loland10
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domenica 8 aprile 2018
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...game over...
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“Ready Player One” (id., 2018) è il trentaduesimo lungometraggio del regista-produttore Steven Spielberg.
Prendere o lasciare verrebbe da dire: per chi conosce (relativamente) poco il cineasta di Cincinnati si trova spiazzato o forse frainteso, per chi conosce (da sempre) tutta la sua produzione può rimanere estasiato o forse lasciato in disparte. Non è un film (nonostante la schizofrenia ammaliante) fascinoso e lineare. E allora mettersi in posizione, salite sulle montagne russe e lasciatevi andare sull’ottovolante.
E il gioco, che pare tale, non è solo spassoso ma diventa, anche, un metafora grigia e un incubo poco assolato di un sistema di omologazione o di comando imperioso.
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“Ready Player One” (id., 2018) è il trentaduesimo lungometraggio del regista-produttore Steven Spielberg.
Prendere o lasciare verrebbe da dire: per chi conosce (relativamente) poco il cineasta di Cincinnati si trova spiazzato o forse frainteso, per chi conosce (da sempre) tutta la sua produzione può rimanere estasiato o forse lasciato in disparte. Non è un film (nonostante la schizofrenia ammaliante) fascinoso e lineare. E allora mettersi in posizione, salite sulle montagne russe e lasciatevi andare sull’ottovolante.
E il gioco, che pare tale, non è solo spassoso ma diventa, anche, un metafora grigia e un incubo poco assolato di un sistema di omologazione o di comando imperioso. La ‘virtual-war-halliday’ è solo l’inizio o una fine per chi vuole abbandonarsi-conoscersi nei mondi possibili.
Catapultarsi in un ‘mainstream’ andro-genetico virtualmente reale come un video-drome accanito, e falso per nulla vero di ogni reale triste.
Lezione quasi da avamposto soggettista per un film multicolore che si barcamena tra l'utile e il dilettevole per far strada a giocosi silenzi virtuali come metastasi di un brutto reale chiassoso. È pur vero che ogni inquadratura ne può assomigliare ad un'altra ma Spielberg riesce ogni volta, in ogni istante e in ogni momento di pellicola a guardarlo con assurda meraviglia e ovvietà meticolosa in merito do straniltao e zuccheroso.
Da un libro impossibile da porsi è quasi assurdo da chiarire in immagini figurarsi in una storia logica, è illogico pretendere, o dir si voglia pensare di volere, un excursus da pandemonio tra Columbus e Oasis, tra schifezza e immondezzaio verso virtuale accecante. Grigio fosforo e rimbecillimento candido con metastasi notturne e mega-tetratoniche.
In un futuro mondo dirompente, inutile, depravato e povero, Il grande ritrovo di case fantasma di Columbus è lo specchio di ogni quartiere di megalopoli intristite e vacuamente saporite. Tutti plasticamente vivi, tutti hanno fanno qualcosa, tutti paiono conoscersi con frasi mnemoniche; ecco fuggire da questo cerchio verso il mondo di Oasis dove il bello che nessuno ti conosce, ognuno ha un nome diverso. Per possederlo il lasciapassare e il suo luogo basta gareggiare, giocare, conoscere tutti i personaggi di un'infanzia remota, o quasi, infischiarsene di menzioni sopracitate e affogare nel trambusto 'fantasmagorico' dove il reale è infanzia e l'irreale è adulto che si ostina a non crescere mai. I ragazzi, gli adolescenti tirano le 'cuoia' ai veterani e al comando: le chiavi del lascito virtuale gioco forza è di qualcuno che vorresti incontrare. ‘Game over’ senza se e senza scuse. ‘Wargame’ (era un gioco da far paura ai potenti, virtual-games è un gioco (massacrante) che i potenti vogliono gestire ad ogni costo (il denaro e il potere…al solito).
I baci reali sono sempre meglio degli abbracci irreali e senza nome. Guardarsi negli occhi, sedersi in poltrona (cult finale) per rivedere il film mentre le guance arrossate hanno fatto finta di oscurarsi.
Dal libro omonimo di Ernest Cline (di Ashland); a Columbus nell’Ohio c’è un quartiere malfamato, con povertà e vita grama, Wade Watts, ragazzo diciassettenne, vuole evadere, vuole contatti non gli basta giocare con i pollici, uno strano occhiale è quello che si prospetta nel presente per immergersi nell'Oasis dove il virtuale è qualcosa di meraviglioso e vuole giocare, vincere sfide, avere le tre chiavi nel mondo ideato da James Halliday. Vuole arrivare al tesoro di Anorak. Ma ci sono potere più forti che vogliono arrivare prima di Wade/Parzival. Nolan Sorrento è li a controllare ogni mossa e contromossa del ragazzo, di Samantha Cook / Art3mise dei suoi amici. Nomi doppi, scambiati, omaggi, personalità, forze vive e oscure: ogni cosa pare incredibilmente allettante e fintamente persa. Anche se nel mondo reale….la vita (è tutta lenta) è reale.
Un (assiduo) modo di immersione totale dove tutto è ombra di tutto e dove ogni pezzo, figura, quadro, scritta, disegno, vestito, volto e punto è schermo di altro film con senso non di parodia ma di allegria invereconda e di speranza intristita di full.
Quando vuoi compiacerti devi soltanto mettere un'altra moneta per il 'game over' continuo , un gioco che sa di avamposto da duello western, rimetti il tasto e va di nuovo in partenza: il cinema sogna se
stesso e ne distrugge le ovvietà di svago, andando dentro ogni set. Da sopra, dentro, indietro, avanti, passatempi e futuro gongolante. Il vero e sul vero falso in un virtuale che sganghera ogni individuo per quasi non parlarsi.
Ecco che Spielberg ci dà dentro come non mai e rovista ogni segno possibile per rallegrarci di cinema- cinema; quando il connubio reale-virtuale, giorno-finzione sembra incerto e improbabile, basta andare oltre il sogno è metabolizzare l'immaginario del tutto intero e su Oasis appare e si manifesta, non solo il pop bello e deteriore degli anni ottanta ma tutto lo script e manifesto degli oltre cent'anni di celluloide. Con Spielberg e il post (non un gioco di parole ma sembra appositamente in logica irriverente) cinema della New Hollywood diventa la metafora completa di un singhiozzo continuo tra un dormiente che non si vuole svegliare è uno sano di mente che stancamente vorrebbe solo addentrarsi nel fausto sogno.
Anche perché vivere sempre (senza sosta) nella ‘schifezza’ di un 2045 pieno di luoghi ammassati, di robot scannerizzati, di discariche permanenti, di posti trucidi, di sporcizia pestifera, di città senza spazi e piene di smog non fa per nessuno. Il virtuale nerd rende di più e fa vivere meglio meno un paio di giorni la settimana (tipo se torniamo ‘reali’ il martedì e il giovedì….).
Ristrutturazione invereconda di una filmografia rigenerante: Steven a oltre settant'anni si mette a capofi(la)tto(in toto), non grazia nessuno e si antepone davanti alla cinepresa (quasi) come confondendosi con i mille rivoli e le interminabili sfaccettature senza uscirne mai. Inventa e reinventa cinema con un summa ad incastri veramente ‘(in)decifr(i)abile’.
Esempio, ove c'è ne fosse bisogno, di cambio, ricambio, nuovo, vecchio, idee e miscugli liberi di volare come soluzioni di sorta di un cinema è praticamente simpatico e nervosamente accattivante. Qualcuno ha scritto, ‘nel bene e nel male un grande film’: non è che vogliono salire in corsa sul cinema di un certo regista… Non basta dirlo bisogna osservarlo, vederlo, ascoltarlo e palparlo dentro. Un cinema senza chiusure mentali. Per chi segue il regista dalla prima ora è una goduria che rimarrà, per quelli virtuali di oggi...un sentore di una furbastro (forse non riuscita per i detrattori) che cerca spiragli nuovi e ‘claque’ facile. Ecco per chi è ‘spielberghiano da sempre’ nessuna novità, anzi la riprova che il regista di Cincinnati si trastulla a trecentosessanta gradi e ci fa immergere in un cinema che (s)volta (o sembra farlo) senza preamboli e risvolti nel (suo) passato.
Ameno che si riabiliti il sentore che il cinema ‘non prettamente’ d’essai (e anche qui si aprirebbe un’ampia parentesi su cosa il cinema dovrebbe raccontare) è grande schermo a tutti gli effetti. O cominciamo a selezionare il gioco che ci piace: tipo 2018 no, 2027 non so e 2045 forse (o all’opposto come si desidera).
Didascalica-mente (che tale non è) un film a-cerebrale, senza congetture vere dove il vizio omologante dell’uomo è quello di essere presente sempre a se stesso. La montagna di denaro che si promette è ‘oltre se stessi’ e ‘oltre la ragione’: è il vizio del comando omnia, totale, del presente degenerato e invivibile (quasi progettato ad altri), del futuro (giocare quasi per costrizione ed evasione da un nulla) e il passato (che torna e ritorna per come gli oggetti tutti e gli ammassi intellettivi hanno ‘indicato’, pensando ad un suggerimento, la ‘storia’ dei confini, dei quartieri totali e di Columbus come ogni altro luogo). Fuggire per tornare, sognare meccanicamente per sapere il nome di un(‘)altro(a).
York…New Hollywood a Columbus dove i ragazzi svegli e con poco lascito al futuro, in un presente deprimente, si costruiscono plasticamente, un nuovo orizzonte, un nuovo nome, un nuovo mondo, un nuovo gioco, un nuovo vigore. E la New Columbus, già vecchia nel 2045, al modernissimo asfittico e l’Anorak incombe dentro i cervelli tutti. Pazzie di ragazzi soli e follie di adulti al ‘game over’.
Un furgone anni trenta per Wade e i suoi amici: è il pacco postale...che arriva a destinazione. Uno scatolone itinerante, fili e prese, voli e assenze. Ultima fermata: le portiere si aprono più volte, una.. due, tre…: tutti vogliono gustare, gli amici, i parenti, i giornalisti, le tv, i poliziotti, …Un arresto, un uomo e un pugno e ‘The Goonies’ (1985 di Richard Donner) arrivano al traguardo.
Spielberg uno e due, questo è il suo doppio, allegro e serioso: tutto vero ma forse, anzi è sicuramente così, non è vero che il cineasta di Cincinnati fa il verso ad un cinema di summa o meglio ad una n cinema che rinasce, tra vampiri e aspirazioni di grandi, da Capra a Ford, da Minnelli a Lean, da Kurosawa a Kubrick , dal cinema degli altri alla New-Hollywood o dir si voglia ancora. Forse è il caso di dire che il cinema 'spielberghiano' è a se stante: assemblaggio e immaginario neo-classico di un ragazzo che è diventato adulto per caso. Il mondo dei nerd è arrivato.
E se vogliamo pensare ad un cinema ‘sociale’ in crisi, ad un cinema ‘di contatto’ sfinito: forse le ‘matinee’ rendono l’idea di un grande schermo che si guarda da solo (oggi). Come non pensare (tra i tanti) al film (1993) ‘Matinee’ (appunto) di Joe Dante. E tra i Bee Gees (‘Saturday Night Fever’ -1978- di John Badham) e il vuoto ‘estraniante’ di ‘Videodrome’ (-1983- di David Cronenberg) lo spazio degli ‘avatar’ si compiace dei colori fosforescenti e di contorni allucinogeni. ‘Le Due Torri’ e la montagna degli ‘Incontri Ravvicinati’ si toccano con un involucro encefalo che pare ‘l’Uovo di Pandora’ da distruggere.
Gli omaggi, i richiami, i luoghi, i movimenti e le scritte sono a iosa. Tutto da rivedere dietro e dentro lo schermo. Quasi impossibile contarle. Veramente alcune talmente nascoste che sembrano non esserci. E Spielberg è stato cavilloso nel montaggio per non mettere altro, togliere e aggiustare il tiro per quello da proporre. Il tributo a Stanley Kubrick nei ‘posti’ di Shining (1980) è di rara maestria. E si vuole ricordare la magia del mago Merlino ‘Anàl nathrach, orth’ bhàis’s bethad, do chél dénmha‘ dal film ‘Excalibur (1981) di John Boorman.
Cast di una maestosita illogica e versatile nella baraonda: Tye Sheridan (Wade Watts/Parzival): pare lì per caso e si prende lo schermo senza saperlo; Olivia Cooke(Samantha Cook / Art3mis): contratta e aperta, leggera e sicura con uno scatto da nerd; Mark Rylance (James Halliday/Anorak): alter ego da adulto e da bambino (la stanza e i due insieme da a James e a noi lo specchio di una vita); Ben Mendelsohn (Nolan Sorrento): deciso, cazzuto e fortemente ironico con viso da ricco-imbecille.
Fotografia di levatura improba e strepitosa: oramai Janusz Kaminski conosce la luce da porre e lo sguardo dietro la presa del regista (la collaborazione dura da venticinque anni).
Musiche di Alan Silvestri a dir poco in tema, intelligenti, forvianti, geniali e roboanti. Per i titoli di coda c'è una tripla lettura (per chi scrive): canzone dettata dall'autore del libro e Steven non ci pensa due volte, il lineare rullo delle scritte in un bianco offuscato tipo grandi eventi ricorda ‘1941. Allarme a Hollywood’ (1979 dello stesso regista) e la fascinazione di piatti, tamburi e sinfonica e altre come omaggio a John Williams ami, quasi il cantore sognante di tutta la filmografia del regista di Cincinnati. Chi non alza la mano può stare fuori e non entrare, perché contraddire non conoscendo tutti i suoi film e alcune produzioni, non dico tutte, può stare gentilmente fuori. Dall'uovo trasparente bombardato a dismisura da tutti quelli che amano poco il suo cinema. Naturalmente è una boutade, tutti possono accedere ma è meglio avvertire i cinematografari distratti da troppo irreale. Anche perché il reale è bello… perché è reale. Tutto qui: ‘tutto è più lento qui’ dice Wade a Samantha; per questo un paio di giorni ci bastano (alla settimana).
Regia di Spielberg dirompente, affannosa, elastica, caldeiscopica, rettilinea e avvolgente. Uno Steven ad ampio respiro dove detta il passato in un futuro tutto da decifrare mentre il suo cinema è allungo verso la navicella madre oltre un incontro ravvicinato. Il futuro
Si consiglia le versione originale (rende l’idea, gioiosamente cinema) e in 70 mm. Ma senza pretendere si è visto anche il film doppiato (le voci che segnano il linguaggio).
Voto: 10/10 (*****).
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cardclau
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venerdì 6 aprile 2018
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tanto rumore per nulla
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Spelberg è tal regista che "bisogna" osannare ogni volta. Un critico ha paragonato il film al ciclo di affreschi del Tintoretto della Scuola Grande di San Rocco, a Venezia. O io o lui, uno dei due, non ha mai visto il ciclo del Tintoretto, ma ne ha solo sentito parlare. E' un film incredibilmente rumoroso, fondamentalmente noioso, e nella più grande tradizione americana dei film di cassetta, incredibilmente veloce. Con scene "mozza fiato" notevolmente subentranti, non hai tempo di digerirne una, che subito la prossima entra imperiosamente, con crudele vivacità. Non credo sia consigliabile la visione "over thirty". La storia d'amore, sopra tutte le avversità, è l'unico contentino di una società, questa volta veramente reale, feroce.
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Spelberg è tal regista che "bisogna" osannare ogni volta. Un critico ha paragonato il film al ciclo di affreschi del Tintoretto della Scuola Grande di San Rocco, a Venezia. O io o lui, uno dei due, non ha mai visto il ciclo del Tintoretto, ma ne ha solo sentito parlare. E' un film incredibilmente rumoroso, fondamentalmente noioso, e nella più grande tradizione americana dei film di cassetta, incredibilmente veloce. Con scene "mozza fiato" notevolmente subentranti, non hai tempo di digerirne una, che subito la prossima entra imperiosamente, con crudele vivacità. Non credo sia consigliabile la visione "over thirty". La storia d'amore, sopra tutte le avversità, è l'unico contentino di una società, questa volta veramente reale, feroce. Certo, Spielberg è un uomo dalle dimensioni sociali, e qualcosa, di vagamente rimembrante l'anelito della democrazia, emerge anche dal film Ready Player One, ma in modo fastidiosamente sentimentale e americano, con gli ultimi che ce l'ha fanno sempre, malgrado gli avversari siano armati fino ai denti. Cero Spielberg ha visto un mucchio di film, non ultimi quello di Kubrik, Shining, e l'intera saga di Mazinga Zeta, per cui li mette nel suo a piene mani. Ma con risultati un po' penosi.
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(di etabeta)
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aris62
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venerdì 6 aprile 2018
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scivolone di spielberg
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Ci aspettavamo lo Spielberg originale e visionario di Incontri ravvicinati o di Minority report (ma, perchè no, anche di ET...). Nulla di tutto questo.
Il film è un colossale deja vu che mette insieme alla bell'e meglio citazioni (o meglio: scopiazzature) di vari generi.
La trama: in una società poco stimolante, le persone non trovano di meglio che vivere il più possibile immerse in un mondo virtuale, sorta di videogame globale. Ma, anche qui, le multinazionali impongono le leggi del profitto cercando di arricchirsi il più possibile a scapito della povera gente. Originale, vero? Sembra tratto dal giornale di ieri. La scenografia non fa neanche lo sforzo di inventarsi un look 2045, i ragazzi vestono con lo stesso urban streetwear di oggi.
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Ci aspettavamo lo Spielberg originale e visionario di Incontri ravvicinati o di Minority report (ma, perchè no, anche di ET...). Nulla di tutto questo.
Il film è un colossale deja vu che mette insieme alla bell'e meglio citazioni (o meglio: scopiazzature) di vari generi.
La trama: in una società poco stimolante, le persone non trovano di meglio che vivere il più possibile immerse in un mondo virtuale, sorta di videogame globale. Ma, anche qui, le multinazionali impongono le leggi del profitto cercando di arricchirsi il più possibile a scapito della povera gente. Originale, vero? Sembra tratto dal giornale di ieri. La scenografia non fa neanche lo sforzo di inventarsi un look 2045, i ragazzi vestono con lo stesso urban streetwear di oggi.
A smuovere la situazione, un premio nascosto nel videogame dal suo autore, che consiste nel pacchetto azionario di maggioranza del gioco stesso, con la possibilità di poterne decidere gli sviluppi futuri e incassarne i lucrosi profitti. I buoni (un manipolo di nerd adolescenti) affronteranno i cattivi (le ricche multinazionali e la polizia al loro servizio) in una lotta senza esclusione di colpi, nel videogame ma anche fuori. Indovinate chi vincerà?
Dato che il 90% del flm si svolge nel videogame, è come stare oltre due ore a guardare qualcuno che gioca a uno sparatutto sulla playstation (e chi ha figli maschi sa di che cosa parlo...). Micidiale. Il videogame stesso è una mescolanza di Tron, Transformers, Mario Kart, Il signore degli anelli, e chi più ne ha più ne metta.
Probabilmente divertente fino all'età puberale, il film è rigorosamente vietato ai maggiori di 14 anni. Oltre, andateci solo se siete veramente, ma veramente nerd, stile Leonard o Sheldon di Big Bang Theory. Altrimenti, uscite con la fidanzata.
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udiego
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mercoledì 4 aprile 2018
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oasis
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Ready Player One, film diretto dal maestro Steven Spielberg, è un’opera che rappresenta nel miglior modo possibile il concetto di intrattenimento nel mondo del cinema. Il cineasta americano confeziona un prodotto il cui unico scopo è far divertire lo spettatore attraverso un vero e proprio inno al citazionismo di tutto quello che era svago e divertimento nei mitici anni ’80 e ’90.
L’opera è costruita senza critica a chi vede in Oasis l’unico modo in cui stare bene, non c’è giudizio nei confronti di chi ritiene che quello che succede nella realtà virtuale sia più importante di quello che accade nella vita reale.
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Ready Player One, film diretto dal maestro Steven Spielberg, è un’opera che rappresenta nel miglior modo possibile il concetto di intrattenimento nel mondo del cinema. Il cineasta americano confeziona un prodotto il cui unico scopo è far divertire lo spettatore attraverso un vero e proprio inno al citazionismo di tutto quello che era svago e divertimento nei mitici anni ’80 e ’90.
L’opera è costruita senza critica a chi vede in Oasis l’unico modo in cui stare bene, non c’è giudizio nei confronti di chi ritiene che quello che succede nella realtà virtuale sia più importante di quello che accade nella vita reale. Anzi, la struttura narrativa è creata per comprendere questi bisogni di evasione, di leggerezza e di magia, a volte soffocati da una vita troppo dura e frenetica per permetterci di essere veramente liberi e felici.
L’impianto cinematografico è costruito per far godere lo spettatore. I protagonisti principali sono gli effetti visivi, affascinanti e suggestivi, che lasciano il pubblico in più di un’occasione con il fiato sospeso. Regia e montaggio lavorano di supporto e sono costruiti per regalare un ritmo sempre incalzante e coinvolgente: tutta la sequenza costruita nell’albergo di Shining è veramente interessante. Spielberg mantiene il lavoro su livelli costanti ed il film non subisce mai momenti di stanca, nonostante la sua importante durata (sono circa 140 minuti di proiezione).
Ovviamente qualche difetto il film ce l’ha ed i principali stanno tutti nella sceneggiatura, che, forse per lasciare completamente spazio allo svago ed all’intrattenimento, tende ad essere un po’ superficiale, senza approfondire mai nemmeno uno dei temi che tocca di volta in volta. Probabilmente però la scelta di creare un film che altro non è che un mega contenitore di immagini, il cui scopo è quello di affascinare lo spettatore, richiedeva questo tipo di approccio e sinceramente a chi scrive la cosa non è dispiaciuta per niente!
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[+] un richiamo al reale e ad una coscienza civile
(di antoniomontefalcone)
[ - ] un richiamo al reale e ad una coscienza civile
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kimkiduk
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martedì 3 aprile 2018
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grande spielberg
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Non un film da adulti ma anche. Un piacere per gli occhi sicuramente.
Ancora un colpo messo a segno da Spielberg che riguardandone la filmografia fa venire la pelle d'oca.
Sceneggiatura, come spesso ormai accade, non originale e purtroppo quindi non si possono attribuire totalmente i meriti o i demeriti al regista.
Però certo che la storia fila benissimo, due ore e 20' che scorrono senza intoppi, volando nel virtuale anche noi che lo guardiamo e coivolgendoci sicuramente.
Altri hanno dato la colpa spesso al virtuale per il degrado della società; Spielberg ne fa la speranza per sopravvivere ad un reale orrendo.
Negli anni 50 la fantasia dei film di fantascienza erano solo fantascienza, nessuno forse pensava che ciò che si vedeva rappresentato fosse un possibile futuro reale.
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Non un film da adulti ma anche. Un piacere per gli occhi sicuramente.
Ancora un colpo messo a segno da Spielberg che riguardandone la filmografia fa venire la pelle d'oca.
Sceneggiatura, come spesso ormai accade, non originale e purtroppo quindi non si possono attribuire totalmente i meriti o i demeriti al regista.
Però certo che la storia fila benissimo, due ore e 20' che scorrono senza intoppi, volando nel virtuale anche noi che lo guardiamo e coivolgendoci sicuramente.
Altri hanno dato la colpa spesso al virtuale per il degrado della società; Spielberg ne fa la speranza per sopravvivere ad un reale orrendo.
Negli anni 50 la fantasia dei film di fantascienza erano solo fantascienza, nessuno forse pensava che ciò che si vedeva rappresentato fosse un possibile futuro reale.
Ora forse, almeno a me capita, ci chiediamo se davvero, non certo in questo caso nel 2045, ma più in là, vivremo così e già mi capita di dire si. Purtroppo.
Come dire che la fantascienza assomiglia sempre più ad un futuro possibile.
Ci salverà come qui il virtuale?
Intanto mi sono goduto Oasis ed ho pensato che anche io scalerò l'Everest con Batman o scierò nelle piramidi.
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kasparlo
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lunedì 2 aprile 2018
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tanti effetti
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Premesso che non è il mio genere di film. Il film nel suo genere non è fatto male, anzi è ben fatto, con tanti effetti speciali, ma nel complesso il succo non è molto originale: la realtà virtuale che diventa la realtà vera o parallela a quella reale. Ritratto dei giorni d'oggi, tutti isolati nel mondo reale fissi su uno schermo o legati dentro un box a combattersi gli uni contro gli altri in un mondo inventato. Quando ti uccidono, si spegne la luce del box, e perdi il tuo avatar, ma rimani in vita reale.
Questo intreccio è piuttosto sfruttato, ma qui , oltre al solito eroe che gioca con un vecchio gioco ATARI per vincere la grande battaglia finale del maga game inventato dall'inventore pazzo rimasto sempre bambino, non vedo soluzioni alternative o originali.
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Premesso che non è il mio genere di film. Il film nel suo genere non è fatto male, anzi è ben fatto, con tanti effetti speciali, ma nel complesso il succo non è molto originale: la realtà virtuale che diventa la realtà vera o parallela a quella reale. Ritratto dei giorni d'oggi, tutti isolati nel mondo reale fissi su uno schermo o legati dentro un box a combattersi gli uni contro gli altri in un mondo inventato. Quando ti uccidono, si spegne la luce del box, e perdi il tuo avatar, ma rimani in vita reale.
Questo intreccio è piuttosto sfruttato, ma qui , oltre al solito eroe che gioca con un vecchio gioco ATARI per vincere la grande battaglia finale del maga game inventato dall'inventore pazzo rimasto sempre bambino, non vedo soluzioni alternative o originali.
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mattiacau
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domenica 1 aprile 2018
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bel film
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liuk
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sabato 31 marzo 2018
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applausi
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Erano tanti anni che non sentivo il pubblico applaudire al cinema, l'ultima volta, se non erro, fu per Schindler List. È ri-successo oggi alla fine di questo ennesimo capolavoro del maestro Spielberg. E non applaudivano solo i giovani.
Ready Player One è un omaggio alla tecnologia sia tempi attuali che di quelli passati, un trionfo per gli amanti dei videogiochi dai primi Atari alle ultime PS con visore. Ma non solo, in quanto ci sono infinite citazioni a film cult (Ritorno al futuro, Shining, Avatar etc) e canzoni anni ‘80. Già il fatto che inizi con Jump la dice lunga.
La storia è incredibilmente affascinante e divertente, l'azione è incessante così come le easter eggs che non sono solo il tema del film ma lo riempiono continuamente.
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Erano tanti anni che non sentivo il pubblico applaudire al cinema, l'ultima volta, se non erro, fu per Schindler List. È ri-successo oggi alla fine di questo ennesimo capolavoro del maestro Spielberg. E non applaudivano solo i giovani.
Ready Player One è un omaggio alla tecnologia sia tempi attuali che di quelli passati, un trionfo per gli amanti dei videogiochi dai primi Atari alle ultime PS con visore. Ma non solo, in quanto ci sono infinite citazioni a film cult (Ritorno al futuro, Shining, Avatar etc) e canzoni anni ‘80. Già il fatto che inizi con Jump la dice lunga.
La storia è incredibilmente affascinante e divertente, l'azione è incessante così come le easter eggs che non sono solo il tema del film ma lo riempiono continuamente. Realizzazione tecnica da paura.
Un film per nerd di oggi e di ieri? Sicuramente si, ma non solo.
Per quanto mi riguarda RPO è una delle migliori pellicole di sempre.
Grazie Maestro per avercelo regalato.
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eleonorapanzeri
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sabato 31 marzo 2018
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cambia le tue stelle
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Siamo nel 2045, le condizioni di vita dell’umanità vanno peggiorando. La maggioranza delle persone è in povertà, senza nessuna prospettiva per un futuro migliore. In una realtà simile trova terreno fertile l’invenzione del geniale James Halliday: Oasis. Molto più che un gioco, una realtà virtuale in cui chiunque può essere ciò che vuole, in cui l’unico limite è la propria immaginazione.
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Siamo nel 2045, le condizioni di vita dell’umanità vanno peggiorando. La maggioranza delle persone è in povertà, senza nessuna prospettiva per un futuro migliore. In una realtà simile trova terreno fertile l’invenzione del geniale James Halliday: Oasis. Molto più che un gioco, una realtà virtuale in cui chiunque può essere ciò che vuole, in cui l’unico limite è la propria immaginazione. L’evasione dalla vita reale diventa così gratificante e immersiva così che l’identità di ciascuno si confonde con quella del proprio avatar. All’interno del gioco si può fare di tutto, trovare un lavoro, costruire vere e proprie amicizie e relazioni sentimentali fino al paradosso di condizionare massivamente la vita reale dei partecipanti. Quello che però sconvolgerà il mondo del gioco è l’ultimo regalo di Halliday prima di morire, l’ultima sfida, una difficilissima ricerca di tre chiavi magiche che condurranno al ritrovamento dell’uovo d’oro e all’opportunità di rilevare la proprietà di Oasis, ossia il business più redditizio del pianeta. Sulla scia del sogno americano, per cui tutto è possibile, anche il giovane Wade Owen, povero orfano che vive nei ghetti della sua città, ha l’opportunità di risolvere l’enigma e cambiare le sue stelle. Non c’è tuttavia da stupirsi se dove c’è business ci siano sempre squali e sciacalli disposti a tutto pur di accaparrarsi denaro e potere. Owen dovrà quindi fare i conti con il perfido Nolan Sorrento e la sua società milionaria che vuole a tutti i costi rilevare Oasis.
Un film coinvolgente con buoni effetti speciali. Il futuro postulato da Ernest Cline, autore del romanzo a cui è ispirato il film è visionario e plausibile. Forte è la denuncia dell’alienazione sempre più dilagante, come la paura dei “veri” rapporti sociali, in cui nessuno sembra sentirsi all’altezza e preferisce celarsi sotto una falsa identità. Nei fatti si tratta di un teen movie vista l’età dei protagonisti e la maggior familiarità verso il mondo dei videogiochi. Bello il messaggio e l’epilogo che tuttavia a mio avviso trasforma il tutto in una stucchevole fiaba moderna, non così plausibile come piacerebbe credere.
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sabato 31 marzo 2018
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bellissimo
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Complimenti Steven Spielberg per questo bellissimo film con degli effetti videiludici fantastici!!
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