enricodanelli
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lunedì 27 novembre 2017
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che difficile far del bene !!!
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Tematica veramente sentita a livello sociale e individuale: bisogna aiutare il prossimo, ma attenzione ad aiutare chi non se lo merita o addirittura morde la mano di chi offre aiuto. Capita di tutto al povero Christian (il nome è indicativo, rappresenta "IL" cristiano moderno che, pur con mille difetti, ha l'ambizione costante non istintiva, ma razionale di amare il prossimo): aiuta gli altri, ma quando nel bisogno cerca una sponda a suo favore quasi sempre viene respinto. Dopo una serie infinita di disavventure sempre causate dal suo altruismo e dal suo spirito di brillante sopportazione (ogni disavventura a sua volta sottende una problematica sociale molto sentita: la violenza sulle donne, il disagio mentale, il disagio economico, gli infidi rapporti fra colleghi, la potenza devastante di internet, etc.
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Tematica veramente sentita a livello sociale e individuale: bisogna aiutare il prossimo, ma attenzione ad aiutare chi non se lo merita o addirittura morde la mano di chi offre aiuto. Capita di tutto al povero Christian (il nome è indicativo, rappresenta "IL" cristiano moderno che, pur con mille difetti, ha l'ambizione costante non istintiva, ma razionale di amare il prossimo): aiuta gli altri, ma quando nel bisogno cerca una sponda a suo favore quasi sempre viene respinto. Dopo una serie infinita di disavventure sempre causate dal suo altruismo e dal suo spirito di brillante sopportazione (ogni disavventura a sua volta sottende una problematica sociale molto sentita: la violenza sulle donne, il disagio mentale, il disagio economico, gli infidi rapporti fra colleghi, la potenza devastante di internet, etc.) finalmente gli si prospetta di chiedere scusa ad un emarginato, per di più bambino, involontariamente offeso dallo stesso Christian: la conclusione di questa vicenda è il succo di tutto il film. Dopo mille frustrazioni nell'aiutare il prossimo, Christian, probabilmente stanco e deluso, non sa riconoscere chi è veramente meritevole del suo aiuto e il tardivo ed inutile tentaivo di sistemare le cose gli lascerà per sempre un grande rimorso, fra l'atro condiviso con le figlie. Ottimo film dopo il buonissImo FORZA MAGGIORE (senz'altro più consolatorio nel finale), ma attenzione a non farsi distrarre: l'arte qui c'entra poco (diciamoci la verità: l'arte moderna fatta di mucchietti di ghiaia sparsi sul pavimento viene chiaramente derisa in una occasione), qui c'entra solo la coscienza delle persone che esce quasi sempre dilaniata di fronte all'eterno dilemma di riconoscere il bene dal male.
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nanni
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lunedì 27 novembre 2017
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the square
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Il Direttore del Museo di Arte Contemporanea di Stoccolma (il bravissimo Claes Bang) è impegnato nell'allestimento dell'istallazione "The Square"......santuario di fiducia e di altruismo entro i cui confini tutti hanno uguali diritti e doveri. Si imbatterà nel frattempo in una serie di disavventure che riveleranno, invece e forse suo malgrado, la distanza tra il valore simbolico e fortemente evocativo del senso di appartenza alla comunità che l'opera d'arte ha in sè ed il mondo reale. La parola "aiuto", come rappresentazione potente della crisi profonda del progetto sociale, sarà la più pronunciata e la più disattesa.
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Il Direttore del Museo di Arte Contemporanea di Stoccolma (il bravissimo Claes Bang) è impegnato nell'allestimento dell'istallazione "The Square"......santuario di fiducia e di altruismo entro i cui confini tutti hanno uguali diritti e doveri. Si imbatterà nel frattempo in una serie di disavventure che riveleranno, invece e forse suo malgrado, la distanza tra il valore simbolico e fortemente evocativo del senso di appartenza alla comunità che l'opera d'arte ha in sè ed il mondo reale. La parola "aiuto", come rappresentazione potente della crisi profonda del progetto sociale, sarà la più pronunciata e la più disattesa. Ostlund ci raffigura un presente smarrito, che non sa più prendersi cura degli ultimi e dove il mondo, in questo caso, dell'arte si/ci illude, facendo presuntuosamente la sua parte, di poter, come si dice, far rientrare dalla finestra ciò che forse è uscito irrimediabilmente dalla porta. Peccato che la narrazione, dell'interessante ed oggi ineluttabile riflessione sulla crisi profonda del welfare nel mondo globalizzato, procedendo per tesi, risulti a tratti farraginosa e troppo scollata dalle vicende personali del protagonista e come un compitino ben fatto, anche se con un finale troppo didascalico, centra l'obbiettivo ma non emoziona mai. Due stelle e mezzo. Ciao Nanni
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genziana
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domenica 26 novembre 2017
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da vedere per discutere e litigare con gli amici
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Un po' bel film, un po'incubo nordico in quello stile brillante-pubblicitario, tangente- in modo più o meno semplificato- all'arte contemporanea, che sta pervadendo il cinema di questi tempi. Pieno di cose belle e al contempo vuoto che mi pare proprio essere il paradigma della pubblicità. Quando in questo vuoto "polished" si affaccia la denuncia (una cosa un po' vaga, tipo diseguaglianze di vario genere) la patina pubblicitaria si fa opaca e si affaccia una sensazione di "sotto il vestito niente". Tuttavia si trascorrono due ore e venti piacevolmente - questa è la trovata planetaria dello stile pubblicitario che fa un by-pass sulla sgradevolezza o la noia- con un picco veramente notevole nella sequenza del performer-scimpanzé.
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Un po' bel film, un po'incubo nordico in quello stile brillante-pubblicitario, tangente- in modo più o meno semplificato- all'arte contemporanea, che sta pervadendo il cinema di questi tempi. Pieno di cose belle e al contempo vuoto che mi pare proprio essere il paradigma della pubblicità. Quando in questo vuoto "polished" si affaccia la denuncia (una cosa un po' vaga, tipo diseguaglianze di vario genere) la patina pubblicitaria si fa opaca e si affaccia una sensazione di "sotto il vestito niente". Tuttavia si trascorrono due ore e venti piacevolmente - questa è la trovata planetaria dello stile pubblicitario che fa un by-pass sulla sgradevolezza o la noia- con un picco veramente notevole nella sequenza del performer-scimpanzé. Da vedere per discutere e litigare con gli amici.
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vitop.
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domenica 26 novembre 2017
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non definito e incompleto
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Critica di una società individualista ed egoista dove è difficile mantenere i propri ideali . The square il santuario dove tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri resta vuoto per tutte le due ore e mezzo del film. Eliminata la statua equestre segno del passato il nuovo è l'egoismo e l'individualismo della gente, : passanti in strada , folla del centro commerciale. Nella serata di gala l'uomo-scimmione minaccia indisturbato e gli invitati intervengono solo quando aggredisce fisicamente la ragazza.Qualche bella fotografia dall'alto del protagonista sotto la pioggia e dalle scale. Sceneggiatura incompleta. Non più di tre stelle e nessun premio da parte mia.
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Critica di una società individualista ed egoista dove è difficile mantenere i propri ideali . The square il santuario dove tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri resta vuoto per tutte le due ore e mezzo del film. Eliminata la statua equestre segno del passato il nuovo è l'egoismo e l'individualismo della gente, : passanti in strada , folla del centro commerciale. Nella serata di gala l'uomo-scimmione minaccia indisturbato e gli invitati intervengono solo quando aggredisce fisicamente la ragazza.Qualche bella fotografia dall'alto del protagonista sotto la pioggia e dalle scale. Sceneggiatura incompleta. Non più di tre stelle e nessun premio da parte mia.
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l''inquilinadelterzopiano
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domenica 26 novembre 2017
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un nuovo cinema tra metalinguaggio e arte contemp.
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale.
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale. The Square è infatti un film dove i confini (non solo fra ciò che è o non è arte) si fondono e mirano, a loro volta, a confondere, destabilizzare e sorprendere lo spettatore. La pellicola si definisce perfettamente già a partire dalla grottesca e assurda sequenza d'apertura in uno spazio del museo, quella del dialogo/intervista sulla questione esposizione/non-esposizione in un campo/controcampo tra la giornalista Anne (Elisabeth Moss) e Christian (Claes Bang), il curatore di un museo di arte contemporanea. In questa sequenza vengono già gettate tutte le basi sulle quali il film tornerà più volte, in modi differenti, ad analizzare la questione “arte contemporanea” con tutto ciò che la circonda, compresi i destinatari delle opere: la società.
Più che le intenzioni di ogni singolo artista contemporaneo, al regista interessano le reazioni del pubblico di fronte (e in mezzo) alle opere, dunque il tema della ricezione dell'arte, per estensione, diventa una riflessione sulla società contemporanea. Perché il significato dell'arte contemporanea non sta nei confini/non-confini dell'opera in sé, ma nello spazio che si viene a creare tra il fruitore e una data opera, quindi nell'interazione pubblico/oggetto estetico. L'arte contemporanea, più di qualsiasi altra arte, per esistere necessita infatti di un pubblico che ne esperisca e la completi tramite l'interazione. Avendo, tale arte, fra le sue caratteristiche più frequenti quella della pervasività, di qui tutta la questione su dove cominci e dove finisca l'opera d'arte, che di fatto non ha più delimitazioni fisiche nette come può essere per un quadro, uno schermo, un brano musicale... e ancora, quanto influisca e quanto sia importante lo spazio espositivo.
Fin dal titolo The Square pone l'attenzione proprio sullo spazio, “The Square” è infatti sia il nome del film sia il titolo dell'installazione in esso tanto discussa: si tratta di un quadrato delimitato da un perimetro luminoso tracciato nella piazza antistante il museo e la cui targa recita: “il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
L'opera d'arte, così come il film stesso, è innanzitutto una riflessione, un'analisi critica su quei “confini”, intesi anche come “limiti”, che oggi non sembrano esistere più e sui quali l'arte contemporanea si interroga in modo sempre più provocatorio. Caratteristica che accomuna tanti artisti, a cominciare dall'arte povera: viene da pensare alle opere di Piero Manzoni, come la Base magica dove chiunque può salire e divenire scultura/opera d'arte vivente, e via via a tutte le correnti dell'arte contemporanea: dalla Land Art all'arte concettuale, passando per la Body Art e i Ready-made duchampiani.
The Square è cinema che assorbe e trasuda arte contemporanea: è bizzarro, grottesco, nonsense, estremo, performativo, è un percorso che indaga e mostra non solo i vari spazi espositivi del museo, e di volta in volta le diverse opere che vi si incontrano, ma lo fa inserendoci la macchina da presa, i suoi attori, e facendo difatti interagire la settima arte (il film stesso in tutti i suoi aspetti estetico-narrativi), con l'arte contemporanea (le varie opere all'interno del museo).
Ma ancor di più The Square può essere inteso come una performance lunga oltre 140 minuti, che già a partire dalla sua durata “anticonvenzionale” mette alla prova il suo spettatore, dove la musica non è una componente affatto minore, i diversi brani della colonna sonora infatti donano omogeneità e continuità, come anche le interpretazioni degli attori (Claes Bang primo fra tutti) che, tra peripezie e andirivieni, diventano a loro volta performer di continue performance senza mai annullarsi in uno dei due ruoli ma coesistendo con equilibrio, pertinenza, sensibilità, coerenza unici che fanno di The Square il potenziale capostipite di una nuova corrente cinematografica.
Si può allora parlare di “cinema contemporaneo” con la stessa accezione che all'epoca fu attribuita alla definizione di “cinema moderno” grazie a Citizen Kane? È un interrogativo che per ora può solamente restare aperto, in attesa di ricevere la sua, mi auguro spettante, interazione.
Martina Cancellieri
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l''inquilinadelterzopiano
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domenica 26 novembre 2017
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un nuovo cinema: tra metalinguaggio e arte contemp
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale.
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale. The Square è infatti un film dove i confini (non solo fra ciò che è o non è arte) si fondono e mirano, a loro volta, a confondere, destabilizzare e sorprendere lo spettatore. La pellicola si definisce perfettamente già a partire dalla grottesca e assurda sequenza d'apertura in uno spazio del museo, quella del dialogo/intervista sulla questione esposizione/non-esposizione in un campo/controcampo tra la giornalista Anne (Elisabeth Moss) e Christian (Claes Bang), il curatore di un museo di arte contemporanea. In questa sequenza vengono già gettate tutte le basi sulle quali il film tornerà più volte, in modi differenti, ad analizzare la questione “arte contemporanea” con tutto ciò che la circonda, compresi i destinatari delle opere: la società.
Più che le intenzioni di ogni singolo artista contemporaneo, al regista interessano le reazioni del pubblico di fronte (e in mezzo) alle opere, dunque il tema della ricezione dell'arte, per estensione, diventa una riflessione sulla società contemporanea. Perché il significato dell'arte contemporanea non sta nei confini/non-confini dell'opera in sé, ma nello spazio che si viene a creare tra il fruitore e una data opera, quindi nell'interazione pubblico/oggetto estetico. L'arte contemporanea, più di qualsiasi altra arte, per esistere necessita infatti di un pubblico che ne esperisca e la completi tramite l'interazione. Avendo, tale arte, fra le sue caratteristiche più frequenti quella della pervasività, di qui tutta la questione su dove cominci e dove finisca l'opera d'arte, che di fatto non ha più delimitazioni fisiche nette come può essere per un quadro, uno schermo, un brano musicale... e ancora, quanto influisca e quanto sia importante lo spazio espositivo.
Fin dal titolo The Square pone l'attenzione proprio sullo spazio, “The Square” è infatti sia il nome del film sia il titolo dell'installazione in esso tanto discussa: si tratta di un quadrato delimitato da un perimetro luminoso tracciato nella piazza antistante il museo e la cui targa recita: “il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
L'opera d'arte, così come il film stesso, è innanzitutto una riflessione, un'analisi critica su quei “confini”, intesi anche come “limiti”, che oggi non sembrano esistere più e sui quali l'arte contemporanea si interroga in modo sempre più provocatorio. Caratteristica che accomuna tanti artisti, a cominciare dall'arte povera: viene da pensare alle opere di Piero Manzoni, come la Base magica dove chiunque può salire e divenire scultura/opera d'arte vivente, e via via a tutte le correnti dell'arte contemporanea: dalla Land Art all'arte concettuale, passando per la Body Art e i Ready-made duchampiani.
The Square è cinema che assorbe e trasuda arte contemporanea: è bizzarro, grottesco, nonsense, estremo, performativo, è un percorso che indaga e mostra non solo i vari spazi espositivi del museo, e di volta in volta le diverse opere che vi si incontrano, ma lo fa inserendoci la macchina da presa, i suoi attori, e facendo difatti interagire la settima arte (il film stesso in tutti i suoi aspetti estetico-narrativi), con l'arte contemporanea (le varie opere all'interno del museo).
Ma ancor di più The Square può essere inteso come una performance lunga oltre 140 minuti, che già a partire dalla sua durata “anticonvenzionale” mette alla prova il suo spettatore, dove la musica non è una componente affatto minore, i diversi brani della colonna sonora infatti donano omogeneità e continuità, come anche le interpretazioni degli attori (Claes Bang primo fra tutti) che, tra peripezie e andirivieni, diventano a loro volta performer di continue performance senza mai annullarsi in uno dei due ruoli ma coesistendo con equilibrio, pertinenza, sensibilità, coerenza unici che fanno di The Square il potenziale capostipite di una nuova corrente cinematografica.
Si può allora parlare di “cinema contemporaneo” con la stessa accezione che all'epoca fu attribuita alla definizione di “cinema moderno” grazie a Citizen Kane? È un interrogativo che per ora può solamente restare aperto, in attesa di ricevere la sua, mi auguro spettante, interazione.
Martina Cancellieri
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valterchiappa
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sabato 25 novembre 2017
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l'angusto quadrato del perbenismo
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“The Square“, un’installazione d’arte concettuale, sostituisce un monumento equestre, simbolo di una storia e di idee decadute (letteralmente). Uno spazio di pochi metri quadri delimitato da un contorno luminoso, definito pomposamente “un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”. Nel simbolo del quadrato, la forma perfetta per antonomasia, l’arte, ambiziosa, vuole racchiudere gli ideali di una nuova società, dei quali, rivendicando la propria funzione politica, si propone come creatrice e promotrice.
È sufficiente però un evento minimo, il destro furto di un portafogli e di un cellulare per far crollare quel castello di costruzioni mentali.
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“The Square“, un’installazione d’arte concettuale, sostituisce un monumento equestre, simbolo di una storia e di idee decadute (letteralmente). Uno spazio di pochi metri quadri delimitato da un contorno luminoso, definito pomposamente “un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”. Nel simbolo del quadrato, la forma perfetta per antonomasia, l’arte, ambiziosa, vuole racchiudere gli ideali di una nuova società, dei quali, rivendicando la propria funzione politica, si propone come creatrice e promotrice.
È sufficiente però un evento minimo, il destro furto di un portafogli e di un cellulare per far crollare quel castello di costruzioni mentali. Il derubato è Christian (Claes Bang), il vanesio direttore del Museo che ha acquisito The Square, il quale si lancerà in una ricerca affannosa del maltolto, giungendo ad immergersi in un contesto di anonimi palazzi di periferia, realtà antitetica alla bellezza levigata ed artificiosa dove usualmente galleggia, ciò che il perimetro del suo Quadrato non riesce ad abbracciare.
A seguire una girandola di episodi, non necessariamente interconnessi, in cui ad una pretesa volontà demiurgica ed ordinatrice dell’arte si contrappone una realtà caoticamente e violentemente ribelle ad ogni forma di inquadramento, dalla conferenza dell’artista interrotta dalle sconcezze di uno spettatore con la sindrome di Tourette, all’esibizione del performer che si propone come uomo-scimmia, finendo per sconvolgere la compostezza snob di una cena di gala.
Tutto narra di uno iato insuperabile fra la realtà e la sua concezione o idealizzazione. Il regista Ruben Östlund ce ne offre anche la chiave interpretativa: con la forza delle immagina, quando dissemina fra il turbinio degli eventi immagini di senzatetto, come presenze invisibili nell’indifferenza dei passanti; o dichiarando esplicitamente, come lo spettatore della conferenza che, unico, fa notare il disturbo del disturbatore, mentre tutti si soffermano sull’inopportunità del suo comportamento.
L’autocompiacimento per un mondo falsamente perfetto, dove esporre installazioni di dubbio valore come dei mucchi di sassi (eventualmente sostituibili all’occorrenza), dove anche una borsetta lasciata per caso può diventare un pezzo da museo, sono le manifestazioni di un’arte svuotata di contenuto come le sue opere, onanisticamente gratificata da ciò che appare, del tutto estranea a ciò che è. Ma, ancor peggio, è un’arte incapace di comprendere la realtà, quando essa si presenta in tutta la imprevedibile Verità; un’arte che espone e non si oppone; un’arte dove la mancanza di empatia, di sensibilità, di umanità si traduce in assenza d’impegno, al di là delle belle intenzioni.
La denuncia di Östlund è roboante, soprattutto se la si considera non limitata al mondo della cultura, ma la si estende all’intera società. I valori perbenisti ostentatamente sbandierati del politically correct non sono altro che mere etichette, se i conflitti sociali sono misconosciuti e la realtà è solo quella di una egoistica competizione, che si affanna a difendere le proprie posizioni, materializzate negli status symbol più insignificanti come un misero cellulare. Una denuncia che diventa una inappellabile sentenza di condanna, se, come accade nel film, è affidata alle parole di un bambino, che, implacabile come un tarlo nel cervello, accusa chi, invece di tutelarlo lo ha diffamato.
Opera potente ed ambiziosa quella di Ruben Östlund, carica di complesse metafore che il regista svedese già nel precedente “Forza maggiore” ha dimostrato di saper padroneggiare, affrontata con un acido sarcasmo che strizza il fegato, mentre apre le labbra ad un sardonico sorriso, dipinta col registro del grottesco, seguendo un filo nella cinematografia scandinava che passa inevitabilmente per Roy Andersson. Opera rutilante, caleidoscopica, anche trascinante, se si riescono a seguire le acrobazie mentali dell’autore. Meriti riconosciuti dalla giuria del Festival di Cannes, che gli ha conferito la Palma d’Oro.
Quale il limite del suo lavoro? “The Square” assomiglia troppo all’opera da cui prende il nome. L’ostentata provocazione di Östlund più che di rabbia profuma di elitario narcisismo, in cui il regista, così come il suo protagonista finisce inevitabilmente per cadere (e che lo porta peraltro a girare svariati metri di pellicola in più).
L’intellettualismo consente di scattare fotografie impietose, sezionare con squarci profondi, analizzare con occhio microscopico. Ma è il cuore, illogico, caotico, asimmetrico, a portarci fuori dall’angusto perimetro del Quadrato.
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manuelazarattini
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sabato 25 novembre 2017
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per riflettere
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Un film che affronta vari temi in modo profondo e che porta a inevitabili riflessioni. Le opere moderne sono veramente sempre delle opere d'arte o si tratta spesso solo di un bluff? E se si tratta di opere d'arte possono essere comprese solo da pochi "eletti" illuminati o anche dalla gente comune? Ciascuno può trovare la sua risposta ma nel film traspare una certa irriverenza e scetticismo verso questa elite di intellettuali che io, personalmente, condivido. Ma il film affronta anche il tema della povertà di tante persone che invadono, chiedendo l'elemosina, qualsiasi città urbana. E sottolinea l'atteggiamento che molti di noi hanno verso di loro: fastidio e indifferenza (la scena iniziale in cui un'attivista chiede sostegno ai passanti per la lotta contro le persone in difficoltà ignorando proprio alle sue spalle un ragazzo steso in strada che chiaramente ha bisogno di aiuto è indicativa).
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Un film che affronta vari temi in modo profondo e che porta a inevitabili riflessioni. Le opere moderne sono veramente sempre delle opere d'arte o si tratta spesso solo di un bluff? E se si tratta di opere d'arte possono essere comprese solo da pochi "eletti" illuminati o anche dalla gente comune? Ciascuno può trovare la sua risposta ma nel film traspare una certa irriverenza e scetticismo verso questa elite di intellettuali che io, personalmente, condivido. Ma il film affronta anche il tema della povertà di tante persone che invadono, chiedendo l'elemosina, qualsiasi città urbana. E sottolinea l'atteggiamento che molti di noi hanno verso di loro: fastidio e indifferenza (la scena iniziale in cui un'attivista chiede sostegno ai passanti per la lotta contro le persone in difficoltà ignorando proprio alle sue spalle un ragazzo steso in strada che chiaramente ha bisogno di aiuto è indicativa). Gli interpreti sono tutti molto bravi e anche l'ambientazione è particolare e curata. Il film però è troppo lungo perché la trama è innestata di alcuni episodi secondo me non necessari e che rendono a tratti noioso lo sviluppo della storia (ad esempio le vicende delle due figlie del protagonista).
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zim
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lunedì 20 novembre 2017
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duchamp al quadrato
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Si entra ed esce dal quadro partendo da un presupposto: Per quale tempo e in quale spazio l'ovvio quotidiano diventa arte? L'esercizio ce lo ha insegnato Duchamp e a partire da lui nulla é risulta scontato nell'arte d'oggi. Perplessità e il dubbio di essere presi per i fondelli minacciano la nostra spensierata contemplazione dell'arte. Una statua equestre è rimossa, rovina sbilenca, lasciando libero lo spazio al luogo dell'opera: Un quadrato delimitato da sampietrini e da una sottile cornice di led luminosi che nell'intenzione dell'artista dovrebbe essere segno, concreto, "santuario di fiducia e amore, all' interno del quale tutti abbiamo gli stessi diritti e obblighi.
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Si entra ed esce dal quadro partendo da un presupposto: Per quale tempo e in quale spazio l'ovvio quotidiano diventa arte? L'esercizio ce lo ha insegnato Duchamp e a partire da lui nulla é risulta scontato nell'arte d'oggi. Perplessità e il dubbio di essere presi per i fondelli minacciano la nostra spensierata contemplazione dell'arte. Una statua equestre è rimossa, rovina sbilenca, lasciando libero lo spazio al luogo dell'opera: Un quadrato delimitato da sampietrini e da una sottile cornice di led luminosi che nell'intenzione dell'artista dovrebbe essere segno, concreto, "santuario di fiducia e amore, all' interno del quale tutti abbiamo gli stessi diritti e obblighi." in somma il quadrato è cifra d'ordine amorevole contrapposto al caos del mondo. Di fatti all'interno del quadrato avviene di tutto, la sua potenza riverbera nella galleria, nelle sue installazioni, nella casa del produttore artistico, in un triste quartiere periferico e all'interno dei suoi anonimi falansteri, in una sfarzosa cena sociale con tanto di performance savage e persino nell'alcova di un incontro amoroso occasionale del nostro protagonista produttore artistico. L'inquadratura è ferma, rari e strettamente funzionali i movimenti di macchina, il regista indugia nel montaggio interno, gioca col suono off, sembra quasi rincorrere una verginità di sguardo che fu dei fratelli Lumière salvo poi a far saltare in aria una bimba in una clip promozionale del quadrato e far dire ad un personaggio che un tempo un adulto che avvicina ad un bimbo era percezione di protezione e sicurezza oggi innesca ansia e preoccupazione per indicibili perversioni. (ricordiamo la colazione del bebè dei Lumière il finale di arancia meccanica.) Insomma non c'è pace e la dinamica della complessità è declinata in un ironico crescendo di eventi che hanno del paradossale, ironia ed estrema stupidità. La forza del quadrato sta più che nell'ordinare nel disordinare, meglio forse nel complicare e domandare sulla miseria del mondo, la sua immondizia e quantità di orrore necessaria per intrappolare l'attenzione.
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mciril
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domenica 19 novembre 2017
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originale e basta
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Film con una confusione di temi descritti male e non chiusi. Lungo e con scene iperboliche senza un senso nella logica del messaggio (E si che il tema era molto promettente). Il cinismo con cui si sviluppa la sorte del protagonista-vittima lascia a bocca aperta: in nome di cosa l´accanimento? Me lo spiega qualcuno?
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