fabio 3121
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martedì 12 gennaio 2021
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bel film tratto dal libro "true story" di finkel.
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il film è basato su una storia vera ed è l'adattamento cinematografico del libro "True Story" scritto dal giornalista americano Michael Finkel qui interpretato da Jonah Hill. Finkel viene licenziato dal New York Times per aver, in parte, inventato alcuni fatti inerenti ad un suo reportage sulla schiavitù in Africa. La possibilità di rifarsi gli viene data da Christian Longo (James Franco) che, dopo aver ucciso la moglie e i 3 figli piccoli gettandoli a mare nella baia di Alsea nella cittadina di Waldport in Oregon, scappa in Messico assumendo la falsa identità di Michael Finkel. Una volta che Longo viene arrestato ed è in carcere in attesa del processo, il giornalista si reca al penitenziario per far visita al detenuto per capire il perché questi avesse assunto la sua identità nonchè per conoscere i motivi della strage familiare.
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il film è basato su una storia vera ed è l'adattamento cinematografico del libro "True Story" scritto dal giornalista americano Michael Finkel qui interpretato da Jonah Hill. Finkel viene licenziato dal New York Times per aver, in parte, inventato alcuni fatti inerenti ad un suo reportage sulla schiavitù in Africa. La possibilità di rifarsi gli viene data da Christian Longo (James Franco) che, dopo aver ucciso la moglie e i 3 figli piccoli gettandoli a mare nella baia di Alsea nella cittadina di Waldport in Oregon, scappa in Messico assumendo la falsa identità di Michael Finkel. Una volta che Longo viene arrestato ed è in carcere in attesa del processo, il giornalista si reca al penitenziario per far visita al detenuto per capire il perché questi avesse assunto la sua identità nonchè per conoscere i motivi della strage familiare. Finkel inizia così a prendere appunti delle dichiarazioni di Longo - spesso lacunose, confuse e contradditorie - ma che ritiene sicuramemte materiale valido per la stesura di un libro. Dai colloqui e dagli scambi epistolari sembrerebbe che il Longo non sia del tutto colpevole dei 4 omicidi ma il processo confermerà invece tutte le accuse e rivelerà anche il movente (i tanti debiti contratti). La pellicola, forte di una solida e valida sceneggiatura, ruota ovviamente intorno alle 2 figure del giornalista e dell'omicida che sono magistralmente interpretate da Jonah Hill e James Franco la cui recitazione, a tratti flemmatica e fatta di sguardi e silenzi, coinvolge decidamente lo spettatore che risulta appassionarsi alla vicenda processuale. In una triste storia di cronaca nera il regista ha avuto il pregio di ambientare le scene dei colloqui in carcere e quelle del processo in luoghi molto luminosi, avvalendosi altresì di ottime musiche adatte sempre a creare la giusta tensione per l'intera durata di questo bel film.
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ladyorchid
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sabato 5 dicembre 2020
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furto d''identità "utile" per scavare dentro di sé
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Un film dalla trama intrigante (ancor di più per il fatto che si tratta di una storia vera). Micheal Finkel (interpretato da Jonah Hill) è un giornalista del New York Times che già da subito sembra non brillare di luce propria. Scrive molto bene, ma commette delle leggerezze. Leggerezze che gli costano il posto di lavoro. Lui non si da per vinto, e continua a cercare un'occasione per vivere finalmente il suo momento di gloria. E la trova. Scopre che qualcuno, non uno qualsiasi, ma Christian Longo, assassino accusato di ben 4 omicidi, gli ha rubato l'identità, spacciandosi per lui. Quale migliore occasione per cercare allora di salvare la sua carriera? Inizia un rapporto epistolare con Longo, fatto di lettere ma anche di tanti incontri introspettivi dove si aprono l'uno con l'altro, ognuno scoprendo qualcosa in più su loro stessi.
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Un film dalla trama intrigante (ancor di più per il fatto che si tratta di una storia vera). Micheal Finkel (interpretato da Jonah Hill) è un giornalista del New York Times che già da subito sembra non brillare di luce propria. Scrive molto bene, ma commette delle leggerezze. Leggerezze che gli costano il posto di lavoro. Lui non si da per vinto, e continua a cercare un'occasione per vivere finalmente il suo momento di gloria. E la trova. Scopre che qualcuno, non uno qualsiasi, ma Christian Longo, assassino accusato di ben 4 omicidi, gli ha rubato l'identità, spacciandosi per lui. Quale migliore occasione per cercare allora di salvare la sua carriera? Inizia un rapporto epistolare con Longo, fatto di lettere ma anche di tanti incontri introspettivi dove si aprono l'uno con l'altro, ognuno scoprendo qualcosa in più su loro stessi. Ma già dai primi incontri ci appare evidente che siamo davanti ad un grande James Franco, che ha carisma,ha personalità (anche più di una, ma non importa, perché lui può interpretarle tutte). Inizia a raccontargli la sua vita, manipolandolo abilmente, così come manipolerà la corte al processo e chiunque gli capiti a tiro. Ovviamente è l'occasione della sua vita, può finalmente scrivere un libro con la totale esclusiva sulla vicenda , non può lasciarsi sfuggire questa possibilità. Ma più andiamo avanti nella visione (che comunque ho trovato molto scorrevole) più ci rendiamo conto che questo furto d'identità ha dato a Finkel semplicemente un modo per guardare dentro se stesso , e capire quanto sia frustrato e quasi invidioso della personalità di Longo. È qui che si instaura un contrasto tra il disprezzo per quello che potrebbe aver fatto, e il dubbio che possa davvero essere un assassino spietato, e al tempo stesso quasi un'ammirazione morbosa per la sua persona, i suoi modi, il suo fascino. Il finale ci lascia con un sacco di dubbi,ma non è volutamente quello il fulcro della vicenda. Finkel ottiene poi il successo sperato, grazie al libro scritto su Longo. Ma ne rimarrà affascinato sempre. E chissà se stavolta, non sarà lui a "rubare" un po' di personalità a Longo?Un film scorrevole e piacevole, ma dobbiamo davvero tanto all'interpretazione di Franco ; credibile, carismatico, affascinante e bravissimo a mentire.
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marconolan
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venerdì 27 marzo 2020
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volutamente incompiuto
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Film che lascia davvero molto confusi. Vuoi per la quantità di dubbi che sorgono durante la visione mai più chiariti dal regista, vuoi per l'impossibilità di comprendere a pieno quella che è realmente la verità sulla vicenda... ma è proprio su quest'ultimo tema che concentro la mia recensione e il titolo di essa : VOLUTAMENTE INCOMPIUTO.
La mia teoria, forse sbagliata chi lo sa, infatti consiste nello giustificare in parte il comportamento tenuto dal regista che, responsabile di trattare una vicenda che rappresenta tutt'oggi un vero mistero, si è sentito in dovere di adattare una trama e una cartterizzazione dei personaggi figli dell'incompiutezza della vicenda stessa.
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Film che lascia davvero molto confusi. Vuoi per la quantità di dubbi che sorgono durante la visione mai più chiariti dal regista, vuoi per l'impossibilità di comprendere a pieno quella che è realmente la verità sulla vicenda... ma è proprio su quest'ultimo tema che concentro la mia recensione e il titolo di essa : VOLUTAMENTE INCOMPIUTO.
La mia teoria, forse sbagliata chi lo sa, infatti consiste nello giustificare in parte il comportamento tenuto dal regista che, responsabile di trattare una vicenda che rappresenta tutt'oggi un vero mistero, si è sentito in dovere di adattare una trama e una cartterizzazione dei personaggi figli dell'incompiutezza della vicenda stessa. Ciononostante la pellicola poteva essere trattata e approfondita con un taglio diverso, magari piu thriller appunto.
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gianleo67
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venerdì 29 marzo 2019
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that’s the story of my life
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Che cosa hanno in comune un astro nascente del New York Times appena messo alla porta per un reportage farlocco ed un ex piazzista sotto processo per aver sterminato la propria famiglia? Niente, a parte che il secondo si spacciava per il primo durante la latitanza ed il secondo vorrebbe approfittare della storia dell'altro per rilanciare una carriera stroncata sul nascere. Le bugie però, si sa, hanno le gambe corte. Il thriller giornalistico che incrocia le strade di reporter prestati alla sezione omicidi e killer seriali abili nell'arte di (vincere?) manipolare la morbosa attenzione dei media per le loro malefatte, si arricchisce di un nuvo capitolo con questa storia vera (ma lo era anche Zodiac?) scritta dall'esordiente Rupert Goold con la consulenza dell'originale Michael Finkel, e sotto la supervisione produttiva di un Brad Pitt che dimostra di credere nelle doti analitiche del secchione sovrappeso e occhialuto di Jonah Hill (L'arte di vincere).
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Che cosa hanno in comune un astro nascente del New York Times appena messo alla porta per un reportage farlocco ed un ex piazzista sotto processo per aver sterminato la propria famiglia? Niente, a parte che il secondo si spacciava per il primo durante la latitanza ed il secondo vorrebbe approfittare della storia dell'altro per rilanciare una carriera stroncata sul nascere. Le bugie però, si sa, hanno le gambe corte. Il thriller giornalistico che incrocia le strade di reporter prestati alla sezione omicidi e killer seriali abili nell'arte di (vincere?) manipolare la morbosa attenzione dei media per le loro malefatte, si arricchisce di un nuvo capitolo con questa storia vera (ma lo era anche Zodiac?) scritta dall'esordiente Rupert Goold con la consulenza dell'originale Michael Finkel, e sotto la supervisione produttiva di un Brad Pitt che dimostra di credere nelle doti analitiche del secchione sovrappeso e occhialuto di Jonah Hill (L'arte di vincere). Il risultato è una storia che vorrebbe squadernare le contorte psicologie di due mentitori professionisti, trovando la quadra di un prodotto credibile da propinare al grande pubblico (scritto a quattro mani!) che salvi le chiappe del narcisista patologico di un sornione James Franco e restituisca la verginità professionale al suo mendace confessore. Se l'assunto di base farebbe pensare al rovesciamento romanzesco del meccanismo manipolatorio che costò non poche (e ingenerose) critiche di sciacallaggio letterario al padre della non-fiction novel (In Cold Blood), l'esordio americano dell'allitterante regista inglese Rupert Goold è un prodotto di genere che presta facilmente il fianco allo schematismo narrativo di una storia che alterna scialba tenzone psicologica e legal drama, alle lacune logiche di una sceneggiatura che alimenta sospetti pretestuosi (il killer è un bravo ragazzo o uno spietato uxoricida? il giornalista è un gonzo credulone o uno sgamato approfittatore? la moglie del giornalista che c'azzecca?), ad un montaggio che mortifica l'azione riducendola ad una mera rassegna di situazioni da sit-com carceraria. Piccolo guizzo nel finale dove l'allure da bello e dannato del seduttore galeotto viene mortificato dallo sprezzante exemplum seicentesco del delitto di Palazzo San Severo da parte una colta bibliofila col pallino della musica sacra e che non se lo fila per niente. Presentato al Sundance Film Festival 2015, sembra essere passato (giustamente) inosservato.
That’s the story of my life That’s the difference between wrong and right But Billy said both those words are dead That’s the story of my life
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udiego
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martedì 26 settembre 2017
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sufficiente
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Non avevo gransdi aspettative ed invece ho trovato decisamente gradevola la visione per tutta la sua durata. Discreta la sceneggiatura, positivi gli attori. Opera più che sufficiente.
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filippo catani
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martedì 12 luglio 2016
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insipido
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Tratto da una storia vera, il film racconta la storia di un reporter che scoprì che il suo nome era utilizzato in Messico da un pericoloso serial killer. Il giornalista, a seguito di una serie di vicissitudini che ne misero in gioco la carriera, decise di andare a scoprire il motivo per cui il killer avesse scelto proprio lui.
Peccato perchè il materiale per realizzare una bella pellicola c'era e il ritorno del sodalizio Hill-Pitt lasciava ben sperare. Invece il film è insopportabilmente troppo lento e noioso e finisce per incartarsi attorno al morboso rapporto killer-giornalista con Franco nei panni di quest'ultimo. Insomma un film senza mordente che non lascia nessuna traccia di se al termine della visione.
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Tratto da una storia vera, il film racconta la storia di un reporter che scoprì che il suo nome era utilizzato in Messico da un pericoloso serial killer. Il giornalista, a seguito di una serie di vicissitudini che ne misero in gioco la carriera, decise di andare a scoprire il motivo per cui il killer avesse scelto proprio lui.
Peccato perchè il materiale per realizzare una bella pellicola c'era e il ritorno del sodalizio Hill-Pitt lasciava ben sperare. Invece il film è insopportabilmente troppo lento e noioso e finisce per incartarsi attorno al morboso rapporto killer-giornalista con Franco nei panni di quest'ultimo. Insomma un film senza mordente che non lascia nessuna traccia di se al termine della visione.
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elgatoloco
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lunedì 27 giugno 2016
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grande attrazione-contrasto nel film
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Viene in mente il meccanismo psicologico(Bolwby ne è l'autore)attrazione-fuga per questo"True story", tratto da un libro di Michael Finkel(che non è però l'autore della sceneggiatura, passata attraverso un traitement, ovviamente) giornalista in crisi che incontra Christian Longo, accusato di aver ucciso moglie e bambini(uxoricida e infanticida, tecnicamente)che gli consente di riprendere fiato come autore(di un libro-conversazione più che intervista)ma al tempo stesso di finire per dipendere dal sospettato. Fino alla fine rimane il dubbio, sulla colpevolezza di Longo e su questo il film, molto ben diretto da Rupert Goold gioca con un'alternanza"nobile"di campi-controcampi, dove il contrasto tra Jonah Hill(Finkel nel film)e James Franco(nella parte di Longo)è particolamente interessante, essendo Hill un corpulento occhialuto giornalista d'assalto ma soprattutto scrittore-intellettuale e Franco un più secco e scattante"mentitore"o comunque persona che sa tenere sulla graticola il suo interlocutore.
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Viene in mente il meccanismo psicologico(Bolwby ne è l'autore)attrazione-fuga per questo"True story", tratto da un libro di Michael Finkel(che non è però l'autore della sceneggiatura, passata attraverso un traitement, ovviamente) giornalista in crisi che incontra Christian Longo, accusato di aver ucciso moglie e bambini(uxoricida e infanticida, tecnicamente)che gli consente di riprendere fiato come autore(di un libro-conversazione più che intervista)ma al tempo stesso di finire per dipendere dal sospettato. Fino alla fine rimane il dubbio, sulla colpevolezza di Longo e su questo il film, molto ben diretto da Rupert Goold gioca con un'alternanza"nobile"di campi-controcampi, dove il contrasto tra Jonah Hill(Finkel nel film)e James Franco(nella parte di Longo)è particolamente interessante, essendo Hill un corpulento occhialuto giornalista d'assalto ma soprattutto scrittore-intellettuale e Franco un più secco e scattante"mentitore"o comunque persona che sa tenere sulla graticola il suo interlocutore. Un vero e proprio"jeu au massacre"di grande efficacia e tensione psicologica, dove abbiamo sì un vero, notevolissimo film d'attori, ma completamente finalizzato alla creazione di un'opera inquietante quanto volutamente problematica, dove, anche dopo i titoli di coda che narrano il "dopo"di questa pellicola dell'anno scorso, tutti i dubbi e soprattutto le riflessioni rimangono, più forti di prima... El Gato
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scrigno magico
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giovedì 7 gennaio 2016
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manca qualcosa...
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La visione di questo film mi ha lasciato piuttosto sconcertato... Mi sono perso dall'inizio alla fine della vicenda in attesa di un qualcosa che ho avuto l'impressione non sia arrivata mai. Non lo si può definire un thriller, quanto piuttosto una sorta di duello psicologico tra due persone, il giornalista e l'imputato, che si attraggono e respingono al tempo stesso. Ma al di là delle espressioni intense dei due bravi attori la trama non ci restituisce nemmeno nel finale qualcosa di convincente e men che meno appagante. Troppe chiavi di lettura restano aperte, senza risposte. La principale, il rapporto tra i due protagonisti offre solo bugie e silenzi fini a se stessi, mai realmente motivati, Un atteggiamento omertoso dell'imputato Chrstian Longo col giornalista Michael Finkel che in realtà non servono a coprire nessuno.
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La visione di questo film mi ha lasciato piuttosto sconcertato... Mi sono perso dall'inizio alla fine della vicenda in attesa di un qualcosa che ho avuto l'impressione non sia arrivata mai. Non lo si può definire un thriller, quanto piuttosto una sorta di duello psicologico tra due persone, il giornalista e l'imputato, che si attraggono e respingono al tempo stesso. Ma al di là delle espressioni intense dei due bravi attori la trama non ci restituisce nemmeno nel finale qualcosa di convincente e men che meno appagante. Troppe chiavi di lettura restano aperte, senza risposte. La principale, il rapporto tra i due protagonisti offre solo bugie e silenzi fini a se stessi, mai realmente motivati, Un atteggiamento omertoso dell'imputato Chrstian Longo col giornalista Michael Finkel che in realtà non servono a coprire nessuno. Quello che forse doveva rivelarsi come un piano astuto per salvarsi in realtà non lo è: le ammissioni parziali o totali di Longo in aula non stravolgono un destino processuale segnato e mai messo in discussione.
Del contenuto dell'enorme quantità di materiale che avrebbe fornito Christian a Michael durante i loro colloqui e nella loro corrispondenza, e che alla fine il giornalista vorrebbe passare al procuratore, in realtà durante lo svolgimento del film non c'è traccia. La sensazione è che il galeotto al cronista abbia offerto solo un "grande nulla", un po' come il regista agli spettatori.
Anche il rapporto di Finkel con la moglie non viene mai approfondito né chiarito, lasciando solo una scia di problematiche sfiorate ma mai approfondite né spiegate.
La sensazione forte è quella di aver assistito a un'incompiuta, a tanti inizi senza nessuna fine. A delle buone idee di partenza, a tanti spunti, puntualmente irrisolti, che lasciano un amaro senso di insoddisfazione ai titoli di coda.
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