fabiofeli
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sabato 26 settembre 2020
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la città sospesa sul mare
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Il protagonista-regista, Andrea Segre, racconta con voce fuori campo la Venezia del lockdown e indaga sul padre che viveva lì, Ulderico Segre, fisico studioso dei radicali liberi, molecole reattive con cariche negative. Andrea rovista tra scritti, lettere e filmati amatoriali. Per girare la città cerca una amica gondoliera – professionale ed atletica - per recarsi nei vari quartieri non più collegati da traghetti e parla con l’amico soprannominato Caligo (nebbia, in veneziano), esperto del fenomeno dell’acqua alta. La vista dell’Arsenale vuoto stringe il cuore. Gli ampi spazi davanti a Piazza S. Marco testimoniano il miglioramento della limpidezza dell’acqua e la scomparsa delle onde dei battelli.
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Il protagonista-regista, Andrea Segre, racconta con voce fuori campo la Venezia del lockdown e indaga sul padre che viveva lì, Ulderico Segre, fisico studioso dei radicali liberi, molecole reattive con cariche negative. Andrea rovista tra scritti, lettere e filmati amatoriali. Per girare la città cerca una amica gondoliera – professionale ed atletica - per recarsi nei vari quartieri non più collegati da traghetti e parla con l’amico soprannominato Caligo (nebbia, in veneziano), esperto del fenomeno dell’acqua alta. La vista dell’Arsenale vuoto stringe il cuore. Gli ampi spazi davanti a Piazza S. Marco testimoniano il miglioramento della limpidezza dell’acqua e la scomparsa delle onde dei battelli. Gli uccelli riprendono gli spazi normalmente sottratti da abitanti e turisti; le barene hanno ampliato le zone secche e c’è un solo fenomeno di acqua alta provocato da venti e maree. I pochi veneziani rimasti, non trasmigrati in terraferma, restano in casa nella chiusura per coronavirus; fa impressione vedere campi e campielli, ponti e stretti vicoli senza presenze umane che permettano di misurare gli spazi per confronto. La ricerca dell’umano si sposta e si incentra sull’indagine della vita di Ulderico. I rapporti epistolari e i filmati si alternano a ricordi smozzicati: Andrea non è nato a Venezia, ma a Dolo, ed ha studiato Sociologia, che ora insegna. Nelle telefonate comunicavano poco tra loro e si rimandavano spiegazioni di scelte operate e di pensieri a incontri futuri, che poi si rivelavano avari di tempo: a padre e figlio negli incontri successivi non restava che guardarsi e sorridere …
In questo film Segre, presentato al Festival di Venezia di quest’anno, si sofferma sulla chiave intima per svelare anche se stesso assieme alla figura del padre, mai conosciuto a fondo: forse potremmo dire la stessa cosa tutti noi, se non abbiamo potuto vedere con i nostri occhi il film delle vite dei padri e conserviamo poche immagini o ricordi frammentari. Nei buoni film precedenti del regista-sociologo (Io sono Li del 2011, La prima neve del 2013 e L’ordine delle cose del 2017) erano in primo piano le questioni ed i problemi dell’immigrazione e del razzismo. Anche in questo film è scorrevole la sceneggiatura ed è buono il montaggio. A Venezia il mare insidia una intera città ed anche le relazioni interpersonali, quasi fossero anche esse ostacolate da canali e vie di acqua che rendono le case come isole, sono complicate e difficili come viene raccontato nella pellicola. La fotografia della città unica al mondo è bella e struggente, netta e nitida in contrapposizione alle immagini indecifrabili dei filmati inseriti. E la città diventa protagonista. Un film da vedere.
Valutazione *** e 1/2
FabioFeli
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francesca meneghetti
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martedì 8 settembre 2020
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un film esistenzialista e autobiografico, non un documentario
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“Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, diceva Minosse nel Canto V dell’Inferno. Non inganni lo spettatore la dicitura “film documentario” e la sottolineatura che le riprese sono avvenute durante il lockdown: nessun compiacimento estetico fine a se stesso nelle fotografie di una Venezia solitaria, e nemmeno una cronaca cura. E nemmeno inganni il titolo. Nessun riferimento alle “moeche” (tipici granchiolini in fase di muta: una ghiottoneria della cucina veneziana)! Questo per gli spettatori locali. In realtà siamo di fronte a un film filosofico, meglio ancora esistenzialista, che ha subito però un’evoluzione nella progettazione. Si nota infatti uno strato originario rispondente al progetto di capire questa strana città, che era anche la patria del padre del regista: ecco allora la visita ai pescatori di Vignole, ai cacciatori di vongole nelle barene, le uscite in barca con Elena, figlia di campioni di voga, l’incontro con la coppia che resterebbe in città anche con cinquanta giorni l’anno di acqua alta e con “Caigo” esperto di maree.
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“Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, diceva Minosse nel Canto V dell’Inferno. Non inganni lo spettatore la dicitura “film documentario” e la sottolineatura che le riprese sono avvenute durante il lockdown: nessun compiacimento estetico fine a se stesso nelle fotografie di una Venezia solitaria, e nemmeno una cronaca cura. E nemmeno inganni il titolo. Nessun riferimento alle “moeche” (tipici granchiolini in fase di muta: una ghiottoneria della cucina veneziana)! Questo per gli spettatori locali. In realtà siamo di fronte a un film filosofico, meglio ancora esistenzialista, che ha subito però un’evoluzione nella progettazione. Si nota infatti uno strato originario rispondente al progetto di capire questa strana città, che era anche la patria del padre del regista: ecco allora la visita ai pescatori di Vignole, ai cacciatori di vongole nelle barene, le uscite in barca con Elena, figlia di campioni di voga, l’incontro con la coppia che resterebbe in città anche con cinquanta giorni l’anno di acqua alta e con “Caigo” esperto di maree. E poi le vecchie riprese, sfocate, della città, effettuate dal padre molti anni prima, quando i ragazzini potevano ancora tuffarsi nel Canal Grande dall’imbarcadero di San Tomà. Qui emerge la formazione etnografica di Andrea Segre e una certa intenzione documentaria sul destino di Venezia, legato all’acqua (vita e morte al tempo stesso, o comunque danno). Alla pari del moto turistico… Però questo strato sprofonda (anche se nel montaggio si alterna) a un altro livello più profondo che ruota attorno al tema dell’assenza e della presenza. Il vuoto e il silenzio che regnano a Venezia durante il lockdown sono le stesse che governano la casa di una persona che è morta. Oggetti abbandonati, tanti oggetti (come i cappelli, le borse, i giocattoli delle vetrine inutili). Un’atmosfera crepuscolare (con riferimento alla corrente poetica del primo ‘900). Ombre sfocate, fantasmi, echi, versi di gabbiani e sciabordare delle acque, angeli e suono di campane. Questa dimensione quasi onirica appare una foresta di simboli, ci porta a interrogativi universali (il senso del nostro destino, del nostro nascere e morire, della solitudine che si appiccica a noi di fronte ai casi della vita, del nostro scomparire materico e del riapparire spirituale). Ma in Andrea Segre è qualcosa di molto più intimo: è la rielaborazione del lutto per la morte del padre Ulderico, fisico-chimico, studioso di molecole instabili, i radicali liberi, dotati di elettroni spaiati, alla ricerca di altri fratelli di ventura, morto nel 2008. E’ il frutto di una ricerca sul proprio padre, i suoi studi, le sue foto, i suoi silenzi, nel tentativo di trovare un aggancio spirituale con lui post mortem. Lo prova il fatto di usare la prima persona, la sua voce, di esporsi anche privatamente. Da questo punto di vista il film è toccante e ricco di spunti di riflessione. Resta da valutare se questo strato filosofico si sia amalgamato bene con lo strato documentario. Dal punto di vista dei contenuti forse non perfettamente, forse di più dal punto di vista stilistico. Il film merita di essere visto e discusso. Ci vorrebbero i cineforum di una volta!
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daniela montanari
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venerdì 4 settembre 2020
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siamo tutti "caìgo", siamo tutti nebbia
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Una lunga lettera che suo padre non potrà leggere, quella di Segre in "Molecole".
Molte immagini nostalgiche, del Canal Grande vuoto e immerso nella nebbia, le avevamo viste anche nel suo lungometraggio "Io sono Li", ma questa volta non sentiamo parlare di immigrati, ma di nebbia.
Molecole di nebbia. Molecole di Caìgo. Molecole di Venezia. Molecole di nostalgia. Per le parole non dette ai nostri padri, per il poco tempo che abbiamo dedicato loro, per le infanzia lontane nel tempo, per la ricerca di solitudine che tuttora affonda nella bassa marea.
E quello che sembra un documentario dedicato al padre, a Venezia e al temuto lockdowun, così imminente, si percepisce sin da subito che invece è dedicato alla parte orfana di ognuno di noi, alle nostre Venezie (bellezze) nascoste, all'isolamento nel quale ci costringiamo a vivere per non essere contaminati dall'altro, dal diverso, da chi prima di noi ha conosciuto malattia e isolamento.
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Una lunga lettera che suo padre non potrà leggere, quella di Segre in "Molecole".
Molte immagini nostalgiche, del Canal Grande vuoto e immerso nella nebbia, le avevamo viste anche nel suo lungometraggio "Io sono Li", ma questa volta non sentiamo parlare di immigrati, ma di nebbia.
Molecole di nebbia. Molecole di Caìgo. Molecole di Venezia. Molecole di nostalgia. Per le parole non dette ai nostri padri, per il poco tempo che abbiamo dedicato loro, per le infanzia lontane nel tempo, per la ricerca di solitudine che tuttora affonda nella bassa marea.
E quello che sembra un documentario dedicato al padre, a Venezia e al temuto lockdowun, così imminente, si percepisce sin da subito che invece è dedicato alla parte orfana di ognuno di noi, alle nostre Venezie (bellezze) nascoste, all'isolamento nel quale ci costringiamo a vivere per non essere contaminati dall'altro, dal diverso, da chi prima di noi ha conosciuto malattia e isolamento.
Nel desiderio di raccontare, Segre ci presenta anche Caìgo, poi non ce lo restituisce più, perchè succede qualcosa. E allora in "Molecole", anche le barene occupano uno spazio loro, disperse e forti nella laguna di fine inverno, mentre il vento le spettina e noi restiamo lì, con quella fotografica fatta allo specchio, ma del cui specchio non ci sono nè i contorni, nè l'ombra.
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paola di giuseppe
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venerdì 4 settembre 2020
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un atto d’amore per venezia
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Molecole è un atto d’amore per Venezia, una città che non capisci ma che ami lo stesso, dove ti perdi ma alla fine la strada la ritrovi, perché è solo perdendoti che puoi ritrovarti.La musica di Theo Teardo, le lunghe riprese lente, sospese, di una città che il covid ha reso lunare, impossibile immaginarla così in altri tempi, bisognava andarci subito, il giorno dopo la “liberazione”.Ora non è più la stessa cosa, anche se le ferite, sono rimaste, e già erano tante dopo l’acqua alta di pochi mesi prima.
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Molecole è un atto d’amore per Venezia, una città che non capisci ma che ami lo stesso, dove ti perdi ma alla fine la strada la ritrovi, perché è solo perdendoti che puoi ritrovarti.La musica di Theo Teardo, le lunghe riprese lente, sospese, di una città che il covid ha reso lunare, impossibile immaginarla così in altri tempi, bisognava andarci subito, il giorno dopo la “liberazione”.Ora non è più la stessa cosa, anche se le ferite, sono rimaste, e già erano tante dopo l’acqua alta di pochi mesi prima.Venezia è una città malinconica, invecchiata dolcemente, come quelle anziane siorete che si ostinano ad abitarci ancora e trascinano il carrello della spesa sui ponti e lungo le rive. Come quei muretti di mattoni rossicci sbrecciati, come quei pescatori antichi che sanno che saper pescare ti salva la vita.Nel documentario su Marghera, Pianeta in mare, Segre aveva scelto di aprire con una lunga sequenza fatta di una gondola che peregrinava per la laguna e l’accompagnava una delle canzoni veneziane più belle e antiche, Peregrinazioni lagunari.E poi si precipitava nel girone infernale di Marghera.Oggi quel mondo sembra così lontano, improponibile.Molecole, invisibili, ma ci sono, e decidono come sarà la nostra vita.Molecole è un film intimo, memoriale. Una presenza costante è il padre Ulderico, uno scienziato che parlava poco e l’ultimo giorno si alzò e non andò al lavoro.Chiese ad Andrea di restare con lui."Lo sapevi che quello era l’ultimo giorno in cui ti avrei visto?" Non c’è una risposta a certe domande.
Il film era pronto per essere girato il 22 febbraio.Chi avrebbe immaginato quello che sarebbe accaduto? Il vuoto, il silenzio, i morti, Bergamo, Brescia.Puoi mai porti certe domande?
Quella di Andrea è la voce fuori campo, ci porta lungo il canal Grande, all’imbarcadero della Giudecca, nella piccola casa dove è rimasto bloccato anche lui per mesi. Ci fa conoscere i veneziani che vale la pena di conoscere, Elena Almansi, la campionessa di voga che insegna ai turisti a vogare e guarda quel mare d’acqua senza onde, senza grandi navi."Mai vista così, dice, ma che possiamo fare, il turismo ci vuole". Ed è una nota malinconica, la sua. Le panoramiche diurne ci restituiscono una Venezia ad acquerello,il celeste e il bianco dominano, piazza San Marco è il regno dei gabbiani che stridono con un brutto suono gutturale.Di notte il giallo dei fanali, non vedi altro, all’alba la nebbia leggera fra i pontili.I ricordi sono in vecchie foto sgranate, pezzi di una storia famigliare passata anche attraverso la guerra. Segre è un cognome ebraico, e la nonna continuò a temere che potesse accadere ancora qualcosa, negli anni della pace.Andrea non sentiva Venezia come sua, allora, da bambino e da ragazzo.Doveva diventare uomo e conoscerla quando la fragilità di Venezia sembrava chiedere aiuto. Allora bisognava capirla. E lui l’ha fatto.Vedere Molecole è un percorso nel suo animo, ma è anche un cammino di tutti, anche se lontani.
In mezzo alla Basilica di San Marco, nel pavimento, è incastonata una lastra di pietra corrosa e ondulata dai movimenti del mare che c’è sotto.Si chiama “Il mare”. E il mare dà vita e dà morte. C’è un confine tra le cose che non si può spiegare, lo sappiamo e impariamo a conviverci. Come quel giorno di marzo, quando la città si svuotò e l’acqua tornò liscia, i vaporetti si fermarono e le peregrinazioni in laguna le cantarono i vecchi marinai cucendo le reti per i futuri pesci, ora liberi in mare.
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carla francesca catanese
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mercoledì 2 settembre 2020
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da caigo a kigo, la stagione interiore in molecole di andrea segre
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Se fosse un haiku, componimento poetico giapponese, Molecole di Andrea Segre avrebbe come Kigo - il riferimento ad una determinata stagione, sempre presente negli Haiku - la nebbia, che in veneziano viene chiamata Caigo. Assonanze, dissonanze, trame . “Preciso, geometrico, delicato, quasi doloroso”, in una parola poetico. Ecco cos’è il fitto intreccio di molecole che è nebbia sentimentale di legami tra un padre che è ma non c’è più, il proprio figlio, e la sua città, Venezia. La città del fisico Ulderico Segre, eppure da sempre inafferrabile per il figlio Andrea, quasi estranea; divenuta d’un tratto, in febbraio, straniera ad essa stessa. Venezia sottratta e congelata agli sguardi durante la quarantena, restituita alla Natura per uno sgarro di natura.
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Se fosse un haiku, componimento poetico giapponese, Molecole di Andrea Segre avrebbe come Kigo - il riferimento ad una determinata stagione, sempre presente negli Haiku - la nebbia, che in veneziano viene chiamata Caigo. Assonanze, dissonanze, trame . “Preciso, geometrico, delicato, quasi doloroso”, in una parola poetico. Ecco cos’è il fitto intreccio di molecole che è nebbia sentimentale di legami tra un padre che è ma non c’è più, il proprio figlio, e la sua città, Venezia. La città del fisico Ulderico Segre, eppure da sempre inafferrabile per il figlio Andrea, quasi estranea; divenuta d’un tratto, in febbraio, straniera ad essa stessa. Venezia sottratta e congelata agli sguardi durante la quarantena, restituita alla Natura per uno sgarro di natura. Venezia maestosa e immobile. Venezia muta. Taciturna come Ulderico con Andrea, che voga tra memorie personalissime - immagini di repertorio, frammenti di pellicole in super8, stralci di una lettera lontana - e acque cristalline, ad inseguire interrogativi insoluti, che trovano nell’apparente rarefazione del tempo, lo spazio della consapevolezza e dello sguardo, oltre il destino. Si è aperta così la 77 Mostra del Cinema di Venezia, con un tributo alla Laguna, che è allo stesso tempo elegia: il caigo intimista in cui Andrea Segre porta gli spettatori di questa straordinaria edizione del Festival. Sì perché siamo una miriade di passi fuori dall’ordinario. Si perché Tutto è cambiato. Come cambiano i movimenti delle molecole di cui è fatta la materia, in costante propulsione, azione, evoluzione. Molecole che, in questo doppio, triplo, quadruplo registro narrativo, tessono trame emerse e sottese. Papà e Venezia dialogano con l’assurdo. Lo hanno fatto in passato, Ulderico come scienziato, Ulderico Segre come ebreo. L’Umanità intera ha dialogato con l’assurdo. E in questo tratto di secolo forse bisognerebbe imparare a pescare, lo dicono i cinesi. Saremo felici per un anno. Ma dovremo imparare a pescare da soli, ad affrontare ancestrali paure, perché la nostra materia è infinitamente fragile. Perché siamo in balia dell’inconiscibile e la solitudine è una città espugnata “da un soffio oscuro”, come scrive Camus. Abbiamo incontrato tutti lo Straniero dal fondo del nostro avvenire...”attraverso annate che non erano ancora avvenute”. Dicevamo “preciso, geometrico, delicato, quasi doloroso”. Non solo le inquadrature di Ulderico, ma anche il lento vogare - affidato alle mani esperte della Campionessa Elisa Almansi - in una Laguna congelata dal lockdown, dove il Carnevale ha sigillato le proprie maschere e la grande bellezza ha custodito un palcoscenico senza occhi voraci. In una parola poetico , questo è Molecole. Opera che oscilla tra le ragioni del documentario e il film di una vita. Dove c’è papà che ci guarda e domani dobbiamo imparare a pescare.
Prodotto da Zalab e Vulcano in collaborazione con RaiCinema e Istituto Luce Cinecittà sarà nelle sale dal 3 settembre.
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