Mademoiselle |
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Un film di Park Chan-wook.
Con Kim Min-hee, Tae-ri Kim, Ha Jung-woo, Jin-woong Cho.
continua»
Titolo originale Ah-ga-ssi.
Drammatico,
durata 144 min.
- Corea del sud 2016.
- Altre Storie
uscita giovedì 29 agosto 2019.
MYMONETRO
Mademoiselle
valutazione media:
3,14
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Film straordinario, ancora senza una distribuzionedi jacopo b98Feedback: 37256 | altri commenti e recensioni di jacopo b98 |
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mercoledì 4 gennaio 2017 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nella Corea degli anni ’30, occupata dai giapponesi, la giovane Sook-hee (Tae-ri Kim) si accorda con un giovane truffatore di origini contadine (Ha) per raggirare una ricca ereditiera giapponese, lady Hideko (Min-hee Kim). Lui si fingerà un conte nel tentativo di sposarla, lei si farà assumere come cameriera e cercherà di convincere la nobildonna a cedere alle avances del complice. Il complesso piano trascinerà tutti i personaggi in un vischioso vortice di segreti celati, violenza e sensualità. Park, senza dubbio il maggior autore del cinema coreano moderno, adatta con Seo-kyung Chung il romanzo inglese Ladra di Sarah Waters, e lo trasporta dall’Inghilterra vittoriana alla Corea occupata, cogliendo così l’occasione per abbinare al supremo esercizio stilistico ed estetico, una stratificata riflessione di natura storico-politica sul rapporto tra Corea e Giappone. Park infatti fa un film sul senso di inferiorità che pervade la società coreana, posta di fronte a quella giapponese. “L’uomo coreano è insignificante, brutto, il giapponese è bello, superiore.” dice in una scena lo zio Kouzuki, che infatti ha ripudiato la moglie coreana (che è divenuta la sua governante), per sposare una donna giapponese che non ama, pur di riuscire nell’intento di lasciarsi alle spalle le sue origini “inferiori”, e risorgere uomo nuovo, figlio del paese del Sol Levante. È il ritratto di un popolo frustrato, che evidentemente ancor oggi fatica a lasciarsi alle spalle questo senso d’inferiorità. Ma ancor più che questo abbiamo dei coreani che tentano di diventare giapponesi, di assumerne il rango sociale, in un momento storico in cui il Giappone opprime la Corea: il loro non è un atto di ribellione all’invasore, bensì solo una mossa di scalata sociale, disposti a tutto, persino a rinnegare le proprie origini e la propria patria, pur di effettuare lo scatto di classe. La Corea manca, evidentemente, di una coscienza nazionale, stato ancora troppo giovane ed influenzato dai colossi vicini. Oltre a tutto questo il film è dotato di un’interessantissima struttura narrativa: diviso in due atti e un epilogo, nei primi due il regista racconta la stessa storia. Nel primo ci narra la trama in maniera palesemente insensata e lacunosa, nella seconda riparte da capo e va a tappare i buchi, a leggere ciò che è rimasto velato tra le righe. La prima ci racconta una storia emozionante, la seconda dà un senso alle emozioni, alle reazioni emotive dei personaggi. Immenso, come di consueto, il lavoro di costruzione delle inquadrature: ogni singola immagine è un quadro che andrebbe contemplato a sé per coglierne la perfezione formale e tutti i simbolismo insiti in essa. Visivamente debordante: la telecamera di Park fluttua, trasportata da immensi dolly, si libbra in alto, deforma la realtà con colossali grandangoli, senza alcun ritegno o pudore, in un esercizio di stile svergognato, che non si preoccupa di essere coerente, ma solo di essere sempre e comunque grandioso e innovativo, a ogni immagine, a ogni movimento di macchina. La fotografia sfrutta l’intera palette di colori, le musiche riempiono le sequenze del film (specie le magnifiche scene erotiche) in maniera sublime, i costumi e le scenografie sono sfarzosi, i dialoghi raffinati, la gestualità sottolineata e dilatata nel tempo, i nudi delle attrici sono statuari. Tutto è fatto in maniera tale da far godere lo spettatore del massimo spettacolo cinematografico possibile. Indimenticabili le due protagoniste, di bravura e bellezza senza pari. Si esce dalla visione soddisfatti, ubriacati da un tripudio visivo assoluto, stimolati da un film intenso, complesso e stratificato. Park Chan-Wook ha colpito ancora, e noi non possiamo che applaudire di fronte alla maestria di uno dei più interessanti, originali ed estremi cineasti moderni. In concorso a Cannes 2016, è rimasto ingiustamente a bocca asciutta. In Italia, ovviamente, non c’è ancora l'ombra di una distribuzione all’orizzonte. VOTO 9
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