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Brit-comedy intrisa di nostalgia vintage Valutazione 3 stelle su cinque

di Felicity


Feedback: 70827 | altri commenti e recensioni di Felicity
martedì 17 agosto 2021

Il Concorso racconta con nostalgia vintage una storia vera.
La sera del 20 novembre del 1970, nella Royal Albert Hall di Londra, accadde qualcosa di molto importante e insieme molto buffo. Come in un film muto con Charlie Chaplin o Mack Sennet, volarono sacchi farina fra signore imbellettate e tromboni da palcoscenico. Nello stesso tempo però, come in altri momenti fondamentali della storia dell'emancipazione femminile, le donne vinsero una piccola battaglia, una di quelle che, anni dopo, hanno portato alla nascita del #MeToo. Intendiamoci, Il Concorso non è un film sul #MeToo, non è una condanna della violenza sulle donne e nemmeno pretende di diventarlo. E’ femminista quanto può esserlo un feel-good movie che si rivolge alle bambine come alle ragazze nonché alle donne giovani e meno giovani (e perfino a quelle che sono salite sulle barricate 50 anni fa) e, più che di abuso sessuale, parla di mercificazione del corpo femminile, anzi di tendenza a considerare il corpo femminile come unico metro di giudizio, in uno spettacolo che somiglia a una fiera del bestiame ma non solo.
C’è una scena in cui il concetto è molto chiaro, ed è il momento in cui, nel bel mezzo della serata dedicata all'elezione di Miss Mondo, le concorrenti si voltano per far ammirare i loro fondoschiena alla giuria e Philippa Lowthorpe lascia che la sua macchina da presa si fermi un po’ più del dovuto, a sottolineare il disappunto di fronte a un simile rituale. Ma in gioco c’è anche tanto altro nel film, o meglio diverse sono le storie da raccontare e diversi i punti di vista da sostenere. Non ci sono soltanto le sostenitrici più radicali del Movimento per la Liberazione delle Donne ne Il Concorso, e quindi le ragazze più giovani e sboccate che nei luoghi del sapere mettono le bucce di banana in testa ai busti maschili in pietra. C’è anche la colta e non così povera studentessa universitaria e madre di famiglia Sally Alexander (Keira Knightley), che sventola la bandiera dell'anti-sessismo in maniera più cauta.
Poi ci sono due reginette di bellezza con la pelle nera: Miss Grenada, che conquistò il titolo di Miss Mondo diventando la prima donna di colore a vincere la competizione, e Miss Africa South (da non confondere con Miss South Africa, bianca come il latte), che arrivò seconda. Al di là dell’importanza delle loro vittorie, la ragione sta anche dalla loro parte, perché senza la gara di beltade nessuna delle due avrebbe potuto lasciare il segno e sarebbe rimasta invisibile agli occhi del creato, e per questo i due personaggi appaiono alla fine più di rottura delle ragazzacce che dalla platea si precipitarono sul palco impugnando pistole ad acqua. Infine non bisogna dimenticare Eric e JuliaMorley, gli organizzatori del concorso, che non hanno assolutamente l'aria né i modi da villain, ma che sono inconsapevolmente un prodotto del vecchio che non aveva ancora lasciato spazio al nuovo. In effetti Rhys Ifans è un po’ troppo autocompiaciuto nell'interpretazione del primo, e ciò rende il personaggio stranamente simpatico. Più sgradevole, allora, è il Bob Hope di Greg Kinnear, incarnazione del seduttore hollywoodiano che proprio non ce la fa a non guardare con occhio bramoso le ragazze in costume. Forse è lui l'antesignano di Weinstein & Co., ma non ce ne importa più di tanto.
In ogni modo, tutte queste storie, o meglio questi piccoli gruppi, danno al film una giusta effervescenza, sebbene nella parte iniziale rendano il racconto un po' sfuggente e spezzettato. Ma poi, arrivata la sera della gara, tutto torna a posto e si crea la giusta tensione, una tensione da brit-comedy intrisa di nostalgia vintage, ovviamente, ma che farà comunque infervorare il pubblico femminile, pronto a identificarsi con le varie eroine.
Non è né Pride e né Suffragette Il Concorso, nonostante il produttore esecutivo in comune, ma è una testimonianza storica comunque importante che tuttavia si affida troppo al sicuro talento degli attori e a una confezione impeccabile, a cominciare dai costumi di Charlotte Walter. Eppure qualcosa sfugge al controllo della regista: l'espressione smarrita della splendida e brava Gugu Mbatha-Raw. La sua Miss Grenada dal viso di bambola e le lunghe gambe altro non è se non l’espressione di quel turbamento, o sgomento, che nasce dalla consapevolezza che tante società patriarcali sono ancora dure a morire, e che il cammino per l'uguaglianza è tutt'ora lastricato di insidie, che si parli di genere, classe o razza.

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