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zarar
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venerdì 24 ottobre 2014
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un lungo sonno e un incerto risveglio
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Sullo sfondo di un’Anatolia gelata e letargica, in un paesaggio immobile e arcaico, il film apre su una sassata che spacca il finestrino della macchina di Aydin, proprietario benestante di un hotel per turisti. Il figlio di un affittuario moroso tartassato esprime così la sua rabbia verso il “padrone” cattivo. E’ segno simbolico di qualcosa che si rompe anche nella vita di Aydin, introducendo il tarlo del dubbio sul senso della sua esistenza. Costretto a gettare uno sguardo su un mondo altro, quello dei miserabili a cui toglie il pane delegando ad altri il lavoro sporco, Aydin respinge con fastidio questa ‘invasione’, ma entra in crisi suo malgrado, si interroga e cerca conferme da chi gli sta intorno, la sorella, la giovane moglie Nihal, un vecchio amico, un maestro progressista… E mentre sente oscillare sempre più le sue sicurezze, scopre via via con crescente sorpresa e disagio quanto poco possano dargli, quanto siano diversi da come crede, come addirittura lo giudichino senza indulgenza, come ciascuno di loro sia murato nella sua diversa infelicità, o peggio ancorato a precarie illusioni.
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Sullo sfondo di un’Anatolia gelata e letargica, in un paesaggio immobile e arcaico, il film apre su una sassata che spacca il finestrino della macchina di Aydin, proprietario benestante di un hotel per turisti. Il figlio di un affittuario moroso tartassato esprime così la sua rabbia verso il “padrone” cattivo. E’ segno simbolico di qualcosa che si rompe anche nella vita di Aydin, introducendo il tarlo del dubbio sul senso della sua esistenza. Costretto a gettare uno sguardo su un mondo altro, quello dei miserabili a cui toglie il pane delegando ad altri il lavoro sporco, Aydin respinge con fastidio questa ‘invasione’, ma entra in crisi suo malgrado, si interroga e cerca conferme da chi gli sta intorno, la sorella, la giovane moglie Nihal, un vecchio amico, un maestro progressista… E mentre sente oscillare sempre più le sue sicurezze, scopre via via con crescente sorpresa e disagio quanto poco possano dargli, quanto siano diversi da come crede, come addirittura lo giudichino senza indulgenza, come ciascuno di loro sia murato nella sua diversa infelicità, o peggio ancorato a precarie illusioni. Scopre in particolare che la giovane moglie che a suo modo ama e a cui non nega nulla, lo detesta silenziosamente da tempo perché lo sente cinico e indifferente alle sue autonome aspirazioni e ai suoi progetti di riscatto sociale. Aydin è stato in passato attore drammatico (il suo hotel si chiama Othello), ma il dramma borghese di cui è ora protagonista non ha nulla della forza tragica shakespeariana. E’ piuttosto Cechov che viene in mente per questo lento viaggio circolare di parole, di sguardi, di silenzi, in cui le passioni devono essere controllate, i chiarimenti non chiariscono mai fino in fondo, e gli scontri non portano ad una definitiva catarsi. Ciascuno degli ‘attori’ vorrebbe una vita autentica, che lo/a liberasse da un senso incombente di inutilità, insensatezza, profonda solitudine, estraneità al suo passato e al suo presente in una Turchia in bilico tra immobilismo e modernità, ma manca loro la forza intellettuale e morale per trovare vie d’uscita credibili. Aydin progetta di andarsene (a Istambul¸ la Mosca del ‘Giardino dei ciliegi’), ma rinuncia a metà strada, quasi tirato indietro dall’infelicità che si lascia alle spalle. Torna senza più certezze o speranze, pronto ad accettare tutto senza chiedere nulla, disposto a ricominciare da capo, disposto a mettersi in gioco anche lui con un suo vecchio progetto di ricerca mai realizzato: una storia del teatro turco. E’ come un risveglio dopo un lungo sonno, ma è un risveglio ‘vuoto’, aperto a prospettive incerte e vaghe. E intanto il regista ci ha già tolto ogni illusione sul volenteroso attivismo sociale di Nihal, così irriso a suo tempo da Aydin. Decisa a fare il beau geste come rivalsa estrema contro il marito (una somma spropositata da regalare al miserabile affittuario) ottiene solo un gesto di supremo disprezzo dall’unico personaggio vittoriosamente “tragico” in questa storia. Ceylan è grande nel delineare quest’intreccio di mondi incomunicabili, di dramma imploso, di faticoso affiorare della consapevolezza: in tre ore in cui l’ azione è limitatissima, la tensione non cala quasi mai, i tempi sono calibratissimi, i piani e inquadrature parlano insieme ai personaggi, la fotografia è bellissima e mai accademica. E in un luogo in mezzo al nulla e con pochissimi personaggi riesce a raccontare un intero paese (e non solo).
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[+] il film non merita tanto
(di giank51)
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vanessa zarastro
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martedì 4 novembre 2014
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teatro, romanzo e cinema
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Quale sarà il sottile limite che divide il cinema dal teatro? Molti film nordici sono girati prevalentemente in interni con camera fissa. Chi afferma che l’introspezione psicologica sia più della letteratura o della drammaturgia che della cinematografia?
“Winter sleep” si può interpretare come un omaggio al teatro russo (il protagonista vuole scriverne la storia); è un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che evoca in maniera palese quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere. Tale ambientazione sarebbe fuori dal tempo se non fosse per il computer e le e.mails che riceve protagonista. La luce fioca delle candele, il fuoco nel camino, le pareti di pietra e le camere non riscaldate ci restituiscono il romanzo ottocentesco.
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Quale sarà il sottile limite che divide il cinema dal teatro? Molti film nordici sono girati prevalentemente in interni con camera fissa. Chi afferma che l’introspezione psicologica sia più della letteratura o della drammaturgia che della cinematografia?
“Winter sleep” si può interpretare come un omaggio al teatro russo (il protagonista vuole scriverne la storia); è un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che evoca in maniera palese quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere. Tale ambientazione sarebbe fuori dal tempo se non fosse per il computer e le e.mails che riceve protagonista. La luce fioca delle candele, il fuoco nel camino, le pareti di pietra e le camere non riscaldate ci restituiscono il romanzo ottocentesco.
La prima inquadratura sembra proprio un quadro di Anselm Kiefer: una steppa corposa di sterpi e arbusti, con il cielo ventoso che incombe. Da qui si passa alla livida tundra della Cappadocia, con le case scavate nel tufo ricche di pinnacoli e levigate dal tempo.
Aydin (un bravissimo Haluk Bilginer) attore in pensione ma anche ricco possidente, gestisce un piccolo hotel nell'Anatolia centrale, che, guarda-caso ha chiamato “Othello”. Vive insieme alla giovane moglie Nihal e Necla, la sorella che lo ha raggiunto dopo il suo divorzio. Durante l’inverno, mentre la neve ricopre l'intera steppa, l'hotel diventa il loro rifugio, ma anche il teatro dei loro conflitti.
Il cinema turco è ben rappresentato da Nuri Bilge Ceylan che è molto amato a Cannes, che lo ha scoperto fin da un suo cortometraggio, e ha premiato “Winter Sleep” quest’anno. Il suo cinema spesso è fatto di lunghi piani sequenza, di molti silenzi, e di duri panorami all’orizzonte. "Winter Sleep" rientra nella categoria di “cinema rurale” ma presenta moltissimi dialoghi («ho taciuto per 15 anni…» dice il giovane professore ubriacandosi).
È presente tanto teatro – Aydin è un ex-attore che si accinge appunto a scrivere una storia del teatro turco – riconoscibile nell’ambientazione statica che contiene i conflitti e tiene in pressionel’intero racconto. “Il regno d’inverno” è palesemente čechoviano, per “l’odore dell’inverno che è una sorte di letargo morale con la coltre di neve che tutto attutisce e addormenta l’esistenza; e proprio come nelle Tre sorelle i protagonisti vorrebbero poter cambiare vita, andarsene a Istanbul (Mosca, Mosca) immaginando una via di fuga che viene però inesorabilmente frustrata dalla loro abulia e dall’indisponibilità ad abbandonare una condizione di privilegio.
Ma c’è anche tanto cinema di Bergman, per il lavoro preciso e attento che palesa le incongruenze morali non salvando nessuno rivelandole lentamente in un crescendo cui manca la catastrofe finale. Infatti lo spettatore vive tutto il film attendendo una disgrazia, un suicidio, una morte…invece le insofferenze e i risentimenti sono l’inevitabile palude in cui ristagna la loro vita rispetto alla quale nessuna fuga è praticabile. Aydin vuole partire ma dopo una notta passata dall’amico a ubriacarsi torna a casa convinto persino di essere cambiato…
Ceylanrealizza un film ipnotico, molto parlato, ma ben riuscito senza cali di tono. Uno spietato ritratto dei rapporti umani di convivenza dove i non detti logorano e il tempo sembra cambiare tutti ma contemporaneamente non cambiare nulla.
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no_data
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martedì 27 gennaio 2015
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il gran bel vestito dell'uomo invisibile
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Solo in epoca post-moderna e in mondo dominato dall'estetismo un film del genere può vincere a Cannes la Palma d'Oro come "Miglior Film". Va senz'altro sottolineato che ampi meriti andrebbero a chi ha lavorato alla fotografia e alla realizzazione estetica del film, con ottime riprese che valorizzano al massimo gli spettacolari paesaggi turchi. Un gran bel vestito, cucito da un grande stilista(Nuri Bilge Ceylan) e curato nei particolari.
Non lo stesso però, a mio modo di vedere, si può dire di una sceneggiatura che fa dei dialoghi il suo punto di forza (per così dire), i quali generano un mostro colpevole di crimini contro la pace acustica di quel quieto e silenzioso tempio che è l'Anatolia.
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Solo in epoca post-moderna e in mondo dominato dall'estetismo un film del genere può vincere a Cannes la Palma d'Oro come "Miglior Film". Va senz'altro sottolineato che ampi meriti andrebbero a chi ha lavorato alla fotografia e alla realizzazione estetica del film, con ottime riprese che valorizzano al massimo gli spettacolari paesaggi turchi. Un gran bel vestito, cucito da un grande stilista(Nuri Bilge Ceylan) e curato nei particolari.
Non lo stesso però, a mio modo di vedere, si può dire di una sceneggiatura che fa dei dialoghi il suo punto di forza (per così dire), i quali generano un mostro colpevole di crimini contro la pace acustica di quel quieto e silenzioso tempio che è l'Anatolia. L'indossatore del "gran bel vestito" infatti non esiste, o qualora esistesse ha così tanti dubbi su se stesso da non vedersi riflesso in uno specchio.
Così come quando ripetendo più volte la stessa parola questa perde totalmente di significato, i personaggi si disperdono nei meandri dei loro annoianti discorsi borghesi così privi di fondamento e ridondanti da perdere qualsiasi ragion d'essere e scatenando nell'ascoltatore una nevrosi per l'animo.
Nel complesso la pellicola del regista turco si rivela un piacere per gli occhi ma un dramma per le orecchie, un gran bel vestito per l'uomo invisibile.
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nanni
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mercoledì 4 marzo 2015
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il regno d'inverno
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Il film vuole volare alto e ci riesce.
Dunque imperdibile.
Nuri Bilge Ceylan ci mostra, come poche altre volte mi sia capitato vedere, l’indefinitezza umana o meglio le fragilità e la parzialità della definitezza che antropologicamente sembra siamo condannati a realizzare e che illudendoci ci costringe ad una forma perenne di smarrimento mostrandoci patetici; quando cerchiamo di puntellare le nostre fragilissime personali certezze e inermi; quando cercando risposte ci riveliamo irrimediabilmente irrisolti.
Tragica e bellissima ( la più bella del film) la scena del cavallo che addomesticato viene oltraggiato nella sua reale natura rappresentando simbolicamente la vocazione umana all’autoingabbiamento.
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Il film vuole volare alto e ci riesce.
Dunque imperdibile.
Nuri Bilge Ceylan ci mostra, come poche altre volte mi sia capitato vedere, l’indefinitezza umana o meglio le fragilità e la parzialità della definitezza che antropologicamente sembra siamo condannati a realizzare e che illudendoci ci costringe ad una forma perenne di smarrimento mostrandoci patetici; quando cerchiamo di puntellare le nostre fragilissime personali certezze e inermi; quando cercando risposte ci riveliamo irrimediabilmente irrisolti.
Tragica e bellissima ( la più bella del film) la scena del cavallo che addomesticato viene oltraggiato nella sua reale natura rappresentando simbolicamente la vocazione umana all’autoingabbiamento.
Azzeccatissima la scelta di un luogo arcaico come la Cappadocia, immobile e sospeso nel tempo o forse meglio, che sembra fuori da ogni tempo.
Il tentativo, appunto patetico, di riscatto del protagonista produce un finale consolatorio che non si addice ad un film così affilato, ma il peccato, per un lavoro che va così in profondità , lo consideriamo veniale e lo perdoniamo di slancio.
Ciao Nanni.
p.s.
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arnaco
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venerdì 13 marzo 2015
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viaggio d'inverno
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Il regista ha scelto come leit-motif la Sonata n. 20 di Schubert ma, secondo me, ha pensato intensamente anche al Winterreisen e ai suoi significati esistenziali. Nel film io ho ritrovato il wanderer schubertiano nel suo vagabondare, il febbrile e candido tendere del viaggiatore Aydin verso l'abisso, Verso la morte, verso la fine. Il regno d'inverno è quindi un paesaggio di agghiacciante solitudine, è quanto resta della matrigna natura di leopardiana memoria, scampata al sonno invernale. Di qui gli animali morti nella neve, incontrati lungo il cammino e questo anziano ex-attore, che si nasconde nel suo studio, in contrasto con tutto e con tutti, a scrivere i suoi articoli, rifiutandosi di credere che nessuno li legge, risentito perché l'unica persona che li legge, la sorella, non li condivide.
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Il regista ha scelto come leit-motif la Sonata n. 20 di Schubert ma, secondo me, ha pensato intensamente anche al Winterreisen e ai suoi significati esistenziali. Nel film io ho ritrovato il wanderer schubertiano nel suo vagabondare, il febbrile e candido tendere del viaggiatore Aydin verso l'abisso, Verso la morte, verso la fine. Il regno d'inverno è quindi un paesaggio di agghiacciante solitudine, è quanto resta della matrigna natura di leopardiana memoria, scampata al sonno invernale. Di qui gli animali morti nella neve, incontrati lungo il cammino e questo anziano ex-attore, che si nasconde nel suo studio, in contrasto con tutto e con tutti, a scrivere i suoi articoli, rifiutandosi di credere che nessuno li legge, risentito perché l'unica persona che li legge, la sorella, non li condivide. Per questo trovo che il film sia pervaso dal principio alla fine di un inesorabile pessimismo. Più che il protagonista, che in verità non si allontana mai molto dal suo ritiro, è lo spettatore che compirà sinesteticamente un viaggio di immersione totale in tutto ciò che la parola non arriva a lambire nella complessità delle emozioni umane evocate e trasfigurate nei lunghi dialoghi con la moglie, con la sorella e con gli altri personaggi incontrati quasi casualmente. Solo alla fine scopriremo che Aydin è perdutamente innamorato della moglie che non lo ama e che solo adesso inizierà un viaggio senza meta consumato dal dolore, una lunga peregrinazione: il suo cammino sincronico nella diacronia del teatro Turco. Non sappiamo dove lo condurrà, forse nella stagione della morte e dell'assenza; sappiamo solo che prima di partire lascia virtualmente libera la giovane moglie, come già aveva fatto con il suo puledro che abbiamo visto fuggire al galoppo in uno scenario notturno, silente, assente di vita, verso campi ricoperti di neve e torrenti gelidi, eppure per lui più caldi della prigione in cui era trattenuto.
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giank51
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domenica 12 ottobre 2014
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le nevrosi turche
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A quanto pare anche la cultura islamica è vulnerabile alle nevrosi moderne. Nonostante le ripetute invocazioni ad Allah i personaggi della vicenda condividono angoscie e nevrosi degne dei migliori film di Bergman.
Il regista si sofferma a lungo nell'esaminare il mondo interiore dei suoi personaggi: dal protagonista (intellettuale di provincia) a tutte le altre figure che compaiono nel film il comun denominatore è uno spaesamento etico. Il lungo dialogo con la giovane moglie, nella seconda parte del film, è un contraltare a "Scene da un matrimonio" di Bergman. Nessuno è risparmiato nel mondo moderno.
Forte è il contrasto con il paesaggio aspro ed arcaico dell'Anatolia.
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A quanto pare anche la cultura islamica è vulnerabile alle nevrosi moderne. Nonostante le ripetute invocazioni ad Allah i personaggi della vicenda condividono angoscie e nevrosi degne dei migliori film di Bergman.
Il regista si sofferma a lungo nell'esaminare il mondo interiore dei suoi personaggi: dal protagonista (intellettuale di provincia) a tutte le altre figure che compaiono nel film il comun denominatore è uno spaesamento etico. Il lungo dialogo con la giovane moglie, nella seconda parte del film, è un contraltare a "Scene da un matrimonio" di Bergman. Nessuno è risparmiato nel mondo moderno.
Forte è il contrasto con il paesaggio aspro ed arcaico dell'Anatolia. Notevole la fotografia sia degli interni che dei panorami. Questo aspetto, a mio parere, dà il timbro di qualità a tutto il film, sinceramente più del messaggio in sè che non è nulla di nuovo
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(di francesco2)
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folignoli
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martedì 27 gennaio 2015
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un documento di inestimabile valore
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È evidente il fatto che Winter Sleep non può essere letto solo dal punto di vista narrativo, della storia. Film del genere vanno giudicati innanzitutto studiando a fondo la cinematografia (e biografia) dell’autore, altrimenti si rischia di dare giudizi oltre che affrettati, monchi di tutto il percorso interiore del regista. Io partirei da una scena, quella in cui la moglie del protagonista contesta al marito che gli articoli che lui scrive, non vengono letti da quasi nessuno. In quella frase, in un nucleo densissimo, c’è tutto il cinema di Ceylan. I suoi film apprezzatissimi nei Festival, sono praticamente sconosciuti. Il pubblico medio, ignora l’esistenza di un poeta come Ceylan.
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È evidente il fatto che Winter Sleep non può essere letto solo dal punto di vista narrativo, della storia. Film del genere vanno giudicati innanzitutto studiando a fondo la cinematografia (e biografia) dell’autore, altrimenti si rischia di dare giudizi oltre che affrettati, monchi di tutto il percorso interiore del regista. Io partirei da una scena, quella in cui la moglie del protagonista contesta al marito che gli articoli che lui scrive, non vengono letti da quasi nessuno. In quella frase, in un nucleo densissimo, c’è tutto il cinema di Ceylan. I suoi film apprezzatissimi nei Festival, sono praticamente sconosciuti. Il pubblico medio, ignora l’esistenza di un poeta come Ceylan. Ma è così importante essere conosciuti al grande pubblico? Nella società odierna, riceve più attestazioni di bravura un frivolo cabarettista capace solo di essere volgare, che un regista di cinema d’autore. Riceve più consensi una ragazza seminuda su facebook che un regista che racconta una parte del mondo che altrimenti mai avremmo conosciuto. Interroghiamoci. Se si vuole incanalare la disputa sul livello della frivolezza, allora si giudica un film del genere, solo attraverso la capacità di offrire interesse al pubblico. Al contrario, se si vuole analizzare la questione più a fondo, è necessario dire che Winter Sleep è un documento di inestimabile valore, poiché racconta ciò che nessuno ha mai fatto. Quelle popolazioni che vivono in Anatolia, dai ritmi così diversi di quelli del mondo civilizzato. Ma oltre a raccontare cose semisconosciute, il film regala anche un’atmosfera in grado di allietare lo spettatore minimamente colto. Ci si può avvicinare per caso ad un regista del genere, ma per poterlo stimare diventa obbligatorio vedere la sua filmografia. A partire dai cortometraggi che si trovano in rete, fino ad arrivare ai suoi primi film di successo, Uzak, Il piacere e l’amore.
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kimkiduk
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venerdì 27 febbraio 2015
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bella la cappadocia
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Decisamente un film non facile. Intriso di assonanze teatrali dedicate a Shakespeare nei suoi richiami ed alla letteratura russa per la solitudine del suo protagonista. Inoltre ho ritrovato una forte assonanza a Bergman per quel che riguarda il dialogo con la moglie. Film che si basa sulle parole a volte forti ed incisive a volte meno, ma con tre dialoghi - sorella,moglie ed amico - che tracciano un quadro del Sig. Aydin quasi arrogante, supponente, pieno del suo successo e della voglia di sentirsi ancora ricco della sua povertà di bambino, ma che in realtà non ha più. L'alta considerazione personale lo portano nel finale del film ad una propria considerazione di un misero fallimento.
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Decisamente un film non facile. Intriso di assonanze teatrali dedicate a Shakespeare nei suoi richiami ed alla letteratura russa per la solitudine del suo protagonista. Inoltre ho ritrovato una forte assonanza a Bergman per quel che riguarda il dialogo con la moglie. Film che si basa sulle parole a volte forti ed incisive a volte meno, ma con tre dialoghi - sorella,moglie ed amico - che tracciano un quadro del Sig. Aydin quasi arrogante, supponente, pieno del suo successo e della voglia di sentirsi ancora ricco della sua povertà di bambino, ma che in realtà non ha più. L'alta considerazione personale lo portano nel finale del film ad una propria considerazione di un misero fallimento. Storia di rapporti umani ambientata in una Cappadocia di bellezza assoluta a livello naturalistico. Il film è racchiuso nell'ultima ora dove sfiora il capolavoro. Forse eccessivamente lungo, ma non se ne fa accorgere troppo; forse troppo lento, ma la lentezza non l'ho mai ritenuta un difetto. Difficile dare un giudizio negativo finale, ma non penso meritasse di vincere Cannes. Anche se il tema scelto è trattato in un ambiente diverso dal solito e da un regista altrettanto diverso è pur sempre un tema ricorrente.
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mara65
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lunedì 16 marzo 2015
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bello, ma non fino in fondo
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L'assenza di musiche nei film di Ceylan è una costante. Questo può essere un pregio, ma anche un difetto. Le musiche arricchiscono e accrescono le emozioni. Il regista, privandosene dimostra di saperci fare, di essere un regista autentico, che racconta la realtà così com'è, senza trucchi. Però si espone alla mancanza di trama e/o emozioni, che anche qui, qualcuno lamenta. In realtà la trama c'è. C'è molto più che nei film della commedia italiana o peggio ancora di quella americana. E' sbagliato dire che non c'è trama. La storia ed il percorso (non solo interiore) di Aydin è marcato. La vita della sua incantevole moglie, incastonata in un mondo che non le appartiene (cosa ci fa una donna meravigliosa in un contesto dove non esiste la bellezza?) racconta fin troppo.
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L'assenza di musiche nei film di Ceylan è una costante. Questo può essere un pregio, ma anche un difetto. Le musiche arricchiscono e accrescono le emozioni. Il regista, privandosene dimostra di saperci fare, di essere un regista autentico, che racconta la realtà così com'è, senza trucchi. Però si espone alla mancanza di trama e/o emozioni, che anche qui, qualcuno lamenta. In realtà la trama c'è. C'è molto più che nei film della commedia italiana o peggio ancora di quella americana. E' sbagliato dire che non c'è trama. La storia ed il percorso (non solo interiore) di Aydin è marcato. La vita della sua incantevole moglie, incastonata in un mondo che non le appartiene (cosa ci fa una donna meravigliosa in un contesto dove non esiste la bellezza?) racconta fin troppo. Mette sul piatto della bilancia tanti fatti, molti più di quelli che Ceylan era abituato a rappresentare. I dialoghi diventano quasi logorroici in confronto ai suoi lavori precedenti, fatti per lo più di sguardi e silenzi. Il film è bellissimo, ma non fino in fondo perchè qualcosa manca. Dal mio punto di vista avrei dato più spazio ai paesaggi mozzafiato. Avrei accorciato i dialoghi inutili, che se da una parte servono per spiegare la noia che caratterizza gli abitanti di quei luoghi, dall'altra appesantiscono il ritmo. Gli interni claustrofobici, restituiscono la sensazione di lontananza dal resto del mondo: più volte ci si sofferma sull'utilizzo delle stufe a legna, unico modo (arcaico per la nostra società moderna) di scaldare le loro case. Ma gli interni alla fine soffocano il film. Si avverte quasi il bisogno di scene all'aperto, si sente la sensazione di mancanza d'aria e ci si augura che la macchina da presa possa scivolare all'esterno, come fa ad esempio nel precedente film C'era una volta in Anatolia, a mio avviso più bilanciato tra scene interne ed esterne, tra dialoghi e silenzi.
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no_data
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lunedì 18 maggio 2015
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l' inverno del nostro scontento
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Film bellissimo in cui forma e contenuto si compenetrano e si completano a vicenda ,Non sai se compiacerti per la scenografia , o per la recitazione, o per i dialoghi o per la trama ,antica nella sostanza ma viva emoderna nell' impostazione .Un film fuori del tempo , un grande lezione di letteratura sceneggiata e di scenografia latteraria.
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