marta73
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giovedì 25 agosto 2016
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bellissimo
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Se vi è piaciuto Carlos, se vi è piaciuto Narcos... Non perdete questo capolavoro con uno strepitoso Benicio del toro
[+] la piccola marca
(di des esseintes)
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des esseintes
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lunedì 25 luglio 2016
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il moralismo postmoderno e la realtà
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La pruderie postmoderna impone un rigidissimo giudizio morale a senso unico il cui scopo è quello di dissuadere lo spettatore dal farsi venire in mente idee strane tipo: "Ma vuoi vedere che non vivo nel migliore di mondi possibili?".
E allora è ovvio che devono rappresentare Escobar come un assurdo demonio descrivendo l'amore che gli portava il popolo come frutto di un bieco inganno (e manco a dirlo della "stupidità" del popolino che va sempre guidato altrimenti succedono i guai...).
Solo che provate a usare lo stesso metro con Tony Blair, George Bush, o la prossima presidentessa degli US e vi accorgereste che c'è tanto ma tanto di peggio di un delinquente colombiano.
E rimane il fatto che il popolo non lo amava.
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La pruderie postmoderna impone un rigidissimo giudizio morale a senso unico il cui scopo è quello di dissuadere lo spettatore dal farsi venire in mente idee strane tipo: "Ma vuoi vedere che non vivo nel migliore di mondi possibili?".
E allora è ovvio che devono rappresentare Escobar come un assurdo demonio descrivendo l'amore che gli portava il popolo come frutto di un bieco inganno (e manco a dirlo della "stupidità" del popolino che va sempre guidato altrimenti succedono i guai...).
Solo che provate a usare lo stesso metro con Tony Blair, George Bush, o la prossima presidentessa degli US e vi accorgereste che c'è tanto ma tanto di peggio di un delinquente colombiano.
E rimane il fatto che il popolo non lo amava. Lo adorava.
Quasi due anni dopo la sua morte stavo in Antioquia, la regione degli altopiani sopra Medellin, quindi proprio la zona sua.
Lui era morto e della sua lussuosa residenza erano restate poche cose fra cui alcuni animali del suo celebre zoo, in particolare degli ippopotami (che sono morti pochi anni fa) e una tigre splendida che era l'orgoglio non solo del boss ma di tutta la gente di Antioquia (che è la regione tradizionalmente più produttiva della Colombia).
Sono paesini sperduti, non "belli" ma molto affascinanti per un turismo diverso.
Una sera dopo un lungo giro torno a uno di questi paesini dove avevo l'albergo e vado a prendermi un caffè. Nel locale c'era un'aria strana, erano tutti molto seri, parlavano a voce bassa.
Io gli chiedo se fosse successo qualcosa, uno di loro si volta guardandomi fisso negli occhi e mi fa: "Ayer se muriò el tigre de Pablo".
Quella gente nella propria vita aveva solo l'amore di un delinquente che era davvero una bestiaccia ma per il suo popolo aveva fatto di più di quanto mai avesse fatto lo Stato di quella nazione. Anzi era proprio quello Stato di venduti - che come è stranoto fomentava la guerriglia e il narcotraffico per poter ricevere gli aiuti americani - la causa della sua povertà.
Gente senza futuro e senza presente che aveva solo quell'amore "sbagliato" come identità.
E allora o gli si dà un'altra identità, o si fa per loro di più di quanto abbia fatto il bandito o anche si denuncia a viso aperto il sistema che genera gli Escobar...oppure per cortesia sospendete per pudore i giudizi moralistici a pagamento.
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ashtray_bliss
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domenica 3 gennaio 2016
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solido e coinvolgente dramma sulle orme di escobar
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Una famiglia di canadesi trasferita, la Colombia, la natura maestosa e selvaggia, il surfing, le onde, una bella ragazza locale che fa perdere la testa al più giovane dei fratelli, Nick. Quello che si prospetta per il giovane protagonista della pellicola sembra indubbiamente essere un paradiso ritrovato, fino al momento in cui la neo-fidanzata non decide di presentargli suo zio, Pablo Escobar. Queste le premesse che ci introducono all'opera prima di Andrea Di Stefano, al suo debutto internazionale come regista e sceneggiatore. Un opera indubbiamente riuscita e memorabile che ancora una volta ci consegna una robusta e magnetica interpretazione di un sempre più affermato Benicio Del Toro, qui calatissimo nella parte di Pablo Escobar, di cui riesce perfettamente a far esaltare luci e ombre, debolezze e manie, regalandoci un affresco impeccabile di uno dei più noti e controversi criminali dei nostri tempi, e lasciando come attore ia sua impronta distintiva.
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Una famiglia di canadesi trasferita, la Colombia, la natura maestosa e selvaggia, il surfing, le onde, una bella ragazza locale che fa perdere la testa al più giovane dei fratelli, Nick. Quello che si prospetta per il giovane protagonista della pellicola sembra indubbiamente essere un paradiso ritrovato, fino al momento in cui la neo-fidanzata non decide di presentargli suo zio, Pablo Escobar. Queste le premesse che ci introducono all'opera prima di Andrea Di Stefano, al suo debutto internazionale come regista e sceneggiatore. Un opera indubbiamente riuscita e memorabile che ancora una volta ci consegna una robusta e magnetica interpretazione di un sempre più affermato Benicio Del Toro, qui calatissimo nella parte di Pablo Escobar, di cui riesce perfettamente a far esaltare luci e ombre, debolezze e manie, regalandoci un affresco impeccabile di uno dei più noti e controversi criminali dei nostri tempi, e lasciando come attore ia sua impronta distintiva. Il ruolo di Escobar, infatti, sembra naturalmente pensato per essere indossato da un fenomenale Benicio, che ancora una volta ruba la scena al vero e proprio protagonista, Nico, diventando il centro gravitazionale del film. Inquietante ma affascinante al tempo stesso, la figura di El Patron assume nuove dimensioni, e ci viene presentata in tutte le sue forme più umane e spietate al tempo stesso: Prima un uomo e padre modello, un punto di riferimento per il popolo colombiano, un uomo devoto alla famiglia e alla religione ma anche uno spietato assassino che ordina le stragi persino dei suoi collaboratori più fidati, e un narcotrafficante tra i più pericolosi e ricercato internazionalmente.
La pellicola, dunque, è un abile incrocio di generi, tra il biografico, il dramma, il thriller con momenti esplicitamente action. Malinconico e romantico, nel senso di decadente, dalla prima all'ultima inquadratura il Paradise Lost di Di Stefano affida la narrazione della storia al giovane e innocente Nico, una figura diametricalmente opposta a quella di Escobar, un anti-eroe drammatico e segnato dal destino che perderà progressivamente tutto ciò che ama, conoscendo il dolore, la perdita, il tradimento, la rabbia in un crescendo di violenza inaspettata e ingiustificata. Nico, interpretato da un intenso e straordinariamente impegnato Josh Hutcherson, era la scelta inevitabile per raccontare, attraverso la sua figura, ciò a cui fa riferimento il titolo stesso: la perdita dell'innocenza, il passaggio dal idillio alla più cruda e brutale realtà, lo sgretolarsi di ogni speranza e aspettativa per raggiungere il culmine di tragicità nella perdita di coloro che ama di più: la sua famiglia. Il tutto avendo come sfondo la Colombia dei primi anni novanta, la Colombia piegata e ferita dalla miseria e povertà nella quale si era creato un impero Escobar. L'ingenuità e la semplicità di Nico si scontrano più volte col volto spietato di Escobar, che a sua volta diventa il simbolo di una nazione spezzata, un paradiso corroso e violentato nel nome della droga e dell'arrivismo, fin quando avviene la svolta decisiva e finale e anche lo sbigottito ragazzo perde defintivamente ogni traccia di umanità e innocenza. Il Male che contagia e trasforma il Bene in una furiosa macchina di vendetta.
Ma percepibile è pure il divario intestino della nazione: Da una parte c'è il popolo, le bande che si spartiscono i territori, le famiglie...dall'altra c'è lui, El Patron, che come un Dio onnipresente e onniscenete controlla e comanda tutto, compresa la vita e la morte dei suoi connazionali. Simbolica e suggestiva in tal senso la scena col piccolo Martin, anch'egli vittima dell'ondata di violenza che si innesca per ordine di Escobar nelle poche ore che lo separano dal consegnarsi alle autorità.
Realtà e finzione difatti si intrecciano costantemente in questo prodotto, che parte da un setting e un personaggio realmente esistito, incentrandosi nel periodo tra il 1991 e il 1993, per poi tessere la storia (fittizia) d'amore tra Nico e Maria e seguirne il progressivo disfacimento, la discesa verso l'inferno con l'arrivo dirompente di Pablo Escobar nella vita dei due, e raccontare una storia parallela fatta di sconfitta e dolore.
Paradise Lost è indubiamente un opera completa e riuscita, grazie alla serratissima regia, l'intensa, umana e verosimile interpretazione degli attori principali che riescono sempre a trasmettere allo spettatore le emozioni (anche contrastanti) che provano nelle diverse situazioni. Solida la sceneggiatura e la struttura narrativa, compresa di flashback e salti temporali avanti e indietro che però non disturbano e non confondono lo spettatore nel seguire la storia. Curatissima la fotografia e il contrasto dei colori, molto nitidi e vividi nella prima parte (quella che racconta la goia di vita) per optare successivamente verso tonalità più scure e cupe, seguendo il mutamento della trama e del protagonista. Altra carta vincente per la suddetta pellicola è che racconta la violenza ma senza cadere nella trappola del'autocompiacenza, evitando accuratamente di mostrare (visivamente) la crudeltà di cui narra. Niente scene forti, splatter o sensazionalistiche; qui la violenza è sopratutto percepita e immaginata ma altrettanto abrasiva. Curati e verosimili anche i dialoghi, Escobar ha tutte le carte in regola per essere un grande e memorabile film, che cattura, inquieta, coinvolge e commuove. Anche le prove recitative colpiscono, come puntualizzato prima, Benicio su tutti, ma la vera rivelazione si nasconde proprio nel volto prima statico poi stupito e sofferto di Hutcherson che riveste abilmente i panni del ragazzo qualunque, un po' impacciato che si vede crollare il mondo addosso ma riuscendo pienamente a farci immedesimare nelle sue peripezie e stati emotivi fino all'escalation conclusiva.
Note negative riguardo la suddetta pellicola? Il finale appare un po' troppo precipitoso e veloce, quasi come mancasse una parte che lega le azioni di Nico tra la scena notturna in auto e la successiva in chiesa. E probabilmente sarebbe stato opportuno approffondire maggiormente il personaggio del fratello Dylan. Superati e perdonati questi difetti, il film resta marcatamente memorabile. Assolutamente consigliato da parte mia.
Un piccolo must: 4.5/5
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storie di cinema
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lunedì 9 febbraio 2015
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ottimo debutto per di stefano, grande benicio
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Non è frequente che un attore-regista italiano possa debuttare dietro la macchina da presa con un budget di 25 milioni di dollari. È il caso di Andrea Di Stefano, nato in Italia e cresciuto artisticamente a New York, che riesce col suo script ad accendere in Benicio del Toro la voglia di prender parte al progetto e quella di farsi aiutare perfino nella raccolta dei fondi necessari.
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Non è frequente che un attore-regista italiano possa debuttare dietro la macchina da presa con un budget di 25 milioni di dollari. È il caso di Andrea Di Stefano, nato in Italia e cresciuto artisticamente a New York, che riesce col suo script ad accendere in Benicio del Toro la voglia di prender parte al progetto e quella di farsi aiutare perfino nella raccolta dei fondi necessari.
Nasce così Escobar: Paradise Lost, opera a metà tra l’azione e il biopic: La trama è indiscutibilmente figlia degli action movie americani, ma la figura di Pablo Escobar non è declassata ad un ruolo marginale, ed anzi un esemplare Benicio la erge a vera protagonista del film, dando all’opera anche un forte lato biografico.
Nick (Josh Hutcherson) e il fratello Dylan sono alla ricerca della loro isola felice, e giungono in Colombia. SI insediano nei pressi di una spiaggia e cullano i propri sogni, aprire una piccola attività per Dylan, e insegnare Surf per Nick. Nick qui conosce una splendida ragazza del posto, Maria, nipote del più grande e famoso trafficante di cocaina nel mondo, Pablo Escobar. L’accoglienza nella famiglia del Patròn è quanto mai amorevole, il giovane si lascia coinvolgere e inevitabilmente, suo malgrado, verrà coinvolto nelle losche attività del narcotrafficante.
Molto bravo Di Stefano a caratterizzare la figura di Escobar, magistrale l’attore a metterla in pratica. Freddo, distaccato, impassibile. Il Patròn adora la sua famiglia, e come ogni potente criminale la difende con ogni mezzo. Il suo popolo lo adora e scende in piazza per glorificarlo: “la gente qui in Colombia ha masticato la coca fin dall’inizio dei tempi. Pablo sta solo esportando un prodotto nazionale. Molto del denaro che fa lo devolve ai poveri. Va nei quartieri poveri e chiede di loro. Lo AMANO”, quando accorre in aiuto di Nick, il suo appare un “intervento divino”. La vita felice nelle famiglie della criminalità non può durare per sempre e ben presto Escobar mostrerà il suo lato più cattivo, calpestando anche i suoi stessi ideali, compreso l’amore verso gli affetti più cari.
Pur con qualche difetto (l’ottima resa del personaggio di Escobar mette a nudo una frammentaria caratterizzazione degli altri protagonisti), l’esordio di Di Stefano è assolutamente da promuoversi. Il film, premiato all’ultimo festival del cinema di Roma, non ha ancora una distribuzione nel nostro paese.
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mfmatrix
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sabato 7 febbraio 2015
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benicio del toro da oscar
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Film davvero ben girato e il ruolo di Escobar sembra cucito alla perfezione su Benicio del Toro. In una spirale dove i valori della famiglia e dell'amore vengono spazzati via dall'anima nera e crudele del più famoso dei narcos sud americani forse il solo il povero Nick ( Johs Hutherson ) rimane preda di un epilogo quanto mai crudo che sino all'ultimo ha provato ad evitare.
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