angelo umana
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venerdì 11 marzo 2016
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cinema di testimonianza
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Fuocoammare: quando un film fotografa la realtà senza mischiarla con opinioni. Questo fà Gianfranco Rosi, se ne stà a lungo nei posti che vuole “raccontare” e le immagini sommuovono più di mille parole. Eccoci servita un’altra testimonianza, da Lampedusa: la cinepresa pare essere collocata in un angolo discreto, asettica e neutrale, e lascia parlare gli avvenimenti, nessun rumore oltre quelli della realtà dell’isola. Solo le parole di un medico che presta i primi soccorsi agli immigrati appena sbarcati: se sei un uomo non puoi ignorare.
Viene ripresa la vita del paese con i residenti che conducono la loro esistenza pacifica senza ribellarsi agli arrivi continui di persone al limite della disperazione, senza sbraitare come spesso avviene in altri angoli d’Italia dove comunque si continua ad avere i ns.
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Fuocoammare: quando un film fotografa la realtà senza mischiarla con opinioni. Questo fà Gianfranco Rosi, se ne stà a lungo nei posti che vuole “raccontare” e le immagini sommuovono più di mille parole. Eccoci servita un’altra testimonianza, da Lampedusa: la cinepresa pare essere collocata in un angolo discreto, asettica e neutrale, e lascia parlare gli avvenimenti, nessun rumore oltre quelli della realtà dell’isola. Solo le parole di un medico che presta i primi soccorsi agli immigrati appena sbarcati: se sei un uomo non puoi ignorare.
Viene ripresa la vita del paese con i residenti che conducono la loro esistenza pacifica senza ribellarsi agli arrivi continui di persone al limite della disperazione, senza sbraitare come spesso avviene in altri angoli d’Italia dove comunque si continua ad avere i ns. pasti ogni giorno tranquilli, dove badiamo alle ns. cosette da mondo sviluppato, e solo guardando immagini televisive o notizie ci sentiamo invasi, minacciati nel ns. welfare, “ci rubano il lavoro e i ns. sussidi!” E’ proprio vero che gente umile sa accogliere di buon grado altri bisognosi, come avviene attualmente in Grecia: non sembra che nelle regioni più povere i residenti sbraitino tanto come in altre più ricche per questa “invasione”.
Lecite le lacrime di Meryl Streep nell’assegnare l’Orso d’Oro 2016 di Berlino a questo documentario, sarà stata anche una scelta politica o del momento giusto ma Angela Merkel vedendolo si sarà convinta ancora di più della sua scelta di accoglienza, pagheranno le ns. pensioni questi invasori, mentre i ns. 5 milioni di residenti stranieri in Italia in parte già lo fanno. Ora non resta che aspettare che da Mattarella a Papa Francesco (già più accogliente), dalla Camera al Senato e dai numerosi palazzi della politica alla pubblica amministrazione si stringano un po’, facciano più piccoli e sobri gli uffici dei loro dirigenti e lascino posto a chi ha perso tutto: vivranno per un po’ della ns. carità, degli avanzi di cibo e abiti che buttiamo via ogni giorno per ripulire le ns. dispense e per rinnovare i ns. armadi. Non resta poi che aspettare che altri ventriloqui come quel ragazzone dalla faccia intelligente, Salvini (che parla con la pancia alle pance delle persone), trovino spazio tra un’ospitata in tv e l’altra per vedersi questo film.
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perfetta
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venerdì 18 marzo 2016
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l'altra faccia della vita
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Parlare di documentario è troppo riduttivo per un film che coinvolge in tutto e per tutto e che mette lo spettatore di fronte ad una realtà sin troppo reale e sin troppo vicina.
Tutto contribuisce a suscitare l'empatia di chi guarda, una fotografia mozzafiato, un linguaggio intriso di quotidianità e semplicità e le interpretazioni dei protagonisti testimoni inconsapevoli ma presenti di quello che accade nel loro mare ora silenzioso ora in burrasca. Samuele è il simbolo della vita che scorre ogni giorno e della bellezza delle piccole cose: i racconti della nonna, i giochi con l'amico, i libri di scuola, il pranzo in famiglia.
Dall'altra parte dell'orizzonte giungono storie di vitaben diverse di chi arriva o che forse non arriverà mai.
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Parlare di documentario è troppo riduttivo per un film che coinvolge in tutto e per tutto e che mette lo spettatore di fronte ad una realtà sin troppo reale e sin troppo vicina.
Tutto contribuisce a suscitare l'empatia di chi guarda, una fotografia mozzafiato, un linguaggio intriso di quotidianità e semplicità e le interpretazioni dei protagonisti testimoni inconsapevoli ma presenti di quello che accade nel loro mare ora silenzioso ora in burrasca. Samuele è il simbolo della vita che scorre ogni giorno e della bellezza delle piccole cose: i racconti della nonna, i giochi con l'amico, i libri di scuola, il pranzo in famiglia.
Dall'altra parte dell'orizzonte giungono storie di vitaben diverse di chi arriva o che forse non arriverà mai. Mostrare la morte è un'esperienza dolorosa che contrasta molto con la bellezza del paesaggio e del calore famigliare di Samuele, ma è proprio qui che il regista arriva al cuore.
Tra questi due estremi c'è la figura del medico, il Dott. Bartolo, che ha visto troppo ma il troppo non è mai abbastanza per abituarsi a certe cose "Nessun uomo che si dica tale riuscirebbe a non aiutare queste persone" e che le visita una ad una quelle persone, ricorda le loro storie e si commuove, a tratti, si commuove.
Siamo davanti ad un'esperienza umana e non solo ad un film, guardatelo con gli occhi della mente e del cuore.
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yarince
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lunedì 8 maggio 2017
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chi focu a mmari ca ce stasira!
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Fuocammare” è un brano musicale lampedusano che rimanda ai bombardamenti inglesi della Seconda Guerra Mondiale, quando fu affondata la nave militare “La Maddalena”. A causa del grande incendio, di notte, il mare si tinse di rosso e gli isolani gridarono ““chi focu a mmari ca ce stasira!"
Come allora, così oggi il mare si tinge di rosso: è il sangue delle migliaia di immigrati che non sono riusciti a sopravvivere, è il colore di una guerra non ufficiale, silenziosa.
Un bellissimo, dignitosissimo omaggio ai Lampedusani; la tragedia dei migranti è raccontata nella verità dei fatti, degli occhi e dei corpi, senza effetti sensazionalistici e senza speculazioni.
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Fuocammare” è un brano musicale lampedusano che rimanda ai bombardamenti inglesi della Seconda Guerra Mondiale, quando fu affondata la nave militare “La Maddalena”. A causa del grande incendio, di notte, il mare si tinse di rosso e gli isolani gridarono ““chi focu a mmari ca ce stasira!"
Come allora, così oggi il mare si tinge di rosso: è il sangue delle migliaia di immigrati che non sono riusciti a sopravvivere, è il colore di una guerra non ufficiale, silenziosa.
Un bellissimo, dignitosissimo omaggio ai Lampedusani; la tragedia dei migranti è raccontata nella verità dei fatti, degli occhi e dei corpi, senza effetti sensazionalistici e senza speculazioni. In questa terra di confine, dove il mare - che non è un luogo - è vita e morte, è fuoco e sangue, è fame sete e freddo, è salvezza e unica fonte di guadagno per i pescatori, è speranza e rassegnazione. Il mare a Lampedusa è una condizione di liminalità per chi parte e chi arriva. In questa condizione di sospensione, c'è Bartolo, figura umana ed empatica, che è il direttore sanitario dell'Asl di Lampedusa, il medico che cura gli abitanti dell'isola e assiste a ogni singolo sbarco. C'è Samuele, un ragazzino che gioca con la fionda, coi cactus e gli uccelli, un bambino ricettivo, sveglio e genuino, ha il mal di mare ma sa di dover fare il pescatore, ha un occhio pigro e soffre d'ansia, sua nonna, donna del sud, il suo amore e la cura dei dettagli, e lo speaker radiofonico della radio locale...Come in Sacro Gra , ci si affeziona ai personaggi di Rosi e te li porti a casa.
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maurizio meres
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domenica 28 febbraio 2016
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da vedere e rivedere
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Chiamatelo come volete, film,documentario,ma una cosa è certa Rosi riesce ad entrare nella coscienza di tutti per tutti intendo dire L 'Europa,non si vince al festival di Berlino senza portare una tematica di attualità così profonda,senza commozioni perché significherebbe in questo caso pietà,ma dando una visuale di vita solo per chi crede nella vita riscoprendo quei valori umanitari perché un popolo si possa chiamare democratico e civile.
Tutte le riprese sono passaggi di vita quotidiana,non esiste egoismo tutto è naturale ciò che loro sono,nel grigiore invernale della stupenda Lampedusa Rosi coglie gli attimi attraverso sguardi di speranza,solitudine ma tanta voglia di vivere,i rumori di fondo del mare,di tutta la natura creano una colonna sonora naturale.
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Chiamatelo come volete, film,documentario,ma una cosa è certa Rosi riesce ad entrare nella coscienza di tutti per tutti intendo dire L 'Europa,non si vince al festival di Berlino senza portare una tematica di attualità così profonda,senza commozioni perché significherebbe in questo caso pietà,ma dando una visuale di vita solo per chi crede nella vita riscoprendo quei valori umanitari perché un popolo si possa chiamare democratico e civile.
Tutte le riprese sono passaggi di vita quotidiana,non esiste egoismo tutto è naturale ciò che loro sono,nel grigiore invernale della stupenda Lampedusa Rosi coglie gli attimi attraverso sguardi di speranza,solitudine ma tanta voglia di vivere,i rumori di fondo del mare,di tutta la natura creano una colonna sonora naturale.
La morte e la vita non si distinguono,fanno parte di quella routine che solo chi vive nell'isola può accettare.
Ritengo la testimonianza del dottore un raro esempio di umanità profonda e con una dose di spiritualità interiore in se stesso,non influenzato da fattori dettati da credenze,ma semplicemente un atto d'amore verso il prossimo,le parole che lui dice,semplici ma dette con amore sono un testamento universale per le generazioni future.
Il bambino che gioca,sembra di essi tornati indietro di cinquant'anni ,senza smartphone o un qualsiasi apparato elettronico,egli vive la vita e impara attraverso le sue scoperte ,fa domande a tutti,ogni cosa diventa una conquista ,e pensare che è una figura reale.
Sicuramente Rosi con questo documento resterà immortale per tutte le generazioni future,le quali potranno giudicare gli errori,le incomprensioni e soprattutto l'egoismo,così come facciamo noi adesso,ma con scarsi risultati.
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andrea alesci
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venerdì 26 febbraio 2016
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l'educazione dello sguardo mediterraneo
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Con frasi slacciate che si accostano al nostro occhio. Così scava nelle nostre pupille Fuocoammare di Gianfranco Rosi, affinché ci sforziamo di correggere la nostra vista e collegarle tutte in un solo discorso. Sono frasi terragne e nodose come gli alberi di ulivo attorno ai quali conosciamo il piccolo Samuele impegnato nel giocare con la fionda.
Sono sensazioni visive che ci fanno atterrare sul suolo di Lampedusa tra il pigolio degli uccelli e parole siciliane che si strascicano come reti da pesca sul fondo del mare: quelle con cui Samuele spiega (all’amico Matias) come costruire una buona fionda e come ben dirigere la pietra verso il bersaglio; quelle con cui il medico dell’isola Pietro Bartòlo spiega (a noi) come non ci si possa mai abituare all’atroce dolore di un cadavere; quelle della signora Maria che spiega (al marito) il suo amore tramite la voce surrogata della radio e i gesti silenti di un letto ben fatto; quelle del padre stanco che spiega (al figlio Samuele) l’agra vita del pescatore.
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Con frasi slacciate che si accostano al nostro occhio. Così scava nelle nostre pupille Fuocoammare di Gianfranco Rosi, affinché ci sforziamo di correggere la nostra vista e collegarle tutte in un solo discorso. Sono frasi terragne e nodose come gli alberi di ulivo attorno ai quali conosciamo il piccolo Samuele impegnato nel giocare con la fionda.
Sono sensazioni visive che ci fanno atterrare sul suolo di Lampedusa tra il pigolio degli uccelli e parole siciliane che si strascicano come reti da pesca sul fondo del mare: quelle con cui Samuele spiega (all’amico Matias) come costruire una buona fionda e come ben dirigere la pietra verso il bersaglio; quelle con cui il medico dell’isola Pietro Bartòlo spiega (a noi) come non ci si possa mai abituare all’atroce dolore di un cadavere; quelle della signora Maria che spiega (al marito) il suo amore tramite la voce surrogata della radio e i gesti silenti di un letto ben fatto; quelle del padre stanco che spiega (al figlio Samuele) l’agra vita del pescatore.
Sono poche parole che si rincorrono come in un girotondo, che si ripetono nel ritornello cantante del siciliano quasi a volersi confermare nelle piccole cose della vita di Lampedusa. È lì che ci porta Rosi, a vedere una Lampedusa diversa, lontana dai limpidi sogni turistici da cartolina, malinconica nella sua isolitudine. È una Lampedusa bagnata dalla pioggia, scossa da tuoni che agitano Samuele e lasciano invece imperturbabile sua nonna, seduta sulla seggiola, con ago e filo in mano, a cucire e saggiare il tempo.
Il tempo lento di un’isola, il tempo lento delle cose compìte, il tempo lento dei visi intagliati nei fichidindia. Il tempo lento del mar Mediterraneo che pian piano disvela nella lente documentaristica di Gianfranco Rosi la tragedia di quei migranti che cercano la speranza di un’altra libertà terrestre. Così si saldano all’identità di Lampedusa i visi scarni di uomini, donne e bambini giunti dall’altro lato del Mediterraneo e idealmente sorretti – perché tutti possiamo vederli – dal canto-preghiera di un gruppo di nigeriani messi in salvo: una specie di gospel dall’animo rap che racconta quasi in presa diretta il passato prossimo della propria disperazione.
Altisonanti come gli ululati dei fuochiammare che durante la guerra lasciavano attoniti sulla terraferma i pescatori-isolani. Ora sono altri fuochi che straziano la superficie marina. E Rosi lo dice mostrandoci le storie minute di Lampedusa, mettendo al centro Samuele e facendo del suo occhio pigro la più lampante e perfetta metafora del nostro sguardo che non sa (non vuole?) mettere a fuoco l’eco di una tragica migrazione che tocca tutti.
Lo fa lasciando spesso in ombra l’inquadratura, a rendere evidente la nostra fatica (pigrizia?) ad accostarci alle cose. Lo fa senza mai esibire la brutalità morbosa dell’investigazione, concedendo solo una breve e oscura discesa nel ventre di un peschereccio diventato necropoli. E alla fine tutti i segmenti di Fuocoammare sono come le onde del mare: solitudini che compongono un unico fluido paesaggio fatto di sopravvissuti, che abitano sotto la medesima luna ondeggiante sopra il capo ansioso del piccolo Samuele.
È l’ansia di chi ha paura del mare ma vuole capire. L’ansia di chi sta nel limbo tra infanzia e adolescenza ma si fa simbolo dei nostri timori adulti, delle nostre paure sprofondate sott’acqua. Lì, nel buio silenzio dove scende il sub ripreso da Rosi, dove le parole vengono meno, dove le distanze si annullano, dove impariamo a guardare.
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stefanomaria
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giovedì 31 marzo 2016
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dolore e speranza
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Non so cosa mi aspettassi realmente, quando sono entrato nella sala cinema-tografica per assistere alla visione di 'Fuocoammare', di Francesco Rosi, Leone d'oro alla mostra di Berlino 2016; ero in quello stato d'animo un po' distratto, noncurante, che, talvolta, contraddistingue qualche momento della nostra vita. Le immagini hanno cominciato a scorrere sullo schermo, iniziando da un prologo, se è possibile definirlo così, nel quale il protagonista è un ragazzino lampedusano che cerca di salire su di un albero i cui rami, intricatissimi, gli fanno da base.
E mi è stato subito chiaro il perché ero seduto su quella poltroncina.
Il film si dipana attraverso la narrazione della vita 'normale' di Lampedusa (pescatori in barca o subacquei, giochi, scuola, studio di adolescenti, la cucina giornaliera di una famiglia, le faccende di casa, una radio privata che manda esclusivamente canzoni della tradizione siciliana.
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Non so cosa mi aspettassi realmente, quando sono entrato nella sala cinema-tografica per assistere alla visione di 'Fuocoammare', di Francesco Rosi, Leone d'oro alla mostra di Berlino 2016; ero in quello stato d'animo un po' distratto, noncurante, che, talvolta, contraddistingue qualche momento della nostra vita. Le immagini hanno cominciato a scorrere sullo schermo, iniziando da un prologo, se è possibile definirlo così, nel quale il protagonista è un ragazzino lampedusano che cerca di salire su di un albero i cui rami, intricatissimi, gli fanno da base.
E mi è stato subito chiaro il perché ero seduto su quella poltroncina.
Il film si dipana attraverso la narrazione della vita 'normale' di Lampedusa (pescatori in barca o subacquei, giochi, scuola, studio di adolescenti, la cucina giornaliera di una famiglia, le faccende di casa, una radio privata che manda esclusivamente canzoni della tradizione siciliana...); e quella 'straordinaria' (che poi tanto non lo è...) degli sbarchi, dei migranti di miliardi di nazionalità diverse, delle donne incinta, delle sofferenze, delle ustioni da carburante, dei morti, del lavoro incessante degli operatori e del medico del luogo che, con un'umanità ed una partecipazione umana struggente, descrive una giornata tipo del suo lavoro.
Splendide le immagini, secche, dirette, asettiche, che non lasciano nulla all'immaginazione tanto che l'impressione che mi è rimasta negli occhi, uscito dal cinema, è che il film fosse stato girato in bianco e nero; scarni i dialoghi, quasi esclusivamente in dialetto, che rimandano alla descrizione di una società che potrebbe anche non essere contemporanea, ma di centinaia di anni fa, come se il tempo si fosse fermato in una condizione di tensione isometrica, identico ed immutabile.
E poi c'è la vita dei migranti, come si è detto, quella della sofferenza, della disperazione, della morte, della solidarietà ma anche della rinascita, dello svago, della speranza, dell'orgoglio rappresentato da una partitella di calcio improvvisata e molto partecipata.
Insomma, mi sembra anche presuntuoso definire 'Fuocoammare' un bellissimo documentario su uno dei più tragici e drammatici esodi che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto, con l'aggravante tutta moderna dei 'mercanti di schiavi' che lucrano sulle sventure di povera gente il cui diritto alla vita (e ad una vita degna) deve essere considerato sacro ed inviolabile; presuntuoso perchè stiamo parlando di Francesco Rosi, di colui il quale ha donato all'umanità lavori come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Bellissima, Cristo s'è fermato ad Eboli, Uomini contro, Il caso Mattei (tra regia, sceneggiatura ed ambedue insieme), e potrei continuare per un bel po'....
Documentario, abbiamo detto, asettico, stringato, freddo, essenziale, ma con una carica umana che il regista non riesce a celare dietro le immagini: i protagonisti (italiani o magrebini, asiatici o isolani) hanno impressa sulle rughe del viso la loro storia, la loro vita, la loro sofferenza, il loro dolore, che emerge potente nelle parole dei soccorritori come dagli sguardi dei profughi che sbarcano dalle barche dei salvatori sulla terraferma.
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(di andrea di franco)
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lollo-brigida
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giovedì 18 febbraio 2016
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la morte la porta la libertà
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Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta.
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Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta. I rifornimenti fatti in corsa, procurano la fuoriuscita della nafta, che poi va a finire nei vestiti dei profughi, generando ustioni sulla pelle.
Ma tutto questo Samuele non lo vede, pur abitando a Lampedusa. E non a causa del suo occhio pigro, leggera imperfezione visiva, quanto per la sua lontananza dal mare, difatti preferisce la terra ferma, preferisce la caccia, piuttosto che la pesca, forse perché è un po’ ansioso e girare per le campagne circostanti lo rilassa.
Rosi costruisce un film, mixando scene vere (quelle degli sbarchi) a scene di lieve finzione, vale a dire dando una semplice traccia ai protagonisti e facendoli poi improvvisare il loro quotidiano. Durante il pranzo, per un attimo, si vede il padre di Samuele guardare il regista, in attesa del cenno per partire con la battuta.
Il percorso concentrico (come ne Il sacro GRA) sfocia appunto sul litorale scoglioso dove un sub va a pesca. Si immerge di notte, senza paura, tra le forti onde che si infrangono sugli scogli.
Ma poco lontano arriva un altro barcone, questa volta con circa 50 cadaveri nella stiva. Li vediamo davvero i cadaveri, seppur avvolti in teli neri. Vengono issati a bordo, come fossero sacchi di cozze.
La morte la porta la libertà, scrivevano i Litfiba nel loro brano “Il vento”. La ricerca della libertà, ha portato morte. Nessuno di loro, nemmeno i superstiti, hanno potuto gridare il liet motiv che cantava Piero Pelù: sono libero, come il vento. Samuele sulla barca del padre, vomita. Il padre gli consiglia di frequentare più spesso la passerella dove sono attraccate le barche, per “farsi lo stomaco”, per abituarsi alle onde. Il mare è severo con le sue leggi. E se le leggi non vengono rispettate, produce vittime. I profughi che arrivano sui barconi, dopo molti giorni di viaggio, spesso muoiono a causa del caldo e della disidratazione. Spesso sono stivati “in seconda o terza classe” ovvero nel magazzino di questi barconi, dove il caldo è opprimente. Un medico ci svela un’altra causa di morte, sconosciuta ai più, che è quella dovuta alle ustioni procurate dal contatto con la nafta. I rifornimenti fatti in corsa, procurano la fuoriuscita della nafta, che poi va a finire nei vestiti dei profughi, generando ustioni sulla pelle.
Ma tutto questo Samuele non lo vede, pur abitando a Lampedusa. E non a causa del suo occhio pigro, leggera imperfezione visiva, quanto per la sua lontananza dal mare, difatti preferisce la terra ferma, preferisce la caccia, piuttosto che la pesca, forse perché è un po’ ansioso e girare per le campagne circostanti lo rilassa.
Rosi costruisce un film, mixando scene vere (quelle degli sbarchi) a scene di lieve finzione, vale a dire dando una semplice traccia ai protagonisti e facendoli poi improvvisare il loro quotidiano. Durante il pranzo, per un attimo, si vede il padre di Samuele guardare il regista, in attesa del cenno per partire con la battuta.
Il percorso concentrico (come ne Il sacro GRA) sfocia appunto sul litorale scoglioso dove un sub va a pesca. Si immerge di notte, senza paura, tra le forti onde che si infrangono sugli scogli.
Ma poco lontano arriva un altro barcone, questa volta con circa 50 cadaveri nella stiva. Li vediamo davvero i cadaveri, seppur avvolti in teli neri. Vengono issati a bordo, come fossero sacchi di cozze.
La morte la porta la libertà, scrivevano i Litfiba nel loro brano “Il vento”. La ricerca della libertà, ha portato morte. Nessuno di loro, nemmeno i superstiti, hanno potuto gridare il liet motiv che cantava Piero Pelù: sono libero, come il vento.
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catcarlo
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giovedì 3 marzo 2016
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fuocoammare
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un’opera complessa che rifiuta chiavi di lettura immediate già dal suo non essere documentario ma neppure finzione: la parte narrativa che illustra la vita di ogni giorno degli abitanti di Lampedusa viene utilizzata per mettere in risalto gli orrori che avvengono davanti alla loro (e alla nostra) porta di casa senza inutili pietismi o commozioni a comando, sebbene non manchino i passaggi crudeli. Si capisce allora perché il regista abbia trascorso un anno sull’isola: solo una completa condivisione del vissuto regala la capacità di raccontarlo dal di dentro fondendo realtà e poesia. Il filo conduttore è il piccolo Samuele, ragazzino isolano che preferisce la terra al mare che gli ribalta lo stomaco e dove non sa come comportarsi: molto meglio andare a giocare con la fionda prendendo di mira pale di cactus (poi riparate) e nidi d’uccelli, con quel problema dell’occhio pigro al quale si può ovviare con la determinazione.
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un’opera complessa che rifiuta chiavi di lettura immediate già dal suo non essere documentario ma neppure finzione: la parte narrativa che illustra la vita di ogni giorno degli abitanti di Lampedusa viene utilizzata per mettere in risalto gli orrori che avvengono davanti alla loro (e alla nostra) porta di casa senza inutili pietismi o commozioni a comando, sebbene non manchino i passaggi crudeli. Si capisce allora perché il regista abbia trascorso un anno sull’isola: solo una completa condivisione del vissuto regala la capacità di raccontarlo dal di dentro fondendo realtà e poesia. Il filo conduttore è il piccolo Samuele, ragazzino isolano che preferisce la terra al mare che gli ribalta lo stomaco e dove non sa come comportarsi: molto meglio andare a giocare con la fionda prendendo di mira pale di cactus (poi riparate) e nidi d’uccelli, con quel problema dell’occhio pigro al quale si può ovviare con la determinazione. Le sue avventure di bambino che cresce in fretta, tra attimi di tenerezza e momenti di aggressività, si sviluppa tra adulti immersi nella quotidianità, dalla donna che prepara il letto con gesti di una precisione antica e il pescatore di ricci che si immerge con qualsiasi tempo in sessioni subacquee che paiono infinite e ben rappresentano la tendenza dell’autore all’anticlimax: lo spettatore è spinto ad attendersi che gli abissi celino qualche orrore, ma nulla accade mentre l’unico collegamento visibile con i migranti finisce per essere il dottor Bartolo, che cura sia Samuele sia, con angoscia crescente, l’umanità disperata in arrivo. Bastano il suo racconto e due scene a restituire appieno la tragedia: il ragazzo nigeriano che canta come un gospel il viaggio suo e dei compagni di sventura costringe a immaginare, ma il recupero dell’ennesimo barcone è esplicito al limite del dolore fisico, con quell’ultima inquadratura della stiva criticata perché troppo cruda e invece indispensabile. Se la materia è importante e trattata con intelligenza, altrettanto significativo è il modo di raccontarla attraverso le immagini che lo stesso Rosi ha girato dando la preferenza a una Lampedusa oppressa da un clima ostile in cui spiccano grassi nuvoloni bluastri e il vento teso, quasi che ci si trovasse nel Canale d’Irlanda piuttosto che in quello di Sicilia. Il montaggio di Jacopo Quadri assembla il materiale con stacchi netti che mettono in contrasto l’agitazione che circonda chi arriva (tra i flutti come nel centro di accoglienza) con gli squarci di vita quotidiana ripresi attravreso una macchina da presa sovente ferma che evoca talvolta lo sguardo di Ciprì e Maresco, ma senza cattiveria chè qui risulterebbe fuori posto. In una di queste circostanze, la nonna racconta a Samuele che il fuoco in mare significa disgrazia, perché solo l’uomo in guerra ve lo porta, e, subito dopo, il disc-jockey della radio locale - che costruisce una colonna sonora di brani tradizionali - trasmette la canzone che intitola il film mentre l’attenzione si rivolge alle navi che pattugliano in cerca di naufraghi. Simili incastri sono la struttura stessa della narrazione, una ragion d’essere che si limita a suggerire echi e paralleli che lo spettatore è portato di sviluppare con un lavoro di partecipazione che collabora a rendere la visione un’esperienza tanto coinvolgente quanto difficile da dimenticare.
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no_data
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mercoledì 24 febbraio 2016
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documentario da vedere
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Il documentario di Rosi ha un forte impatto sulla coscienza dello spettatore perché riesce a trasmettere tutto il dolore dei migranti. Il regista non lascia indietro nessuna immagine di quello che ha girato in oltre un anno a Lampedusa e neanche le immagini di morte e dolore vengono tagliate dando così un effetto da documento storico. Leggendo un'intervista a Rosi questo riferisce che il comandante della barca di salvataggio migranti nel momento di indecisione del regista sul girare o meno le scene di morte dei migranti gli ha detto "E' necessario. Come trovarsi davanti a una camera a gas durante l'Olocausto e non filmarlo perché è troppo forte".
Questo film riesce a farci capire la reale dimensione del fenomeno a cui siamo assopiti, sentendolo raccontare soltanto numericamente dai telegiornali.
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stefano capasso
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lunedì 29 febbraio 2016
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le tradizioni che salvano
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A Lampedusa c’è un giovane ragazzo, Samuele, che vive la sua vita a stretto contatto con la natura e le tradizioni locali, come del resto molte delle persone intorno a lui. In un'altra parte dell’isola ci sono tanti uomini costantemente impegnati nel salvataggio dei migranti che dai barconi lanciano sos: una battaglia drammatica contro il tempo che ha successo solo in parte.
Gianfranco Rosi racconta in questo bellissimo documentario, Lampedusa e la grande contraddizione che va in scena ogni giorno. Da una parte una comunità ancora in gran parte legata alle tradizioni, che vive come hanno sempre vissuto da secoli gli abitanti, dove i giovani hanno il tempo di giocare e sognare e gli adulti lavorano per mandare avanti la famiglia, dall’altra le vicende strazianti dei migranti che tutto questo hanno perso e che in qualche modo cercano.
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A Lampedusa c’è un giovane ragazzo, Samuele, che vive la sua vita a stretto contatto con la natura e le tradizioni locali, come del resto molte delle persone intorno a lui. In un'altra parte dell’isola ci sono tanti uomini costantemente impegnati nel salvataggio dei migranti che dai barconi lanciano sos: una battaglia drammatica contro il tempo che ha successo solo in parte.
Gianfranco Rosi racconta in questo bellissimo documentario, Lampedusa e la grande contraddizione che va in scena ogni giorno. Da una parte una comunità ancora in gran parte legata alle tradizioni, che vive come hanno sempre vissuto da secoli gli abitanti, dove i giovani hanno il tempo di giocare e sognare e gli adulti lavorano per mandare avanti la famiglia, dall’altra le vicende strazianti dei migranti che tutto questo hanno perso e che in qualche modo cercano. La dolcezza la semplicità e la grande vitalità di Samuele si contrappongono alle storie di queste donne e questi uomini che hanno oltrepassato i limiti di quello che è umano alla ricerca di una vita vivibile. Il tutto raccontato con una grande semplicità di linguaggio, rigorosamente descrittivo, che non cede mail al tentativo di drammatizzare una storia che alterna vita e morte.
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