settembre 2020
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evviva i buoni flim!
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Quando si sceglie un film, la preferenza è dovuta comunemente alla fiducia che si dà al regista, al protagonista, alla storia, si cerca insomma di ottimizzare quelle due ore che si trascorreranno per assistere a un buon lavoro, e all’ uscita dalla sala potere dire: “Non ho perso tempo, sono soddisfatta!”.
Questa volta sono stata accompagnata più che dentro una storia, nei meandri infiniti della sofferenza di un uomo, fin da bambino incapace di esprimersi e quindi di difendersi, abbandonato ai confini fra Italia e Svizzera perché povero e ritenuto deficiente, consegnato al paese d’origine Gualtieri dove vivrà come senza tetto in una miope Italia fascista.
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Quando si sceglie un film, la preferenza è dovuta comunemente alla fiducia che si dà al regista, al protagonista, alla storia, si cerca insomma di ottimizzare quelle due ore che si trascorreranno per assistere a un buon lavoro, e all’ uscita dalla sala potere dire: “Non ho perso tempo, sono soddisfatta!”.
Questa volta sono stata accompagnata più che dentro una storia, nei meandri infiniti della sofferenza di un uomo, fin da bambino incapace di esprimersi e quindi di difendersi, abbandonato ai confini fra Italia e Svizzera perché povero e ritenuto deficiente, consegnato al paese d’origine Gualtieri dove vivrà come senza tetto in una miope Italia fascista.
Trascorrerà parte della sua vita all’addiaccio, nutrendosi anche di topi e solo dopo l’incontro con lo scultore Mazzacurati la sua vita comincerà ad assumere un aspetto un po’ più umano e lui potrà rendersi conto di avere un valore, quello di essere un artista.
Tony ama gli animali e li fa diventare protagonisti dei suoi quadri, ama i bambini per i quali costruisce statuine, dimostra grande riconoscenza per chi l’ha accolto, è assetato d’amore.
La vita di Antonio Ligabue deve indurre tutti noi, quando incontriamo persone che ci sembrano non particolarmente dotate, secondo il nostro metro di giudizio troppo spesso gretto e arrogante, a fermarci e a dare loro spazio.
Tutti noi custodiamo nella nostra anima un talento che spesso ancora oggi non viene fuori perché le famiglie non sono all’altezza di comprendere e gli insegnanti cui i bambini sono affidati non hanno quella preparazione, quell’attitudine, per indicare e accompagnare i piccoli meno fortunati verso una possibile via di fuga, verso la salvezza e favorirli nello spiccare quel volo e far sì che non desiderino mai più nascondersi.
Tutto di questo film mi ha lasciato un segno profondo come una ferita e permanente come una cicatrice. Ringrazio la regia, Elio Germano e tutti quelli che hanno reso possibile quest’opera.
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alberto marzocchi
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mercoledì 23 settembre 2020
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scontato
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Si può prendere come soggetto per un film un personaggio realmente esistito e fare un gran film, ma in volevo nascondermi non c'è un'idea, uno sguardo, un punto di vista originale.
C'e' solo Ligabue, e il regista la mostra con fare disinteressato come se il suo compito fosse finito subito dopo aver scelto che film fare. La pigrizia è una brutta bestia.
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frankmoovie
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lunedì 7 settembre 2020
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volevo nascondermi: film da ... scoprire.
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Il personaggio di Ligabue, il suo carattere e le sue stranezze, sono abbastanza conosciute anche per uno sceneggiato TV fatto per il grande pubblico e ben interpretato da Flavio Bucci e questo film poteva correre il rischio di ripetere cose già viste, sotto l'influenza del successo di pubblico televisivo. Ma il regista Giorgio Diritti ormai ha esperienza e animo poetico per cui, conoscendo anche le zone in cui visse l'artista e la gente, ci regala un film da non dimenticare, che punta sulla scalata sociale di una persona problematica, mostrando come nella società ognuno può trovare il suo ruolo, e sulla ascesa e decadenza di un'artista spesso preso in giro, poi anche sfruttato.
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Il personaggio di Ligabue, il suo carattere e le sue stranezze, sono abbastanza conosciute anche per uno sceneggiato TV fatto per il grande pubblico e ben interpretato da Flavio Bucci e questo film poteva correre il rischio di ripetere cose già viste, sotto l'influenza del successo di pubblico televisivo. Ma il regista Giorgio Diritti ormai ha esperienza e animo poetico per cui, conoscendo anche le zone in cui visse l'artista e la gente, ci regala un film da non dimenticare, che punta sulla scalata sociale di una persona problematica, mostrando come nella società ognuno può trovare il suo ruolo, e sulla ascesa e decadenza di un'artista spesso preso in giro, poi anche sfruttato. La biografia di un artista molto difficile, cresciuto tra mille problemi e in realtà diverse che lo hanno trascinato da severità inaudite ad affetti spontanei, da durezze atroci e carezze dolcissime è stata rappresentata con maestria cinematografica, con primi piani intensi dei personaggi e fotografie di posti di natura e di borghi, con colonna sonora degnissima e la scelta di attori molto attenta, con un Elio Germano che sale a livelli altissimi di recitazione, con sguardi, gesti, trasparenze emotive e rabbiose o innocenti: non una scoperta, ma più che una conferma dell'impegno che lui mette in ogni personaggio che interpreta e, in questo caso, non solo regge, ma supera il pur grande Flavio Bucci. All'altezza dei ruoli anche gli altri, tra cui Oliver Ewy, Paola Lavini, Leonardo Carrozzo, Orietta Notari .. Un film da non ... nascondere, ma da scoprire perché fa del cinema, un'arte.
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francesca97
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giovedì 3 settembre 2020
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bruttissimo
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Ho provato a vederlo animata dalle migliori intenzioni, ma a parte un inizio promettente il film gravita sui soliti problemi del cinema italiano... Svolte prevedibili e confezionate, neppure Germano si salva in questo tentativo un po’ così di ritrovare e far ritrovare Ligabue al pubblico. Sonoro no
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giorgiapiricci
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giovedì 3 settembre 2020
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noiosissimo
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Equivalente per immagini di una pagina Wikipedia. Germano macchietta. Una fiction sul grande schermo.
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goldy
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mercoledì 2 settembre 2020
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interpretazione eccezionale
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La crudeltà e le sofferenze che la vita ha riservato a Ligabue sono così " vere" tali da frenare qualsiasi velleità stilistica o ricercatezza formle nella narrazione. Coa che il regista fa perfettamente grazie anche alla capacità interpretativa immensa di Elio Germano.
Gli stacchi scenici , il taglio di inutili lungaggini narrative conferiscono alla regia la stessa ruvidezza del personaggio . Una asciuttezza assolutamente apprezzabile e perfettamente in linea con le asperità del personaggio.
Splendida la fotografia del paesaggio lungo il Po. Non altrettanto apprezzabili le scene in dialetto dove recitazione e ambientazzione risentono pesantemente di uno stile recitativo proprio di una filodrammatica di paese.
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La crudeltà e le sofferenze che la vita ha riservato a Ligabue sono così " vere" tali da frenare qualsiasi velleità stilistica o ricercatezza formle nella narrazione. Coa che il regista fa perfettamente grazie anche alla capacità interpretativa immensa di Elio Germano.
Gli stacchi scenici , il taglio di inutili lungaggini narrative conferiscono alla regia la stessa ruvidezza del personaggio . Una asciuttezza assolutamente apprezzabile e perfettamente in linea con le asperità del personaggio.
Splendida la fotografia del paesaggio lungo il Po. Non altrettanto apprezzabili le scene in dialetto dove recitazione e ambientazzione risentono pesantemente di uno stile recitativo proprio di una filodrammatica di paese. Peccato.
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