francesca meneghetti
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martedì 8 settembre 2020
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un film esistenzialista e autobiografico, non un documentario
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“Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, diceva Minosse nel Canto V dell’Inferno. Non inganni lo spettatore la dicitura “film documentario” e la sottolineatura che le riprese sono avvenute durante il lockdown: nessun compiacimento estetico fine a se stesso nelle fotografie di una Venezia solitaria, e nemmeno una cronaca cura. E nemmeno inganni il titolo. Nessun riferimento alle “moeche” (tipici granchiolini in fase di muta: una ghiottoneria della cucina veneziana)! Questo per gli spettatori locali. In realtà siamo di fronte a un film filosofico, meglio ancora esistenzialista, che ha subito però un’evoluzione nella progettazione. Si nota infatti uno strato originario rispondente al progetto di capire questa strana città, che era anche la patria del padre del regista: ecco allora la visita ai pescatori di Vignole, ai cacciatori di vongole nelle barene, le uscite in barca con Elena, figlia di campioni di voga, l’incontro con la coppia che resterebbe in città anche con cinquanta giorni l’anno di acqua alta e con “Caigo” esperto di maree.
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“Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, diceva Minosse nel Canto V dell’Inferno. Non inganni lo spettatore la dicitura “film documentario” e la sottolineatura che le riprese sono avvenute durante il lockdown: nessun compiacimento estetico fine a se stesso nelle fotografie di una Venezia solitaria, e nemmeno una cronaca cura. E nemmeno inganni il titolo. Nessun riferimento alle “moeche” (tipici granchiolini in fase di muta: una ghiottoneria della cucina veneziana)! Questo per gli spettatori locali. In realtà siamo di fronte a un film filosofico, meglio ancora esistenzialista, che ha subito però un’evoluzione nella progettazione. Si nota infatti uno strato originario rispondente al progetto di capire questa strana città, che era anche la patria del padre del regista: ecco allora la visita ai pescatori di Vignole, ai cacciatori di vongole nelle barene, le uscite in barca con Elena, figlia di campioni di voga, l’incontro con la coppia che resterebbe in città anche con cinquanta giorni l’anno di acqua alta e con “Caigo” esperto di maree. E poi le vecchie riprese, sfocate, della città, effettuate dal padre molti anni prima, quando i ragazzini potevano ancora tuffarsi nel Canal Grande dall’imbarcadero di San Tomà. Qui emerge la formazione etnografica di Andrea Segre e una certa intenzione documentaria sul destino di Venezia, legato all’acqua (vita e morte al tempo stesso, o comunque danno). Alla pari del moto turistico… Però questo strato sprofonda (anche se nel montaggio si alterna) a un altro livello più profondo che ruota attorno al tema dell’assenza e della presenza. Il vuoto e il silenzio che regnano a Venezia durante il lockdown sono le stesse che governano la casa di una persona che è morta. Oggetti abbandonati, tanti oggetti (come i cappelli, le borse, i giocattoli delle vetrine inutili). Un’atmosfera crepuscolare (con riferimento alla corrente poetica del primo ‘900). Ombre sfocate, fantasmi, echi, versi di gabbiani e sciabordare delle acque, angeli e suono di campane. Questa dimensione quasi onirica appare una foresta di simboli, ci porta a interrogativi universali (il senso del nostro destino, del nostro nascere e morire, della solitudine che si appiccica a noi di fronte ai casi della vita, del nostro scomparire materico e del riapparire spirituale). Ma in Andrea Segre è qualcosa di molto più intimo: è la rielaborazione del lutto per la morte del padre Ulderico, fisico-chimico, studioso di molecole instabili, i radicali liberi, dotati di elettroni spaiati, alla ricerca di altri fratelli di ventura, morto nel 2008. E’ il frutto di una ricerca sul proprio padre, i suoi studi, le sue foto, i suoi silenzi, nel tentativo di trovare un aggancio spirituale con lui post mortem. Lo prova il fatto di usare la prima persona, la sua voce, di esporsi anche privatamente. Da questo punto di vista il film è toccante e ricco di spunti di riflessione. Resta da valutare se questo strato filosofico si sia amalgamato bene con lo strato documentario. Dal punto di vista dei contenuti forse non perfettamente, forse di più dal punto di vista stilistico. Il film merita di essere visto e discusso. Ci vorrebbero i cineforum di una volta!
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paola di giuseppe
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venerdì 4 settembre 2020
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un atto d’amore per venezia
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Molecole è un atto d’amore per Venezia, una città che non capisci ma che ami lo stesso, dove ti perdi ma alla fine la strada la ritrovi, perché è solo perdendoti che puoi ritrovarti.La musica di Theo Teardo, le lunghe riprese lente, sospese, di una città che il covid ha reso lunare, impossibile immaginarla così in altri tempi, bisognava andarci subito, il giorno dopo la “liberazione”.Ora non è più la stessa cosa, anche se le ferite, sono rimaste, e già erano tante dopo l’acqua alta di pochi mesi prima.
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Molecole è un atto d’amore per Venezia, una città che non capisci ma che ami lo stesso, dove ti perdi ma alla fine la strada la ritrovi, perché è solo perdendoti che puoi ritrovarti.La musica di Theo Teardo, le lunghe riprese lente, sospese, di una città che il covid ha reso lunare, impossibile immaginarla così in altri tempi, bisognava andarci subito, il giorno dopo la “liberazione”.Ora non è più la stessa cosa, anche se le ferite, sono rimaste, e già erano tante dopo l’acqua alta di pochi mesi prima.Venezia è una città malinconica, invecchiata dolcemente, come quelle anziane siorete che si ostinano ad abitarci ancora e trascinano il carrello della spesa sui ponti e lungo le rive. Come quei muretti di mattoni rossicci sbrecciati, come quei pescatori antichi che sanno che saper pescare ti salva la vita.Nel documentario su Marghera, Pianeta in mare, Segre aveva scelto di aprire con una lunga sequenza fatta di una gondola che peregrinava per la laguna e l’accompagnava una delle canzoni veneziane più belle e antiche, Peregrinazioni lagunari.E poi si precipitava nel girone infernale di Marghera.Oggi quel mondo sembra così lontano, improponibile.Molecole, invisibili, ma ci sono, e decidono come sarà la nostra vita.Molecole è un film intimo, memoriale. Una presenza costante è il padre Ulderico, uno scienziato che parlava poco e l’ultimo giorno si alzò e non andò al lavoro.Chiese ad Andrea di restare con lui."Lo sapevi che quello era l’ultimo giorno in cui ti avrei visto?" Non c’è una risposta a certe domande.
Il film era pronto per essere girato il 22 febbraio.Chi avrebbe immaginato quello che sarebbe accaduto? Il vuoto, il silenzio, i morti, Bergamo, Brescia.Puoi mai porti certe domande?
Quella di Andrea è la voce fuori campo, ci porta lungo il canal Grande, all’imbarcadero della Giudecca, nella piccola casa dove è rimasto bloccato anche lui per mesi. Ci fa conoscere i veneziani che vale la pena di conoscere, Elena Almansi, la campionessa di voga che insegna ai turisti a vogare e guarda quel mare d’acqua senza onde, senza grandi navi."Mai vista così, dice, ma che possiamo fare, il turismo ci vuole". Ed è una nota malinconica, la sua. Le panoramiche diurne ci restituiscono una Venezia ad acquerello,il celeste e il bianco dominano, piazza San Marco è il regno dei gabbiani che stridono con un brutto suono gutturale.Di notte il giallo dei fanali, non vedi altro, all’alba la nebbia leggera fra i pontili.I ricordi sono in vecchie foto sgranate, pezzi di una storia famigliare passata anche attraverso la guerra. Segre è un cognome ebraico, e la nonna continuò a temere che potesse accadere ancora qualcosa, negli anni della pace.Andrea non sentiva Venezia come sua, allora, da bambino e da ragazzo.Doveva diventare uomo e conoscerla quando la fragilità di Venezia sembrava chiedere aiuto. Allora bisognava capirla. E lui l’ha fatto.Vedere Molecole è un percorso nel suo animo, ma è anche un cammino di tutti, anche se lontani.
In mezzo alla Basilica di San Marco, nel pavimento, è incastonata una lastra di pietra corrosa e ondulata dai movimenti del mare che c’è sotto.Si chiama “Il mare”. E il mare dà vita e dà morte. C’è un confine tra le cose che non si può spiegare, lo sappiamo e impariamo a conviverci. Come quel giorno di marzo, quando la città si svuotò e l’acqua tornò liscia, i vaporetti si fermarono e le peregrinazioni in laguna le cantarono i vecchi marinai cucendo le reti per i futuri pesci, ora liberi in mare.
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