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giovedì 24 ottobre 2019
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gorgoglio e pregiudizi
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Gorgoglio e Pregiudizi. Poche laconiche parole per riassumere un film che intende sollevare una questione scottante: il medievale rapporto uomo-donna nell’India (zona Tamil) di oggi. “Gorgoglio” come quello dell’acqua che scorre durante tutto il film (in molteplici forme), dall’iniziale pioggia monsonica all’impetuosa cascata finale, e “Pregiudizi” come quelli ancora presenti nella cultura Tamil che vedono l’uomo diventare padrone della donna con cui abbia avuto almeno un rapporto intimo.
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Gorgoglio e Pregiudizi. Poche laconiche parole per riassumere un film che intende sollevare una questione scottante: il medievale rapporto uomo-donna nell’India (zona Tamil) di oggi. “Gorgoglio” come quello dell’acqua che scorre durante tutto il film (in molteplici forme), dall’iniziale pioggia monsonica all’impetuosa cascata finale, e “Pregiudizi” come quelli ancora presenti nella cultura Tamil che vedono l’uomo diventare padrone della donna con cui abbia avuto almeno un rapporto intimo. Il regista indiano Sanal Kumar Sasidharan è impegnato da tempo sulla sensibilizzazione di questo tema ma l’atavica consuetudine è talmente radicata (anche tra le donne) da rendere impervio il percorso di “modernizzazione”. La strada da percorrere è ancora molto lunga per poter entrare a pieno titolo nella cosiddetta “parità di genere” nella popolosa regione indiana Tamil. Nel film Chola, i protagonisti sono tre: due giovani promessi sposi e il capo di lui che organizza per loro una sorta di “fuitina” sui-generis all’insaputa della madre di lei. Dalla rigogliosa campagna si dirigono in città tra centri commerciali e traffico congestionato. Ridendo e scherzando (si fa per dire) si ritrovano ancora lontani da casa anche se il sole sta ormai tramontando. Nonostante la contrarietà della ragazza, i due uomini scelgono di pernottare in una bettola sudicia e la situazione precipita velocemente verso il dramma più profondo. Il maschio Alfa prende il sopravvento sulla figura femminile che rimane schiacciata e sottomessa non solo dall’uomo in sè ma anche da una sorta di consuetudine accettata da sempre. Una millenaria cultura “maschio-centrica” in cui uomini e donne sono abituati a navigare e sopravvivere. Un film mosso da intenzioni nobili ma realizzato con poca destrezza. La metafora dell’onnipresente elemento acqua dirige il pensiero verso l’universo femminile; scorre potente, lava e nutre fino a diventare anche potenza pura. Tanto impalpabile quanto dirompente. È ottima la rappresentazione in immagini di questo impetuoso fluire di condizioni. Eppure il film scivola su due bucce di banana: la sceneggiatura è piuttosto elementare, sfiora il banale e non è sempre coerente. La recitazione dei tre interpreti è il secondo elemento debole; non convincente nè coinvolgente. I momenti drammatici risultano troppo forzati e poco realistici. Una buona occasione per divulgare ciò che non viene mai palesato è stata malamente sprecata da un film importante ma molto debole. L’impianto è esteticamente accattivante ma la struttura scricchiola parecchio.
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peer gynt
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mercoledì 4 settembre 2019
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viaggio tragico di due fidanzati
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Da un villaggio di montagna immerso nel verde e avvolto nella nebbia (siamo nel Kerala, India) emergono due uomini e un furgoncino: attendono una ragazza, giovane e timorosa, che il giovane, suo fidanzato, ha invitato per un giro nella lontana città. Qui negozi, grandi magazzini, la spiaggia sono l'esperienza di gioia e di serenità dei due giovani. Ma si fa buio presto ed è troppo tardi per tornare al villaggio. Il terzo uomo, proprietario del furgoncino, chiamato il Capo, è un ruvido e grosso omone barbuto. Li porta in uno squallido e lurido motel nella periferia dimessa della città, manda il ragazzo a cercare cibo e violenta la ragazza. Di mattina presto poi ripartono per il villaggio.
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Da un villaggio di montagna immerso nel verde e avvolto nella nebbia (siamo nel Kerala, India) emergono due uomini e un furgoncino: attendono una ragazza, giovane e timorosa, che il giovane, suo fidanzato, ha invitato per un giro nella lontana città. Qui negozi, grandi magazzini, la spiaggia sono l'esperienza di gioia e di serenità dei due giovani. Ma si fa buio presto ed è troppo tardi per tornare al villaggio. Il terzo uomo, proprietario del furgoncino, chiamato il Capo, è un ruvido e grosso omone barbuto. Li porta in uno squallido e lurido motel nella periferia dimessa della città, manda il ragazzo a cercare cibo e violenta la ragazza. Di mattina presto poi ripartono per il villaggio. E fra le montagne, i boschi e i torrenti impetuosi si consuma un finale di barbara e cruda violenza. Tutto il racconto è incorniciato da una fiaba narrata con voce fuori campo, nella quale una vergine desiderata da un principe chiede alla Terra: ma io di chi sono? La condizione femminile in alcuni paesi è ancora a livelli di grande arretratezza. Questa la denuncia del film, che si snoda in una prima parte lirico-intimista e in una seconda parte di epica violenza, dove i tre personaggi della storia sono circondati da una Natura anch'essa violenta e ostile (nebbia, pioggia, una cascata impetuosa). Pur con qualche lentezza di troppo, il film risulta ben narrato, potente e non facilmente dimenticabile.
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