mareincrespato70
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giovedì 29 maggio 2014
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la morte che accompagna vita
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Film tanto scomodo e inusuale per la paludata borghese cinematografia italiana, quanto raffinato e spiazzante.
Al suo splendido esordio alla regia, Valeria Golino sceglie di affrontare frontalmente, senza compromessi, la morte pur non mostrandola mai, ma evocandola in ogni gesto e rappresentazione simbolica, persino quella sessuale. Una Jasmine Trinca, ancora una volta in stato di grazia, impersona Miele, dispensatrice di morte salvifica, concetto ostico per il catto-comunista mondo italiano, ma tema di im-mortale attualità, perchè, in fondo, si sa: non c'è vita che, ineluttabilmente, non sia legata concettualmente alla morte, che nella nostra esistenza può, persino, essere “desiderata”.
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Film tanto scomodo e inusuale per la paludata borghese cinematografia italiana, quanto raffinato e spiazzante.
Al suo splendido esordio alla regia, Valeria Golino sceglie di affrontare frontalmente, senza compromessi, la morte pur non mostrandola mai, ma evocandola in ogni gesto e rappresentazione simbolica, persino quella sessuale. Una Jasmine Trinca, ancora una volta in stato di grazia, impersona Miele, dispensatrice di morte salvifica, concetto ostico per il catto-comunista mondo italiano, ma tema di im-mortale attualità, perchè, in fondo, si sa: non c'è vita che, ineluttabilmente, non sia legata concettualmente alla morte, che nella nostra esistenza può, persino, essere “desiderata”.
Una macchina da presa febbrile e compassionevole, ma mai retorica, scruta la febbrile esistenza di Miele, la sua anomia quotidiana, i suoi incontri di passaggio, la sua sessualità tormentata, i suoi desideri repressi sino all'incontro con il prof. Grimaldi, un Carlo Cecchi, che si conferma grande attore, personaggio che svela ancor di più la morte, spogliandola dai suoi tabù, ma anche dalla inutile giustificazione della malattia conclamata: eutanasia è una bella parola di origine greca, ma sempre sotto terra ti porta. Tanto vale, allora, considerare la morte compagna di vita, proprio per vivere meglio possibile, approfittando dei doni della quotidianità, del risveglio e respiro giornaliero che ci prefigura il domani. Ottimo prova di tutti gli attori, con Libero Di Rienzo, stavolta spalla di Jasmine Trinca.
Belle le musiche cha accompagnano il film.
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filippo catani
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sabato 24 maggio 2014
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dilemma etico
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Una giovane ragazza aiuta a morire i malati terminali attraverso l'utilizzo di un medicinale che va a comprare in Messico. Le sue certezze vanno in frantumi quando viene contatta da un uomo che non è malato ma vuole farla finita perchè è annoiato dalla vita.
Forte e spinoso il tema d'esordio alla regia per la Golino. Questa tematica lacera tutte le coscienze e forse il merito maggiore di questo film è proprio quello di non parteggiare per nessuno limitandosi semplicemente a registrare i fatti. Oltre a tema e regia l'altro punto forte è l'accoppiata Trinca-Cecchi che sa regalare una grande intensità. Ecco la parte restante del film risulta essere un pochino pesante e già vista.
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Una giovane ragazza aiuta a morire i malati terminali attraverso l'utilizzo di un medicinale che va a comprare in Messico. Le sue certezze vanno in frantumi quando viene contatta da un uomo che non è malato ma vuole farla finita perchè è annoiato dalla vita.
Forte e spinoso il tema d'esordio alla regia per la Golino. Questa tematica lacera tutte le coscienze e forse il merito maggiore di questo film è proprio quello di non parteggiare per nessuno limitandosi semplicemente a registrare i fatti. Oltre a tema e regia l'altro punto forte è l'accoppiata Trinca-Cecchi che sa regalare una grande intensità. Ecco la parte restante del film risulta essere un pochino pesante e già vista. La ragazza, al contrario del suo soprannome Miele, è scontrosa e mai in pace con se stessa e non riesce a intrattenere solide relazioni. Forse sarebbe stato meglio stare più sul tema mentre ci sono alcune divagazioni di troppo che finiscono un po' per appesantire lo spettatore. Al netto di ciò ribadiamo che resta un ottimo esordio per la Golino e un'ulteriore prova di maturità per la Trinca che ci era già molto piaciuta nel delicato Un giorno devi andare.
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bigio
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mercoledì 9 aprile 2014
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miele per addolcire la morte
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Miele, un nome scelto per addolcire, ma in realtà uccide, Irene, questo il vero nome di Miele, è un killer, procura la morte a pagamento a persone malate che scelgono la fine della loro vita terrena. Il nòcciolo del film è proprio qui, abituata a favorire il trapasso di malati terminali, si imbatte in un uomo non più giovane, ancora in salute, ma tormentato dalla depressione che ugualmente decide di togliersi la vita dolcemente col Nembutal. Irene, trentenne legata ad un uomo sposato, ruba l’amore e viaggia spesso per procurarsi il potente barbiturico, è una ragazza fredda, ma le sue certezze e gli abili psicologici adottati, cominciano a sgretolarsi quando cambiano le procedure. Con il suo inusuale e simpatico cliente, in un certi aspetti simile a lei caratterialmente, nasce un rapporto particolare che tuttavia finisce in tragedia.
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Miele, un nome scelto per addolcire, ma in realtà uccide, Irene, questo il vero nome di Miele, è un killer, procura la morte a pagamento a persone malate che scelgono la fine della loro vita terrena. Il nòcciolo del film è proprio qui, abituata a favorire il trapasso di malati terminali, si imbatte in un uomo non più giovane, ancora in salute, ma tormentato dalla depressione che ugualmente decide di togliersi la vita dolcemente col Nembutal. Irene, trentenne legata ad un uomo sposato, ruba l’amore e viaggia spesso per procurarsi il potente barbiturico, è una ragazza fredda, ma le sue certezze e gli abili psicologici adottati, cominciano a sgretolarsi quando cambiano le procedure. Con il suo inusuale e simpatico cliente, in un certi aspetti simile a lei caratterialmente, nasce un rapporto particolare che tuttavia finisce in tragedia. Due personaggi che si scontrano e si “amano”, con dialoghi che riescono a volte ad essere divertenti. Prima prova positiva alla regia della Golino, che tratta un argomento difficile e scabroso come l’eutanasia, addolcendolo stilisticamente e tecnicamente in maniera elegante. Appropriata anche la colonna sonora, contribuisce spesso a vivacizzare alcuni tratti del film che a volte rallenta. Bene anche Jasmine Trinca, non però al top. Film profondo e di spessore, da non perdere.
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marienbad
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sabato 11 gennaio 2014
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discreta golino pessima trinca
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Non capisco la scelta di usare la Trinca da parte di molti registi italiani.la considero un bluff totale.In questo film non cambia espressione per tutto il tempo e risulta alquanto antipatica al di là del ruolo che recita.Quando il cinema italiano incomincerà a dare valore ad attori di spessore?
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graisano
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sabato 14 dicembre 2013
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qualche merito a valeria golino.
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Nell'affrontare una tematica scabrosa come l'eutanasia l'attrice-regista realizza un film esile ma forse non inutile. Memore di LA BELLA ADDORMENTATA di Bellocchio, svolge un intreccio tra due personaggi, appunto la protagonista, col soprannome "Miele" e l'anziano ingegnere, che risulta incuriosito dell'occupazione della donna. Se badiamo al dibattito suscitato dal trattamento dei malati terminali, questo film puo' risultare almeno attuale.
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gianleo67
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lunedì 9 dicembre 2013
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dolce come il miele,amara come la morte
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Irene ,trentenne e orfana di madre, legata sentimentalmente ad un uomo sposato vive da sola in una casa sul litorale romano e viaggia molto per lavoro. Con il supporto 'logistico' di un givane amico medico pratica illegalmente l'eutanasia somministrando, ai malati terminali di famiglie condiscendenti, un potente barbiturico di uso veterinario che si procura nei suoi frequenti viaggi in Messico. Le sue certezze etiche ed il rigore inflessibile del suo protocollo vengono messe in crisi dall'incontro con un anziano ingegnere che ,nonostante goda di buona salute, ha deciso di porre fine ad un'esistenza ormai priva di motivazioni e di scopo.
Le peregrinazioni geografiche di una vecchia 'enfant prodige' del cinema italiano ritornano come le reminescenze scenografiche di un dolente viaggio attraverso la sofferenza e la morte nel suo riuscito esordio da regista attraverso il precario equilibrio (ideologico ed artistico) di un dramma che sfiora, con indulgente intimismo, il tema scottante e controverso della 'dolce morte'.
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Irene ,trentenne e orfana di madre, legata sentimentalmente ad un uomo sposato vive da sola in una casa sul litorale romano e viaggia molto per lavoro. Con il supporto 'logistico' di un givane amico medico pratica illegalmente l'eutanasia somministrando, ai malati terminali di famiglie condiscendenti, un potente barbiturico di uso veterinario che si procura nei suoi frequenti viaggi in Messico. Le sue certezze etiche ed il rigore inflessibile del suo protocollo vengono messe in crisi dall'incontro con un anziano ingegnere che ,nonostante goda di buona salute, ha deciso di porre fine ad un'esistenza ormai priva di motivazioni e di scopo.
Le peregrinazioni geografiche di una vecchia 'enfant prodige' del cinema italiano ritornano come le reminescenze scenografiche di un dolente viaggio attraverso la sofferenza e la morte nel suo riuscito esordio da regista attraverso il precario equilibrio (ideologico ed artistico) di un dramma che sfiora, con indulgente intimismo, il tema scottante e controverso della 'dolce morte'. Capacissima di entrare in punta di piedi nelle stanze di una quotidianità domestica terminale ormai priva di un qualsivoglia orizzonte di speranza e salvazione, la Golino si dimostra abile nell'accostarsi al tema della sofferenza senza scampo attraverso i piani ristretti di una discrezione professionale ed umana che non indulge al patetico od alla facile deriva melodrammatica. Figlia di una recente tradizione 'intimista' del cinema italiano cerca di spostare il punto di vista sull'eutanasia dalle esasperazioni radicali del cinema verità (più vicine alla qualità ed al rigore stilistico del cinema d'oltralpe) verso le declinazioni di un dramma umano che vive di silenzi o, al contrario, di una vibrante emozionalità musicale, sempre in bilico tra sincerità psicologica e retorica dell'espediente cinematografico. Ben costruito nell'alternanza tra gli interni di una insondabile precarietà dell'esperienza umana e gli esterni di una esuberante e solare vitalità, ritrova forse un limite nella tesi narrativa di una protagonista mossa dalle inconfessabili motivazioni di un dramma personale (la perdita della madre) e nelle prevedibili conseguenze di una dialettica divisiva su di un tema politicamente scorretto, lungo il fragile confine tra etica (meglio morale) e libertà di coscienza, laddove le ragioni degli uni valgono sempre quanto quelle degli altri e finendo con lo scegliere una soluzione finale che metta in salvo tanto le une (la libertà di disporre del proprio corpo) quanto le altre (il rispetto per una morte etica che non danneggi nessuno). Brava la Trinca che replica la dolente elaborazione del lutto già vista nel suo esordio morettiano ('La stanza del figlio') nel ruolo controverso di una prezzolata crocerossina della morte e superlativo Carlo Cecchi già cinico e disilluso suicida nel dramma d'esordio martoniano sulla morte di Renato Caccioppoli ('Morte di un matematico napoletano').Menzione speciale della Giuria Ecumenica a Valeria Golino al Festival di Cannes 2013, 3 Nastri d'argento e 2 Globi d'oro.
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marya87
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venerdì 8 novembre 2013
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miele, una storia forte e complessa
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Il film è liberamente tratto dal romanzo Vi perdono di Angela Del Fabbro (pseudonimo di Mario Covacich) che racconta una storia complessa, di difficile trattazione, ancora oggi tabù: la morte assistita. Irene, pseudonimo Miele, è una giovane, timida e riservata ragazza di 32 anni che dedica la sua vita a prendersi cura dei malati terminali seguendoli nelle delicata fase del suicidio assistito. Miele attraversa la vita delle persone che, affette da malattie terminali, decidono di mettere fine alla loro agonia e lo fa con assoluta accortezza, con la delicatezza che il suo nome sembra evocare, quasi come un angelo della morte, pronta a scomparire non appena il suo compito è stato portato a termine.
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Il film è liberamente tratto dal romanzo Vi perdono di Angela Del Fabbro (pseudonimo di Mario Covacich) che racconta una storia complessa, di difficile trattazione, ancora oggi tabù: la morte assistita. Irene, pseudonimo Miele, è una giovane, timida e riservata ragazza di 32 anni che dedica la sua vita a prendersi cura dei malati terminali seguendoli nelle delicata fase del suicidio assistito. Miele attraversa la vita delle persone che, affette da malattie terminali, decidono di mettere fine alla loro agonia e lo fa con assoluta accortezza, con la delicatezza che il suo nome sembra evocare, quasi come un angelo della morte, pronta a scomparire non appena il suo compito è stato portato a termine. L'incontro con un anziano ingegnere che vuole togliersi la vita perché stufo di vivere farà sorgere una nuova consapevolezza nella giovane donna, costretta a mettere in discussione la nobiltà del suo operato. A mio avviso un esordio alla regia sorprendente quello di Valeria Golino, particolarmente per il coraggio dimostrato nell'affrontare una tematica delicata e controversa, che tuttavia in questa pellicola viene affrontata senza fronzoli e cliché, in maniera lineare così come lo sono le varie sequenze che ci trascinano nella vita di coloro che hanno deciso di mettere fine alla loro vita, mostrandoci il dolore e la tristezza delle persone che si sono autocondannate, con l'aiuto dei loro cari e della ragazza. Un film che non vuole dare un giudizio sul tema, ma che resta neutrale, con una regia semplice, asciutta, ridotta all'essenziale proprio perché il tema trattato lo richiede. La morte è intorno ad Irene, invade la sua vita e la costringe in qualche modo a vivere una vita-non vita tra duri allenamenti fisici, corse in bici con le cuffie nelle orecchie e sporadici incontri sessuali, che lei sente necessari ed in parte catartici. Raccontare la morte non è semplice, ancora più difficile è raccontare il suicido assistito senza incorrere in stereotipi o speculazioni di vario. Ma in quest'opera prima di Valeria Golino la morte è sì raccontata, ma mai mostrata nella sua crudezza, se non nello sguardo triste e combattuto della protagonista. Un plauso a Jasmine Trinca per la sua splendida e non semplice interpretazione di Irene ed uno a Valeria Golino nelle vesti di regista.
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eugenio
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martedì 5 novembre 2013
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cronaca di una morte annunciata
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Mieleovvero Cronaca di una morte annunciata. Così potremmo definire l’esordio alla regia di Valeria Golino vincitrice della scorsa edizione del Festival del Cinema di Cannes sezione Certain Regard. Un film decisamente importante che si occupa di uno dei due aspetti essenziali dell’esistenza: la fine della vita e i rimedi efficaci che possono alleviarla senza evitare inutili sofferenze.
La questione morale è forte e la presenza di illustri passati quali Million Dollar Baby, Il peso della farfalla costituiscono un peso sulla coscienza che l’attrice/regista si è trovata a dover affrontare tentando di declinare, data anche la delicatezza dell’argomento, possibili giudizi in merito a una difficile scelta etica.
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Mieleovvero Cronaca di una morte annunciata. Così potremmo definire l’esordio alla regia di Valeria Golino vincitrice della scorsa edizione del Festival del Cinema di Cannes sezione Certain Regard. Un film decisamente importante che si occupa di uno dei due aspetti essenziali dell’esistenza: la fine della vita e i rimedi efficaci che possono alleviarla senza evitare inutili sofferenze.
La questione morale è forte e la presenza di illustri passati quali Million Dollar Baby, Il peso della farfalla costituiscono un peso sulla coscienza che l’attrice/regista si è trovata a dover affrontare tentando di declinare, data anche la delicatezza dell’argomento, possibili giudizi in merito a una difficile scelta etica. Scelta che dunque trascende da cosa è bene e cosa è male ma pone lo spettatore dinanzi ad una domanda a cui non è preparato a rispondere: come si guarda in faccia alla morte,la vecchia signora dalla quale di solito si distoglie lo sguardo e alla quale si chiede sempre “un minuto in più”.
Con uno stile semplice, asciutto forse troppo dinamico nella descrizione di alcune scene, Golino descrive la parabola discendente di una straordinaria Jasmine Trinca nei panni di Irene, alias Miele che di professione svolge il mestiere di “aiutare” i malati terminali a morire clandestinamente attraverso un farmaco illegale, una medicina per cani, reperita in Messico e ovviamente irregolare in Italia.
Mielenon è una missionaria. E’ un’anima “dannata” che uccide per soldi. Cinica e spregiudicata, non si preoccupa del destino dei malati incontrati ma assiste passivamente i mariti/sorelle/mogli degli incurabili pazienti a somministrare il veleno ai loro cari. E’ una “morte” indifferente dotata tuttavia di un’umanità inaspettata, un cuore debole e solitario che cerca i rapporti fuggendo immancabilmente da essi. Un diafano vetro la sembra separare dalla socialità: le sfuggenti relazioni umane volontariamente rifuggite in discoteca, contrastano con la furia e il bisogno irrefrenabile di vita che traspare nei lunghi giri in bici e nelle nuotate in piscina (l’acqua è un eccellente metafora di cambiamento,di riflusso) come valvola di sfogo delle sue azioni represse e spese in amori fugaci e senza impegno, consumandosi nel suo movimento.
Mieleè quindi malgrado la tematica particolarmente pessimista come si potrebbe erroneamente pensare, un inno alla vita che permea la morte sconfiggendola nella forza dei sentimenti e nella ragione attraverso un lungo cammino di ricerca personale. La protagonista Irene nei suoi molteplici malati troverà in uno di questi (che per un fraintendimento crederà voglia lasciarsi morire), un settantenne ingegnere cinico ma dall’anima goffa e sincera (Carlo Cecchi) una nuova via per guardare l’esistenza da quel punto di vista a lungo sopito ma mai dimenticato.
Lo scontro tra le due correnti di pensieri che si tramuta in un empasse generazionale sul significato di temi “universali” ben presto scandisce in un’amorosa amicizia e comunione, quella di due solitudini “prime” per dirla alla Giordano, che si completano l’uno dell’altra sino a divernirne inscindibili, a necessitare gli uni degli altri.
Malgrado la delicata tematica, Miele non giudica e non manifesta politicamente posizioni per o contro l’eutanasia. Lascia ad ogni uomo il diritto di scegliere sulla propria vita senza vincoli o legami con uno stile cinematografico originale, una musica di repertorio classica che non induce a commuoversi ma lascia nei volti lividi e scavati dalla malattia molto da riflettere. Da un adattamento del libro “A nome tuo” di Mauro Covacich.
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pensierocivile
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sabato 19 ottobre 2013
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vita e morte di un ingegnere stanco
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Miele, nel suo lavoro non è dolce, è fredda, distaccata, impenetrabile. Lo scopo è vegliare sulla procedura che consentirà ai malati, imprigionati in corpi ormai in disfacimento, di porre fine alle proprie sofferenze. Quando però, nella sua vita compare Carlo Grimaldi, un ingegnere semplicemente stanco di vivere, tutte le certezze di Miele-Irene cominciano a sgretolarsi, dal rapporto con i suoi “datori di lavoro”, alla finzione di un amore con un uomo legato ad un'altra donna. Denso e bellissimo questo film di Valeria Golino, tanto feroce nell'analisi dei protagonisti da riuscire a mutare il distacco in sofferenza indicibile, perfino in dolore fisico, in un crescendo naturale, intimo, bisognoso “dell'altro”.
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Miele, nel suo lavoro non è dolce, è fredda, distaccata, impenetrabile. Lo scopo è vegliare sulla procedura che consentirà ai malati, imprigionati in corpi ormai in disfacimento, di porre fine alle proprie sofferenze. Quando però, nella sua vita compare Carlo Grimaldi, un ingegnere semplicemente stanco di vivere, tutte le certezze di Miele-Irene cominciano a sgretolarsi, dal rapporto con i suoi “datori di lavoro”, alla finzione di un amore con un uomo legato ad un'altra donna. Denso e bellissimo questo film di Valeria Golino, tanto feroce nell'analisi dei protagonisti da riuscire a mutare il distacco in sofferenza indicibile, perfino in dolore fisico, in un crescendo naturale, intimo, bisognoso “dell'altro”. I due protagonisti sono lo specchio limpido dei propri drammi e ancora una volta Carlo Cecchi dopo MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO si ritrova con un personaggio e il suo rapporto con l'esistenza: nel film di Martone un professore troppo vorace di vita e dunque inadatto alla pochezza della quotidianità, in MIELE un uomo unicamente stanco, senza alcuna ulteriore richiesta da scommettere col destino. Un film importante, che alcuni passaggi leggermente retorici nei dialoghi, non scalfiscono, anzi è nella reazione all'imperfezione che trova una forza maggiore nella compiutezza “dell'omaggio” finale.
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lisa casotti
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mercoledì 28 agosto 2013
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chapeau!
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Tanto di cappello alla Golino che confeziona, alla sua prima prova di regia, un film equilibrato (su un soggetto imbarazzante) e già segnato da uno stile, si cimenta in inquadrature difficili (come il campo medio nella stanza della prima cliente), forse esagera un po’ coi primi piani… e frutta al meglio la potente arma della colonna sonora.
Se la storia stanca, e sottolineo se (e solo un pochino), è perché è un susseguirsi di episodi simili da cui non ci si scosta, centrata com’è sul tema senza concedere divagazioni. E non si tratta di una disquisizione etica sull’eutanasia: è giusto o sbagliato, i pro e i contro, favorevoli o meno. È un azzardo molto più profondo. Con il personaggio di Miele, grazie ai suoi tratti umani e caratteriali, al suo apparente distacco professionale e al suo delicato calore solidale (e a contraddizioni ed eccessi e bugie quotidiane che la tengono sospesa, come avvolta da una nebbia che impedisce di mettere a fuoco il personaggio, perché lei è nessuno – “Devi essere invisibile” – e tutti noi), la Golino ci conduce alle viscere del problema.
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Tanto di cappello alla Golino che confeziona, alla sua prima prova di regia, un film equilibrato (su un soggetto imbarazzante) e già segnato da uno stile, si cimenta in inquadrature difficili (come il campo medio nella stanza della prima cliente), forse esagera un po’ coi primi piani… e frutta al meglio la potente arma della colonna sonora.
Se la storia stanca, e sottolineo se (e solo un pochino), è perché è un susseguirsi di episodi simili da cui non ci si scosta, centrata com’è sul tema senza concedere divagazioni. E non si tratta di una disquisizione etica sull’eutanasia: è giusto o sbagliato, i pro e i contro, favorevoli o meno. È un azzardo molto più profondo. Con il personaggio di Miele, grazie ai suoi tratti umani e caratteriali, al suo apparente distacco professionale e al suo delicato calore solidale (e a contraddizioni ed eccessi e bugie quotidiane che la tengono sospesa, come avvolta da una nebbia che impedisce di mettere a fuoco il personaggio, perché lei è nessuno – “Devi essere invisibile” – e tutti noi), la Golino ci conduce alle viscere del problema. Ovvero: a livello teorico posso essere favorevole all’eutanasia, ma se mi ritrovassi in una stanza davanti a una persona (nemmeno troppo cara) che ha deciso di morire (perché non può fare altrimenti o perché è quello che davvero desidera, come nel caso dell’ingegner Grimaldi), quale sarebbe, al di là di ogni riflessione e considerazione logica, il mio reale stato d’animo, la mia reazione emotiva alla fine “assistita” (nel significato di accudire, ma soprattutto in quello di essere presente, di vedere)? A livello pratico, insomma, che cosa proverei? Non respiro bene, ho l’affanno, il cuore in tachicardia…
In questo è stata davvero coraggiosa: abbandonata la querelle ci porta dritti alla prova del nove, superando e doppiando la Bella addormentata di Bellocchio, con un’intuizione così sentimentale.
E voglio dire un gran bene anche della Trinca che in Un giorno devi andare non mi aveva affatto convinto (benché la consideri un’ottima attrice), e che invece qui (quanto è vero che un attore è nelle mani del regista!) regge egregiamente il peso del film (forse calca troppo la camminata maschia…) e un ruolo scomodo e complesso.
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