paapla
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domenica 19 maggio 2013
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un lavoro di merda
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Il miele è biondo, la vita di Miele è grigia, il film è grigio. “Un lavoro di merda” come dice la compagna di un uomo che ha deciso di morire a Miele dopo la consegna della busta piena di euro. Miele è il serpente che accompagna le persone che hanno deciso di morire perché ammalate. Una storia raccontata con garbo, può marciare con le grandi vicende narrate con coraggio da oltre un decennio dal cinema americano. Una produzione tutta italiana, segni dei tempi che cambiano?!
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stolencar
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domenica 19 maggio 2013
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due palle solo perché un'opera prima
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Dopo tutti i passaggi teelvisivi promozionali e le sperticate critiche mi aspettavo qualcosa di più. Perché poi la Golino abbia voluto avventurarsi, nella sua prima regia, con un tema già toccato recentemente da Bellocchio con la sua Bella Addormentata, ma anche con i must di riferimento insuperati come Million Dollar Baby di Eastwood, e se non bastasse con il Mare Dentro e le Invasioni Barbariche, resta un mistero.
In ogni caso avrebbe potutto essere un buon film se non fosse stato eccessivamente ripetitivo, e quindi per certi versi scontato, nel presentare la carrellata di casi che la protagonista deve "risolvere". Tutti diversi ma tutti così uguali.
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Dopo tutti i passaggi teelvisivi promozionali e le sperticate critiche mi aspettavo qualcosa di più. Perché poi la Golino abbia voluto avventurarsi, nella sua prima regia, con un tema già toccato recentemente da Bellocchio con la sua Bella Addormentata, ma anche con i must di riferimento insuperati come Million Dollar Baby di Eastwood, e se non bastasse con il Mare Dentro e le Invasioni Barbariche, resta un mistero.
In ogni caso avrebbe potutto essere un buon film se non fosse stato eccessivamente ripetitivo, e quindi per certi versi scontato, nel presentare la carrellata di casi che la protagonista deve "risolvere". Tutti diversi ma tutti così uguali. Il finale poi era molto prevedibile e per certi versi consolatorio, per un film che avrebbe dovuto trovare il coraggio di dire di più e assumere anche posizioni più scomode e dolorose di quelle mostrate.
Leggasi quando la protagonista - con un'altalenante qualità recitativa - afferma che tuti i suoi clineti non desiderino davvero morire. Sembra che la Golino (o la produzione) non voglia "urtare" la sensibiltà dei patrocinatori del film, che come è noto è sponsorizzato da Rai Cinema e dalla regione Lazio, ecc.; lascaindo aperto un dibattito senza infierire. In fondo deve essere un film per tutti (come si diceva una volta).
Questo è forse il limite tipico dell'italianità della produzione del duo Golino-Scamarcio. E quindi del film.
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simone magli
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sabato 18 maggio 2013
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emozione pura
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Un film molto intenso in un susseguirsi di emozioni forti.
Irene (Jasmine Trinca), nome in codice Miele, è una ragazza che aiuta a morire persone affette da gravi malattie che non ce la fanno più a vivere nella propria condizione. Tutto questo in cambio di denaro, somministrando loro il Lamputal, un farmaco letale a uso veterinario: entra su appuntamento nelle case dei pazienti, prepara scrupolosamente la dose di veleno, dà le istruzioni ai parenti sulla procedura da seguire e poi sparisce, come un dolce angelo della morte.
Un giorno però incappa in un cliente che presenta una situazione diversa dagli altri casi che solitamente vede: l’ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi) vuole difatti morire non per cause patologiche, ma perché disperatamente disilluso e stanco di vivere.
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Un film molto intenso in un susseguirsi di emozioni forti.
Irene (Jasmine Trinca), nome in codice Miele, è una ragazza che aiuta a morire persone affette da gravi malattie che non ce la fanno più a vivere nella propria condizione. Tutto questo in cambio di denaro, somministrando loro il Lamputal, un farmaco letale a uso veterinario: entra su appuntamento nelle case dei pazienti, prepara scrupolosamente la dose di veleno, dà le istruzioni ai parenti sulla procedura da seguire e poi sparisce, come un dolce angelo della morte.
Un giorno però incappa in un cliente che presenta una situazione diversa dagli altri casi che solitamente vede: l’ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi) vuole difatti morire non per cause patologiche, ma perché disperatamente disilluso e stanco di vivere. E’ intenzionato a porre fine alla sua vita con le proprie mani, ma ha bisogno di Miele per procurarsi il veleno. La ragazza si trova spiazzata e cerca di convincerlo che non può venderglielo poiché lui non è come gli altri e nasce così uno scontro tra i due: la rabbia iniziale di Irene verso l’ingegnere lascerà il posto a un sentimento di affetto misto alla preoccupazione crescente che l’uomo la faccia finita sul serio.
Dopo la sua ultima eutanasia, Irene arriva a un punto di rottura e decide di smettere con la sua attività confessando a Grimaldi che secondo lei “nessuna delle persone che ha assistito voleva morire davvero”- “nonostante”- afferma aprendo uno spunto in campo etico “quelle non fossero vite”.
La telecamera della regia è sempre puntata sulla protagonista (che non fa una piega nella sua interpretazione) in un continuo movimento fra pedalate in bici, scopate occasionali, nuotate con la muta nel mare del litorale romano davanti al quale abita in una casetta, spostamenti in treno per lavoro, viaggi in Messico per procurarsi il Lamputal, incontri e scontri con l’ingegnere ecc.
Davvero un ottimo esordio alla regia per Valeria Golino.
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alex2044
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mercoledì 15 maggio 2013
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un premio alla tenacia di valeria golino
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Un film ben fatto , ben girato ,ben interpretato con una storia intrigante ed un finale intelligente e quindi un po' sorprendente .
Un esordio felice alla regia per la brava Valeria Golino . Però , pur non essendomi mai annoiato , il film non mi ha coivolto completamente . Rimane tuttavia un film da vedere e non solo per la tematica .
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pietroabb
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mercoledì 15 maggio 2013
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novecentesco
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Sarebbe stato un ottimo film se fosse uscito vent'anni prima, ma nel 2013 l'ho trovato anacronistico, ma non per la tematica, su cui c'è tanto da dire, ma per come è stata affrontata... ogni cosa di quel film mi fa pensare ad un film dello scorso secolo.... siamo nel terzo millennio e questo film è l'ennessima conferma del declino del cinema italiano... a parte qualche eccezione, come Sorrentino ad esempio, sono veramente pochi i registi italiani che hanno fatto il salto nel terzo millennio... visto che questo era il primo film della Golino mi sarei aspettato una maggiore conteporaneità... e invece purtroppo anche lei ha attinto a quel vecchio clichè ormai obsoleto.
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Sarebbe stato un ottimo film se fosse uscito vent'anni prima, ma nel 2013 l'ho trovato anacronistico, ma non per la tematica, su cui c'è tanto da dire, ma per come è stata affrontata... ogni cosa di quel film mi fa pensare ad un film dello scorso secolo.... siamo nel terzo millennio e questo film è l'ennessima conferma del declino del cinema italiano... a parte qualche eccezione, come Sorrentino ad esempio, sono veramente pochi i registi italiani che hanno fatto il salto nel terzo millennio... visto che questo era il primo film della Golino mi sarei aspettato una maggiore conteporaneità... e invece purtroppo anche lei ha attinto a quel vecchio clichè ormai obsoleto... occasione persa, peccato... :(
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musse
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lunedì 13 maggio 2013
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brava golino, non sembra un'esordienta alla regia
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Molto bello per essere italiano, l'attrice è bravissima e la Golino mi ha stupito, anche se per alcune cose dovrebbe essere più esplicita e lasciare meno sottintesi che non tutti riescono a cogliere, ho dovuto spiegare più di una scena alla mia ragazza che non aveva capito.
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(di simone magli)
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lincefrancy72
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domenica 12 maggio 2013
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miele, un film toccante
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Miele, opera prima di Valeria Golino, parla di una ragazza di trent’anni, Irene (Jasmine Trinca) che aiuta le persone, affette da malattie incurabili e dolorose a morire. Miele è il suo nome in codice. Lei fornisce ai suoi clienti un potente barbiturico di uso veterinario che lei stessa si procura in Messico (proibito in Italia), per aiutarli a porre fine alle loro sofferenze. Per Miele/Irene, questa è una missione, è un atto di pietà. Svolge il suo lavoro con freddezza estrema ed inquietante, ma solo apparente. Infatti, il peso delle morti, i volti delle persone che incontra ogni giorno trasformano la sua vita in una serie di macabri rituali. Così, per lei, le uniche valvole di sfogo diventano lo sport, il sesso occasionale e la musica, rimedi che le permettono di alleviare la sua ansia interiore ancora una volta solo apparentemente.
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Miele, opera prima di Valeria Golino, parla di una ragazza di trent’anni, Irene (Jasmine Trinca) che aiuta le persone, affette da malattie incurabili e dolorose a morire. Miele è il suo nome in codice. Lei fornisce ai suoi clienti un potente barbiturico di uso veterinario che lei stessa si procura in Messico (proibito in Italia), per aiutarli a porre fine alle loro sofferenze. Per Miele/Irene, questa è una missione, è un atto di pietà. Svolge il suo lavoro con freddezza estrema ed inquietante, ma solo apparente. Infatti, il peso delle morti, i volti delle persone che incontra ogni giorno trasformano la sua vita in una serie di macabri rituali. Così, per lei, le uniche valvole di sfogo diventano lo sport, il sesso occasionale e la musica, rimedi che le permettono di alleviare la sua ansia interiore ancora una volta solo apparentemente. E… la sua vita va avanti finché un giorno non viene messa in contatto con l’ing. Carlo Grimaldi. Un cliente, però, diverso dagli altri, lui non ha nessuna malattia incurabile, è semplicemente stanco di vivere. Miele, però, come lei stessa afferma: “non sono un sicario” non accetta di aiutarlo a togliersi la vita perché non è nella sua etica. Così le sue convinzioni iniziano a vacillare e tra i due inizia un dialogo, un rapporto che definirei ambiguo.
Irene /Miele mente a tutti, a se stessa, al padre, agli amici, anche all’uomo con cui ha un rapporto affettivo clandestino. (Tutti la credono una studentessa di medicina a Padova) , solo con l’ing. Grimaldi riesce ad essere se stessa, tirando fuori la propria personalità insicura e fragile.
Valeria Golino, per il suo lungometraggio, ha scelto un tema delicato, scivoloso, controverso come quello del suicidio assistito. La Golino è riuscita a costruire un film forte, coraggioso e non scontato; con una regia asciutta, priva di ogni abbellimento estetico, un film di parola, un film che segue il disagio interiore della protagonista in modo distaccato, un film oggettivo privo di qualsiasi giudizio o presa di posizione. Un film che ha posto la sua attenzione sulla musica e la descrizione dei personaggi.
L’interpretazione di Jasmine Trinca la definirei ottima e quella di Carlo Cecchi è magistrale.
Miele piace perché non è scontato, non da giudizi, ma crea nello spettatore, dubbi, incertezze e domande. Un film delicato e toccante.
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maurizio meres
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sabato 11 maggio 2013
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la liberta di decidere
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Ottimo esordio alla regia della Golino del resto con la grande esperienza acquisita all'estero non poteva deludere ,ottima l'intensita nella recitazione dei due attori non mi meraviglierei se il Cecchi abbia recitato parzialmente a soggetto ,la trama è talmente attuale e profonda che da libero sfogo ad ogni interpretazione,la struttura tecnica del film specialmente con quei forti tagli di scena. personalmente mi ricorda i flm di Iñárritu,un film da vedere.
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renato volpone
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giovedì 9 maggio 2013
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il coraggio di morire
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Quanto è brava Valeria Golino come regista: con un’ottima sceneggiatura supera a pieni voti la prova dell’opera prima e fa impallidire “La bella addormentata” di Bellocchio. Con la bravissima Jasmine Trinca, la novella regista ci regala una storia piena di tensione e di emozione, dove tutto è misurato al punto giusto.
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Quanto è brava Valeria Golino come regista: con un’ottima sceneggiatura supera a pieni voti la prova dell’opera prima e fa impallidire “La bella addormentata” di Bellocchio. Con la bravissima Jasmine Trinca, la novella regista ci regala una storia piena di tensione e di emozione, dove tutto è misurato al punto giusto. La riflessione cade non solo sulla possibilità di eutanasia per i malati terminali e sul cosiddetto testamento biologico, ma sulla stessa natura dell’essere, dell’esistere. Miele, nome in codice della bella Irene, rappresenta tutto il bene e tutto il male di vivere, la forza e il vuoto dell’esistenza giovanile che si capovolge nello specchio sulla figura del vecchio ingegnere saggio e pieno di esperienza, ma annoiato della vita (il bravissimo Carlo Cecchi). Un vuoto esistenziale dovuto alle difficoltà che il vivere dissemina sul percorso di ciascuno e che ciascuno deve raccogliere ed elaborare, fino a trovare, quando è necessario, il coraggio di un gesto insano, ma forse indispensabile per la “dignità”. Con malinconia, umorismo anche, dolcezza, si parla di amore, quello carnale, quello sentimentale, e anche di quello con la “A” maiuscola, quello che ti lega così forte che rende il “recidere” un dolore incontenibile. Mai pietoso, ma profondo, questo film è un documento che fa riflettere e non si fa dimenticare. Assolutamente da non perdere.
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redrose
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giovedì 9 maggio 2013
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un'opera prima....troppo 'prima'?
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Mi aspettavo un film forte, intenso, 'di pancia' e stranamente mi ritrovo con una sensazione di indifferenza e perplessità, nonostante la delicatezza del tema. Gli intenti sono buoni, così come la colonna sonora e la fotografia, sembra ci si stia per addentrare in chissà quale tetro labirinto del binomi vita/morte, invece la sceneggiatura è debole, fiacca, il film stenta a decollare. Un prodotto misurato, fin troppo rispettoso e preoccupato di non urtare la sensibilità dello spettatore... Un pudore gratuito che toglie spessore, mordente, e pathos... mi ricorda un po' quell'essenzialità dei film francesi tanto cari alla regista, che personalmente non amo.
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Mi aspettavo un film forte, intenso, 'di pancia' e stranamente mi ritrovo con una sensazione di indifferenza e perplessità, nonostante la delicatezza del tema. Gli intenti sono buoni, così come la colonna sonora e la fotografia, sembra ci si stia per addentrare in chissà quale tetro labirinto del binomi vita/morte, invece la sceneggiatura è debole, fiacca, il film stenta a decollare. Un prodotto misurato, fin troppo rispettoso e preoccupato di non urtare la sensibilità dello spettatore... Un pudore gratuito che toglie spessore, mordente, e pathos... mi ricorda un po' quell'essenzialità dei film francesi tanto cari alla regista, che personalmente non amo. Mi verrebbe da dire alla Golino: "dovevi rischiare un po' di più", con le emozioni, con lo spessore psicologico dei personaggi'... le scene appaiono incompiute, e il finale scontato trasuda sentimentalismo e retorica, e nulla ha a che vedere con la tragicità degli eventi raccontati in precedenza in maniera quasi impersonale. Sopravvalutato.
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[+] wow
(di barone di firenze)
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