marcello1979
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giovedì 29 settembre 2016
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come sempre , impeccabile
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Adoro Ozon,
a mio avviso uno dei migliori cineasti contemporanei.
Riesce a trasformare una semplice storia d'amore in un capolavoro d'immagine.
Passa dal colore al bianco e nero in poco tempo.
Rimane sullo sfondo una presunta omosessualità tra Frantz e L'amico che traspare in alcuni dialoghi , trattata in maniera delicata senza mai stonare .
Non sbaglia un film , chapeau.
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domenico astuti
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martedì 27 settembre 2016
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un film delicato e accurato ma non un capolavoro
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Abbiamo visto “ Frantz “ regia di François Ozon.
Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali.
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Abbiamo visto “ Frantz “ regia di François Ozon.
Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali. Per quantità di interessi e per una certa visione del mondo fa venire in mente vagamente il grande regista tedesco Fassbinder da cui ha tratto dal testo teatrale Tropfen auf heisse Steine il film Gocce d’acqua su pietre roventi ( 1999 ); ma il confronto si ferma qui in quanto il punto di vista è più razionale e culturalmente francese, mentre l’esplorazione del desiderio è più mediatica e borghese.
Pur confezionando sempre dei film interessanti, però François Ozon non riesce a realizzare delle opere di grande respiro, da autore fondamentale, probabilmente perché, per il suo cinema, la forma è sempre tutto e lo stile rischia di creare una struttura complessa ma in fondo un po’ vuota. Oppure è per una certa vena patinata, per un effetto glamour o perché l’eros è troppo conciliato col thanatos seppur con qualche insidia, sempre comunque in un’atmosfera ovattata e armonizzata. Anche questo Frantz è tratto da una pièce teatrale, L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand e già utilizzata dal maestro Lubitsch per il film Broken Lullaby ( 1932 ), uno dei suoi film meno conosciuti. E Ozon sceglie per la prima volta il bianco e nero per dare concretezza e atmosfera a uno sfondo che però nella seconda parte non ha la drammaticità dei disastri del post guerra.
Un buon film, si potrebbe dire senza tempo, pudico e trattenuto, in cui si affrontano – ma sempre restando un po’ in superficie – parecchi temi come un possibile amore tra due ‘ nemici ‘ ( potrebbero essere un israeliano e una palestinese o un pachistano e un’indiana ), la questione politica di una fratellanza impossibile, la difficoltà per tutti di superare un odio indotto, la difficoltà del senso di colpa, di riuscire a rielaborare il lutto, la necessità di perdonare e andare avanti, il modo di affrontare la verità e la necessità di dire qualche bugia, accettare che chi è morto non era perfetto ma a volte banale come tutti. Ma sembra che in fondo per Ozon, tutto si giochi su un altro piano, la distanza tra la materia vera dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. Se nella prima parte il regista riesce a raccontare con una certa efficacia una microsocietà ancora incapace di accettare la sconfitta e quindi di lasciare spazio alla parte più nera della coscienza di un popolo, nella seconda parte, la realtà francese emerge solo con una scena un po’ a effetto, quando in un ristorante di Parigi gran parte dei clienti cantano La Marsigliese, e questo ci sembra veramente un po’ poco.
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kimkiduk
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martedì 27 settembre 2016
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peccato il finale
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Da "Sotto la sabbia" a "Giovane e bella", passando per il bellissimo "Il tempo che resta" Ozon ha sempre descritto le persone nella loro interiorità e riservatezza.
E' anche vero che dopo la trilogia della morte ha sicuramente variato spesso il suo cinema con film noir (8 donne e mezzo) o di fantasia (Richy) o più di semplice commedia (Potiche).
Qui varia ancora, pur continuando ad analizzare le persone, i loro perchè, i loro segreti.
Stavolta forse assomiglia ad un romanzo da letteratura russa, attraverso la storia d'amore tra Anna e Frantz e la possibile altra storia tra Anna e Adrien.
Ma l'amore resta sempre sommesso, non si incarna, non evolve.
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Da "Sotto la sabbia" a "Giovane e bella", passando per il bellissimo "Il tempo che resta" Ozon ha sempre descritto le persone nella loro interiorità e riservatezza.
E' anche vero che dopo la trilogia della morte ha sicuramente variato spesso il suo cinema con film noir (8 donne e mezzo) o di fantasia (Richy) o più di semplice commedia (Potiche).
Qui varia ancora, pur continuando ad analizzare le persone, i loro perchè, i loro segreti.
Stavolta forse assomiglia ad un romanzo da letteratura russa, attraverso la storia d'amore tra Anna e Frantz e la possibile altra storia tra Anna e Adrien.
Ma l'amore resta sempre sommesso, non si incarna, non evolve.
Resta schiacciato dal problema interiore di Adrien, della certezza della colpa e della volontà di "venderla" o "regalarla" o "espierla" e l'altrettanta necessità assoluta di volere il PERDONO attraverso la sua ammissione di colpevolezza.
Per Adrien la modalità ed il cammino, verso la ricerca del perdono, passa dalla conoscenza, sia delle persone coinvolte, sia del suo stesso dolore.
Passa attraverso la conoscenza della vita di Frantz e ne viene coinvolto e schiacciato.
Sotto le macerie però ne resta Anna, più di Adrien. Frantz guarisce attraverso il perdono ottenuto, Anna guarisce attraverso il percorso al contrario, schiacciata dal perdono e salvata dalla conoscenza.
Tutto il film è basato sulla proprietà transitiva di Anna ed Adrien; Ozon le raffigura in splendide scene alla stazione con treni in partenza e direzioni opposte; in riflessi di immagini sui vetri dei treni; negli sguardi delle persone ferite dalla guerra, prima tedesche verso i francesi poi francesi verso Anna tedesca. Raffigura il dolore attraverso la solitudine, il suicidio tentato dai due, il raccoglimento solitario a pensare di tutti e due. Il percorso è uguale e contrario di Anna e di Adrien, ed il risultato in fin dei conti identico.
Meriterebbe un 8 per immagini, sceneggiatura e scorrevolezza della trama, ma perde un voto per un finale inadeguato, quasi ironico e immaturo, che non rende per un film maturo nel suo complesso. Peccato. Mi ero raffigurato tre finali ed erano tutti migliori, se ci avevo pensato io forse poteva farlo anche Ozon. Ma resta grande Ozon e grande film.
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[+] ho
(di marilica)
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flyanto
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lunedì 26 settembre 2016
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un'assenza sempre presente
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Francois Ozon ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con "Frantz", una pellicola la cui storia si svolge agli inizi del XX secolo e, precisamente nel 1919, appena terminata la Prima Guerra Mondiale. Frantz è il nome del giovane soldato tedesco ucciso nel corso del conflitto dai francesi e nel cui ricordo ormai vivono sia i genitori che la giovane ragazza sua promessa sposa. Questa, rimasta al mondo senza più alcun legame affettivo, in pratica stata è stata "adottata" come una figlia dai suoi mancati suoceri e tutti i giorni si reca sulla tomba del defunto sposo a portargli dei fiori. Qui, nel corso delle giornate, ella incontra un giovane francese che parrebbe aver conosciuto il suddetto Frantz in vita e che anch'egli ormai vive nel dolore e nel ricordo dell'amico scomparso tragicamente.
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Francois Ozon ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con "Frantz", una pellicola la cui storia si svolge agli inizi del XX secolo e, precisamente nel 1919, appena terminata la Prima Guerra Mondiale. Frantz è il nome del giovane soldato tedesco ucciso nel corso del conflitto dai francesi e nel cui ricordo ormai vivono sia i genitori che la giovane ragazza sua promessa sposa. Questa, rimasta al mondo senza più alcun legame affettivo, in pratica stata è stata "adottata" come una figlia dai suoi mancati suoceri e tutti i giorni si reca sulla tomba del defunto sposo a portargli dei fiori. Qui, nel corso delle giornate, ella incontra un giovane francese che parrebbe aver conosciuto il suddetto Frantz in vita e che anch'egli ormai vive nel dolore e nel ricordo dell'amico scomparso tragicamente. Tra i due giovani, nonostante l' ostilità di tutto il paese che vede il ragazzo come un nemico in quanto, appunto, francese, si sviluppa ed accresce una sorta di intesa e reciproca simpatia, peraltro sostenuta e provata anche dagli anziani genitori dello stesso Frantz. Man mano che passerà il tempo la verità che si nasconde dietro la presenza del giovane francese verrà a galla, determinando l'avverarsi di nuovi eventi .....
La vicenda di "Frantz" che il regista Ozon porta sullo schermo è una vicenda retrò, sia nel contesto che nell'ambientazione, e pertanto un poco differente da quelle presentate nelle sue ultime opere cinematografiche collocate invece nell'epoca contemporanea e trattanti relazioni affettive/sentimentali all'insegna di una certa "ambiguità". In realtà, però, anche in "Frantz" Ozon affronta la tematica dei legami e delle relazioni sentimentali ma, appunto, in una maniera del tutto nuova ponendo come presenza costante (e determinante ai fini della storia riguardante i vari personaggi sopravvissuti) la figura del tutto assente del defunto soldato Frantz. Pertanto, assurdamente, il vero protagonista del film, in realtà, si rivela essere proprio lui sebbene riviva sulle scene solo nei flash back riportanti i ricordi dei protagonisti, ma come se fosse ancora vivo e ben saldo in quest' ultimi e determinando così tutti i rapporti nascenti tra loro e la possibilità di un futuro, forse, più roseo.
Ozon dirige la sua pellicola in maniera perfetta e, come sempre, da maestro quale è cosìcchè quello che poteva sfociare come un film di maniera e fine a se stesso, riesce qui ad emergere e a distinguersi dalla banalità e dallo scontato, divenendo un'opera ben costruita, originale e dove trionfano le immagini all'insegna di un' estetica perfetta ed i dialoghi ben equilibrati. Inoltre, l'emergere nel corso della storia della verità nascosta accresce notevolmente l'interesse dello spettatore per l' intera vicenda e per il suo finale e contribuendo così a renderla efficace nonchè valida. Interessante, inoltre, è come Ozon, per dare probabilmente maggiore credibilità alla storia, quasi fosse un reale documento storico dell'epoca, abbia girato il film tutto in bianco e nero, salvo poche scene tinte di un pallido colore al fine di testimoniare, in un contesto ormai solo di morte e distruzione, il trionfo delle passioni, dei momenti felici e pertanto della rinascita alla vita.
Ottimo film consigliabile a chi apprezza soprattutto la buona regia e poi le storie intimistiche e fatte di piccoli dettagli. Un vero gioiello.
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emanuele 1968
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lunedì 26 settembre 2016
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bello
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Bravo il regista, piu di una volta fa credere una cosa che poi si rivela un'altra.
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fabiofeli
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lunedì 26 settembre 2016
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"questo quadro mi restituisce la gioia di vivere"
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Corre l’anno 1919 in un villaggio della Germania; una giovane tedesca, Anna (Paula Beer), si reca ogni mattina al cimitero per portare fiori su una tomba. Il sepolcro è quello di un giovane soldato, Frantz, morto nella I Guerra Mondiale e sepolto in terra di Francia in una fossa comune con altri militari tedeschi non identificati. Anna era fidanzata con Frantz ed ora vive come una figlia adottata nella casa dei genitori del ragazzo morto (Ernst Stötzner e Marie Gruber); quando trova alcune rose bianche nel rettangolo di terra sotto la croce, scopre che l’autore del gesto è un giovane francese, Adrien (Pierre Niney) che dice di aver conosciuto Frantz. Anna gli chiede se sono stati amici e la riluttante ammissione di lui la spinge ad invitarlo in casa dei genitori di Frantz per conoscerli e parlare loro degli incontri avuti a Parigi.
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Corre l’anno 1919 in un villaggio della Germania; una giovane tedesca, Anna (Paula Beer), si reca ogni mattina al cimitero per portare fiori su una tomba. Il sepolcro è quello di un giovane soldato, Frantz, morto nella I Guerra Mondiale e sepolto in terra di Francia in una fossa comune con altri militari tedeschi non identificati. Anna era fidanzata con Frantz ed ora vive come una figlia adottata nella casa dei genitori del ragazzo morto (Ernst Stötzner e Marie Gruber); quando trova alcune rose bianche nel rettangolo di terra sotto la croce, scopre che l’autore del gesto è un giovane francese, Adrien (Pierre Niney) che dice di aver conosciuto Frantz. Anna gli chiede se sono stati amici e la riluttante ammissione di lui la spinge ad invitarlo in casa dei genitori di Frantz per conoscerli e parlare loro degli incontri avuti a Parigi. Il padre di Frantz è il medico del villaggio, un uomo rigido macerato dal dolore per la perdita del figlio: un suo paziente è innamorato di Anna e vorrebbe sposarla, ma la prima reazione del medico è di rifiuto per l’idea. Ed anche la sua reazione alla visita di Adrien è dura e lo scaccia sdegnato, perché considera nemici i militari francesi, tutti indistintamente, giudicandoli assassini di giovani tedeschi e in particolare di suo figlio. Ma Anna con pazienza riannoda il rapporto e convince Adrien a tornare nella sua casa per raccontare a lei e ai genitori di Frantz i particolari dell’amicizia nata a Parigi tra i due giovani...
Ozon gioca molte carte in questo melò, mostrando uno specchio infranto i pezzi del quale riflettono sempre nuove verità o menzogne penosamente caritatevoli. Adrien confessa ad Anna di essere la causa della morte di Frantz e di avere un senso di colpa che non riesce a cancellare, ma Anna perpetua la menzogna e costruisce una storia parallela per i genitori di Frantz: l’amore per l’arte dei due amici, la comune passione per il violino. Il lutto dei genitori viene in parte attenuato, pur se i paesi confinanti, Francia e Germania sono ancora squassati dall’odio per lo scontro mortale appena sostenuto. Ma non si può vivere in eterno odiando chi ti è simile, soprattutto se tu stesso hai la responsabilità di aver spinto un figlio a partire per la guerra nella quale ha perso la vita. Il ginepraio si intreccia sempre di più e fa pensare alle molteplici verità di Rashomon, il capolavoro di Kurosawa del 1950, che narra le tre versioni sullo stesso fatto, raccontato in modo differente dai protagonisti, il Brigante – indimenticabile Toshiro Mifune -, il Samurai ucciso e sua moglie. La fotografia in bianco e nero degli anni del primo dopoguerra rammenta la rigorosità di quella de Il Nastro Bianco di Haneke, anche perché l’epoca delle storie e dei luoghi sono molto simili; ma Qzon spiazza e subito dopo orienta lo spettatore con brevi inserti a colori, immagini oniriche o di una realtà raccontata in modo diverso e più vicina ai desideri della protagonista. Il cinema è finzione ed è la terra indefinita dei se, sembra dire il cineasta francese. Ed anche un lutto e la perdita di un possibile amore possono essere elaborati grazie ad una immagine drammatica come quella del Suicida di Manet che campeggia su una parete del Louvre.
Un film intrigante, da vedere.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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lbavassano
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domenica 25 settembre 2016
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obiettivo, alto, pienamente centrato
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Punta molto in alto l'ultimo film di Ozon, con scelte stilistiche e narrative che mi hanno ricordato innanzitutto Truffaut, i suoi amori folli ed impossibili, ma anche Hitchcock ("La donna che visse due volte", specificamente per le scene al museo e le atmosfere sonore, ma non solo), ed ancora Haneke, in certi primi piani implacabilmente fissati dal rigore del bianco e nero ("Il nastro bianco"). Punta molto in alto uscendo dalla dimensione esclusivamente privata e dalle tempeste in un bicchier d'acqua di troppi suoi film (ma forse sarebbe più appropriato parlare di tempeste in un calice di champagne, considerato lo status sociale usualmente privilegiato dal regista.
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Punta molto in alto l'ultimo film di Ozon, con scelte stilistiche e narrative che mi hanno ricordato innanzitutto Truffaut, i suoi amori folli ed impossibili, ma anche Hitchcock ("La donna che visse due volte", specificamente per le scene al museo e le atmosfere sonore, ma non solo), ed ancora Haneke, in certi primi piani implacabilmente fissati dal rigore del bianco e nero ("Il nastro bianco"). Punta molto in alto uscendo dalla dimensione esclusivamente privata e dalle tempeste in un bicchier d'acqua di troppi suoi film (ma forse sarebbe più appropriato parlare di tempeste in un calice di champagne, considerato lo status sociale usualmente privilegiato dal regista. Il calice di champagne compare anche in questo film, nel finale, ma quanto mai amaro), uscendo da tutto ciò per parlarci delle ferite inguaribili della guerra, della necessità di sanarle tramite una autentica assunzione di responsabilità, capovolgendo i fronti, tramite un atto di perdono e gratuito di amore, per parlarci delle verità intollerabili e delle pietose, umanamente pietose, necessarie, menzogne, di rapporti intrinsecamente ambigui trattati con la giusta dose di reticenza ed alieni da qualsiasi forma di morbosità. Punta molto in alto e centra appieno il proprio obiettivo.
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alex2044
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domenica 25 settembre 2016
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sofisticato ,intenso con una paula beer strepitosa
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Che bel film ! Appena inizia si entra nel suo mondo e non se ne esce più fino alla fine . La storia è bella , bellissima anche se molto triste ma mai piagnucolosa . La dignità la fa da padrona . Francois Ozon conduce questa storia con intelligenza e acume . Evitando allo spettatore lungaggini ed artifici retorici per renderlo più interessato . Ciò nonostante l'attenzione non cala mai perchè dietro l'angolo c'è sempre qualche cambio di prospettiva che acquisce la curiosità per la scena seguente . L'idea di usare il bianconero per la realtà ed il colore per la fantasia è intrigante .
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Che bel film ! Appena inizia si entra nel suo mondo e non se ne esce più fino alla fine . La storia è bella , bellissima anche se molto triste ma mai piagnucolosa . La dignità la fa da padrona . Francois Ozon conduce questa storia con intelligenza e acume . Evitando allo spettatore lungaggini ed artifici retorici per renderlo più interessato . Ciò nonostante l'attenzione non cala mai perchè dietro l'angolo c'è sempre qualche cambio di prospettiva che acquisce la curiosità per la scena seguente . L'idea di usare il bianconero per la realtà ed il colore per la fantasia è intrigante . Gli attori , anche quelli nelle parti più marginali , sono bravi e credibili . Dei due protagonisti si può dire che Pierre Niney è bravo , ben compreso nella parte seppur qualche volta un po' troppo stupito ma è Paula Beer che è strepitosa . La sua interpretazione di quella che è la protagonista e la vera parte forte di questa storia,è delicata , misurata ed intensa . Il tutto senza strafare e senza un attimo di inutile melodramma . Il film inoltre è un atto d'accusa molto severo verso l'inutilità della guerra con un di più di critica per lo sciovinismo criminale che accomuna equamente fra le due parti in causa . Il quesito poi che ci pone sul fatto che qualche volta le bugie possano essere benefiche,è intelligente perchè ci obbliga a fare i conti con tutta la retorica , qualche volta un po' vacua , secondo cui la verità non ha mai fatto male a nessuno . La protagonista negando la verità ai suoi non più futuri suoceri compie una buona azione . Evitando a due persone così colpite in uno degli affetti più cari come la perdita di un figlio , una inutile sofferenza in più . Insomma Ozon ha fatto un film bellissimo che ha , e non solo per il suo luminoso bianconero , una sua nobiltà antica sia per la ricostruzione perfetta degli ambienti e dei costumi ma sopratutto per uno stile sofisticato che ci riporta ai migliori esempi del cinema di altissimo livello degli anni cinquanta non sfigurando per niente al confronto . Dimostrando ancora una volta di essere un regista eclettico , curioso e che non ha paura di rischiare avventurandosi in territori da lui mai prima visitati . Il braccino corto non fa per lui . Bravo ma si bravissimo e continui così .
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kaipy
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giovedì 22 settembre 2016
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bello
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Lentamente, lentamente questo film ti s'insinua dentro. Tutto quel che serve sapere è la data 1919. La guerra è finita e ciò che è rimasto è il resto di nulla.
Padri, madri, sorelle, fidanzate, ma soprattutto è il senso di fallimento che attanaglia la gola.
Il dolore non è solo personale, è collettivo, nazionale.
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maurizio d
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venerdì 16 settembre 2016
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le intenzioni erano buone
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Le intenzioni erano buone , ma il film resta come molti altri di Ozon talora un po' banale
talora al di sopra del rigo . Vorrebbe essere una condanna degli orrori
della guerra dello sciovinismo e del nazionalismo esasperato dell'una e dell'altra parte , ma
è sorprendente vedere come la Germania appaia linda e pulita come sempre , mentre
in Francia sembrano esserci prevalentemente mutilati , storpi , morti di fame e "gueles
cassées". Ci sono nel film numerose scene di cui si sarebbe potuto fare a meno, per
concentrarsi di più sull'intensità drammatica della storia
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