emanuele1968
|
giovedì 14 dicembre 2017
|
bello
|
|
|
|
Bella la scena di quando chiede aiuto al mendicante, anche quando cercano di far ragionare il bambino, << vuoi salvare una vita? >> risposta << No grazie >> cambiano soggetti ma la sostanza e quella, molte analogie con la vita, il film e bello pero.....mah? spettatori perplessi.
|
|
[+] lascia un commento a emanuele1968 »
[ - ] lascia un commento a emanuele1968 »
|
|
d'accordo? |
|
|
sabato 9 dicembre 2017
|
il peggior film che abbia visto
|
|
|
|
Noiso, pesante, squallido. Un tentativo goffo di trasmettere un messaggio di solidarietà e di riflessione su se stessi e sull'umanità. Non mi è piaciuto, per nulla.
[+] palloso
(di antoniapo)
[ - ] palloso
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
maumauroma
|
venerdì 8 dicembre 2017
|
the square
|
|
|
|
Della vita del signor Christian non conosciamo molto. Sappiamo solo che fa il curatore presso il museo di arte moderna di Stoccolma, che e' separato o divorziato, che ha due giovani figliolette, e che se la passa piuttosto bene visto che abita in una bella casa e che scorazza lungo le strade della citta' svedese a bordo della sua potente e silenziosa auto elettrica. Christian svolge il suo lavoro con diligenza e precisione anche se con una patina di noia imposta dalla routine quotidiana. Ma il furto con destrezza subito una mattina mentre cammina in mezzo alla folla in una via di Stoccolma, il furto del suo cellulare, del suo portafoglio e dei preziosi gemelli della camicia, sara' destinato a cambiare le sue abitudini di vita e i rapporti con i suoi simili.
[+]
Della vita del signor Christian non conosciamo molto. Sappiamo solo che fa il curatore presso il museo di arte moderna di Stoccolma, che e' separato o divorziato, che ha due giovani figliolette, e che se la passa piuttosto bene visto che abita in una bella casa e che scorazza lungo le strade della citta' svedese a bordo della sua potente e silenziosa auto elettrica. Christian svolge il suo lavoro con diligenza e precisione anche se con una patina di noia imposta dalla routine quotidiana. Ma il furto con destrezza subito una mattina mentre cammina in mezzo alla folla in una via di Stoccolma, il furto del suo cellulare, del suo portafoglio e dei preziosi gemelli della camicia, sara' destinato a cambiare le sue abitudini di vita e i rapporti con i suoi simili. Come una sorta di moderno Virgilio, a sua insaputa, al tempo stesso protagonista, complice e vittima, Christian ci condurra' con la sua Tesla, non tra i gironi e le bolge dove si dibattono le anime dei dannati, ma in un altro inferno, quello del mondo dei vivi di oggi, in particolar modo il mondo dei paesi ricchi, tra le indifferenze e le diffidenze verso gli emarginati, tra gli abissi di egoismo che separano benessere e poverta', tra le difficolta' di interrelazionarsi tra le persone e tra i sessi, un mondo dove la fiammella della creativita' artistica si e' fatta con gli anni sempre piu' flebile, quando mucchietti di argilla espansa posti con regolarita' spaziale sul pavimento della sala di un museo o un piccolo quadrato di luce entrando al cui interno ogni essere umano puo' godere di diritti e dei doveri che gli sono preclusi nella societa' esterna,sono li' a rappresentare il decadimento e la precarieta' del nostro vivere, tra finzioni e manierismi , quando la arida razionalita' soffoca la naturalezza dei rapporti tra gli esseri umani. Il bel film di Ruben Ostlund, giustamente premiato a Cannes, omologato come commedia drammatica, e' in realta' molto di piu'.
Il regista svedese lancia il suo atto di accusa verso questa societa' alternando il fioretto alla mannaia. Per tutta la lunga durata del film. aleggia una tensione e una suspence ottenuta con quasi subliminali spostamenti della macchina da presa che tengono avvinto lo spettatore, incollandolo alla poltrona. La lunga e splendida scena della cena di gala ne e' una lampante dimostrazione. La fotografia un po' sbiadita come simbolo dello scolorimento delle anime. Belle le musiche suggestivamente riadattate di Bach e di Gounod. Bravi gli attori. Peccato solo per un finale un po' didascalico e sbrigativo. Ma quella pura vocina di bimbo che ci chiede aiuto restera' a lungo nella memoria e nella coscienza
[-]
|
|
[+] lascia un commento a maumauroma »
[ - ] lascia un commento a maumauroma »
|
|
d'accordo? |
|
no_data
|
giovedì 7 dicembre 2017
|
il cerchio in cui è radicata la legge morale
|
|
|
|
IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
[+]
IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
Il quadrato è un’istallazione che viene montata nello spazio antistante il museo di arte moderna di Stoccolma il cui direttore è Christian il protagonista del film, esso rappresenta “un santuario di fiducia e altruismo" uno spazio all’interno del quale le persone godono di uguali diritti, sono al riparo da violenze soprusi ed aiutati da tutti .
Il film inizia con la costruzione del perimetro luminoso che servirà a delimitare tale spazio le immagini appaiono nitide essenziali la fotografia è impeccabile così come è l’aspetto del direttore del museo elegante distaccato carismatico. Ma subito accade qualcosa : Christian mentre si sta recando al museo viene derubato da uno sconosciuto del portafoglio e del telefonino. Da qui il film assume un’andamento incomprensibile e spiazzante. Il protagonista nel tentativo di recuperare il suoi beni scrive una lettera nella quale accusa il ricevente della stessa di essere un ladro invitandolo a restituire il maltolto.
Ne stampa decine di copie dopodiché si reca egli stesso nel palazzo di periferia ad imbucare la lettera nella cassetta della posta attaccata ad ogni porta dell’edificio. Fin qui il nostro protagonista è ancora all’interno del suo quadrato di quello spazio personale di civiltà e tolleranza. La risposta che ne riceve lo costringe ad uscire dal suo luogo di accettazione e perbenismo ed a poco a poco lo spettatore viene trascinato in un crescendo di angoscia e timore. Destabilizzante la scena in cui il protagonista si trova sotto casa il bambino che ostinatamente gli chiede di discolparsi con lui per l’offesa ricevuta e lui negandogli ogni gesto di scusa lo abbandonerà al buio sul pianerottolo da cui giungerà un sempre più flebile lamento ed una inevasa richiesta di aiuto.
Christian a questo punto è uscito dal quadrato del “politycal correct.”
Ora l’osservazione si fa più attenta, nulla nel film è casuale : non lo è la scelta del luogo dove il film si muove nella civilissima Svezia e ciò non solo perché il regista è svedese ma perché la Svezia rappresenta il prototipo dei paesi più socialmente progrediti in virtù della sua storia e della politica di tolleranza adottata. Non è un caso il fatto che l’azione si svolge all’interno di un museo di arte contemporanea guidata da un direttore artistico che stabilisce supportando il giudizio dei critici cosa sia arte e cosa non lo sia. Illuminante la scena dell’intervista concessa dal direttore ad una giornalista che gli chiede il significato dell’arte moderna .Chistian risponde alla domanda prendendo la borsetta della donna e ponendola all’interno di uno spazio spiegando come un qualsiasi oggetto diventi opera artistica in virtù della sua collocazione
E’ qui che il regista Ruben Ostlund ci impone una pausa di riflessione. La mia reazione al film è stata immediata e di pancia : mi è apparsa nella mente un’immagine pubblicitaria di molti anni fa che reclamizzava una nota marca di pneumatici nella quale si coglieva il mitico velocista statunitense Carl Lewis inginocchiato al blocco di partenza nell’attimo in cui stava per iniziare la gara che indossava un paio di scarpe rosse con taccpotenza non è nulla senza l’aderenza “ Era un’immagine diretta che attraversava i nostri sensi risultando immediatamente intellegibile.
Nel film la trasposizione metaforica dello spot è l’identificazione della potenza muscolare dell’atleta con la potenza della giustizia, degli uguali diritti, dell’accoglienza, della fratellanza, della compassione di tutti quei valori che a nulla servirebbero senza l’aderenza ad un progetto più profondo.
Forse è questa la provocazione/riflessione : il perimetro del quadrato potrà essere frantumato soltanto in una società laddove il comportamento dell’uomo avverrà come
scelta consapevole di non commettere ingiustizia, di non compiere il male non perché vietato e punito da una legge civile ma perché impedito dalla legge morale che come affermava Immanuel Kant è radicata dentro di noi.
.:
IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
Il quadrato è un’istallazione che viene montata nello spazio antistante il museo di arte moderna di Stoccolma il cui direttore è Christian il protagonista del film, esso rappresenta “un santuario di fiducia e altruismo" uno spazio all’interno del quale le persone godono di uguali diritti, sono al riparo da violenze soprusi ed aiutati da tutti .
Il film inizia con la costruzione del perimetro luminoso che servirà a delimitare tale spazio le immagini appaiono nitide essenziali la fotografia è impeccabile così come è l’aspetto del direttore del museo elegante distaccato carismatico. Ma subito accade qualcosa : Christian mentre si sta recando al museo viene derubato da uno sconosciuto del portafoglio e del telefonino. Da qui il film assume un’andamento incomprensibile e spiazzante. Il protagonista nel tentativo di recuperare il suoi beni scrive una lettera nella quale accusa il ricevente della stessa di essere un ladro invitandolo a restituire il maltolto.
Ne stampa decine di copie dopodiché si reca egli stesso nel palazzo di periferia ad imbucare la lettera nella cassetta della posta attaccata ad ogni porta dell’edificio. Fin qui il nostro protagonista è ancora all’interno del suo quadrato di quello spazio personale di civiltà e tolleranza. La risposta che ne riceve lo costringe ad uscire dal suo luogo di accettazione e perbenismo ed a poco a poco lo spettatore viene trascinato in un crescendo di angoscia e timore. Destabilizzante la scena in cui il protagonista si trova sotto casa il bambino che ostinatamente gli chiede di discolparsi con lui per l’offesa ricevuta e lui negandogli ogni gesto di scusa lo abbandonerà al buio sul pianerottolo da cui giungerà un sempre più flebile lamento ed una inevasa richiesta di aiuto.
Christian a questo punto è uscito dal quadrato del “politycal correct.”
Ora l’osservazione si fa più attenta, nulla nel film è casuale : non lo è la scelta del luogo dove il film si muove nella civilissima Svezia e ciò non solo perché il regista è svedese ma perché la Svezia rappresenta il prototipo dei paesi più socialmente progrediti in virtù della sua storia e della politica di tolleranza adottata. Non è un caso il fatto che l’azione si svolge all’interno di un museo di arte contemporanea guidata da un direttore artistico che stabilisce supportando il giudizio dei critici cosa sia arte e cosa non lo sia. Illuminante la scena dell’intervista concessa dal direttore ad una giornalista che gli chiede il significato dell’arte moderna .Chistian risponde alla domanda prendendo la borsetta della donna e ponendola all’interno di uno spazio spiegando come un qualsiasi oggetto diventi opera artistica in virtù della sua collocazione
E’ qui che il regista Ruben Ostlund ci impone una pausa di riflessione. La mia reazione al film è stata immediata e di pancia : mi è apparsa nella mente un’immagine pubblicitaria di molti anni fa che reclamizzava una nota marca di pneumatici nella quale si coglieva il mitico velocista statunitense Carl Lewis inginocchiato al blocco di partenza nell’attimo in cui stava per iniziare la gara che indossava un paio di scarpe rosse con taccpotenza non è nulla senza l’aderenza “ Era un’immagine diretta che attraversava i nostri sensi risultando immediatamente intellegibile.
Nel film la trasposizione metaforica dello spot è l’identificazione della potenza muscolare dell’atleta con la potenza della giustizia, degli uguali diritti, dell’accoglienza, della fratellanza, della compassione di tutti quei valori che a nulla servirebbero senza l’aderenza ad un progetto più profondo.
Forse è questa la provocazione/riflessione : il perimetro del quadrato potrà essere frantumato soltanto in una società laddove il comportamento dell’uomo avverrà come
scelta consapevole di non commettere ingiustizia, di non compiere il male non perché vietato e punito da una legge civile ma perché impedito dalla legge morale che come affermava Immanuel Kant è radicata dentro di noi.
Elena
.:
[-]
|
|
[+] lascia un commento a no_data »
[ - ] lascia un commento a no_data »
|
|
d'accordo? |
|
robertalamonica
|
venerdì 1 dicembre 2017
|
la scimmia nuda
|
|
|
|
Il regista svedese Ruben Östlund vince la Palma d’oro al festival di Cannes con un film sorprendente, altamente simbolico e a tratti disturbante.
[+]
Il regista svedese Ruben Östlund vince la Palma d’oro al festival di Cannes con un film sorprendente, altamente simbolico e a tratti disturbante.
The Square è ‘un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri’.
Questo l’intento filantropico dietro il lancio dell’opera che dovrà dare un impulso ulteriore al museo di arte contemporanea di cui Christian (un fantastico Claes Bang) è curatore a Stoccolma. E che l’idea dietro questa installazione sia in qualche modo ‘sovversiva e definitiva’ lo si capisce chiaramente dalla goffa ma incontrovertibile tenacia con cui si eradica l’antica statua equestre simbolo di un’arte figurativa ormai senza alcun messaggio di cui ‘il quadrato’ prende il posto.
Il quadrato, simbolo di definizione e delimitazione fa da cornice alla vita di Christian, intellettuale moderno che si compiace della posizione di potere dalla quale guarda il mondo, non è consapevole dei limiti paradossali che il suo ruolo impone all’essenza stessa dell’arte che propone e promuove e si circonda di subalterni acquiescenti, patrocinatori inconsapevoli e adoranti ammiratori.
Tutto ha un posto perfetto nella sua vita, fino a quando un incidente banale, il furto di portafogli e telefono, sposta la prospettiva e ridefinisce il punto di vista. E proprio la rottura dei limiti, la confusione e un sano, istintivo e primordiale desiderio di vendetta, spingono Christian a lasciare la sua torre d’Avorio per scendere agli Inferi dei palazzoni popolari alla periferia di Stoccolma dove il suo orizzonte diventa assolutamente indistinto e caotico. ‘Renderò la tua vita un caos’, minaccia il ragazzino dei palazzoni di periferia e non per il comportamento irragionevole tenuto dal curatore ma per aver infranto l’ordine delle cose.
The Square si può definire come una critica feroce alla società occidentale tronfia e autoreferenziale e in particolare a un certo ambiente borghese che definisce gli standard del gusto e degli orientamenti culturali e artistici. E questa critica risulta tanto più efficace per il fatto di essere il film ambientato in Svezia, riconosciuto modello di evoluzione etica e progressista dei valori fondanti della civiltà occidentale.
E invece anche in Svezia ci sono gli zingari e gli zingari sono colorati e ‘molesti’ come in ogni altra metropoli europea e l’intellettuale svedese dà loro dei soldi e compra loro del cibo fintanto che la sua confort zone non viene invasa e il suo mondo non viene scosso nelle piccole certezze nelle quali si culla.
E allora l’unica possibilità di fronte al fallimento del modello perfetto e allo sbigottimento conseguente resta la deflagrazione o la regressione e una nietzschiana palingenesi reazionaria dell’umanità.
Ma ogni palingenesi comporta una rinascita e in quest’opera nascita e infanzia assumono contorni desolanti.
La nascita è totalmente negata come si deduce dalla battaglia per gettare il profilattico ingaggiata tra Christian e Anne. Il profilattico è conteso, teso, tirato per eliminare e disperdere il seme generatore di vita dalla cui perpetrazione Christian è terrorizzato.
L’infanzia invece è distorta, manipolata... essa assume tratti isterici nel bambino che reclama la ‘sua’ giustizia, note di disorientamento nelle due figlie-pacco di Christian, carattere di orpello inutile nel neonato portato nelle riunioni di lavoro dal collaboratore del direttore e infine ha tragica funzione di agnello sacrificale nel ‘quadrato’ che avrebbe dovuto segnare il punto massimo di concettualizzazione del gusto estetico e artistico di un certo mondo e che in realtà si rivela un buco nero che con sé tutto trascina e annienta.
In quest’ottica acquista quindi un significato fortemente simbolico il gorilla che inaspettatamente compare nell’appartamento di Anne durante il suo incontro intimo con Christian e la sconvolgente performance di Terry Notary che spinge l’opera d’arte che egli stesso rappresenta oltre i limiti della finzione a invadere il mondo patinato e ingessato dell’alta borghesia svedese che comunque china il capo di fronte alla violenza della forza generatrice e primordiale che Notary in qualità di ‘primate’ incarna.
Östlund compie un’indagine etologica del campionario umano che ha a disposizione in cui non si possono non cogliere echi e suggestioni dalla ‘scimmia nuda’ di Desmond Morris.
Curiosamente la centralità della figura materna cui Morris fa riferimento nel suo trattato divulgativo è totalmente assente nel film del regista svedese nell’ottica dell’impossibilità di una perpetrazione del genere umano secondo la prospettiva e il sistema di valori definiti da ‘The Square’. Solo nella commistione tra la pioggia che lava e rigenera e il pattume che lorda e delimita si intravede una vaga possibilità di rinascita.
Tra umana disumanità, isteriche recriminazioni, falsa cortesia, comici fraintendimenti e disorientanti scale a chiocciola si consuma la fine di ciò che si può ‘dire’ nell’arte e di ciò che si può vivere nella bolla alto borghese di cui Christian è un sommo rappresentante.
Con questo scopo Östlund protrae oltre i limiti la durata del suo film come ultimo omaggio allo sventurato protagonista della sua analisi sociale e antropologica, un uomo che non può più stare nel ‘quadrato’ perché solo fuori, solo spingendosi oltre i limiti può sperare di ritrovare la propria raison d’etre.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a robertalamonica »
[ - ] lascia un commento a robertalamonica »
|
|
d'accordo? |
|
|
venerdì 1 dicembre 2017
|
recensione the square
|
|
|
|
The Square di Rubén Ostlund. Voto:7,5
Palma d'oro 2017 al festival del cinema di Cannes. A cavallo fra la mondanità di Sorrentiniana memoria (la grande bellezza) e la sferzante critica Bunueliana (l'angelo sterminatore) questo the Square è un film sul caos che imperversa nell'ordine borghese della società moderna, prima ancora che sulla gestione di una galleria d'arte. Interessantissimo anche il tema dell'emarginazione sociale in una Svezia forse troppo perfetta; il titolo the Square è proprio il nome di un'opera d'arte (un quadrato inciso sul pavimento antistante la facciata dell'edificio al cui interno tutti hanno uguali diritti e doveri) esposta nel museo diretto dal protagonista.
[+]
The Square di Rubén Ostlund. Voto:7,5
Palma d'oro 2017 al festival del cinema di Cannes. A cavallo fra la mondanità di Sorrentiniana memoria (la grande bellezza) e la sferzante critica Bunueliana (l'angelo sterminatore) questo the Square è un film sul caos che imperversa nell'ordine borghese della società moderna, prima ancora che sulla gestione di una galleria d'arte. Interessantissimo anche il tema dell'emarginazione sociale in una Svezia forse troppo perfetta; il titolo the Square è proprio il nome di un'opera d'arte (un quadrato inciso sul pavimento antistante la facciata dell'edificio al cui interno tutti hanno uguali diritti e doveri) esposta nel museo diretto dal protagonista. La scena principe di tutta la pellicola è la spiazzante irruzione di un uomo-gorilla durante un banchetto borghese, il che rende vagamente l'idea di cosa sia questo folle film dello svedese Rubén Ostlund, già autore de l'acclamato "Forza maggiore". Un'opera importante, dalle innumerevoli sfaccettature che risulta sfilacciata e "senza meta" in una prima parte in cui imbocca più strade senza trovare mai la bussola, lasciando lo spettatore brancolante e perplesso. Peccato per la lunghezza eccessiva, perché quando decolla è di vibrante fascino tematico. Più sintetico nonché maggiormente a fuoco sarebbe stato un capolavoro!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
crisalidea
|
mercoledì 29 novembre 2017
|
di forme e confini. ovvero intorno alla democrazia
|
|
|
|
Nel 2017 escono nelle sale due film che hanno diverse cose in comune di cui una mi ha colpito particolarmente: il titolo è il nome di una figura geometrica.
Un cerchio e un quadrato.
Anzi il cerchio e il quadrato.
Ed anche la forma assume qui un significato inaspettato: gli avvenimenti non riguardano infatti ciò che accade dentro quel quadrato, come si sarebbe portati a credere, ma quasi esclusivamente ciò che accade fuori.
Quello che interessa non è infatti la regione interna di una figura così regolare ma quello che i suoi confini individuano come spazio esterno. C'è un sovvertimento del classico rapporto figura sfondo.
[+]
Nel 2017 escono nelle sale due film che hanno diverse cose in comune di cui una mi ha colpito particolarmente: il titolo è il nome di una figura geometrica.
Un cerchio e un quadrato.
Anzi il cerchio e il quadrato.
Ed anche la forma assume qui un significato inaspettato: gli avvenimenti non riguardano infatti ciò che accade dentro quel quadrato, come si sarebbe portati a credere, ma quasi esclusivamente ciò che accade fuori.
Quello che interessa non è infatti la regione interna di una figura così regolare ma quello che i suoi confini individuano come spazio esterno. C'è un sovvertimento del classico rapporto figura sfondo.
La figura serve per permetterci di vedere lo sfondo.
E lo sfondo in cui si muovono personaggi appartenenti alla borghesia intellettuale di uno dei Paesi che viene considerato tra i più democratici d'Europa si identifica in quella figura, elegante altare del bene, "santuario luminoso di fiducia e altruismo", ma ne resta per tutto il film al di fuori.
Gli unici ad entrare nel quadrato sono bambini, manipolati da adulti che vi proiettano ancora un'idea di purezza. Ma anch'essi aldilà delle proiezioni di cui sono oggetto fanno umanamente parte dello sfondo e lo vediamo negli accenni all'esistenza e ai comportamenti delle due figlie del protagonista.
Ed è sempre un bambino, questa volta scuro di capelli e carnagione che vive in un quartiere popolare, quindi pienamente sullo sfondo di quella società, a mettere fortemente in crisi, a far crollare in un mucchio di immondezza, l'immagine di -quadrato luminoso- che il protagonista sembra inizialmente avere di sé.
L'esterno del quadrato viene a riprendersi ciò che si credeva dentro.
Succede anche nella bellissima performance in cui un uomo agisce come un animale non solo selvatico, ma aggressivo e dominatore.
Gli spettatori prima passivi e preoccupati solo di salvare se stessi esplodono in un impeto di violenza fisica che sembra arrivare ad uccidere un uomo.
La compostezza quadrata si rivela violenza cieca senza possibilità di vie di mezzo, di integrazione di modalità.
Il confine è ben netto ed è l'esistenza di quel confine a rendere possibile a ciò che si trova al di fuori di trascinare con sé ciò che si credeva dentro.
Perché chi crede di appartenere ad un santuario non sa come relazionarsi con la parte oscura di sé e crolla o aggredisce con violenza chi prova a dimostrargli che non è così.
Il quadrato coi suoi confini netti determina l'impossibilità di comportamenti che tengano insieme le due dimensioni, il dentro e il fuori, magari creativamente.
É un'pera d'arte sterile che determina sterilità.
E se qualcuno avesse provato a camminare su quella linea? Ad abitare quel confine?
[-]
|
|
[+] lascia un commento a crisalidea »
[ - ] lascia un commento a crisalidea »
|
|
d'accordo? |
|
zarar
|
martedì 28 novembre 2017
|
nessuno entrerà in quel quadrato
|
|
|
|
Finalmente torna un’opera in cui si respira a pieni polmoni un grande specifico filmico. L’interazione di immagini, sonoro, inquadrature, recitazione, dialogo è totale e crea una tensione e un ritmo che non ti abbandonano dall’inizio alla fine del film. Il tema riflette l’approccio etico rigoristico di stampo protestante che avevamo già apprezzato in Forza maggiore: basta grattare appena la vernice di umanità, correttezza, buone intenzioni di cui ci rivestiamo tanto più quanto più siamo ‘civilizzati’, ben educati, ben integrati nella società, che si rivela la bestia che è in noi, le crudeltà di cui siamo capaci, delle cui conseguenze non siamo neppure consapevoli.
[+]
Finalmente torna un’opera in cui si respira a pieni polmoni un grande specifico filmico. L’interazione di immagini, sonoro, inquadrature, recitazione, dialogo è totale e crea una tensione e un ritmo che non ti abbandonano dall’inizio alla fine del film. Il tema riflette l’approccio etico rigoristico di stampo protestante che avevamo già apprezzato in Forza maggiore: basta grattare appena la vernice di umanità, correttezza, buone intenzioni di cui ci rivestiamo tanto più quanto più siamo ‘civilizzati’, ben educati, ben integrati nella società, che si rivela la bestia che è in noi, le crudeltà di cui siamo capaci, delle cui conseguenze non siamo neppure consapevoli. Un simbolo la splendida, verissima battuta del passante frettoloso ed educato che dice: “No grazie”, a chi gli chiede un’elemosina. Quel che è peggio, per una specie di primitivo istinto di sopravvivenza, la società cospira per riannodare, ricucire, minimizzare, fagocitare tutti gli strappi di coscienza che una fugace lucidità genera nell’individuo. Il protagonista Christian (un bravo Claes Bang) è il curatore di un museo di arte contemporanea a Stoccolma. Il regista gioca da par suo a livello visivo e simbolico con le provocazioni di cui quest’arte è portatrice: mai come in questo caso abbiamo la percezione che non è l’oggetto, ma il significato che gli assegniamo che conta: una borsetta, persino una pila di ghiaia, assumono valenza simbolica se “li metto lì” e decido di renderli veicolo di un messaggio. L’evento intorno a cui ruota il film è la promozione di una mostra relativa ad un’opera appena acquisita: un quadrato recintato sul selciato (the square) così etichettato: questo quadrato è un "santuario di fiducia e altruismo”, all’interno del quale tutti hanno gli stessi diritti e doveri. Che dire? La quintessenza del patto sociale. Ma tanto più il significato che assegno è nobile e alto, tanto più appare consumato e piatto, al punto che solo un’immagine atroce, capace di parlare alla pancia – diremmo oggi – spregiudicatamente proposta da un’agenzia pubblicitaria, può attrarre l’ attenzione su di esso. Si sa già che ci sarà il rituale scandalo, le rituali prevedibili proteste, che il più sprovveduto magari ci rimetterà il posto, ma alla fine l’obiettivo di attrarre l’attenzione sarà perfettamente raggiunto proprio grazie a chi ha protestato di più. E non occorre scavare molto per capire che alla fin fine dietro al santuario di fiducia e altruismo c’è il business del museo. Parafrasando in modo un po’ atipico McLuhan , potremmo veramente dire che i mezzi usati diventano i veri, desolanti, messaggi. Di fronte a questo, la perfetta vanità degli sforzi di chi, pur riluttante, pur insicuro, tenterebbe di fare qualcosa di pulito: Christian, nei suoi intermittenti lampi di consapevolezza, ci prova e noi facciamo il tifo per lui: vuole riparare il torto fatto a un bambino a causa di una stupida iniziativa per recuperare qualcosa che gli è stato rubato e quando finalmente si decide, il bambino non è più rintracciabile; ammette le sue responsabilità per la bieca campagna pubblicitaria e il suo gesto è immediatamente svilito e finalmente del tutto ignorato. Non c’è veramente via d’uscita, e tutto è inghiottito dalle asettiche geometrie, dai flussi insieme convulsi e rituali del quotidiano, da un rimbombo aggressivo di rumori non significanti sullo sfondo. Resta come rifugio (un po’ troppo facile? Un po’ disperato?) lo sguardo innocente/indignato dei bambini.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a zarar »
[ - ] lascia un commento a zarar »
|
|
d'accordo? |
|
francesca meneghetti
|
martedì 28 novembre 2017
|
tra kaos e kosmos
|
|
|
|
Square: piazza o quadrato sono i significati prevalenti di questo termine inglese, che deriva dal latino quadrum e, a sua volta da quattor,quattro. Per i Pitagorici il quadrato era simbolo di giustizia: era la metaforica squadratura dell’informe e del disordine originario dell’universo. Platone, nel Timeo, attribuiva precisamente questa funzione al dio Demiurgo: grazie alla sua arte ordinatrice si passò dal Kàos al Kòsmos, cioè ad un mondo armonioso.
Ignoriamo gli eventuali studi filosofici del regista svedese Ruben Östlund, ma il titolo e un tema, il principale del film, alludono proprio a questa contrapposizione. Al centro della storia, che è impossibile riferire sinteticamente senza amputazioni, c’è una creazione artistica collocata in una piazza: un quadrato, il cui perimetro segna il confine tra l’area del poligono (la zona della giustizia, dove diritti e doveri sono equamente ripartiti, “un santuario di fiducia e altruismo”), e il resto dello spazio fisico, che rappresenta l’antitesi di quei valori.
[+]
Square: piazza o quadrato sono i significati prevalenti di questo termine inglese, che deriva dal latino quadrum e, a sua volta da quattor,quattro. Per i Pitagorici il quadrato era simbolo di giustizia: era la metaforica squadratura dell’informe e del disordine originario dell’universo. Platone, nel Timeo, attribuiva precisamente questa funzione al dio Demiurgo: grazie alla sua arte ordinatrice si passò dal Kàos al Kòsmos, cioè ad un mondo armonioso.
Ignoriamo gli eventuali studi filosofici del regista svedese Ruben Östlund, ma il titolo e un tema, il principale del film, alludono proprio a questa contrapposizione. Al centro della storia, che è impossibile riferire sinteticamente senza amputazioni, c’è una creazione artistica collocata in una piazza: un quadrato, il cui perimetro segna il confine tra l’area del poligono (la zona della giustizia, dove diritti e doveri sono equamente ripartiti, “un santuario di fiducia e altruismo”), e il resto dello spazio fisico, che rappresenta l’antitesi di quei valori. E’ l’arte che si fa Demiurga, che vuole creare artificialmente un Kòsmos virtuale, in polemica con il mondo reale, improntato al Kàos.
Lo sviluppo delle scienze tra fine ‘800 e ‘900 ci ha insegnato che anche in natura l’entropia, ovvero il disordine, spesso collegato al caso, tende a prevalere sull’ordine. Se poi ci aggiungiamo la follia degli uomini, accentuata dalla tecnologia, e le differenze tra gruppi sociali ed etnici, arriviamo al caos presente. La civiltà occidentale vive in questo disordine, ma, essendo figlia, tra l’altro, dell’illuminismo e dei suoi solenni proclami sui diritti dell’uomo e del cittadino, a queste lontane radici si aggrappa tenacemente per non smarrirsi di fronte a una realtà sempre più complessa ed entropica. Il politicamente corretto attecchisce soprattutto tra chi possiede uno status privilegiato, e magari professa valori di solidarietà che vorrebbe anche praticare. In un Paese dalla solida tradizione di Welfare come la Svezia, indenne da ideologie di destra, tese cioè a marcare le differenze tra gli uomini, questa è la situazione prevalente. Ma anche densa di contraddizioni. Quando un uomo ricco e affermato come Christian si trova a dover uscire da quel quadrato magico in cui crede, finisce per scoprire una realtà diversa: chi è senza diritti e senza denaro rimane indifferente alle belle idee e, anziché suscitare compassione, finisce per indignare: perché ruba, mente, inganna, risulta arrogante e magari violento. E allora ci si rinchiude in un altro quadrato: quello dell’indifferenza, di un’indifferenza carica di sensi di colpa che è impossibile espiare, perché non c’è via d’uscita. L’esito è un crescendo di angoscia che accompagna il film e che raggiunge forse il suo acme nella scena della tromba delle scale (in una cornice, non caso quadrata), dove, nel buio, risuona il lamento e il grido d’aiuto di un bambino, che il buon Christian ha spedito a casa in una notte di pioggia torrenziale, negandogli quella sola parola di scusa che lui gli chiedeva, e chiudendo gli occhi alla vista della piccola bici con cui il bambino avrebbe dovuto tornarsene nel suo quartiere popolare: lontano, lontanissimo.
Focalizzando l’attenzione su questo tema, il film è grande e tale da giustificare la Palma d’oro. Ma altri aspetti portano a valutazioni diverse. C’è, ad esempio, il tema dell’arte contemporanea, talmente pregante che il film (che in fondo rappresenta anch’esso una manifestazione artistica) può essere considerato come un discorso di metaarte, per usare il termine coniato nel 1972 da Piper Adrian: l’arte che parla di se stessa, della sua libertà, del suo farsi e proporsi agli utenti, all’interno di spazi o contesti precisi, i quali possono mutare il significato di un’opera o di un oggetto, dei suoi problemi economici, del suo modo di comunicare. In questo caso, ci pare, siamo fuori da qualsiasi quadrato normativo, da un codice o da regole condivise: impera, se non il caos, il relativismo. L’episodio dell’artista gorilla (v. la locandina), che domina tanta bella gente elegante, seduta a tavola, si inserisce in questo filone. Dove sta l’arte in questa violenta, angosciosa e fin troppo lunga performance? Si allude forse a un latente spirito di ribellione verso il perbenismo della buona società svedese (e occidentale), analogo a quello che, simbolicamente, promana dal portatore di sindrome di Tourette, con il suo turpiloquio?
Al di fuori di quel quadrato ideale si pone anche il regista nel tessere la trama del film. Nessuno si aspetti un edificio solido e armonioso come un tempio greco: con la base, le colonne portanti e il timpano. Un edificio finito, cioè classico. Dal ramo principale, partono altri rami, che a volte vanno chissà dove, in una cornice improntata al surrealismo, più che al realismo. Che ci fa lo scimmione che si mette il rossetto e che passa davanti a una stanza da letto, nella casa della bella giornalista? Un richiamo a Buñuel? E la stessa giornalista riesce a diventare incinta con il seme rubato a un preservativo? E l’attore gorilla, che fine fa? E i bambino ostinato nel pretendere le scuse del protagonista? E i due geniali creativi, che per pubblicizzare il museo inventano un video terrificante? Si è detto, di questo film, che è aperto: sembra piuttosto votato stilisticamente al non finito. Per questo suo essere anticlassico non può piacere a chi ama trovare nel cinema finitezza, equilibrio compositivo e una conclusione netta, sia essa comica o tragica. Certo Östlund non vuole spettatori che se ne escano in pace con il mondo: e piega in tale direzione il sonoro, asimmetrico, fatto di scatti sonori violenti, e di refrain angoscianti.
L’interpretazione di Claes Bang è notevole. Il film è senz’altro interessante e degno di essere visto, una volta fatte le avvertenze del caso. E soprattutto di essere discusso. Magari in un cineforum.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a francesca meneghetti »
[ - ] lascia un commento a francesca meneghetti »
|
|
d'accordo? |
|
alvisebittente
|
lunedì 27 novembre 2017
|
the square? piazzarsi senza spiazzare
|
|
|
|
THE SQUARE, FILM PIAZZATO CHE NON SPIAZZA, 2017, Regia di Ruben Östlund
Film sbagliato, dove centra tutta la sua presunzione sulla libera interpretazione, ma è un film recintato sull'insicurezza di un mostro/nostro umanesimo all'acqua di rose. Il quadro non è un quadrato, in cui si ricava un'inquadratura, l'arte è impietosa e comica come la vita, d'altrocanto, lavora sul fuori frame, qui è tutto in piazza in un mercato che ha fatto dei panni sporchi una sua sforzata centralità obsoleta. L’ipocrisia è mascherata da commedia dell’arte, satira, che in quanto tale, coccola invece che sfregiare.
[+]
THE SQUARE, FILM PIAZZATO CHE NON SPIAZZA, 2017, Regia di Ruben Östlund
Film sbagliato, dove centra tutta la sua presunzione sulla libera interpretazione, ma è un film recintato sull'insicurezza di un mostro/nostro umanesimo all'acqua di rose. Il quadro non è un quadrato, in cui si ricava un'inquadratura, l'arte è impietosa e comica come la vita, d'altrocanto, lavora sul fuori frame, qui è tutto in piazza in un mercato che ha fatto dei panni sporchi una sua sforzata centralità obsoleta. L’ipocrisia è mascherata da commedia dell’arte, satira, che in quanto tale, coccola invece che sfregiare. Film velato, d’un velo che si fa mantello, che si fa fazzoletto, che diventa sketch, non come disdegno disillustrato, ma come varietà comico, avente bisogno di spalla, stampella su cui appoggia ancora un’animalità dicotomica da contrappore all’umanoandroide, bisognosa di gruccie al di là del cruccio, per scorazzare goffamente a quattro zampe di nuovo, in piazzata, cioè nella pole position della centralità della tavola rotonda o quadrata chessìa. Il suo difetto è quello di rimanere ancora un film ideologico, novecentesco, perpendicolare, ancora un pasticciato crocifisso di una razionalità mondriana, strasuperata dall’impossibilità fallita dell’ordine, dove si brancola a troppi deboli e miopi tastoni nel desiderio di mettersi in coordinate. Del pitagorico, defecita di una mancata riscoperta inventiva copernicana, e rimaniamo ancora nella dualità “planets of apes”, dove il cavillo non è il primate che mai siamo stati, ma l’uguale che siamo diventati nella differenza dell’altro che abbiamo smarrito, e il problema non è solo socio-politico-economico, è ancora l’idea del misurarsi sul bisogno di una piazza, dove conta più piazzarsi che uscire dalla cornice, si è ancora rimasti recintati nei lager del borderline in questo film, dove l’arte quando è grazia, al di là del marketing e comunicazione, riesce anche un minimo, di pochissimo, a spostarsi e sbandare, decentrata fuor di lato, fuor di pista, over guardrail. Dove, al contrario, la mostra kolossal di Hirst-Pinault, ‘Treasures from the Wreck of the Unbelievable’, è riuscita ad arrivare, incrostando l’immaginario almeno per un primavera-estate-autunno, the square, invece, è rimasto in una passerella, freddo cadavere seccato dalla sua stessa geometrica strategia, di tra i diritti e i doveri, due a zero punto due.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alvisebittente »
[ - ] lascia un commento a alvisebittente »
|
|
d'accordo? |
|
|