lucamariamilazzo
|
domenica 28 febbraio 2016
|
l’ apoteosi della mistificazione
|
|
|
|
Il film di Rosi è uno dei peggiori documenti su Lampedusa degli ultimi anni. E questo a discapito della fotografia (stupenda), di attori molto bravi e di una regia – alla Rosi – affascinante nel suo genere. Il risultato è terribile, nonostante la critica lo stia incoronando, semplicemente perché il film non racconta Lampedusa. Il regista dice di essersi trattenuto un anno sull’isola, ed il massimo che riesce a produrre sono alcune immagini di salvataggi in mare e ordinaria quotidianità all’interno del centro di detenzione (niente di particolare rispetto alle centinaia che si trovano in rete), i giochi all’aperto di un ragazzino lampedusano, i racconti del medico dell’isola e una serie di scene di ordinario folklore siciliano, forzate fino a sembrare innaturali.
[+]
Il film di Rosi è uno dei peggiori documenti su Lampedusa degli ultimi anni. E questo a discapito della fotografia (stupenda), di attori molto bravi e di una regia – alla Rosi – affascinante nel suo genere. Il risultato è terribile, nonostante la critica lo stia incoronando, semplicemente perché il film non racconta Lampedusa. Il regista dice di essersi trattenuto un anno sull’isola, ed il massimo che riesce a produrre sono alcune immagini di salvataggi in mare e ordinaria quotidianità all’interno del centro di detenzione (niente di particolare rispetto alle centinaia che si trovano in rete), i giochi all’aperto di un ragazzino lampedusano, i racconti del medico dell’isola e una serie di scene di ordinario folklore siciliano, forzate fino a sembrare innaturali. Troppo poco, per non dire nulla, rispetto a quello che un’isola devastata dalla gestione scellerata dei fenomeni migratori avrebbe bisogno per potersi rialzare e lottare contro il destino che le forze politiche le hanno assegnato. Non un accenno all’occupazione militare che l’isola è costretta a subire da decenni, alla situazione tragica dei pescatori che stanno scomparendo anche a causa delle centinaia di barconi che la marina affonda e che rompono le loro reti. Non un cenno alla mancanza di un ospedale e di scuole agibili a discapito di centinaia di milioni di euro spesi negli anni per rafforzare gli apparati militari. Niente sui livelli altissimi di elettromagnetismo (e quindi alle morti per tumore) che i moltissimi radar militari provocano. Nessun riferimento al fatto che i mezzi della marina che salva i pochi migranti scampati al deserto, ai trafficanti, alle polizie e alle carceri di mezza africa, sono gli stessi che destabilizzando governi facendo guerre sante per la democrazia (imminente quella in Libia) e che provocano milioni di profughi.
Un film su Lampedusa, oggi, che perde l’occasione di raccontare tutto questo, e che si accontenta di mostrare per interminabili minuti un bambino che gioca con la fionda, tradisce il sacro ruolo del documentarista, tradisce gli isolani, tradisce le persone che continuano a morire in mare e a soffrire in terra, e non ultimo lo spettatore.
“L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto, ove non miri a preparar l'avvenire” si legge sul frontone del teatro Massimo di Palermo. E non si può definire altro che vano ed offensivo il documentario di Rosi, che invece di rivelare al mondo Lampedusa e di contribuire alla sua riscossa si accontenta di un voyeurismo sterile e mistificatore, da dare in pasto ad una critica ignorante e poco informata.
[-]
[+] c'era una volta
(di goldy)
[ - ] c'era una volta
[+] lo faccia lei un film così
(di howlingfantod)
[ - ] lo faccia lei un film così
[+] se sei di lampedusa
(di kimkiduk)
[ - ] se sei di lampedusa
[+] prendiamo quello che c’è
(di jacopo mancini)
[ - ] prendiamo quello che c’è
[+] bravissimo
(di andrea di franco)
[ - ] bravissimo
[+] sono perfettamente d'accordo
(di antonio2009)
[ - ] sono perfettamente d'accordo
|
|
[+] lascia un commento a lucamariamilazzo »
[ - ] lascia un commento a lucamariamilazzo »
|
|
d'accordo? |
|
lbavassano
|
domenica 21 febbraio 2016
|
distacco documentaristico e umanissima pietas
|
|
|
|
Giustamente Gianfranco Rosi ha deciso di dedicare ampio spazio alla narrazione della comunità di Lampedusa, ma lo ha fatto senza traccia alcuna di retorica, bensì con un raro equilibrio fra distacco documentaristico e umana partecipazione, privilegiando il punto di vista di un bambino, seguendone la vita quotidiana di giochi e di scuola, di piccole ansie e apprendistato alla vita; un bambino tanto lontano da quelli della generazione troppo precocemente ipertecnologica attuale quanto vicino ai modi di vita di chi bambino lo è stato mezzo secolo fa, sul continente.
[+]
Giustamente Gianfranco Rosi ha deciso di dedicare ampio spazio alla narrazione della comunità di Lampedusa, ma lo ha fatto senza traccia alcuna di retorica, bensì con un raro equilibrio fra distacco documentaristico e umana partecipazione, privilegiando il punto di vista di un bambino, seguendone la vita quotidiana di giochi e di scuola, di piccole ansie e apprendistato alla vita; un bambino tanto lontano da quelli della generazione troppo precocemente ipertecnologica attuale quanto vicino ai modi di vita di chi bambino lo è stato mezzo secolo fa, sul continente.
Così la Lampedusa raccontata da Rosi non è quella turistica e cartolinesca di spiagge bianchissime e acque cristalline, è una Lampedusa di interni antiquati, di ritmi lenti che dettano il ritmo a una narrazione che a tale realtà si adegua senza stravolgerla, una Lampedusa invernale, di campagna più che di mare, ignota ai turisti, restituita però con immagini di straordinaria bellezza.
Il mare c'é, non può non esserci, ma è un mare di lavoro e fatica, quello dei pescatori e quello, durissimo, dei marinai imbarcati sulle unità destinate al salvataggio dei migranti. Ma anche qui non c'é retorica, ma strazio, lo strazio di cui sono cariche la parole del medico di Lampedusa, umanissimo esempio di autentica pietas. Parole che restano incise, parole che sono pietre.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a lbavassano »
[ - ] lascia un commento a lbavassano »
|
|
d'accordo? |
|
alberto58
|
domenica 21 febbraio 2016
|
dove i malavoglia incontrano l'africa
|
|
|
|
Prima di andare a vedere questo film pensavo che non valesse la pena di rovinarmi una domenica pomeriggio rinnovando le immagini drammatiche di barconi e morti tante volte viste mei TG e che quel film aveva vinto l'orso d'oro a Berlino per lavare la coscienza dei tedeschi che ci hanno lasciato da soli davanti a questa tragedia.
A film visto lo penso ancora ma mi rimangono sopratutto nella mente le immagini della famiglia di pescatori lampedusani protagonista del film, i loro scarni dialoghi intervallati da lunghi silenzi mentre attendono alle occupazioni quotidiane come sbrogliare le reti, fare i compiti scolastici, rammendare, riordinare la casa, cucinare.
[+]
Prima di andare a vedere questo film pensavo che non valesse la pena di rovinarmi una domenica pomeriggio rinnovando le immagini drammatiche di barconi e morti tante volte viste mei TG e che quel film aveva vinto l'orso d'oro a Berlino per lavare la coscienza dei tedeschi che ci hanno lasciato da soli davanti a questa tragedia.
A film visto lo penso ancora ma mi rimangono sopratutto nella mente le immagini della famiglia di pescatori lampedusani protagonista del film, i loro scarni dialoghi intervallati da lunghi silenzi mentre attendono alle occupazioni quotidiane come sbrogliare le reti, fare i compiti scolastici, rammendare, riordinare la casa, cucinare. Che differenza con la sovrabbondante verbosità di noi cittadini metropolitani. Mi sono venuti in mente i pescatori di Acireale protagonisti della novella di Giovanni Verga. Questi però, in più, hanno in casa la fuga dall'Africa, i cui profughi si esprimono lo stesso con poche parole, molto essenziali. Forse e' proprio in questo incontro tra due semplicità che sta la grandezza di un film in cui non c'è neanche una voce fuori campo ma, oltre alle poche parole dei protagonisti, ci sono solo i suoni della natura di questo pezzo d'Africa che appartiene alla nazione italiana.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alberto58 »
[ - ] lascia un commento a alberto58 »
|
|
d'accordo? |
|
robert eroica
|
domenica 28 febbraio 2016
|
l'occhio pigro di rosi
|
|
|
|
“Fuocoammare” è al contempo una canzone antica, un ricordo di guerra e da ultimo, un film di Gianfranco Rosi, premiato con l’Orso d’argento all’ultimo festival del cinema di Berlino. In realtà sono due film in uno, tutti ambientati nell’isola di Lampedusa, più vicina all’Africa che alla Sicilia: da una parte la storia del piccolo Samuele, un ragazzino che tira con la fionda, parla con gli uccelli e soffre il mal di mare. In più ha un occhio pigro e gira con un paio di occhialini dalla montatura un po’ ridicola, come lo Scurpiddu di Capuana, di cui sembra la versione aggiornata.
[+]
“Fuocoammare” è al contempo una canzone antica, un ricordo di guerra e da ultimo, un film di Gianfranco Rosi, premiato con l’Orso d’argento all’ultimo festival del cinema di Berlino. In realtà sono due film in uno, tutti ambientati nell’isola di Lampedusa, più vicina all’Africa che alla Sicilia: da una parte la storia del piccolo Samuele, un ragazzino che tira con la fionda, parla con gli uccelli e soffre il mal di mare. In più ha un occhio pigro e gira con un paio di occhialini dalla montatura un po’ ridicola, come lo Scurpiddu di Capuana, di cui sembra la versione aggiornata. Dall’altra abbiamo il dramma dei migranti, che arrivano nel canale di Sicilia in condizioni disumane e vengono intercettati e spesso portati in salvo da una catena umana di soccorsi che lascia ammirati e a tratti costernati. Il primo film è esornativo, superficiale, un trattatello che cerca (e trova) una facile empatia con il pubblico, suscitando di tanto in tanto qualche risata (come quello spaghetto allo scoglio che Samuele risucchia come un piccolo Bombolo). Il secondo è un’opera dura che non fugge di fronte a nulla (nemmeno ai cadaveri rinvenuti su un barcone) e cerca (e trova, anche qui) immagini mai viste, quadri elettrici nel buio, cortocircuiti sonori, scene che paiono esplodere da un momento all’altro. Il primo non è cinema, il secondo lo è, anche troppo. L’impressione è che c’entrino poco l’uno con l’altro e si trovino (senza incontrarsi mai) per esigenze più produttive che realmente artistiche. VOTO: 5/6
Robert Eroica
[-]
|
|
[+] lascia un commento a robert eroica »
[ - ] lascia un commento a robert eroica »
|
|
d'accordo? |
|
avventuroso
|
venerdì 15 luglio 2016
|
un lavoro mediocre
|
|
|
|
La mia sensazione è che chi ha apprezzato il film abbia confuso l'emozione per la tragedia umana dei migranti con il pregio della pellicola. Le immagini degli approdi drammatici di uomini, donne e bambini sono ovviamente "un pugno nello stomaco" per qualsiasi persona sensibile, come ha commentato una mia amica. Vero. Ma sono le stesse immagini che trasmette un telegiornale o che trovate su media indipendenti. Il film, invece, semplicemente non c'è. Rosi non riesce neppure a scavare nella vita di queste persone, non dico a farci entrare nella loro pelle, ma almeno a rendercele vicine. Restano terzi sullo sfondo, restano "altri". Ecco, mi è sembrato non solo lo spreco di un'occasione, ma anche un insulto a queste persone, che esigono un racconto, che esigono di uscire dal ruolo dell'altro per entrare nella vita dello spettatore.
[+]
La mia sensazione è che chi ha apprezzato il film abbia confuso l'emozione per la tragedia umana dei migranti con il pregio della pellicola. Le immagini degli approdi drammatici di uomini, donne e bambini sono ovviamente "un pugno nello stomaco" per qualsiasi persona sensibile, come ha commentato una mia amica. Vero. Ma sono le stesse immagini che trasmette un telegiornale o che trovate su media indipendenti. Il film, invece, semplicemente non c'è. Rosi non riesce neppure a scavare nella vita di queste persone, non dico a farci entrare nella loro pelle, ma almeno a rendercele vicine. Restano terzi sullo sfondo, restano "altri". Ecco, mi è sembrato non solo lo spreco di un'occasione, ma anche un insulto a queste persone, che esigono un racconto, che esigono di uscire dal ruolo dell'altro per entrare nella vita dello spettatore. Dov'è il fiuto del regista? Dov'è l'intuizione? Boh, è solo materiale girato su "altri". Non c'è introspezione, non c'è storia, non c'è nulla, eppure sarebbe bastato pochissimo per raccogliere anche una sola delle centinaia di storie interessanti e provare a raccontarla o quantomeno ad avvicinarla allo spettatore. Mi pare di capire che il film sia nato dall'assemblaggio casuale di corti girati dall'autore. E' rimasto un assemblaggio casuale e, a mio avviso, assai superficiale. Sembra un film a episodi dei bei tempi andati, nessuna storia si incontra con l'altra, neppure attraverso rimandi sottili o allusioni. La vicenda di Samuele o del pescatore di ricci sono peraltro materiale del tutto insipido e di una noia mortale. Tempi lunghissimi. Un gran brutto lavoro, davvero brutto, senza impegno. Emozionarsi per la tragedia dei migranti non vuol dire assistere a un buon film. Mi dispiace essere così duro, ma non viene raccontato nulla.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a avventuroso »
[ - ] lascia un commento a avventuroso »
|
|
d'accordo? |
|
cosmo15
|
giovedì 3 marzo 2016
|
cinico
|
|
|
|
Questo film abbastanza noioso, (malgrado alcune scene) mi pare cinico e manipolatore. Cinico perché il solo scopo del film sembra essere quello di filmare l'incongruenza tra la vita tranquilla di alcuni isolani e la tragedia dei migranti. Tutto cio' è filmato con lo stesso impassibile atteggiamento di un film sulla giungla : da una parte i leoni che sbranano delle povere gazelle, e dall'altra degli uccellini su di un albero che vivono felici, fuori pericolo. Non c'è nessuna empatia verso la tragedia in corso, né spiegazione per farci capire meglio i percorsi umani dei protagonisti. C'è più empatia con il ragazzino che neanche è cosciente della tragedia che si svolge a due metri da casa sua! Ingiusto, quando tutti sanno tra l'altro che i lampedusani sono una popolazione molto collaborativa e generosa rispetto a questo specifico fenomeno.
[+]
Questo film abbastanza noioso, (malgrado alcune scene) mi pare cinico e manipolatore. Cinico perché il solo scopo del film sembra essere quello di filmare l'incongruenza tra la vita tranquilla di alcuni isolani e la tragedia dei migranti. Tutto cio' è filmato con lo stesso impassibile atteggiamento di un film sulla giungla : da una parte i leoni che sbranano delle povere gazelle, e dall'altra degli uccellini su di un albero che vivono felici, fuori pericolo. Non c'è nessuna empatia verso la tragedia in corso, né spiegazione per farci capire meglio i percorsi umani dei protagonisti. C'è più empatia con il ragazzino che neanche è cosciente della tragedia che si svolge a due metri da casa sua! Ingiusto, quando tutti sanno tra l'altro che i lampedusani sono una popolazione molto collaborativa e generosa rispetto a questo specifico fenomeno. Qual'è il vero senso di questo film? E perché è un film manipolatore : se fosse solo un film sul ragazzino buffo che vive sull'isola sarebbe alla fine un po' stancante, e non avrebbe una diffusione da nessuna parte (ma sarebbe stato più coerente per mostrare la tesi del regista, ovvero che le tragedie dei migranti non influiscono sulla sua vita). Rosi ha inserito delle immagini scioccanti sui migranti, come per esempio il piano sequenza sui cadaveri nella barca, per dare l'impressione che si preoccupa di un soggetto emblematico, e che il film è impegnato. Ma il film non è che un puro esercizio cerebrale, e la cinepresa impassibile non ci spiega nulla. I migranti sono delle gazzelle sbranate dai leoni, "c'est la vie", cosi' è la natura, non ci si puo' far nulla... E il pubblico dei festival si sente "intelligente" e "impegnato", continuando a non capire nulla.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a cosmo15 »
[ - ] lascia un commento a cosmo15 »
|
|
d'accordo? |
|
gambadilegnodinomesmith
|
giovedì 3 marzo 2016
|
i quattrocento morti
|
|
|
|
Due umanità diversamente abbandonate, quella dei migranti e quella degli isolani, mostrate senza un confronto vero e proprio o un punto d'incontro, se non nell'emblematico ruolo di un medico restituito però marginalmente e nella disgraziata contiguità geografica, data talmente per appurata da non risultare mai. Da una parte seguiamo un empatico frammento del racconto di formazione di un bambino, un Truffaut in stretto dialetto dello stretto siciliano, dall'altra qualche inquadratura documentaristica del racconto di disin-formazione dei migranti, due diversi tipi di sopravvivenze alla quotidianità dell'esistenza. Opera solipsistica, che decide di affrontare una tematica drammaticamente nota da una via obliqua, da un punto di vista talmente diverso che la tematica non l'affronta affatto, lasciando sottintendere con l'alibi del documentario una serie di considerazioni che non vengono espresse, riducendo il tema migratorio potenzialmente esplosivo a un pretesto favolistico per parlare poeticamente di altro, trasformando il film in un esercizio di stile su un argomento furbescamente in voga.
[+]
Due umanità diversamente abbandonate, quella dei migranti e quella degli isolani, mostrate senza un confronto vero e proprio o un punto d'incontro, se non nell'emblematico ruolo di un medico restituito però marginalmente e nella disgraziata contiguità geografica, data talmente per appurata da non risultare mai. Da una parte seguiamo un empatico frammento del racconto di formazione di un bambino, un Truffaut in stretto dialetto dello stretto siciliano, dall'altra qualche inquadratura documentaristica del racconto di disin-formazione dei migranti, due diversi tipi di sopravvivenze alla quotidianità dell'esistenza. Opera solipsistica, che decide di affrontare una tematica drammaticamente nota da una via obliqua, da un punto di vista talmente diverso che la tematica non l'affronta affatto, lasciando sottintendere con l'alibi del documentario una serie di considerazioni che non vengono espresse, riducendo il tema migratorio potenzialmente esplosivo a un pretesto favolistico per parlare poeticamente di altro, trasformando il film in un esercizio di stile su un argomento furbescamente in voga. L'occhio pigro del regista si limita a non dare risposte, come è giusto che sia, e non porre domande, lasciandoci semplicemente il ricordo divertito delle peripezie del piccolo Samuele.
Un'operazione poetica che non mette a fuoco nulla, nemmeno ammare.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gambadilegnodinomesmith »
[ - ] lascia un commento a gambadilegnodinomesmith »
|
|
d'accordo? |
|
alfiosquillaci
|
martedì 4 ottobre 2016
|
sbadigli e applausi in fuocammare
|
|
|
|
In Fuocoammare le immagini di salvataggi di immigrati in sequenza continua, che dovevano essere, suppongo, il reale focus documentaristico, avrebbero alla lunga saturato la retina dello spettatore. Accade allora che il sagace film-maker Rosi con passo di scrittura filmica piuttosto scontata incardini le scene degli sbarchi e dei salvataggi solo come climax periodici, ad intervalli, alternandole ad altre spacca-cabasisi di vita quotidiana isolana, alcune con un minimo di intreccio attorno alla vita del piccolo Samuele, altre esonerate dal racconto e tipiche dell’école du regard anni Sessanta (una sequenza lunghissima di scialba vita quotidiana in cui una signuruzza rifà pazientemente il letto, indugiando sulle pieghe e sui cuscini, dura un tempo infinito, ed è da sbadiglio cosmico) e infine altre ancora ritraenti momenti di puro vuoto, né narrative né documentaristiche, in cui la telecamera è mandata a zonzo: un’alba sul mare, una scena di pesca alla canna, una veduta del porto, come quelle degli “Intervalli” televisivi di una volta, con gli arpeggi di Haendel in sottofondo, ma con risultati di rara insulsaggine filmica.
[+]
In Fuocoammare le immagini di salvataggi di immigrati in sequenza continua, che dovevano essere, suppongo, il reale focus documentaristico, avrebbero alla lunga saturato la retina dello spettatore. Accade allora che il sagace film-maker Rosi con passo di scrittura filmica piuttosto scontata incardini le scene degli sbarchi e dei salvataggi solo come climax periodici, ad intervalli, alternandole ad altre spacca-cabasisi di vita quotidiana isolana, alcune con un minimo di intreccio attorno alla vita del piccolo Samuele, altre esonerate dal racconto e tipiche dell’école du regard anni Sessanta (una sequenza lunghissima di scialba vita quotidiana in cui una signuruzza rifà pazientemente il letto, indugiando sulle pieghe e sui cuscini, dura un tempo infinito, ed è da sbadiglio cosmico) e infine altre ancora ritraenti momenti di puro vuoto, né narrative né documentaristiche, in cui la telecamera è mandata a zonzo: un’alba sul mare, una scena di pesca alla canna, una veduta del porto, come quelle degli “Intervalli” televisivi di una volta, con gli arpeggi di Haendel in sottofondo, ma con risultati di rara insulsaggine filmica. Si aggiunga il folklore stantio e rétro di canzoni siciliane riesumate dal ventre di qualche vecchia radio, canzoni perse per sempre che io ascoltavo quand’ero piccolino nei perduti anni ’60 che chissà dove il regista ha recuperato restituendole all'evo presente a scopo di sostegno all'atmosfera tipica. Una specie di trovarobato sonoro che dovrebbe spezzare le scene di pura angoscia emergenti dalle istanze documentaristiche che pure occorre soddisfare.
Il tutto è avvolto nell’involucro delle buone intenzioni, né retoriche né epiche, ma sciatte se si escludono le scene dei climax cui accennavo sopra, scene che si impongono da sé drammaticamente e che sfuggono fortunatamente al trattamento doloristico addizionale cui vorrebbe sottoporle il regista ma che si sottraggono anche al giudizio di chi guarda perché antepongono il punto di vista etico a quello estetico: nessuno oserebbe argomentare infatti sulle ragioni del “bello” (è dopotutto un docufilm non un servizio di “Piazzapulta”) in quanto nascoste dietro quelle del “buono”, l’estetica del racconto dietro l’etica delle buone intenzioni documentaristiche: e se azzardi un giudizio pieno, rischi di colpire questa e di mancare quella. Perché le intenzioni del regista oscillano su entrambi i registri. Non resta, ai titoli di coda, che un silenzio attonito, che non sai se di scoramento, di insoddisfazione o di puro vuoto. Ma ciò che viene eluso, pensi alla fine, ed è grave, è proprio l’evento storico in sé, l’immane emigrazione malthusiana di un Continente, che qui è annegato nel piccolo idillio di una famigliola isolana e nel referto di un medico, a tutta prima brav'uomo, ma non sai se in sé e per sé o perché in favore di telecamera. Il documentario nella finzione o la finzione dentro il documentario? Boh, non sai dire chi affonda che cosa e per prima nel naufragio della pellicola.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alfiosquillaci »
[ - ] lascia un commento a alfiosquillaci »
|
|
d'accordo? |
|
flyanto
|
lunedì 22 febbraio 2016
|
la quotidianità di lampedusa rappres da 2 ottiche
|
|
|
|
Film-documentario di Gianfranco Rosi e vincitore del Leone d' Oro al contemporaneo Festival del Cinema di Berlino, "Fuocoammare" racconta la quotidianità dell'isola di Lampedusa vissuta sia dalla parte di un ragazzino dodicenne isolano sia da quella delle povere popolazioni africane che qui sperano di approdare e trovare una vita migliore. Dopo aver trascorso un anno sull' isola, il regista riprende ancora una volta, come in "Sacro GRA", la quotidianità della vita scandendo le immagini e gli episodi con l'andamento lento tipico della realtà. Il dodicenne che qui trascorre le proprie giornate andando a scuola, giocando con la fionda nei boschi insieme ad un amico, imparando a remare sulla barca con il papà pescatore, in quanto ancora piccolo, è estrapolato dalla dura e tremenda condizione in cui si trovano gli emigranti che qui sono riusciti ad approdare.
[+]
Film-documentario di Gianfranco Rosi e vincitore del Leone d' Oro al contemporaneo Festival del Cinema di Berlino, "Fuocoammare" racconta la quotidianità dell'isola di Lampedusa vissuta sia dalla parte di un ragazzino dodicenne isolano sia da quella delle povere popolazioni africane che qui sperano di approdare e trovare una vita migliore. Dopo aver trascorso un anno sull' isola, il regista riprende ancora una volta, come in "Sacro GRA", la quotidianità della vita scandendo le immagini e gli episodi con l'andamento lento tipico della realtà. Il dodicenne che qui trascorre le proprie giornate andando a scuola, giocando con la fionda nei boschi insieme ad un amico, imparando a remare sulla barca con il papà pescatore, in quanto ancora piccolo, è estrapolato dalla dura e tremenda condizione in cui si trovano gli emigranti che qui sono riusciti ad approdare. Ne è partecipe, invece, direttamente il medico dell'isola che quotidianamente deve curare, quando addirittura non recuperare i corpi morti, gli individui malati e disidratati salvati dai barconi e dalle pessime e disumane condizioni in cui hanno viaggiato dalle coste africane. E nell'equilibrata alternanza tra la vita spensierata del ragazzino e quella degli immigrati e delle persone preposte al loro salvataggio, Lampedusa viene ritratta realisticamente e poeticamente da Rosi, circondata da un mare blu/azzurro, che a volte è minaccioso, a volte calmo, rivelandosi ora come un amico, ora come un nemico.
Interessante e per riflettere a fondo su una condizione purtroppo contemporanea e soprattutto difficile da affrontare e risolvere, con un encomio particolare alla figura del medico isolano e di tutti coloro delle unità di salvataggio preposti al recupero degli immigrati animati da un sincero spirito di fratellanza ed umanità.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a flyanto »
[ - ] lascia un commento a flyanto »
|
|
d'accordo? |
|
nerone bianchi
|
sabato 5 marzo 2016
|
la buccia di banana
|
|
|
|
Non è un documentario, non è un film, non parla del dramma dell'emigrazione, non parla di Lampedusa, allora cos'è e di cosa parla questo celebrato film che ha conquistato l'orso d'oro di Berlino? Parla di un isola, di un bambino simpatico, di un dottore in prima linea, di tanti disperati, di un ritmo di vita diverso. Le immagini sono molto belle, quelle in mare ancora di più, la scelta di non utilizzare musica ma solo rumori reali è bella anch'essa, il non utilizzare attori ma gente comune è spiazzante. Il radar che gira nella notte, la vecchia signora che rifà il letto, il ragazzino che prova gli occhiali, sono immagini che restano. Il film sfida la capacità umana di attenzione e alla lunga perde.
[+]
Non è un documentario, non è un film, non parla del dramma dell'emigrazione, non parla di Lampedusa, allora cos'è e di cosa parla questo celebrato film che ha conquistato l'orso d'oro di Berlino? Parla di un isola, di un bambino simpatico, di un dottore in prima linea, di tanti disperati, di un ritmo di vita diverso. Le immagini sono molto belle, quelle in mare ancora di più, la scelta di non utilizzare musica ma solo rumori reali è bella anch'essa, il non utilizzare attori ma gente comune è spiazzante. Il radar che gira nella notte, la vecchia signora che rifà il letto, il ragazzino che prova gli occhiali, sono immagini che restano. Il film sfida la capacità umana di attenzione e alla lunga perde. La mancanza di un tessuto narrativo è la buccia di banana su cui il pur coraggioso tentativo cade. Lo scorrere delle immagini alla fine diventa prevedibile e la curiosità visiva, non trovando nello svolgersi di una storia appigli su cui ripartire, langue e le palpebre cominciano a scendere e quando questo accade bisogna prenderene atto, senza troppi perchè e per come.
[-]
[+] tessuto narrativo
(di angelo umana)
[ - ] tessuto narrativo
|
|
[+] lascia un commento a nerone bianchi »
[ - ] lascia un commento a nerone bianchi »
|
|
d'accordo? |
|
|