beppe baiocchi
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lunedì 15 settembre 2014
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odioso e disturbante
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Erick Packer, giovane magnate della finanza mondiale, in una Manatthan scossa da una crisi finanziaria, decide di andare a tagliarsi i capelli dal suo barbiere di fiducia dall'altro capo della città. In questo viaggio ,in limousine, il ricco finanziere si troverà a vivere la sua personale odissea, chiuso nella sua ampolla di vetro, impermeabile alla realtà che lo circonda, distrutta e in rivolta per un sistema (economico) che è diventato insostenibile.
Cronenberg mette in atto il romanzo di DeLillo con estrema coerenza rispetto alla sua controparte stampata. In scena dialoghi al limite dell'assurdo, continue ripetizioni di idee e concetti, una linea temporale piatta (il film si svolge nell'arco di una giornata, ma il tempo sembra essere fermo) la forza del tema trattato (l'assurdità del sistema economico capitalista) fanno di questo film un opera odiosa e disturbante.
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Erick Packer, giovane magnate della finanza mondiale, in una Manatthan scossa da una crisi finanziaria, decide di andare a tagliarsi i capelli dal suo barbiere di fiducia dall'altro capo della città. In questo viaggio ,in limousine, il ricco finanziere si troverà a vivere la sua personale odissea, chiuso nella sua ampolla di vetro, impermeabile alla realtà che lo circonda, distrutta e in rivolta per un sistema (economico) che è diventato insostenibile.
Cronenberg mette in atto il romanzo di DeLillo con estrema coerenza rispetto alla sua controparte stampata. In scena dialoghi al limite dell'assurdo, continue ripetizioni di idee e concetti, una linea temporale piatta (il film si svolge nell'arco di una giornata, ma il tempo sembra essere fermo) la forza del tema trattato (l'assurdità del sistema economico capitalista) fanno di questo film un opera odiosa e disturbante.
Robert Pattinson nel ruolo del protagonista riesce bene a sostenere questo peso, a caricarsi del messaggio del film, appare infatti allo spettatore un uomo insopportabile, apatico, arrogante, emblema del sistema a cui fa riferimento. Erick vede il mondo fuori dalla sua limousine (la realtà, il mondo "comune") come un nulla, ne è distante, distaccato, ma forzatamente ne verrà in contatto.
Cronenberg stupisce dunque con questo anti-film visionario e complesso, sicuramente non adatto a tutti (meglio dire adatto a pochi) per colpa di una lentezza estenuante (certamente voluta), e della totale apatia che i personaggi offrono allo spettatore. Cronenberg in questo modo provoca nello spettatore un odio verso il film e di conseguenza verso il sistema finanziario, il modello capitalistico estraneo alla realtà.Il regista rresce dunque nel suo intento provocando però estrema noia in uno spettatore "normale" , meno analitico e tollerante.
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maracaibo
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mercoledì 30 maggio 2012
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mette a dura prova la paziensa dello spettatore
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se un film qualsiasi ti suscita qualche emozione sei contento di averlo visto. Di tutt'altro avviso è invece questa visone. Si partecipa alle vicessitudini di un'orribile giorno del protagonista, un uomo senza emozioni.
Per tutta la visione del film si sta annichiliti ed annoiati sulle gesta di questo supereroe dell'apaticità. Croneberg vuole scuotere il pubblico con immagini e dialoghi disturbanti ma il solo risultato è quello di tifare per il medico , afficchè faccia davvero del male a Pattinson durante la visita proctologica anale, o per il sicario che lo vuole uccidere .Peccato che il regista non ci dia nemmeno l'unica soddisfazione del film: di beccarlo al primo colpo!.
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se un film qualsiasi ti suscita qualche emozione sei contento di averlo visto. Di tutt'altro avviso è invece questa visone. Si partecipa alle vicessitudini di un'orribile giorno del protagonista, un uomo senza emozioni.
Per tutta la visione del film si sta annichiliti ed annoiati sulle gesta di questo supereroe dell'apaticità. Croneberg vuole scuotere il pubblico con immagini e dialoghi disturbanti ma il solo risultato è quello di tifare per il medico , afficchè faccia davvero del male a Pattinson durante la visita proctologica anale, o per il sicario che lo vuole uccidere .Peccato che il regista non ci dia nemmeno l'unica soddisfazione del film: di beccarlo al primo colpo!.
Se Cronember voleva sconcertare il pubblico con 2 ore di dialoghi assurdi, ci riesce, ma che fatica assistere senza che ci sia un lampo di genialità. Attoniti si arriva alla fine sperando in un guizzo che non arriva mai e ci risparmia pure la felicità di vedere stecchito il cazzone Pattinson. tempo perso e soldi pure.
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(di sirena tatuata)
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flyanto
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lunedì 28 maggio 2012
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una metafora sul capitalismo contemporaneo ormai i
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Film ambientato tutto all'interno di una limousine nel corso di un'intera giornata lavorativa di un ricco magnate. La fin troppo chiara metafora della crisi del capitalismo contemporaneo (di cui è simbolo il giovane e ricco magnate interpretato da Robert Pattinson) viene abbondantemente intrisa da dialoghi ricchi di metafore e di massime che rendono la realizzazione ed il contenuto della pellicola artificiosa e sovrabbondante. Strutturato quasi come una pièce teatrale appartenente al teatro dell'assurdo il film trova finalmente il suo epilogo nel finale dialogo tra Pattinson e il bravo Paul Giamatti, ma nel complesso esso, a me personalmente, pare solo essere solo un esercizio di stile da parte del regista David Cronenemberg e nulla di più.
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Film ambientato tutto all'interno di una limousine nel corso di un'intera giornata lavorativa di un ricco magnate. La fin troppo chiara metafora della crisi del capitalismo contemporaneo (di cui è simbolo il giovane e ricco magnate interpretato da Robert Pattinson) viene abbondantemente intrisa da dialoghi ricchi di metafore e di massime che rendono la realizzazione ed il contenuto della pellicola artificiosa e sovrabbondante. Strutturato quasi come una pièce teatrale appartenente al teatro dell'assurdo il film trova finalmente il suo epilogo nel finale dialogo tra Pattinson e il bravo Paul Giamatti, ma nel complesso esso, a me personalmente, pare solo essere solo un esercizio di stile da parte del regista David Cronenemberg e nulla di più.
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filippo catani
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lunedì 28 maggio 2012
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schiavo del denaro
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Un giovane rampante della finanza newyorchese passa le sue giornate in giro con la propria limousine dotata di ogni confort ma soprattutto dotata di pannelli per tenere sotto controllo le borse mondiali. Una mattina, nonostante la presenza del presidente degli USA in città e di un corteo di protesta, il giovane intende attraversare New York per sistemare il taglio di capelli. Lungo il tragitto avrà modo di confrontarsi con diversi interlocutori.
Riducendo il tema del film all'osso si potrebbe dire che la pellicola riprende il vecchio adagio che i soldi non fanno la felicità. Certo è che di spunti interessanti ce ne sono eccome. Intanto partendo dal protagonista si può vedere un giovane di 28 anni che apparentemente potrebbe e può avere tutto ciò che vuole ma che è finito per essere annientato dalla vita.
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Un giovane rampante della finanza newyorchese passa le sue giornate in giro con la propria limousine dotata di ogni confort ma soprattutto dotata di pannelli per tenere sotto controllo le borse mondiali. Una mattina, nonostante la presenza del presidente degli USA in città e di un corteo di protesta, il giovane intende attraversare New York per sistemare il taglio di capelli. Lungo il tragitto avrà modo di confrontarsi con diversi interlocutori.
Riducendo il tema del film all'osso si potrebbe dire che la pellicola riprende il vecchio adagio che i soldi non fanno la felicità. Certo è che di spunti interessanti ce ne sono eccome. Intanto partendo dal protagonista si può vedere un giovane di 28 anni che apparentemente potrebbe e può avere tutto ciò che vuole ma che è finito per essere annientato dalla vita. Le sue uniche ambizioni sono la speculazione valutaria, intrattenere rapporti con giovani che sognano di diventare come lui e intrattenere rapporti sessuali solo per il gusto di farlo ma che alla lunga non gli procurano nessun tipo di appagamento. Vive in una lussuosa campana di vetro rappresentata dalla limousine blindata e ricoperta di sughero che gli serve per sfuggire dal mondo e dai suoi nemici e per non vedere o fingere di non vedere ciò che gli accade intorno (ad esempio quando si trova in mezzo alla manifestazione). Il ragazzo è alla ricerca di emozioni sempre più forti per cercare di sfuggire al torpore esistenziale in cui si trova (tipo cercare di farsi sparare con un taser) ed è convinto di poter comprare qualsiasi cosa (come nel caso della collezione d'arte dicendo che non è un patrimonio di tutti ma solo di chi fa un'offerta più alta). Il tutto è arricchito da numerose frasi a effetto come quando il miliardario si chiede se abbia ancora un senso che esistano persone intenzionate ad uccidere il presidente degli Usa dal momento che (sottointeso) sono altri i poteri forti che muovono il mondo (fondi di investimento). In questo viaggio che compie lungo la città e metaforicamente dentro se stesso il supermiliardario Pattinson finirà per incontrare la sua nemesi Giamatti che rappresenta colui che è stato ad un passo dalla ricchezza ma è impazzito ed è stato spazzato via. Posto che questa sequenza finale poteva anche essere leggermente accorciata, è possibile fare un plauso sia allo strepitoso Giamatti ma anche a un Pattinson alla disperata ricerca di liberrasi dal ruolo del vampiro idolo delle teenagers e che pare ci stia riuscendo regalando una buona interpretazione.
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il foratto
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lunedì 28 maggio 2012
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pattinson, eterno vampiro
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La trama è quanto di più semplice e lineare si possa chiedere ad un film che va inserito in quel grande ed elitario cinema definito “impegnato” e “d’autore”.
Un giovanissimo ultramilionario americano, di quelli della peggior specie, decide, nonostante i vani tentativi di dissuasione da parte dei propri agenti di sicurezza che temono per la di lui incolumità, di attraversare l’intera città di New York (città quest’ultima, in preda alla più grande crisi economica di sempre) a bordo della sua super limousine/appartamento/ufficio/centro ospedaliero, per farsi sistemare il taglio dei capelli dal proprio barbiere di fiducia.
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La trama è quanto di più semplice e lineare si possa chiedere ad un film che va inserito in quel grande ed elitario cinema definito “impegnato” e “d’autore”.
Un giovanissimo ultramilionario americano, di quelli della peggior specie, decide, nonostante i vani tentativi di dissuasione da parte dei propri agenti di sicurezza che temono per la di lui incolumità, di attraversare l’intera città di New York (città quest’ultima, in preda alla più grande crisi economica di sempre) a bordo della sua super limousine/appartamento/ufficio/centro ospedaliero, per farsi sistemare il taglio dei capelli dal proprio barbiere di fiducia. Durante il viaggio il protagonista incontrerà una serie di personaggi, strettamente legati alla sua posizione, e verrà informato di essere in pericolo di vita.
Il film è senza dubbio lento, lentissimo, quasi fermo, e l’incedere affannato dell’auto, nella quale si svolge gran parte della trama, non fa altro che accentuare questa quasi immobilità resa comunque di grande effetto dall’esperto regista.
A David Cronenberg, storico e maniacale sezionatore del corpo in tutti gli aspetti, vanno sicuramente riconosciuti almeno due meriti:
Il primo sicuramente è quello di aver centrato in pieno, la scelta dell’attore principale, tanto che, la parte del protagonista è l’aspetto più riuscito del film. Robert Pattinson, dal canto suo, ha già qualche anno di esperienza alle spalle circa il ruolo del vampiro di turno.
L’unica differenza questa volta risiede solamente nel fatto che ad un’ingordigia di sangue, romantica e di stokeriana memoria (mediocremente riuscita con Twilight), si lascia il posto ad una cinica, molto più antica e nello stesso tempo ultra contemporanea, sete atavica di potere e ricchezza.
L’altro merito che bisogna rilevare è il coraggio con il quale il regista ha voluto affrontare la vicenda, concentrandosi (non senza esagerare purtroppo) sul come, sul modo in cui trattarla piuttosto che sul cosa raccontare in sé.
L’errore di valutazione quindi, secondo me, è stato quello di ritenere accattivanti per il cinema (in maniera quasi ossessiva) dei dialoghi a volte a dir poco estenuanti (ricopiandoli per intero dal romanzo di De Lillo), col risultato di tediare, quasi inevitabilmente, uno spettatore già poco aiutato da una linearità (leggi monotonia) della trama.
Credo, però, che il più grosso difetto di questo film stia nell’essere fin troppo pieno di morali, che a mio parere risultano soltanto “stantìe” (chi troppo vuole nulla stringe, non si può avere tutto dalla vita, ecc.) e che lasciano poco o nulla ad uno spettatore che, per l’attenzione dedicata, meriterebbe qualcosa in più.
Da accentare, infine, la prova magnifica del vero grande attore della pellicola, Paul Giamatti.
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federico rivelli
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sabato 9 giugno 2012
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la metamorfosi come fondamento del nostro mondo
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L’analisi critica del capitalismo NON è affatto il significato centrale del film, ma funge unicamente da strumento.
La crisi del capitalismo è uno strumento d’indagine, utile a creare un ponte di collegamento per la comprensione del vero significato che il regista cerca d’esprimere.
Questo significato è mutevole, oscuro, difficile da circoscrivere e chiarificare. Il senso di tutto si muove attorno ai concetti chiave di “spazio-tempo” e “mutevolezza”.
Credo, infatti, che Cronemberg cerchi, da sempre, di analizzare il mondo degli uomini con lo sguardo dell’instabilità.
Il regista si sofferma sull’incertezza del mondo reale, il quale viene visto in continuo mutamento, formato da strati che si susseguono e si confondono, sempre variabili, al punto da renderne impossibile la reciproca distinzione.
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L’analisi critica del capitalismo NON è affatto il significato centrale del film, ma funge unicamente da strumento.
La crisi del capitalismo è uno strumento d’indagine, utile a creare un ponte di collegamento per la comprensione del vero significato che il regista cerca d’esprimere.
Questo significato è mutevole, oscuro, difficile da circoscrivere e chiarificare. Il senso di tutto si muove attorno ai concetti chiave di “spazio-tempo” e “mutevolezza”.
Credo, infatti, che Cronemberg cerchi, da sempre, di analizzare il mondo degli uomini con lo sguardo dell’instabilità.
Il regista si sofferma sull’incertezza del mondo reale, il quale viene visto in continuo mutamento, formato da strati che si susseguono e si confondono, sempre variabili, al punto da renderne impossibile la reciproca distinzione. Questa instabilità ha origine nella soggettività più totale.
In pratica gli stimoli esterni interagiscono con la nostra incostante psiche, rendendo la realtà di volta in volta differente. Ciò non accade solo per il concetto di spazio, ma anche per quello di tempo, il quale è visto diverso per ogni individuo, o meglio per ogni mente.
La metamorfosi della fisicità spaziale e temporale è dunque originata dalla metamorfosi del proprio pensiero. L’uomo diventa ciò che la propria mente acquisisce e rielabora durante tutta la propria vita. Perciò ogni individuo seguirà una differente evoluzione.
Dunque non ci troviamo tutti allo stesso stadio, ma ognuno vive la propria particolare mutazione attraverso il caotico percorso dell’esperienza.
Tutti i problemi nascono da qui. Infatti, sebbene siano presenti degli schemi fissi che fondano il funzionamento originario del cervello umano (e per il regista sembrano essere schemi tutt’altro che luminosi, come la perversione, la rabbia e, in generale, le sensazioni istintive e primordiali), quest’ultimo muta in continuazione se stesso e la realtà percepita.
Perciò, se da un lato lo sviluppo naturale della psiche aspira all’abbattimento di ogni barriera, all’incessante raggiungimento e superamento dello stesso concetto di futuro, dall’altro rende schiavi delle proprie aspirazioni, rischiando di spingere la propria realtà individuale troppo distante da quella degli altri uomini.
Inoltre i cervelli che fanno parte dell’avanguardia metamorfica hanno potere su tutti gli altri, e più il mondo si evolve, più la distanza si allarga, facendo sentire gli individui collocati nello stadio più densamente popolato, sempre più inadeguati, impreparati, spaesati e alla deriva.
Per la maggior parte degli individui non rimangono che due strade, cercare d’adeguarsi allo stadio evolutivo più elevato o ribellarsi al mondo che gli circonda, auspicando il ritorno ad un passato che sia più equo con se stessi ed il proprio grado di mutazione cerebrale.
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dario
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martedì 24 marzo 2015
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claustrofobico
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La tesi per cui il capitalismo è il male assoluto è vecchia e solitamente trattata in modo superficiale. Qui è anche peggio. Non è cosa per la fantasia di Cronenberg, il quale, alla pari di Eastwood e del cinema americano, non se la cava allointandosi dall'azione, vuoi reale vuoi metaforica. Cronenberg insiste e ci dà un prodotto verboso, claustrofobico, zeppo di citazioni da quattro soldi, allucinato in modo artificale. Non aiutano un Pattinson spiritato e un Giamatti gigione anche perchè la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti, non ci sono idee. E' un mortorio dall'inizio alla fine. Cronenberg non sa bene di cosa sta parlando. Una noia patinata.
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La tesi per cui il capitalismo è il male assoluto è vecchia e solitamente trattata in modo superficiale. Qui è anche peggio. Non è cosa per la fantasia di Cronenberg, il quale, alla pari di Eastwood e del cinema americano, non se la cava allointandosi dall'azione, vuoi reale vuoi metaforica. Cronenberg insiste e ci dà un prodotto verboso, claustrofobico, zeppo di citazioni da quattro soldi, allucinato in modo artificale. Non aiutano un Pattinson spiritato e un Giamatti gigione anche perchè la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti, non ci sono idee. E' un mortorio dall'inizio alla fine. Cronenberg non sa bene di cosa sta parlando. Una noia patinata.
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stefanoadm
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mercoledì 27 febbraio 2013
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oggi c'è abbastanza dolore per tutti
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E se il tallone d’Achille di Cosmopolis fosse il finale? Cronenberg si appoggia a un’opera di De Lillo per costruire un mondo a sé. Il modo di ragionare dei protagonisti, il perimetro della limousine in cui si svolge buona parte della vicenda, l’universo monetario reso fisico, delimitato e palpabile da touch screen, la realtà “recintata” da schermi televisivi e finestrini: tutto è ritagliato, tutto è porzione. Il protagonista si è costruito una vita di successo, basata sulla speculazione astratta, protetta da un guscio blindato, dove ogni cosa può essere valutata senza un battito di ciglia, basta dirigere lo sguardo all’interno della cornice più appropriata.
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E se il tallone d’Achille di Cosmopolis fosse il finale? Cronenberg si appoggia a un’opera di De Lillo per costruire un mondo a sé. Il modo di ragionare dei protagonisti, il perimetro della limousine in cui si svolge buona parte della vicenda, l’universo monetario reso fisico, delimitato e palpabile da touch screen, la realtà “recintata” da schermi televisivi e finestrini: tutto è ritagliato, tutto è porzione. Il protagonista si è costruito una vita di successo, basata sulla speculazione astratta, protetta da un guscio blindato, dove ogni cosa può essere valutata senza un battito di ciglia, basta dirigere lo sguardo all’interno della cornice più appropriata. Chi entra in questo cosmo (ma anche chi, in generale, viene raggiunto dall’algido passeggero o gravita intorno alla sua auto) condivide o deve accettare regole e logiche imposte, all inclusive. Imposizione facile: i comprimari si sottomettono volentieri, sedotti dalla personalità del potere, e assecondano gli irrefrenabili appetiti del dominus. Solo la neomoglie, parigrado nella scala della ricchezza e delle disponibilità, si permette il lusso di un interesse vago, lunare. Dialoghi stranianti, sentenziosi, giocati nell’incedere di un’auto lussuosa che procede allo stesso tempo lenta (fisicamente, attraverso la città) e veloce (metaforicamente, destinazione catastrofe). Già, perché la concretezza delle vite degli altri fa salire la pressione intorno all’abitacolo, apre falle, rompe equilibri. Del resto il primo, sinistro scricchiolio si è verificato nella testa stessa del protagonista che non ha “…capito lo yuan”. La costruzione registica di Cronenberg risulta, al solito, abile, gli attori funzionano, l’elaborata inverosimiglianza dei dialoghi rende i personaggi sgradevoli, urticanti, al fondo infelici. Tutto ok, fino all’ultima sequenza, dove il confronto Pattinson – Giamatti produce una fiamma ma non un incendio. Cosmopolis: la bella preparazione di una coltellata che poteva arrivare.
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rita branca
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venerdì 27 dicembre 2013
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la misera fine del genere umano
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Cosmopolis, film diretto da David Cronenberg, con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel
Film drammatico e inquietante, ispirato dall’omonimo romanzo di Don DeLillo che pur presentando un mondo futuribile ha già uno sconvolgente sapore di presente, dove la tecnologia e l’accumulo di ricchezza dominano un panorama feroce in cui regnano masse tormentate dalla povertà e pronte all’assalto dei pochi facoltosissimi dominatori, chiusi perennemente in chilometriche macchine blindate e super accessoriate. Salta subito agli occhi una waste land in cui dominano i contrasti, dove la comunicazione è spinta all’ennesima potenza con le avanzatissime tecnologie ma in cui il contatto profondo e le emozioni non hanno spazio, gli esseri che ci abitano sono robotizzati e privi di anima.
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Cosmopolis, film diretto da David Cronenberg, con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel
Film drammatico e inquietante, ispirato dall’omonimo romanzo di Don DeLillo che pur presentando un mondo futuribile ha già uno sconvolgente sapore di presente, dove la tecnologia e l’accumulo di ricchezza dominano un panorama feroce in cui regnano masse tormentate dalla povertà e pronte all’assalto dei pochi facoltosissimi dominatori, chiusi perennemente in chilometriche macchine blindate e super accessoriate. Salta subito agli occhi una waste land in cui dominano i contrasti, dove la comunicazione è spinta all’ennesima potenza con le avanzatissime tecnologie ma in cui il contatto profondo e le emozioni non hanno spazio, gli esseri che ci abitano sono robotizzati e privi di anima.
Il protagonista non sembra totalmente rassegnato ad accettare tali aridi rituali ma, pur con il suo enorme potere, non riesce a modificare alcun che. Il film sembra preannunciare la catastrofe del nostro mondo, in cui le creature, ormai miseri automi, sono vittime, capaci solo di illusorie inutili ribellioni, costrette a seguire il flusso imposto dal progresso dove il tempo deve essere utilizzato solo per produrre danaro e a difendersi dai tentativi di costanti minacce.
Messaggio interessante che stimola riflessioni sui dilaganti stili di vita contemporanei preannuncianti un’inevitabile deriva.
Rita Branca
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dandy
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domenica 19 aprile 2015
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pilota un pò automatico.
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Dopo "A Dangerous Method",Cronenberg sceneggia e adatta con poche libertà l'omonimo romanzo di Don DeLillo(che nel 2004 aveva intuito la crisi finanziaria e anticipato i movimenti di protesta contro "Wall Street").L'itinerario nell'arco di un giorno intero di uno squalo finanziario che poco a poco prende inutilmente coscienza di sè e dei propri errori,in una New York impraticabile e forsennata(in realtà una Tornoto molto ben camuffata).Un'altra storia "normale" per il regista,che rende con abilità la discesa agli inferi del protagonista sfruttando gli spazi angusti della limo dove si svolge gran parte della vicenda e usa il campo/controcampo in modo magistrale.
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Dopo "A Dangerous Method",Cronenberg sceneggia e adatta con poche libertà l'omonimo romanzo di Don DeLillo(che nel 2004 aveva intuito la crisi finanziaria e anticipato i movimenti di protesta contro "Wall Street").L'itinerario nell'arco di un giorno intero di uno squalo finanziario che poco a poco prende inutilmente coscienza di sè e dei propri errori,in una New York impraticabile e forsennata(in realtà una Tornoto molto ben camuffata).Un'altra storia "normale" per il regista,che rende con abilità la discesa agli inferi del protagonista sfruttando gli spazi angusti della limo dove si svolge gran parte della vicenda e usa il campo/controcampo in modo magistrale.La quasi totale mancanza di azione e i dialoghi(arguti va detto)finisco però per appesantire,e il finale appare irrisolto.Insomma manca il tocco personale di un regista che ha saputo trarre dalle proprie ossessioni alcuni dei film più memorabili di sempre.I fan(e non solo)disapproveranno,ma almeno per la prima volta Robert Pattinson si comporta da attore,ossia recita.E non si tira indietro di fronte a un esame alla prostata!Ma naturalmente non poteva non tornare a a fare il vampiro(si fa per dire)nella saga di Twilight subito dopo questo film.....
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