fabiofeli
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martedì 14 novembre 2017
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"tanto nessuno se ne accorgerà ..."
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Christian (Claes Berg) è il direttore del Museo di Arte Contemporanea di Stoccolma, che dirige con trovate originali, attento all’importanza della pubblicità sulle sue esposizioni. Rivela la sua cinica visione dell’Arte in una intervista ad una giovane giornalista americana (Elisabeth Moss). Un oggetto di uso personale, un ready-made come una borsa da donna, può rivestire valore artistico se inserita con nome dell’autore in un contesto espositivo museale. Tutto ruota attorno al mercato che assegna un valore venale alle opere di artisti già affermati, incluse le performance, significative e/o strampalate e divertenti, come quella dell’uomo-scimmia al vernissage di presentazione del “Quadrato”, nuova opera presentata.
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Christian (Claes Berg) è il direttore del Museo di Arte Contemporanea di Stoccolma, che dirige con trovate originali, attento all’importanza della pubblicità sulle sue esposizioni. Rivela la sua cinica visione dell’Arte in una intervista ad una giovane giornalista americana (Elisabeth Moss). Un oggetto di uso personale, un ready-made come una borsa da donna, può rivestire valore artistico se inserita con nome dell’autore in un contesto espositivo museale. Tutto ruota attorno al mercato che assegna un valore venale alle opere di artisti già affermati, incluse le performance, significative e/o strampalate e divertenti, come quella dell’uomo-scimmia al vernissage di presentazione del “Quadrato”, nuova opera presentata. All’interno di esso regna la pace e tutti hanno uguali diritti e doveri: una specie di santuario che abolisce differenze di classe, cultura, etnia, credo religioso instaurando solidarietà tra gli umani. Christian, però, subito dopo in strada cade in un trucco escogitato per rubargli portafoglio e cellulare, perché solidarizza con chi gli tende il tranello. Per recuperare l’oggetto segnalato da un rivelatore satellitare in caseggiato di periferia, inventa a sua volta un trucco che avrà conseguenze catastrofiche sulla sua vita agiata e tranquilla …
Il protagonista ha diverse facce ben descritte da Ӧstlund, già autore del buon film Forza maggiore: sembra una persona di larghe idee, ma è rinchiuso in una torre di egoismo. In fondo disprezza anche le opere esposte nel suo museo: non esita a far fare una riparazione di fortuna ad un’opera danneggiata, perché “tanto – dice – nessuno se ne accorgerà”. Lo svolgimento della trama del film è una carambola di sorprese, tra Arte vera e supposta tale, per fruitori attempati e danarosi. Alla fine chi comanda è il mercato, nonostante le pretese egualitarie di opere artistiche che perseguono armonia e solidarietà. E lo si vede anche nelle strade, affollate di persone concentrate nei propri affari e miriadi di mendicanti. Nella recitazione spiccano Berg e la Moss, ma non sono da meno gli altri: il giovane factotum, il team che segue il lancio pubblicitario del Quadrato, i giovani creativi che ideano lo spot provocatorio e dissacrante che deve catturare l’attenzione di un ampio target. C’è da dire che l’idea non è nuova: anni fa un grande artista italiano, Gino De Dominicis, aveva già presentato il “cubo virtuale” ad una Biennale disegnando in terra con nastro adesivo nero un quadrato 3 metri x 3: tutti giravano attorno al cubo illusorio. Nel film scorrono diverse splendide immagini, veramente artistiche. Ne citiamo due emblematiche del nostro consumismo: quella delle scale mobili del centro commerciale, che ricorda una scena del capolavoro Metropolis, quella dei lavoratori-fantocci impersonati qui dai consumatori; e la ripresa dall’alto del protagonista sotto la pioggia che rovista in un mare di sacchetti di spazzatura per ritrovare la lettera minatoria. Le situazioni che si susseguono strappano spesso il riso: è un ridere amaro di una società che predica solidarietà a parole e la nega nei fatti. Tanti spunti di riflessione valorizzano il film, premiato a Cannes: da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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no_data
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lunedì 13 novembre 2017
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reale, troppo reale.
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Splendido film, forse è un po' sovraccarico e lungo, ma splendido. Uno sguardo poetico sul mondo nonostante tutto. Fulminante lo slogan dell' attivista per i diritti umani: "vuoi salvare una vita?" a cui il passante frettoloso risponde "No grazie.", mentre lì vicino un barbone si accascia per strada e nessuno lo vede o forse lo vedono tutti. E poi la riflessione sull'utilità/ inutilità dell'arte, sul cinismo e il bel pensare nonostante le scelte ideologiche del politicamente corretto dicano il contrario. E poi la belva umana che si esibisce alla festa dei ricchi: teatro iperreale nella dimensione della finzione filmica. Reale, troppo reale da sfiorare lo stupro. E ancora la dimensione del chiedere aiuto ad un'umanità ormai incapace di darlo, ma mai perdere la speranza.
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kimkiduk
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domenica 12 novembre 2017
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complimenti!!!!!
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Ha vinto Cannes e dopo averlo visto posso dire meritatamente.
Una gioia per gli occhi, finalmente un cinema nuovo, coraggioso ma che sicuramente non piacerà a tutti.
E' il classico film che piacerà tanto o non piacerà a chi ama un cinema "normale" e a chi forse non lo capirà.
Già la provenienza del regista è importante la Svezia la terra di Bergman, però il suo precedente film Forza Maggiore non mi aveva entusiasmato.
La sceneggiatura non è la forza di questo film, ma lo è il significato della stessa e la sua realizzazione.
Il messaggio è denigrare in tutto una società malata, insicura, impaurita, diffidente e classista.
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Ha vinto Cannes e dopo averlo visto posso dire meritatamente.
Una gioia per gli occhi, finalmente un cinema nuovo, coraggioso ma che sicuramente non piacerà a tutti.
E' il classico film che piacerà tanto o non piacerà a chi ama un cinema "normale" e a chi forse non lo capirà.
Già la provenienza del regista è importante la Svezia la terra di Bergman, però il suo precedente film Forza Maggiore non mi aveva entusiasmato.
La sceneggiatura non è la forza di questo film, ma lo è il significato della stessa e la sua realizzazione.
Il messaggio è denigrare in tutto una società malata, insicura, impaurita, diffidente e classista. Mi ricorda (giudizio personale senza pretese) il modo di criticare la società di Altman, con le dovute proporzioni. Certo qui si critica una società evoluta, quella svedese, dove il quartiere povero ha le luci che si spengono al passaggio delle persone, le cassette delle lettere ad ogni porta e nemmeno una carta per terra (conosco qualche posto in Italia leggermente diverso come periferia), ma questo non ha importanza.
Il film deve o vuole (e secondo me ci riesce) far capire come la società vuole e deve raggiungere lo scopo per qualsiasi cosa ad ogni costo. Lo fa partendo da un museo e quindi dall'arte come base di partenza per quella che è la domanda fondamentale del film: esiste un limite alla decenza, alla pubblicità, all'arte o a tutto quello che è comunicazione? La censura deve esistere? Se ne parla in tanti modi qui, ponendoci di fronte a problemi attuali, le differenze di classe, la povertà, le paure della verità e la voglia di verità al tempo stesso. Tutto quello che può fare spettacolo deve essere fatto vedere, ma quando diventa reale dall'ironia si passa alla paura. Così come in realtà quanto interessa realmente alla società tutto? Forse niente, si vive di apparenza e ognuno nel proprio mondo. E anche se il mondo capisce di sbagliare, siamo in tempo a recuperare e curare una società malata?
Io non so come valutate i film, se dalla sonnolenza/attenzione che vi provoca o dall'ammirazione delle scenografie o dall'interpretazione degli attori.
Personalmente la cosa fondamentale per me è uscire dal cinema e scoprire che il tema del film mi fa parlare per ore del film stesso, massacrando anche chi lo ha visto con me. Questo film c'è riuscito.
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homer52
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domenica 12 novembre 2017
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surreale al "quadrato"
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Ho conosciuto il regista Ostlund quasi per caso, vedendo il film "Forza maggiore", e mi è da subito piaciuta la sua capacità di entrare, in modo delicato ma incisivo, all'interno dell'animo umano, delle sue virtù e delle inevitabili debolezze. E' stato quindi ovvio che appena uscito il suo ultimo lavoro "The square", mi sia precipitato al cinema a vederlo. E' un film, questo, totalmente diverso dall'altro non tanto per le tematiche che tratta, che fanno pur sempre riferimento all'animo unamo, ma allo svolgimento scenico che ho trovato molto più simbolico e criptico. Per rimanere nell'ambito dell'arte, che è il nodo centrale del film, è come se nel film precedente il regista avesse rappresentato la realtà coi toni della pittura classica fatta di immagini nitide e ben comprensibili a chiunque mentre in questo film avesse preferito quelli del surrealismo, meno immediati ma maggiormente simbolici.
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Ho conosciuto il regista Ostlund quasi per caso, vedendo il film "Forza maggiore", e mi è da subito piaciuta la sua capacità di entrare, in modo delicato ma incisivo, all'interno dell'animo umano, delle sue virtù e delle inevitabili debolezze. E' stato quindi ovvio che appena uscito il suo ultimo lavoro "The square", mi sia precipitato al cinema a vederlo. E' un film, questo, totalmente diverso dall'altro non tanto per le tematiche che tratta, che fanno pur sempre riferimento all'animo unamo, ma allo svolgimento scenico che ho trovato molto più simbolico e criptico. Per rimanere nell'ambito dell'arte, che è il nodo centrale del film, è come se nel film precedente il regista avesse rappresentato la realtà coi toni della pittura classica fatta di immagini nitide e ben comprensibili a chiunque mentre in questo film avesse preferito quelli del surrealismo, meno immediati ma maggiormente simbolici. Il film dà voce a vari livelli di problematiche. In primis l'arte, il suo significato psicosociale, l'impatto che può avere sulle masse, il valore o meno di ciò che si rappresenta. "La sua borsa messa in un museo è arte?" chiede provocatoriamente Christian all'allibita intervistatrice. Poi le tematiche delle relazioni umane, il rapporto fra ricchezza e povertà, il valore del pregiudizio, il comportamento verso la diversità. Infine lo strapotere dei mass media, il prevalere dell'impatto emotivo sul pubblico per strumentalizzarlo rispetto alla corretta informazione (come ben rappresentato dal raccappricciante video della bambina che esplode). E tanto altro. Il tutto senza dare eccessive risposte preconfezionate ma lasciando lo spettatore in preda alle proprie emozioni e all'affannosa ricerca di una qualche possibile soluzione. Un film che non termina all'uscita dalla sala ma che continua anche fra le proprie mura e all'interno di ogni singolo spazio che delimita la propria estensione relazionale, quel quadrato che ognuno di noi costruisce attorno a sè. Homer52
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miraj
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sabato 11 novembre 2017
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the square - oltre il perimetro
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The square è un film particolare. Mostra con originalità fresca e mai banale temi ricorrenti. Sviluppa una trama fluida, narrandola con spezzoni tra loro separati. Come un gioco di scatole cinesi - quadrate - in cui ogni spezzone tratta un tema e tutti insieme compongono il racconto. La scenografia è azzecattissima e per tutta la proiezione lo spettatore è accompagnato dalla presenza costante di immagini quadrate e linee stilizzate: le scale, i palazzi, le porte, le vetrate, gli interni del museo, tanto da far apparire ogni tranche tematica come un quadro dentro ad un altro quadro, dove la prima situazione crea il presupposto per la successiva. Da subito il film pone al centro del l'obiettivo che vuole perseguire: lo spettatore da subito è indotto a chiedersi cosa sta dentro al perimetro del quadrato e cosa sta fuori.
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The square è un film particolare. Mostra con originalità fresca e mai banale temi ricorrenti. Sviluppa una trama fluida, narrandola con spezzoni tra loro separati. Come un gioco di scatole cinesi - quadrate - in cui ogni spezzone tratta un tema e tutti insieme compongono il racconto. La scenografia è azzecattissima e per tutta la proiezione lo spettatore è accompagnato dalla presenza costante di immagini quadrate e linee stilizzate: le scale, i palazzi, le porte, le vetrate, gli interni del museo, tanto da far apparire ogni tranche tematica come un quadro dentro ad un altro quadro, dove la prima situazione crea il presupposto per la successiva. Da subito il film pone al centro del l'obiettivo che vuole perseguire: lo spettatore da subito è indotto a chiedersi cosa sta dentro al perimetro del quadrato e cosa sta fuori. Il quadrato all'interno del quale si eguagliano diritti e doveri. Quale azione è inclusa? Quale reazione è esclusa? Quale atteggiamento è umanamente e profondamente vero? Quale è solo una finzione egoista e perbenista? Il film parla, e suggerisce, e smuove, ed affonda nel concetto di limite. O meglio di limiti. Poichè ne esplora molti, di varia natura, propri della società contemporanea. Continuamente rimbalza un pensiero: esistono oggi dei limiti oggettivamente accettabili alle azioni umane, oltre i quali ci collochiamo fuori dal quadrato? Parla quindi dell'arte e del suo limite. E dà una risposta: oltre il limite l'arte diviene monnezza tra la monnezza. Parla del reality show e del suo limite. E dà una risposta: oltre il limite diviene violenza. Intellettiva. Parla di come l'alta società si pone come spettatrice agghindata dei casi umani. Salvo poi esserne vittima se i casi umani da baraccone/museo inventati in laboratorio diventano reali nella loro ferocia e nella loro indole. Si osserva la bestia come si osserva la bambina mendicante. Sono solo strumenti per creare suggestione collettiva, per attirare l'attenzione in una manciata di secondi o di pochi minuti. Parla dell'utilizzo dell'immagine e del suo limite. Parla della libertà di manifestazione, di espressione, di rappresentazione e del suo limite. E dà coraggiosamente una risposta: anche la libertà deve avere oggettivamente un limite. Per non scadere nella monnezza, nel tritacarne della comunicazione contemporanea dove tutto è accolto e mostrato senza alcuna priorità di messaggio. Parla di come ogni azione causa una reazione ed il suo limite. E pure dà una risposta: siamo responsabili, sempre, delle reazioni causate dalle nostre azioni. Perchè la cosa più difficile è misurare la propria convinzione di "par condicio" nel momento in cui veniamo coinvolti in prima persona anzichè essere solo agghindati spettatori. E, a volte, può non essere sufficiente il limite di tempo utile per porre rimedio alle reazioni causate dalle nostre azioni. E collocarci silenziosamente fuori dal quadrato.
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[+] film equivalente alla sua installazione visiva
(di antoniomontefalcone)
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marta73
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sabato 11 novembre 2017
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vittima di se stesso
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Dicamo così: se l'intento era ridicolizzare l'arte contemporanea riesce benissimo a ridicolizzare se stesso come arte contemporanea. film ridicolo per materia ridicola. film sotto ,le righe per materia sotto le righe. per citare una vecchia opera d'arte contemporanea di Piero Manzoni siamo davanti al massimo esempio di "merda d'artista" non in barattolo ma in digitale!
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goldy
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venerdì 10 novembre 2017
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montagna di noia
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Si intuisce che le intenzioni del regista sono di stampo nobile e assolutament condivisibili ma quanta confusione narrativa! Troppa carne al fuoco nel denunciare mali europei che ci riguardano tutti ma occorre sapene scegliere alcuni nodi e poi svilupparli in modo coinvolgente. Quì siamo in presenza di una montagna di noia. Classico film da festival con 'pluritematiche criptiche carico di simbolismi grevi che in genere piacciono molto ai giurati che infatti , per non sbagliare a futura memoria, hanno premiato con la Palma D'Oro. E' probabile che ora sceso nell'arena pubblica venga ridiimensionato come merita. .
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santospago
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giovedì 9 novembre 2017
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bellissimo
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film profondo e difficile, si esce turbati.
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