ennio
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giovedì 29 aprile 2021
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un pò "cold fish", un pò miike
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Così come i film giapponesi si riconoscono immediatamente dai nostri, in stili, dialoghi, emozioni, gesti, anche gli horror giapponesi hanno questa particolarità. È un horror/thriller, questo “the forest of love”, tratto da una vicenda vera, vicenda di cui la regia cercato di non alterarne troppo le assurde e spaventose pieghe. Certi condizionamenti sociali tipici del Giappone, tra cui l'ancora imperante maschilismo e il senso dell'onore e della rispettabilità portati al limite, non appartengono più di tanto alla nostra società, e per noi è sempre un tuffo in un mondo diverso e lontano, che per molti versi ci ricorda il nostro recente passato.
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Così come i film giapponesi si riconoscono immediatamente dai nostri, in stili, dialoghi, emozioni, gesti, anche gli horror giapponesi hanno questa particolarità. È un horror/thriller, questo “the forest of love”, tratto da una vicenda vera, vicenda di cui la regia cercato di non alterarne troppo le assurde e spaventose pieghe. Certi condizionamenti sociali tipici del Giappone, tra cui l'ancora imperante maschilismo e il senso dell'onore e della rispettabilità portati al limite, non appartengono più di tanto alla nostra società, e per noi è sempre un tuffo in un mondo diverso e lontano, che per molti versi ci ricorda il nostro recente passato. Personalmente ho sempre trovato spassoso il modo di esprimersi “furioso” tipico di giapponesi e coreani, e in questo film tale caratteristica è portata quasi all'eccesso. Sono altresì evidenti le assonanze stilistiche, e la furia-splatter, dell' “Ichi the killer” di Miike
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