Alla mia piccola Sama |
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Un film di Waad Al-Khateab, Edward Watts.
Con Jasmine Trinca, Waad Al-Khateab, Sama Al-Khateab, Hamza Al-Khateab.
continua»
Titolo originale For Sama.
Documentario,
Ratings: Kids+13,
durata 100 min.
- Gran Bretagna 2019.
- Wanted
uscita giovedì 13 febbraio 2020.
MYMONETRO
Alla mia piccola Sama
valutazione media:
4,00
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quanto è triste l'infanzia in guerra!di francesca meneghettiFeedback: 7376 | altri commenti e recensioni di francesca meneghetti |
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domenica 16 febbraio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Chiodo batte chiodo, si dice. Per alleviare altri dolori, mi sono fatta coraggio e ho visto “Alla mia piccola Sama” (dopo aver giurato, appena visto il trailer, che mai mi sarei sottoposta alla visione).
Il detto popolare, in effetti, funziona perché porta ad uscire da quell’egocentrismo dei sentimenti in cui tante volte ci crogioliamo, come se fossimo gli unici a soffrire, e ci parla di altri dolori umani, particolarmente strazianti quando si accompagnano alla devastazione del corpo o quando colpiscono i più innocenti di tutti: i bambini. O forse ci parla anche del dolore universale, proprio della condizione umana.
In effetti il documentario, realizzato mediante un montaggio non lineare di circa 500 ore di riprese, pur insistendo sulle responsabilità di Assad e dei russi rispetto ai bombardamenti della città di Aleppo, racconta soprattutto il vissuto dell’autrice: una giovane donna caparbia e coraggiosa che si è trovata in mezzo alle bombe e alle granate a vent’anni, quando studiava economia all’università. Fin da subito è diventata reporter per Channel 4 News (UK). Poi si è sposata con un giovane ed eroico medico che decide di allestire un ospedale per curare i feriti e mette al mondo una bambina, Sama, che significa cielo: quel cielo che non può contemplare perché i posti più sicuri sono underground, come l’ospedale. Le vicende personali della piccola famiglia e dei loro amici forniscono una prospettiva sulla guerra molto più intima: non importa tanto capire le ragioni storiche del conflitto, ma evidenziare che cosa è una guerra. Cioè essenzialmente una guerra civile. E’ così da ottant’anni almeno, dalla seconda guerra mondiale: quando a morire sono i civili più che i militari, non per casualità, ma per un disegno terroristico preordinato.
Al tempo stesso, si insiste sul tema della resistenza, sugli sforzi disperati di tenere in vita (da piangere la scena del neonato esanime che viene rianimato dopo lunghissimi istanti di angoscia), sull’attaccamento disperato a una patria che poi, per realismo e necessità, si dovrà abbandonare. Ora Waas Al-Kateab, questo lo psedonimo della regista-reporter, vive in Inghilterra con il marito e due figli.
Il documentario si regge solo chiudendo gli occhi di fronte alle riprese più crude e sanguinose e ci restituisce così una realtà drammatica in presa diretta, senza effetti speciali o fotografie spettacolari. Essendo tornata da una settimana da un viaggio a Sarajevo, dove ho visitato diversi musei sull’assedio durato tre anni e mezzo (tra cui il War Childhood, delicatissimo nel trattare il tema dell’infanzia violata sia fisicamente sia emotivamente), non posso evitare un commento: il lunghissimo applauso tributato al film a Cannes non solleva l’Europa dalle sue responsabilità e soprattutto dalle sue pilatesche omissioni, che ci furono anche per la capitale bosniaca.
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