ettavi
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sabato 14 dicembre 2019
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3 ore di noia
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Conclusione: dove c'è Al Pacino e De Niro insieme è un film da escludere. Loro epoca è finita. Non è la prima volta che vedo questo duo e sono delusa. Avevo letto alcuni recensioni negative è già avevo aspettativa bassa... un film sciappo , con i dialoghi banalissimi dei protagonisti criminali e senza alcun coinvolgimento .
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riviera
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venerdì 13 dicembre 2019
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da vedere è l'arte di recitare
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È sempre un piacere vedere un film di Scorsese con dei maestri della recitazione come De Niro e Al Pacino.Miracolo per i ringiovanimenti dei protagonisti.Resta comunque un tema già visto (Quei Bravi Ragazzi) che fotografa il declino morale della mafia americana degli anni 80.Da vedere in ogni caso
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giorgio postiglione giorpost
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mercoledì 11 dicembre 2019
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scorsese torna a fare cinema (con la c maiuscola)
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Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale che lavora come camionista per una compagnia della Pennsylvania. Il suo è un lavoro duro che inizialmente gli permette di sostenere in maniera onesta la sua famiglia; tuttavia, dopo l'arrivo della secondogenita, il semplice trasporto di quarti di bue freschi sembra non bastargli più. Si offre così ad un mafioso locale per ad arrotondare lo stipendio procurando al gangster ed i suoi sodali carne fresca rubata dal suo stesso camion.
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Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale che lavora come camionista per una compagnia della Pennsylvania. Il suo è un lavoro duro che inizialmente gli permette di sostenere in maniera onesta la sua famiglia; tuttavia, dopo l'arrivo della secondogenita, il semplice trasporto di quarti di bue freschi sembra non bastargli più. Si offre così ad un mafioso locale per ad arrotondare lo stipendio procurando al gangster ed i suoi sodali carne fresca rubata dal suo stesso camion.
Ben presto viene -prevedibilmente- beccato, rischiando un rapido licenziamento: a difenderlo sarà Bill Bufalino, avvocato di una famiglia criminale di Filadelfia che riuscirà nell'impossibile compito di far assolvere l'operaio, una conclusione facilitata anche dal forte sindacato dei "truckers" americani, guidato dal famigerato Jimmy Hoffa.
Da questo punto in poi Frank entra nelle grazie di Russel Bufalino, cugino di Bill e boss della succitata famiglia, divenendone immediatamente "l'imbianchino" di fiducia, ossia il sicario. L'ascesa è veloce, tanto che dopo pochi mesi Russel lo presenta proprio a Hoffa (in affari finanziari coi Bufalino), bisognoso di una guardia del corpo a causa dei suoi cattivi rapporti con altre famiglie mafiose d' America. Hoffa e Sheeran diverranno presto amici intimi, al punto che il sindacalista arriverà a considerare Peggy Sheeran alla stregua di una figlia.
Passano gli anni e, un'esecuzione dopo l'altra, Frank è ormai un mafioso a tutti gli effetti, ricoprendo anche il ruolo (offertogli da Jimmy) di capo di una importante sezione sindacale; dal canto suo Jimmy Hoffa viene prima arrestato per corruzione, per poi subire una condanna a morte proprio da quella mafia che continua ad osteggiare, pur essendone stato connivente per anni: i boss del nord della Pennsylvania, con Tony Provenzano e Tony Giacalone su tutti, decreteranno la sua esecuzione proprio per mano di Frank, il quale dovrà decidere se assolvere al suo compito o mettere l'amicizia davanti a tutto...
24 anni dopo Casinò, Martin Scorsese e Robert De Niro tornano a lavorare insieme in un lungometraggio, facendolo in una produzione targata Netflix e con altri due mostri della recitazione: Al Pacino e Joe Pesci. Attraverso il perfetto connubio di cineasti italoamericani nasce The Irishman, un film epico sulla malavita organizzata americana che narra vicende e personaggi reali in un arco temporale di quasi sessant'anni di storia.
Diciamo subito, senza troppi giri di parole, che la pellicola di Scorsese è di altissimo livello qualitativo, un lavoro enorme che ci riconsegna un regista nuovamente al top della cinematografia e un'opera (finalmente) altra rispetto alle cascate di comic-movies piovuti sulle nostre teste negli ultimi 15 anni. Per chi ama la Settima Arte si torna finalmente a respirare aria di vero Cinema, grande recitazione, grandi costumi e grandi scenografie. Insomma, The Irishman stupisce e ci fa rivivere, con le dovute differenze, l'epopea dei grandi classici del passato come C'era una volta in America, Il Padrino, Quei bravi ragazzi e così via.
Non credevo fosse possibile, ma evidentemente mi sbagliavo: che la "vecchiaia" fosse sinonimo di saggezza era cosa nota, ma che si potesse addirittura migliorare col passare del tempo, lo si pensava solo del vino... Almeno fino a quando il buon Martin si è messo in testa di affrontare quella che, spero di sbagliarmi ancora, sarà la sua ultima grande performance, il suo lascito: The Irishman è un film totale, un capolavoro, con l'unico difetto di durare 3 ore e mezza. Ma questo non vi ricorda niente? I tre film citati pocanzi, ma anche altri appartenenti ad altri filoni come Apocalypse Now o Il Cacciatore, hanno in comune proprio l'estrema durata. E' chiaro che quando un cineasta ha tra le mani del materiale del genere gli diventa difficile tagliare qua e la, ed ancor più improbo sottostare ai dictat del Weinstein di turno; in questo bisogna dare merito alla Netflix per aver creduto nel progetto e dato mano libera e "pieni poteri" (inopportuna locuzione di questi tempi) alla creatività del regista newyorkese che, peraltro, ha potuto contare su un sontuoso budget.
La pellicola narra vicende note nel panorama investigativo americano, con alcuni personaggi famosi anche dalle nostre parti; ognuno di questi, nell'opera, viene magistralmente interpretato da attori che, per l'intera durata del film, risultano tutti costantemente al top: Al Pacino, tanto per cominciare, torna ai suoi livelli con una prova maestosa in un ruolo dal carattere complicato, irascibile e molto permaloso; Joe Pesci, che per sua scelta è rimasto fuori dal giro da (troppo) tempo, è semplicemente straordinario, quasi delicato, pur interpretando un boss senza scrupoli; Harvey Keitel, con un ridotto minutaggio a causa della marginalità del suo personaggio, è strepitoso e paurosamente convincente. E poi, poi c'è lui, mister Robert De Niro, Bobby Milk, il più grande attore vivente autore di una prova superlativa, da Oscar assicurato, senza se e senza ma. Bob ricalca alla perfezione il profilo di un personaggio chiave di Cosa Nostra del periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e settanta del Novecento, un timido camionista irlandese, padre di famiglia, trasformatosi senza troppe remore in spietatissimo killer al soldo di criminali italoamericani, il tutto, come dicevamo, in un arco temporale lunghissimo lungo il quale De Niro ritrova quel trasformismo che l'ha reso celebre e immortale.
Fantastiche alcune sequenze nelle quali riusciamo a intravedere prima l'esitazione, poi la determinazione in quegli occhi chiari dovuti ad efficaci lenti colorate; un ruolo, questo, perfettamente eseguito secondo la dettagliata descrizione dello scrittore Charles Brandt, autore del romanzo da cui il film è tratto. Sheeran è laconico, cinico, impenetrabile e Robert De Niro ci porta direttamente nella mente di quel sicario che racconta in prima persona gli eventi, ormai ultraottantenne, da una casa di riposo vicino Filadelfia.
Scorsese, stavolta, aggiunge anche due non trascurabili novità: la presenza di una certa dose d'ironia, con almeno tre scene esilaranti, e la scelta di non forzare troppo la mano sulla fotografia, come fatto in passato per il cult-movie Taxi Driver o per altri film già citati.
Tardivo ma necessario, l'aspetto che più colpisce del film è il lato umano. Sembrerà assurdo ma è forse quello più tagliente dell'intero lavoro, più degli stessi omicidi, delle pistole buttate nel fiume, degli amici traditi, delle targhe commemorative, delle scazzottate, dei luoghi comuni ("ma tutti Tony si chiamano gli italiani?"), più degli sguardi tra De Niro e Pesci, delle parole non dette, delle pause sigaretta delle mogli dei due protagonisti in viaggio verso Detroit, più dei dettagli, delle Cadillac o delle pistolettate dietro la nuca. In The Irishman, la vera protagonista è donna e si chiama solitudine.
Sono aperte le scommesse sulla prossima cerimonia degli Oscar, allorquando (a mio modesto avviso) almeno tre statuette verranno assegnate a The Irishman: a Scorsese per la regia, a De Niro per il migliore attore protagonista e ad uno tra Joe Pesci ed Al Pacino per il non protagonista, ma potrebbe esserci anche un ex-aequo...
Voto all'opera: 10
Voto al cast: 110 e lode
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cinephilo
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martedì 10 dicembre 2019
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nessuna novità
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Avete presente quando l'anziano di turno al bar decide di attaccare la cialda e inizia a chiacchierare di vita morte e miracoli della sua esistenza e più parla e più non vedete l'ora di pagare il vostro caffè e andare via? Ecco questo è quello che mi ha suscitato The Irishman per tutte le interminabili 3 ore e mezzo. Lento, spento come i suoi anziani protagonisti, scontato come la smorfia facciale di De niro trita e ritrita. Non vedo redenzione qui, non vedo personaggi femminili ben delineati, non vedo niente di diverso da una partita a carte tra pensionati alla riscossa. Dopo 5 minuti dal suo inizio non vedevo l'ora finisse. La domanda è : dovremmo davvero provare una qualche empatia per degli assassini dal sangue freddo che arrivati al
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Avete presente quando l'anziano di turno al bar decide di attaccare la cialda e inizia a chiacchierare di vita morte e miracoli della sua esistenza e più parla e più non vedete l'ora di pagare il vostro caffè e andare via? Ecco questo è quello che mi ha suscitato The Irishman per tutte le interminabili 3 ore e mezzo. Lento, spento come i suoi anziani protagonisti, scontato come la smorfia facciale di De niro trita e ritrita. Non vedo redenzione qui, non vedo personaggi femminili ben delineati, non vedo niente di diverso da una partita a carte tra pensionati alla riscossa. Dopo 5 minuti dal suo inizio non vedevo l'ora finisse. La domanda è : dovremmo davvero provare una qualche empatia per degli assassini dal sangue freddo che arrivati alla soglia dei 90 anni non concepiscono minimamente un vago senso di vergogna per gli atti compiuti?
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jonnylogan
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lunedì 9 dicembre 2019
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quei bravi ragazzi di philadelphia
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Tra le mani di Marin Scorsese l’esistenza di un anziano malavitoso ridotto su una sedia a rotelle a trascorrere i suoi ultimi anni in una casa di cura, diventa storia di una generazione cresciuta tra i sibili dei proiettili della seconda guerra mondiale ma anche pronta a rimboccarsi le maniche a conflitto ultimato. Frank Sheeran, guardaspalle di Jimmy Hoffa, Líder Máximo del sindacato autotrasportatori e suo amico fraterno, diviene fonte d’ispirazione per narrare l’ennesima storia di un’Altra America, una nazione piena di contraddizioni e di slanci di apparente generosità come quella che contraddistingue Russ Bufalino, boss mafioso amico dello stesso Frank, originario della provincia di Catania e assurto a protettore di coloro che a lui si rivolgevano sapendo di trovare quelle risposte che la giustizia non gli poteva fornire.
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Tra le mani di Marin Scorsese l’esistenza di un anziano malavitoso ridotto su una sedia a rotelle a trascorrere i suoi ultimi anni in una casa di cura, diventa storia di una generazione cresciuta tra i sibili dei proiettili della seconda guerra mondiale ma anche pronta a rimboccarsi le maniche a conflitto ultimato. Frank Sheeran, guardaspalle di Jimmy Hoffa, Líder Máximo del sindacato autotrasportatori e suo amico fraterno, diviene fonte d’ispirazione per narrare l’ennesima storia di un’Altra America, una nazione piena di contraddizioni e di slanci di apparente generosità come quella che contraddistingue Russ Bufalino, boss mafioso amico dello stesso Frank, originario della provincia di Catania e assurto a protettore di coloro che a lui si rivolgevano sapendo di trovare quelle risposte che la giustizia non gli poteva fornire. Un acceleratore burocratico da pagare a caro prezzo, un uomo dal quale prendere le distanze e al tempo stesso da cercare di farsi amico. La vita e le parole dell’Irlandese del titolo, soprannome dello stesso Sheeran, sono usate in soggettiva esattamente come quelle che a suo tempo impiegò Ray Liotta per descrivere cosa significasse essere un ‘bravo ragazzo’ nella metà dei ‘50 e di lì a seguire. La pellicola di Scorsese aggiunge la solita costruzione di ambiente e di dialoghi ai limiti della perfezione. De Niro e Pacino, coadiuvati da Joe Pesci, riesumato per l’occasione, e nei rispettivi ruoli di Sheeran, Hoffa e Bufalino sciorinano le solite prove che non aggiungono però nulla a quanto di eccezionale avevano già in passato saputo mostrarci. Altrettanto preziosa e rara la colonna sonora composta da molte hit e pezzi minori provenienti dagli ultimi 50 anni di musica d’oltreoceano. Scorsese dirige con la solita maestria affondando le mani in una sostanza che ben conosce ma senza i medesimi lampi di genio che in passato lo avevano portato a creare indimenticati capolavori all’ombra del crimine.
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etabeta
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sabato 7 dicembre 2019
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brutta copia di goodfellas
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Purtroppo è la brutta copia di Goodfellas. I tre mostri sacri del cinema USA (tutti e tre italo-americani) sono invecchiati purtroppo, e non solo digitalmente.
L'unico che si salva in parte è Al Pacino, ma sembra quasi che Scorsese abbia risentito anche lui della brutta performance dei tre. I tempi sono molto lenti, ma non studiati sembrano quasi invece il frutto appassito di quel che rimane di un grande regista.
Peccato
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lucio di loreto
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martedì 3 dicembre 2019
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il canto del cigno dei bravi ragazzi
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Martin Scorsese riesce in qualcosa di non preventivabile: chiudere il cerchio della propria e magnifica filmografia gangster, incentrata su storie mafiose, criminali e italo americane, iniziata nei sobborghi di Mean Streets e praticata da giovani e sbandati malviventi, chi in giacca e cravatta e chi maldestro senza arte né parte, divenuta feroce, spietata e organizzata in Quei Bravi Ragazzi, fino ad assumere sembianze raffinate e da alto borgo in Casinò! Lo fa nel modo più sopraffino che possa esserci, raccontando in più di tre ore la nascita, l’evoluzione ma soprattutto la caduta di un classico “soldato” a libro paga, evitando stavolta di far trasparire violenza, sangue ed efferatezza ma facendo emergere per la prima volta in carriera il profondo dell’animo di ogni soggetto implicato, che sia il boss decisionale, un misurato Joe Pesci al rientro dopo nove anni, il colluso sindacalista ricco di verve e disposto a tutto pur di egemonizzare politicamente, un pimpante Jimmy Hoffa/Pacino, oppure l’ex combattente di guerra freddo e spietato, promosso ora sicario dai capi, il Frank Sheeran di Robert De Niro, tornato finalmente al servizio del suo mentore in modo superlativo! Il canto del cigno sui generis arriva nella fase finale della vita cinematografica e non di tutti i suoi protagonisti, che siano registi o attori; per questo motivo Scorsese racconta in modo sobrio la storia che portò alla morte e sparizione di un personaggio politico pubblico e famoso al pari di Elvis, come ci suggerisce il copione, da parte di colui che ne diventerà la guardia del corpo più affidabile, tanto da prenderne cuore e affetti, anche da parte dei propri familiari, figlia in primis ed interpretata splendidamente da Anna Paquin, tra le tante comparse d’elite, l’unica che perciò arriverà a capire gli imperscrutabili segreti interiori di suo padre, fino ad abbandonarlo.
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Martin Scorsese riesce in qualcosa di non preventivabile: chiudere il cerchio della propria e magnifica filmografia gangster, incentrata su storie mafiose, criminali e italo americane, iniziata nei sobborghi di Mean Streets e praticata da giovani e sbandati malviventi, chi in giacca e cravatta e chi maldestro senza arte né parte, divenuta feroce, spietata e organizzata in Quei Bravi Ragazzi, fino ad assumere sembianze raffinate e da alto borgo in Casinò! Lo fa nel modo più sopraffino che possa esserci, raccontando in più di tre ore la nascita, l’evoluzione ma soprattutto la caduta di un classico “soldato” a libro paga, evitando stavolta di far trasparire violenza, sangue ed efferatezza ma facendo emergere per la prima volta in carriera il profondo dell’animo di ogni soggetto implicato, che sia il boss decisionale, un misurato Joe Pesci al rientro dopo nove anni, il colluso sindacalista ricco di verve e disposto a tutto pur di egemonizzare politicamente, un pimpante Jimmy Hoffa/Pacino, oppure l’ex combattente di guerra freddo e spietato, promosso ora sicario dai capi, il Frank Sheeran di Robert De Niro, tornato finalmente al servizio del suo mentore in modo superlativo! Il canto del cigno sui generis arriva nella fase finale della vita cinematografica e non di tutti i suoi protagonisti, che siano registi o attori; per questo motivo Scorsese racconta in modo sobrio la storia che portò alla morte e sparizione di un personaggio politico pubblico e famoso al pari di Elvis, come ci suggerisce il copione, da parte di colui che ne diventerà la guardia del corpo più affidabile, tanto da prenderne cuore e affetti, anche da parte dei propri familiari, figlia in primis ed interpretata splendidamente da Anna Paquin, tra le tante comparse d’elite, l’unica che perciò arriverà a capire gli imperscrutabili segreti interiori di suo padre, fino ad abbandonarlo. D’altronde il messaggio della pellicola è chiaro sin dall’inizio, quando il marchio di fabbrica del regista, uno spettacolare piano in sequenza rallentato che ha fatto storia nei suoi film, viene proiettato non in una scena da attack mode ma bensì in una calma e tranquilla casa riposo, posto dove l’Irishman terminerà in solitudine la propria esistenza! Ad aiutarlo alla fotografia un maestro come Rodrigo Prieto, con Scorsese pure in Silence, che mantiene nei tre frame della pellicola – investitura, missione e vecchiaia – una luce accesa il giusto, al pari di una colonna sonora mai così poco invadente rispetto ai suoi lungometraggi, permettendo così di dare maggior risalto agli importantissimi dialoghi e ai numerosi dettagli della macchina da presa nei primi piani, alternati ai campi medi, utili ad esaltare gli umori dei tre protagonisti principali, a rendersi conto dei luoghi frequentati, da bar tutti whiskey e bistecche a locali di classe fino a mega hotel per autocelebrazioni, e ad ammirare i meravigliosi effetti speciali di ringiovanimento, costati alla produzione budget record mai visti col regista newyorkese a dirigere! Pure Steven Zaillian si adatta ai diktat di Scorsese e al libro di Charles Brandt, scrivendo a differenza dei dialoghi ovviamente feroci di Gangs of New York, una sceneggiatura pacata e rispettosa in ogni dove, permettendo di conoscere le sfaccettature dei personaggi in modo progressivo e circostanziale. Se De Niro annuisce il più delle volte, dimostrandosi fedele al boss che gli ha cambiato la vita, lasciandoci solo immaginare gli ovvi dibattiti interiori del suo animo, esplodendo esclusivamente per convincere il suo amico Jimmy a cambiare registro o ad implorare il perdono da sua figlia e lo stesso Russell Bufalino di Joe Pesci è ironia della sorte quieto, riflessivo e imperturbabile per la prima volta con Scorsese proprio quando al vertice di una catena di comando, è Al Pacino l’unico al quale viene concesso l’onore di replicare il suo acting gagliardo e grintoso che lo ha reso celebre. Il suo Hoffa è infatti sopra tutto e tutti, non accetta ritardi e fa comizi ovunque, fuori e dentro i tribunali o appena uscito dal carcere, e se ne frega se la sua personalità eccessiva lo spinga lontano dalle grazie di Tony Pro, Angelo Bruno, Skinny Razor o Frank Fitz, eccellenti camei di Stephen Graham, Harvey Keitel e Bobby Cannavale. Anche qui, però, il suo sentirsi immune ad ogni attacco e il non capire la propria fine vengono trattati da Scorsese in modo magistrale, innalzando una inconsueta fiducia da sentimento maschile, virile e intimo, impulsi ed emozioni sconosciuti in questo terribile mondo da lui trattato in quasi 50 anni, e che gli saranno fatali, al pari dei Nicky Santoro e Tommy DeVito del passato! Il gioco di sguardi che Frank riversa su Russell dopo il dialogo con Jimmy, un velato omaggio al Padrino, allorquando Mike abbraccia Fredo sentenziandone però la morte con l’occhiata ad Al Neri, e il disperato tentativo di redimere il suo amico, evitandone l’esecuzione, sono una novità assoluta ed inaspettata, che ci lasciano un romanticismo e una malinconia mai viste nelle precedenti opere gangster di Scorsese, un canto del cigno insperato che porteremo nel cuore!
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brata
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lunedì 2 dicembre 2019
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capolavoro
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Mi ha lasciato senza parole.
E' il più bel film che ho avuto la fortuna di vedere anche se ,spero di essere smentito, non porterà a casa nessun Oscar in quanto prodotto Nerflix.
Se ciò dovesse accadere, difficilmente la reputazione dell'Academy potrà non subire un duro colpo.
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eden artemisio
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lunedì 2 dicembre 2019
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c'è qualcosa di noodles in quell'irlandese
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C’è qualcosa di Noodles in quell’Irlandese
Con Irishman, Scorsese torna nuovamente a rappresentarci un mondo criminale che ci fa sentire ed immaginare atmosfere che non vorremmo mai veramente conoscere, ma che al cinema ci attraggono come una calamita. Sappiamo che al di qua dello schermo, non ci fanno troppo male.
Quelle storie accadono in America, ma quei personaggi provengono da diverse nazioni lontane e conservano radici a cui rimangono saldamente legati, con propri codici e consolidate ritualità.
Pur non potendo essere definito un sequel e nemmeno un remake di Goodfellas, in un primo momento, potrebbe comunque essere scambiato per un doppione: le ambientazioni sono simili, i personaggi sono ancora una volta criminali, alcuni attori sono gli stessi; infine, viene, come al solito, dato molto spazio alle famiglie: siano esse quelle costituite dai legami di sangue, siano esse quelle risultanti dalle affiliazioni criminali.
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C’è qualcosa di Noodles in quell’Irlandese
Con Irishman, Scorsese torna nuovamente a rappresentarci un mondo criminale che ci fa sentire ed immaginare atmosfere che non vorremmo mai veramente conoscere, ma che al cinema ci attraggono come una calamita. Sappiamo che al di qua dello schermo, non ci fanno troppo male.
Quelle storie accadono in America, ma quei personaggi provengono da diverse nazioni lontane e conservano radici a cui rimangono saldamente legati, con propri codici e consolidate ritualità.
Pur non potendo essere definito un sequel e nemmeno un remake di Goodfellas, in un primo momento, potrebbe comunque essere scambiato per un doppione: le ambientazioni sono simili, i personaggi sono ancora una volta criminali, alcuni attori sono gli stessi; infine, viene, come al solito, dato molto spazio alle famiglie: siano esse quelle costituite dai legami di sangue, siano esse quelle risultanti dalle affiliazioni criminali.
Osservando, però, con maggiore attenzione, ci accorgiamo che, oltre agli episodi di violenza e alle vicende legate alla criminalità, in Irishman, non soltanto viene dedicato molto spazio ai pensieri e dubbi del protagonista principale, Frank, ma il motore della storia è costituito proprio da quei dubbi, da quelle scelte, da quei ricordi. Insomma, nel film non sono soltanto le scene di azione e di violenza ad inchiodarci alla sedia, ma i momenti di riflessione di Frank (l’irlandese).
Ritroviamo allora l’eterno dilemma, presente in ogni narrativa, quello di un’esistenza combattuta tra il bene e il male. La scelta, il dubbio e il libero arbitrio è il vero protagonista del film. Ne è l’ingrediente più interessante e l’elemento differenziatore da Goodfellas.
Frank è un uomo che vorrebbe essere giusto, ma non ci riesce, in parte anche perché declina in modo confuso il suo codice di protezione e fedeltà alla patria e alla famiglia e di rispetto dei patti con i suoi sodali. E in definitiva, è proprio il suo confuso codice a spingerlo progressivamente verso il male.
Poteva Frank scegliere diversamente? Certamente sì. Ma soltanto prima di entrare in quella storia, soltanto prima di abbracciare quei legami, soltanto se si fosse limitato ad essere un operaio qualunque, uno di quelli che si accontentano onestamente della loro paga. Invece, già dai piccoli furti di Frank, emerge il terreno fertile per seminare il male, quello più grande. E quel male grande poi arriva. All’inizio si insinua lentamente, apparentemente senza un vero progetto, magari attraverso una simpatia spontanea tra due amici, una simpatia disinteressata come avviene tra bambini. E, disinteressatamente, Bufalino (Joe Pesci) lo aiuta a riparare la macchina senza pretendere nulla, ma facendo attenzione a non rivelare il suo nome. In seguito, dopo aver accertato l’affidabilità di Frank, Bufalino non ha più bisogno di dare ordini. Le cose che devono essere fatte, vanno fatte. Quella è la forza dei codici. Nel bene e nel male. Ma quello è anche il tema del libero arbitrio.
Frank è chiamato ad eseguire l’incarico che non avrebbe mai voluto avere, ma a cui non può sottrarsi. E tradisce così anche il suo codice di fedeltà, perdendo, infine, la cosa più importante: l’amore, il rispetto e la parola di Peggy, la figlia a cui tanto voleva bene, seppure a modo suo.
Affiancando la narrazione sulla mafia italo americana, offerta da Il Padrino di Coppola, e di quella legata agli americani ebrei, rappresentata in Once upon a time in America di Leone, Irishman è un film che parla della forza dei legami e dei legacci ambigui di certi codici.
Non passa inosservato, infine, che Frank (irlandese) assomiglia un po’ a Noodles (ebreo) di Once upon a time in America. Ambedue sono personaggi che sguazzano nel mondo del crimine, ma per certi aspetti vorrebbero restarne fuori. E non c’è da stupirsi che poi le cose prendano un percorso inatteso e non desiderato. E come Noodles, nel film di Leone, viene tradito e beffato da Max, suo amico fraterno, così Frank, nel film di Scorsese, viene manipolato dall’inquietante Bufalino.
Irishman, affresco d’epoca e tematiche senza tempo.
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nicolò scialfa
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domenica 1 dicembre 2019
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tutto il cinema di scorsese in tre ore e mezza
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Martin Scorsese, dal libro di Charles Brandt. Trio favoloso Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci. Harvey Keitel di rinforzo. Vita di Frank Sheeran, da lui stesso raccontata alla fine della vita, veterano della seconda guerra mondiale e poi killer della mafia. Quei bravi ragazzi, Casinò e tutta la visione americana di Scorsese del mondo di sopra e del mondo di sotto, condensati in 210 minuti. Nostalgia, fine di un’epoca, trasformazione continua della realtà. La storia degli Stati Uniti degli ultimi settant’anni raccontata in modo eccellente, senza fronzoli, dall’assassinio Kennedy alla scomparsa di Jimmy Hoffa. Complicità tra organizzazioni criminali, sindacati, politica. Momenti di cinema allo stato puro.
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Martin Scorsese, dal libro di Charles Brandt. Trio favoloso Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci. Harvey Keitel di rinforzo. Vita di Frank Sheeran, da lui stesso raccontata alla fine della vita, veterano della seconda guerra mondiale e poi killer della mafia. Quei bravi ragazzi, Casinò e tutta la visione americana di Scorsese del mondo di sopra e del mondo di sotto, condensati in 210 minuti. Nostalgia, fine di un’epoca, trasformazione continua della realtà. La storia degli Stati Uniti degli ultimi settant’anni raccontata in modo eccellente, senza fronzoli, dall’assassinio Kennedy alla scomparsa di Jimmy Hoffa. Complicità tra organizzazioni criminali, sindacati, politica. Momenti di cinema allo stato puro. Recitazione talmente rigorosa dei mostri sacri da apparire a tratti commovente, come se appartenesse ad un mondo perduto. Figli giudicanti, riflessione sulla condizione senile, scomode e terribili verità sulla famiglia Kennedy, frantumazione del sogno americano, triste meditazione sull’inesorabilità del tempo che passa. Tutto è destinato all’oblio. Elegia malinconica sontuosa. Film memorabile. Inutili polemiche su cosa sia cinema e cosa non lo sia, non mi appassionano e non mi vedono schierato per incapacità tecnica. Posso soltanto rilevare come il massimo risultato del cinema ”alla Scorsese” venga finanziato dalla moderna Netflix che in parte decreta la morte del cinema alla Scorsese… ma questa è un’altra storia.
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