alirusso
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sabato 5 novembre 2016
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non gradito
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Io non consiglio questo film innanzitutto per il motivo della riproduzione in bianco e nero, solo pochissime scene sono state girate a colori . La storia è molto complessa e in certi punti anche noiosa . Per esperienza personale sconsiglio vivamente questo film al pubblico più giovane, poiché i miei due figli, già abituati a film abbastanza complessi si sono parecchio annoiati . Un altro motivo per cui sconsiglio la visione di questo film è il frequente cambio di lingua che mi ha confuso notevolmente . Inoltre gli attori sono di capacità mediocre e secondo me non sono stati in grado di ricoprire il ruolo del personaggio che dovevano rappresentare. Il film è anche stato eccessivamente lungo e pesante.
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Io non consiglio questo film innanzitutto per il motivo della riproduzione in bianco e nero, solo pochissime scene sono state girate a colori . La storia è molto complessa e in certi punti anche noiosa . Per esperienza personale sconsiglio vivamente questo film al pubblico più giovane, poiché i miei due figli, già abituati a film abbastanza complessi si sono parecchio annoiati . Un altro motivo per cui sconsiglio la visione di questo film è il frequente cambio di lingua che mi ha confuso notevolmente . Inoltre gli attori sono di capacità mediocre e secondo me non sono stati in grado di ricoprire il ruolo del personaggio che dovevano rappresentare. Il film è anche stato eccessivamente lungo e pesante. Senza la presenza di suoni di sottofondo ogni minuscolo rumore si riusciva a percepire e provocava sgradite lamentele sopratutto dal pubblico più anziano che secondo me non ha più l età per andare al cinema. Sconsiglio vivamente questo film a tutto il pubblico italiano . Il regista poteva alleggerire un po la storia con delle scene non dico comiche, ma solamente un po ironiche .
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ralphscott
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martedì 25 ottobre 2016
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il segreto di adrien rivoire
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Il poliedrico e raffinato regista esplora questa volta i territori del melodramma in bianco e nero. I sentimenti sono trattenuti,le allusioni ad un rapporto affettivo tra i soldati,le menzogne e l'aspetto stesso dell'efebico Adrien sono depistaggi che aumentano l'effetto sorpresa. Ma anche quando la trama prende la piega che non ti aspetti,la vicenda affascina e seduce. Bravi attori (e belli,come sempre nei film di Ozon). Intenso il volto scolpito dell'anziano Stotzner,un padre laconico che recita con gli sguardi,innanzitutto.
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domenico astuti
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martedì 11 ottobre 2016
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un ottimo remake.
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali.
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali. Per quantità di interessi e per una certa visione del mondo fa venire in mente vagamente il grande regista tedesco Fassbinder da cui ha tratto dal testo teatrale Tropfen auf heisse Steine il film Gocce d’acqua su pietre roventi ( 1999 ); ma il confronto si ferma qui in quanto il punto di vista è più razionale e culturalmente francese, mentre l’esplorazione del desiderio è più mediatica e borghese.
Pur confezionando sempre dei film interessanti, però François Ozon non riesce a realizzare delle opere di grande respiro, da autore fondamentale, probabilmente perché, per il suo cinema, la forma è sempre tutto e lo stile rischia di creare una struttura complessa ma in fondo un po’ vuota. Oppure è per una certa vena patinata, per un effetto glamour o perché l’eros è troppo conciliato col thanatos seppur con qualche insidia, sempre comunque in un’atmosfera ovattata e armonizzata. Anche questo Frantz è tratto da una pièce teatrale, L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand e già utilizzata dal maestro Lubitsch per il film Broken Lullaby ( 1932 ), uno dei suoi film meno conosciuti. E Ozon sceglie per la prima volta il bianco e nero per dare concretezza e atmosfera a uno sfondo che però nella seconda parte non ha la drammaticità dei disastri del post guerra.
Un buon film, si potrebbe dire senza tempo, pudico e trattenuto, in cui si affrontano – ma sempre restando un po’ in superficie – parecchi temi come un possibile amore tra due ‘ nemici ‘ ( potrebbero essere un israeliano e una palestinese o un pachistano e un’indiana ), la questione politica di una fratellanza impossibile, la difficoltà per tutti di superare un odio indotto, la difficoltà del senso di colpa, di riuscire a rielaborare il lutto, la necessità di perdonare e andare avanti, il modo di affrontare la verità e la necessità di dire qualche bugia, accettare che chi è morto non era perfetto ma a volte banale come tutti. Ma sembra che in fondo per Ozon, tutto si giochi su un altro piano, la distanza tra la materia vera dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. Se nella prima parte il regista riesce a raccontare con una certa efficacia una microsocietà ancora incapace di accettare la sconfitta e quindi di lasciare spazio alla parte più nera della coscienza di un popolo, nella seconda parte, la realtà francese emerge solo con una scena un po’ a effetto, quando in un ristorante di Parigi gran parte dei clienti cantano La Marsigliese, e questo ci sembra veramente un po’ poco.
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domenico astuti
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martedì 11 ottobre 2016
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un remake che merita
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali.
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali. Per quantità di interessi e per una certa visione del mondo fa venire in mente vagamente il grande regista tedesco Fassbinder da cui ha tratto dal testo teatrale Tropfen auf heisse Steine il film Gocce d’acqua su pietre roventi ( 1999 ); ma il confronto si ferma qui in quanto il punto di vista è più razionale e culturalmente francese, mentre l’esplorazione del desiderio è più mediatica e borghese.
Pur confezionando sempre dei film interessanti, però François Ozon non riesce a realizzare delle opere di grande respiro, da autore fondamentale, probabilmente perché, per il suo cinema, la forma è sempre tutto e lo stile rischia di creare una struttura complessa ma in fondo un po’ vuota. Oppure è per una certa vena patinata, per un effetto glamour o perché l’eros è troppo conciliato col thanatos seppur con qualche insidia, sempre comunque in un’atmosfera ovattata e armonizzata. Anche questo Frantz è tratto da una pièce teatrale, L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand e già utilizzata dal maestro Lubitsch per il film Broken Lullaby ( 1932 ), uno dei suoi film meno conosciuti. E Ozon sceglie per la prima volta il bianco e nero per dare concretezza e atmosfera a uno sfondo che però nella seconda parte non ha la drammaticità dei disastri del post guerra.
Un buon film, si potrebbe dire senza tempo, pudico e trattenuto, in cui si affrontano – ma sempre restando un po’ in superficie – parecchi temi come un possibile amore tra due ‘ nemici ‘ ( potrebbero essere un israeliano e una palestinese o un pachistano e un’indiana ), la questione politica di una fratellanza impossibile, la difficoltà per tutti di superare un odio indotto, la difficoltà del senso di colpa, di riuscire a rielaborare il lutto, la necessità di perdonare e andare avanti, il modo di affrontare la verità e la necessità di dire qualche bugia, accettare che chi è morto non era perfetto ma a volte banale come tutti. Ma sembra che in fondo per Ozon, tutto si giochi su un altro piano, la distanza tra la materia vera dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. Se nella prima parte il regista riesce a raccontare con una certa efficacia una microsocietà ancora incapace di accettare la sconfitta e quindi di lasciare spazio alla parte più nera della coscienza di un popolo, nella seconda parte, la realtà francese emerge solo con una scena un po’ a effetto, quando in un ristorante di Parigi gran parte dei clienti cantano La Marsigliese, e questo ci sembra veramente un po’ poco.
Un buon cast su cui emerge la protagonista tedesca Paula Beer. Adrien, Pierre Niney ( visto ne Le nevi del Kilimangiaro e Yves Saint Laurent ) è un po’ troppo stereotipato nel suo ruolo e nel suo aspetto da romantico e delicato personaggio da film degli Anni Venti.
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(di ralphscott)
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angelo umana
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martedì 11 ottobre 2016
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la menzogna palliativa
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Sparagli Piero sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora, fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra coprire il suo sangue. E mentre gli usi questa premura quello si volta ti vede ha paura ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia. Così Fabrizio De André nella Guerra di Piero. Lo aveva già detto, già previsto, così come tanti prima e dopo: nelle guerre, come fa dire in Frantz invece il regista François Ozon, si possono trovare di fronte due ragazzi pacifisti di eserciti diversi, ed uno ha per missione di sparare all’altro. Qui non si tratta di Piero ma di Frantz, tedesco.
La ex promessa sposa Anna, bella ed elegante nei vestiti del tempo, va quotidianamente a portargli fiori sulla tomba nel 1919.
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Sparagli Piero sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora, fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra coprire il suo sangue. E mentre gli usi questa premura quello si volta ti vede ha paura ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia. Così Fabrizio De André nella Guerra di Piero. Lo aveva già detto, già previsto, così come tanti prima e dopo: nelle guerre, come fa dire in Frantz invece il regista François Ozon, si possono trovare di fronte due ragazzi pacifisti di eserciti diversi, ed uno ha per missione di sparare all’altro. Qui non si tratta di Piero ma di Frantz, tedesco.
La ex promessa sposa Anna, bella ed elegante nei vestiti del tempo, va quotidianamente a portargli fiori sulla tomba nel 1919. Si accorge che un ragazzo fa la sua stessa cosa, visita ogni giorno la tomba di Frantz, è francese e si chiama Adrien. Inevitabile che i due si conoscano e che Adrien – che dice di essere amico del soldato morto da prima della guerra - venga invitato a casa dei genitori di Frantz. Inevitabile che i due anziani e la fidanzata vogliano sapere come si conobbero, a Parigi, e qual è stata l’ultima volta che si videro: è un po’ come avere qualcosa del loro congiunto ancora accanto; chiedono a lui, violinista nell’orchestra di Parigi, di suonare per loro il violino di Frantz, che tengono come “reliquia” del figlio morto.
L’ultima volta? risponde incerto Adrien, ecco … l’ultima volta contemplavamo quadri in un museo. Inevitabile che Anna sia attratta da Adrien e che costui, durante il suo soggiorno nel villaggio tedesco, subisca gli sguardi di inimicizia dei tedeschi. E’ proprio il papà di Frantz, medico del paese, a far ravvedere i compaesani: fummo noi a mandare i nostri figli alla guerra e così fecero i padri francesi, abbiamo mandato i nostri figli a uccidersi. L’assoluta parità delle sorti, divise diverse ma ragazzi simili posti uno a nemico dell’altro, del resto uomini uguali: qualcosa del genere era contenuto anche nel film Tangerines - Mandarini, dove due contadini danno ospitalità e curano due soldati feriti nel 1990, tra loro nemici, un georgiano e un ceceno .
Un film ben fatto, ottimo, ordinato nella successione delle scene, Ozon ci conduce per mano fino a farci scoprire cosa veramente sia accaduto tra Frantz e Adrien. E’ anche un film sulla finzione o sulla menzogna palliativa che in fondo fa star bene ed aiuta a custodire una memoria positiva dei fatti. Bianco e nero è il colore del film, come si conviene alla tristezza del racconto e dei ricordi: a colori, ma tenui, sono le scene inventate nel racconto o quelle immaginate. Evviva Ozon, questa volta!
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tavololaici
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lunedì 10 ottobre 2016
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il film gentile, immerso nell'orrore
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Frantz è un flim sull'orrrore della guerra, senza che la guerra appaia quasi mai. Giocato in un elegante bianco e nero, con alcuni saltuari ed emotivi squarci di colore, si aggira per la germania e la francia degli anni post-grande guerra (e la scrittura, ho saputo poi, è degli anni 30), tessendo una storia d'amore toccante, fatta di contraddizioni e dolori. Come sappiamo tutti (vivendo per altro in questo nostro periodo) lo struggente suono del violino non puo' nulla contro la guerra, ma evoca ugualmente bellezza e armonia, cosi come un quadro di Monet conservato al Louvre (e su cui tanta parte del film giocherà le sue contraddizioni)-per quanto solo alla fine ne ne scorgeranno le implicazioni.
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Frantz è un flim sull'orrrore della guerra, senza che la guerra appaia quasi mai. Giocato in un elegante bianco e nero, con alcuni saltuari ed emotivi squarci di colore, si aggira per la germania e la francia degli anni post-grande guerra (e la scrittura, ho saputo poi, è degli anni 30), tessendo una storia d'amore toccante, fatta di contraddizioni e dolori. Come sappiamo tutti (vivendo per altro in questo nostro periodo) lo struggente suono del violino non puo' nulla contro la guerra, ma evoca ugualmente bellezza e armonia, cosi come un quadro di Monet conservato al Louvre (e su cui tanta parte del film giocherà le sue contraddizioni)-per quanto solo alla fine ne ne scorgeranno le implicazioni.
Si, mi è piaciuto. E' delicato e gentile, e i drammi emotivi son evocati con dolente compostezza.
Nulla a che vedere con il cinema che abitualmente abbiamo nelle sale.
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vanessa zarastro
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sabato 8 ottobre 2016
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approfondire particolarmente la fotografia perché
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Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo agli inizi degli anni ‘20 in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero su una tomba “simbolica” perché il corpo di Frantz non è stato ritrovato.
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Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo agli inizi degli anni ‘20 in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero su una tomba “simbolica” perché il corpo di Frantz non è stato ritrovato.
Un certo giorno arriva lì Adrien (un intenso Pierre Niney), un giovane francese anche lui venuto a portare i fiori sulla tomba di Frantz. Si presenta agli Hoffmeisters come amico di Franz e, dopo le prime reticenze specie del vecchio padre antifrancese, conquista i membri della famiglia raccontando varie storie del tempo passato con Frantz a Parigi (lì Franz aveva studiato), dai quadri di Manet, ai caffè, alle visite al Louvre e alle lezioni di violino.
I genitori trovano un momento di conforto del loro dolore sentendo i vari racconti e immaginando un figlio felice nel periodo antecedente la guerra. In Anna spunta un nuovo sentimento, questo giovane delicato, timido e sensibile, le ridà in qualche modo il desiderio di ricominciare a vivere.
Adrien però nasconde un segreto che la sera prima di ripartire rivela ad Anna: è lui che ha ucciso Frantz entrambi caduti in una trincea, uno di fronte all’altro con i fucili in mano. Ma solo Adrien ha sparato. I sensi di colpa hanno distrutto la vita di Adrien che ha lasciato l’orchestra dell’Opera di Parigi (era il primo violinista) e non trova pace. Era venuto in Germania per chiedere perdono ai genitori di Frantz poi non ha avuto il coraggio di confessare. Buttando fuori le sue angosce su Anna, lui in qualche modo si libera ma le trasmette a lei che si rinchiuderà di nuovo nell’infelicità senza il coraggio di rivelare questo terribile segreto agli Hoffmeister.
Dopo qualche mese di bugie, di omissioni, di non-detti, sarà alla fine lei che troverà la forza, stavolta, di andare a Parigi alla ricerca di Adrien che, nel frattempo, ha cambiato indirizzo senza comunicarlo. La coraggiosa Anna, dopo persistenti indagini, riuscirà a rintraccarlo nel suo castello a Saulieu nella Côte-d’Or in Borgogna. Troverà un giovane ricco, di buone maniere, viziato dalla madre e coccolato dalla fidanzata – ebbene si ha una fidanzata! – e capirà che Adrien ha un unico interesse, diventato un’ossessione, quello di sentirsi perdonato dalla famiglia di Frantz. In tal modo, con la sua aggraziata vigliaccheria, Adrien ferisce per l’ennesima volta la dolce Anna che aveva preso il coraggio di viaggiare da sola, solo per rivederlo e stare con lui.
Ah questi uomini egocentrici che non vedono e non si accorgono di null’altro che non sia il proprio problema! Perfino quelli più umani e sensibili!
Per fortuna il finale fa sperare in un’emancipazione della protagonista. Ancora una volta Anna troverà l’energia per restare da sola a Parigi e tagliando, apparentemente i ponti con il passato, andrà a visitare il Louvre a cercare quei quadri che Adrien aveva raccontato come i preferiti di Fritz, ma passo dopo passo però sarà lei a scegliersi i suoi quadri preferiti. «Questo quadro mi dà voglia di vivere» dirà Anna a proposito di “Le suicidé” di Manet. In tutto il film, l’arte – in particolare la pittura e la musica - giocherà un importante ruolo consolatorio delle anime.
Ozon ha girato il film in bianco e nero, solo nei sogni e nel finale trasforma l’immagine in figura cromatica. Le prime inquadrature della cittadina tedesca con i suoi vicoli e le sue donne mi hanno evocato le fotografie di Parigi di Eugène Atget scattate all’inizio del ‘900 per fornire a pittori e architetti le documentazioni di base di cui avevano bisogno.
François Ozon imprime al suo film un tocco omoerotico così come lui sa fare (ricordate Una nuova amica?), che rimane sempre come un velo ambiguo.
Fritz è un adattamento di una pièce del 1925 scritta da Maurice Rostand già portata sullo schermo da Ernst Lubitsch in L’uomo che ho ucciso nel 1932. Gli attori sono molto bravi, infatti, Paula Beer ha ricevuto il premio Mastroianni come attrice emergente a venezia dove il film era in concorso mentre Pierre Niney aveva ottenuto il premio César per l’interpretazione di Yves Saint Laurent.
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writer58
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domenica 2 ottobre 2016
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l'innocente
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La Germania, nel 1919, è una nazione sconfitta, a cui hanno imposto durissime condizioni di resa, risentita nei confronti del mondo intero, che ha pagato un enorme tributo di sangue durante la prima guerra mondiale. Uno dei caduti è Frantz, un giovane di 24 anni, figlio di un medico che si sente in colpa per aver inviato il figlio al fronte e che detesta tutti i francesi, considerandoli gli assassini del ragazzo. Anche Anna, la ex fidanzata di Frantz, è in lutto: si reca tutti i giorni sulla sua tomba per deporre un mazzo di fiori, ignora le attenzioni di un maturo pretendente, non vuole dimenticare quello che è stato il suo primo amore. In questo scenario di mestizia, perdita e frustrazione s'inserisce un giovane francese, Adrien, che si presenta come amico di Frantz.
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La Germania, nel 1919, è una nazione sconfitta, a cui hanno imposto durissime condizioni di resa, risentita nei confronti del mondo intero, che ha pagato un enorme tributo di sangue durante la prima guerra mondiale. Uno dei caduti è Frantz, un giovane di 24 anni, figlio di un medico che si sente in colpa per aver inviato il figlio al fronte e che detesta tutti i francesi, considerandoli gli assassini del ragazzo. Anche Anna, la ex fidanzata di Frantz, è in lutto: si reca tutti i giorni sulla sua tomba per deporre un mazzo di fiori, ignora le attenzioni di un maturo pretendente, non vuole dimenticare quello che è stato il suo primo amore. In questo scenario di mestizia, perdita e frustrazione s'inserisce un giovane francese, Adrien, che si presenta come amico di Frantz. L'ha conosciuto a Parigi, prima dell''inizio della guerra, hanno visitato il Louvre insieme, hanno cementato la loro amicizia suonando il violino. Dopo le prime resistenze (soprattutto paterne), la famiglia accoglie Adrien, lo invita a narrare le circostanze della loro amicizia, gli chiede di suonare il violino dopo cena, un po' per avere testimonianze del loro congiunto scomparso, un po' per lenire il vuoto esistenziale che cinge la loro vita mediante una presenza sostitutiva. Anche Anna (interpretata da una bravissima Paula Beer) prova un interesse crescente per il giovane e non solo come amico del suo defunto fidanzato, ma è attratta dal suo spirito tormentato, dalla sua sensibilità, dal dolore che prova, dalla sua personalità taciturna. Quando lo spettatore si aspetta che la relazione tra i due assuma connotazioni romantiche, Adrien rivela ad Anna le vere ragioni della sua visita, mettendola di fronte a una scelta estremamente difficile...
Il film, girato in un bianco e nero molto morbido ed evocativo, simile alle foto d'epoca, realizza un eccellente scavo dei personaggi, in bilico tra lutti, sensi di colpa, traumi e aneliti vitali. Impasta verità e menzogne (menzogne che diventano verità ufficiali, verità che rivelano retroscena ambigui e fuorvianti) mediante un linguaggio fluido e appassionante. Come scrive la Gandolfi, il cinema è il "linguaggio della menzogna", è il regno della rappresentazione, un luogo di costruzione di storie e simboli che articolano il piano del reale con quello dell'immaginario. Ozon riesce a girare un film che sorprende e seduce, lineare nella scansione dei tempi narrativi (tranne qualche flashback di Frantz e Adrien), ma complesso nello sviluppo e nella costruzione dei significati.
I segreti, la necessità di preservare le persone care dalla verità, la richiesta di perdono per espiare la colpa, il desiderio di andare avanti e seguire i propri slanci, la ricerca di una persona che si rivela inaccessibile nel momento in cui viene raggiunta, tutti questi elementi sono amalgamati con sapienza in un film bello e rigoroso che non cade nel melò.
"Frantz" ci propone un esercizio sottile che rende la vicenda narrata "vera" proprio nel momento in cui la finzione raggiunge il suo apice.
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gpistoia39
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sabato 1 ottobre 2016
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a volte meglio la menzogna
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Un film quasi struggente e intrigante, molto bello che non lascia spazio al sentimentalismo o al lieto fine. Così è proprio come nella vita, non tutto ciò che vogliamo o desideriamo si avvera.
La tristezza per Anna resta tale, Adrien ha già trovato una soluzione alla sua vita: bella residenza, madre ricca, fidanzata che lo accetta. Lui aveva solo bisogno di scaricare un po' di senso di colpa, e lo vuol fare proprio mettendo addosso ai genitori di Franz ulteriore angoscia, l'angoscia della certezza del come e dove e per mano di chi il loro figlio è morto. Ha ragione Anna ad impedire che Adrien racconti tutto ai genitori di Franz, meglio la menzogna, la millantata amicizia parigina prima della guerra.
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Un film quasi struggente e intrigante, molto bello che non lascia spazio al sentimentalismo o al lieto fine. Così è proprio come nella vita, non tutto ciò che vogliamo o desideriamo si avvera.
La tristezza per Anna resta tale, Adrien ha già trovato una soluzione alla sua vita: bella residenza, madre ricca, fidanzata che lo accetta. Lui aveva solo bisogno di scaricare un po' di senso di colpa, e lo vuol fare proprio mettendo addosso ai genitori di Franz ulteriore angoscia, l'angoscia della certezza del come e dove e per mano di chi il loro figlio è morto. Ha ragione Anna ad impedire che Adrien racconti tutto ai genitori di Franz, meglio la menzogna, la millantata amicizia parigina prima della guerra.
Anna resterà dunque a Parigi a vivere come una sbandata, o tornerà a casa dai suoi suoceri che ormai lei considera come suoi genitori? Questo Ozen non ce lo dice, e la storia per noi spettatori giustamente non ha un finale.
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jack38
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sabato 1 ottobre 2016
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ondeggia tra bugie e perdono
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Saranno contenti i sostenitori del perdono da una parte e delle bugie a fin di bene dall'altra. Il film è un'alternanza tra le contraddizioni dell'essere umano, la cui moralità è sorretta da un sottile equilibrio pronto a spezzarsi quando la realtà dei sentimenti e della quotidianeità prende il sopravvento. L'uomo che tende a serbare rancore nei confronti dei nemici è pronto ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni quando l'analisi diventa cruda e nuda. Tende a dimenticare il dolore e a voltare pagina, anzi a costruire la prorpia serenità nel percorso di superamento della sofferenza. Il film di Ozon stimola la riflessione dello spettatore e in fondo lascia un messaggio di speranza, fratellanza, di buoni sentimenti.
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Saranno contenti i sostenitori del perdono da una parte e delle bugie a fin di bene dall'altra. Il film è un'alternanza tra le contraddizioni dell'essere umano, la cui moralità è sorretta da un sottile equilibrio pronto a spezzarsi quando la realtà dei sentimenti e della quotidianeità prende il sopravvento. L'uomo che tende a serbare rancore nei confronti dei nemici è pronto ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni quando l'analisi diventa cruda e nuda. Tende a dimenticare il dolore e a voltare pagina, anzi a costruire la prorpia serenità nel percorso di superamento della sofferenza. Il film di Ozon stimola la riflessione dello spettatore e in fondo lascia un messaggio di speranza, fratellanza, di buoni sentimenti. La trama, ed è un limite, è persino banale. Si intuisce subito chi sia il ragazzo che posa i fiori sulla tomba, se ne prevede cosa possa rappresentare nel seguito per lei. Per fortuna l'epilogo è meno scontato. La banalità compare anche nel modo di affrontare il tema della guerra, che appare peraltro secondario e di sfondo. A parte alcune fasi e alcune battute singole, il film non riesce a stimolare un'adeguata riflessione sul conflitto bellico, se non nella considerazione negativa. Tuttavia il film è fatto molto bene, l'intensità è mantenuta per tutto l'arco del film anche se in alcuni momenti annoia. La scelta del bianco e nero intona con la drammaticità, mentre la presenza di fasi a colori è coerente col messagio di speranza e di felicità nel superamento del dolore. Permane un'insopportabile nazionalismo di troppo che sfocia nell'inno francese cantato a squarciagola come simbolo di superiorità e nella presenza del Louvre che appare più come promozione turistica che come elemento integrante del film pur contenendo un quadro che funge da legame coi protagonisti del film. Nel complesso un buon film da vedere dal contenuto apprezzabile.
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