phill
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lunedì 12 febbraio 2018
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film per me insignificante
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Non mi ricordo di aver mai lasciato un film dopo 30 minuti. Ebbene in questo caso ci sono riusciti a farmelo fare.... una trama noiosa poco accattivante per nulla intrigante Insomma una noia mortale
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onufrio
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giovedì 4 gennaio 2018
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una tentazione di nome belinda
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A pochi giorni dalle nuove nozze del padre, Méte giovane grafologo con l'aria stralunata si ritrova suo malgrado ad ospitare in casa propria la figlia della futura moglie di suo padre, praticamente la "sorellastra" Belinda, dolce e attraente 17enne che da tempo turba le fantasie di Méte, il quale per evitarne il contatto giornaliero stravolge la propria quotidiana routine intrattenendosi in discoteca, in serate con amici, in qualsiasi cosa vada bene per perdere tempo pur di non ritornare a casa. Ma alla lunga Mète non resiste.. Spicchio di ritratto di un parte di 30enni della nostra generazione sospesi in un limbo, confusi e indecisi.. Sfiorati
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achab50
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lunedì 25 aprile 2016
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quando è la noia che ti sfiora
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La rececensione vera comincia dalla parola Peccato. Peccato perchè gli ingredienti, ancorchè non nuovi, c'erano tutti perchè uscisse un film intrigante. La storia comincia dal fondo, vabbè, sono tre amici, uno un dongiovanni, un altro appena piantato dalla compagna ma con figlia a carico, ed il terzo che si trova in casa una ragazza che gira costantemente con poco addosso e che lui tenta in ogni modo di evitare. Perchè? Un po' alla volta si scopre che è la figlia di secondo letto di suo padre, cioè sorellastra. E qui dovrebbe partite il duplice tormento dell'animale che reclama la sua preda e la coscienza o la convenzione sociale che condanna l'incesto, anche se in questo caso è di secondo grado.
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La rececensione vera comincia dalla parola Peccato. Peccato perchè gli ingredienti, ancorchè non nuovi, c'erano tutti perchè uscisse un film intrigante. La storia comincia dal fondo, vabbè, sono tre amici, uno un dongiovanni, un altro appena piantato dalla compagna ma con figlia a carico, ed il terzo che si trova in casa una ragazza che gira costantemente con poco addosso e che lui tenta in ogni modo di evitare. Perchè? Un po' alla volta si scopre che è la figlia di secondo letto di suo padre, cioè sorellastra. E qui dovrebbe partite il duplice tormento dell'animale che reclama la sua preda e la coscienza o la convenzione sociale che condanna l'incesto, anche se in questo caso è di secondo grado. Detta così sembra una storia pruriginosa e financo inaccettabile, epperò tutto il film ha la fotografia che predilige i toni scuri ed umbratili. Aggiungiamoci una Roma che potrebbe essere qualsiasi città occidentale, qualche ripresa mal riuscita in un paio di discoteche e night che dir si voglia e tutto il tormento di carattere morale finisce qui. A questo aggiungiamo la deprecazione che i giovani attori italiani non studiano più nelle accademie d'arte drammatica e non fanno teatro. Per questo quando parlano farfugliano e quando tengono la voce bassa non si capisce più nulla. Non è che confondendo le idee allo spettatore sia un modo di rappresentare la confusione mentale dei protagonisti.
La cosa finisce come deve finire perchè la carne è debole e quella che doveva essere una ragazza in passaggio dall'adolescenza alla maturità qui è interpretata da una ragazza assai accattivante. La morale è che oggi si confonde ciò che si desidera con ciò che va fatto, e che la modernità o l'attualità corrispondono all'essere superficiali.
interessante la professione di grafologo del protagonista, incomprensibile il ruolo del padre, sostanzialmente inutili gli amici, che nel romanzo ci sono e nel film potevano essere omessi.
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dario
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venerdì 6 novembre 2015
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vanitoso
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Una cosa modesta, persino imbarazzante. Storia senza senso, tanta presunzione. Sceneggiatura deragliata, recitazione sommessa, priva di riferimenti. La prova provata che la cultura italiana odierna è una melassa new age insopportabile, creata con il copia/incolla.
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maggie69
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giovedì 26 febbraio 2015
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originale e geniale a tratti
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La bellissima colonna sonora é azzeccatissima in ogni scena del film, dando sostegno ed enfasi ai volti, agli sguardi, agli attori. Belinda é talmwnte bella che non capisci neanche che dice; Méte ha quegli occhi che buca e ti lascia lì svagato, disorientato. Bellussima la teoria degli sfiorati, del sognante Bruno.stona forse Riondino ed Argento, ma sono i veri sopravvissuti, gli animali del nostro tempo, quindi loro sono la realtá. Ci sta. Credo che leggerò il libro. Bel film. Davvero.
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gianleo67
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domenica 28 settembre 2014
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confuse idee di un cinema appena...sfiorato
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Giovane grafologo di bella presenza si vede piombare in casa, alla vigilia del matrimonio del padre con la sua ventennale amante, una sorellastra, sensuale e procace, che si accampa nel suo divano nel provocante deshabillé di una magliettina ed un paio di slip. Deciso a sfuggire tanto alla logica di un rancoroso riavvicinamento familiare con il padre quanto di resistere alle tentazioni di una inevitabile quanto incestuosa concupiscenza con la sorella, trascorre le sue giornate fuori di casa, dividendosi tra il lavoro ed una coppia di amici di cui condivide avventure e difficoltà. Le sue peregrinazioni senza destinazione però finiscono per condurlo sempre al punto di partenza ed all'inevitabile rendez-vous con la bionda sirena che ospita in casa.
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Giovane grafologo di bella presenza si vede piombare in casa, alla vigilia del matrimonio del padre con la sua ventennale amante, una sorellastra, sensuale e procace, che si accampa nel suo divano nel provocante deshabillé di una magliettina ed un paio di slip. Deciso a sfuggire tanto alla logica di un rancoroso riavvicinamento familiare con il padre quanto di resistere alle tentazioni di una inevitabile quanto incestuosa concupiscenza con la sorella, trascorre le sue giornate fuori di casa, dividendosi tra il lavoro ed una coppia di amici di cui condivide avventure e difficoltà. Le sue peregrinazioni senza destinazione però finiscono per condurlo sempre al punto di partenza ed all'inevitabile rendez-vous con la bionda sirena che ospita in casa.
Avendo cura di rispettare la meritoria presenza di Domenico Procacci e della sua Fandango nel disastrato panorama cinematografico nostrano, omettiamo di riflettere sulle scelte editoriali che conducono i nostri giovani autori a cimentarsi nella solita commedia brillante in cui la leggerezza degli argomenti trattati viene appena appesantita dalle remore di confuse quanto pretestuose teorie sociologiche che gli dovrebbero conferire consistenza e interesse, al di là della infinita sfliza di luoghi comuni e della insostenibile bonaccia di una rara piattezza narrativa, tra una messa in scena da serialità televisiva, la banalità di dialoghi al limite del demenziale e l'approfondimento psicologico dei cartoni per l'infanzia. A questa categoria di sottoprodotti dell'intellighentia culturale italica (l'omonimo romanzo di Sandro Veronesi) non sfugge nemmeno questo secondo lungometraggio del giovane Matteo Rovere che, col pretesto di una coralità telefonata, finisce per affidare il peso (si fa per dire) del film sulle spalle del belloccio ed inespressivo Andrea Bosca quale rappresentante di una gioventù smarrita e sradicata al tempo delle famiglie allargate e delle relazioni da 'una botta e via' e dove pur nella ricerca di una prorpia dimensione emotiva e sentimentale (lui grafologo che avrebbe preso dalla madre le arguzie di una inusitata sensibilità professionale) finisce per cedere alla (facile) tentazione di una sorella(stra) agorafobica (?) che gli tende quotidiane trappole sul divano di casa. Inutile dire che gli siamo umanamente vicini (la italo-spagnola Miriam Giovanelli è una delle sette meraviglie della natura) pur se gli effetti di una finta-trasgressione che chiude circolarmente la narrazione è disinnescata dall'inefficacia di un finale più che scontato che riesce a vanificare persino i rari spunti di un occasionale onirismo erotico (reminescenze del romanzo di Veronesi?) quanto la sacrosanta irritazione per una confusa teoria sui 'loro' tipi umani: li sfiorasse almeno l'intelligenza di far capire agli spettatori di cosa starebbero parlando! Santamaria dimesso e depresso è davvero inguardabile, mentre più vivace e giogiona la prova del bravo Michele Riondino, coatto di qualche ambizione che si muove a suo agio in una Roma di appartamenti con vista sui Fori ed i bagordi della movida capitolina. Dal titolo comunque avremmo dovuto già capire che si sarebbe trattato di un'idea di cinema alquanto approssimativa.
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molinari marco
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domenica 20 ottobre 2013
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una piccola grande storia
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Dover gridare al miracolo ogni qualvolta che un film italiano funziona è un qualcosa che, a lungo andare, non può che riempire di rabbia. E basta la visione di questo film per far risuonare nella propria testa una miriade di perché. Non si riesce proprio a farsene una ragione del perché bisogna elemosinare qualche spicciolo quando si hanno registi dotati di una straordinaria sensibilità artistica e visiva, attori (giovani!!!) eccezionali, direttori della fotografia che sanno suggestionare e, come se non bastasse, una capitale talmente bella che basta vederne solamente qualche piccolo squarcio per rimanerne incantati. Il problema il più delle volte è che mancano storie che meritano di essere raccontate e in grado di accontentare il pubblico.
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Dover gridare al miracolo ogni qualvolta che un film italiano funziona è un qualcosa che, a lungo andare, non può che riempire di rabbia. E basta la visione di questo film per far risuonare nella propria testa una miriade di perché. Non si riesce proprio a farsene una ragione del perché bisogna elemosinare qualche spicciolo quando si hanno registi dotati di una straordinaria sensibilità artistica e visiva, attori (giovani!!!) eccezionali, direttori della fotografia che sanno suggestionare e, come se non bastasse, una capitale talmente bella che basta vederne solamente qualche piccolo squarcio per rimanerne incantati. Il problema il più delle volte è che mancano storie che meritano di essere raccontate e in grado di accontentare il pubblico. E forse non è un caso se Matteo Rovere è andato a ripescare uno dei primissimi romanzi di Sandro Veronesi, il secondo per l’esattezza, vale a dire una storia stagionata di dieci anni abbondanti. Ma come tutte le belle storie che si rispettino, quando sono in grado di emozionare riescono sempre a superare agevolmente la prova del tempo. Gli sfiorati parla del dramma di Metè, un essere introverso che sta tentando in tutti i modi di crescere e che spesso vive in un’altra dimensione per il semplice motivo che non è ancora riuscito a risolvere i vari traumi e conflitti che lo attanagliano sin dall'adolescenza e che vengono incarnati dalla sorellastra Belinda (i due hanno solo il padre in comune). Sorellastra che un bel giorno, a causa dei genitori che hanno deciso di cementare la loro unione con il matrimonio, si piomba nella sua casa e non ne vuole più sapere di uscire mettendolo in crisi. E così Metè diventa il portavoce della sua generazione, quella degli sfiorati per l’appunto, ovvero tutti coloro che non si decidono ad affrontare la realtà dei fatti, ma preferiscono vivere alla giornata, rimanere in superficie, fermamente convinti che così facendo riusciranno ad essere accarezzati dalla vita e di conseguenza a soffrire meno. Non è un caso se per vivere Metè fa il grafologo, ovvero qualcuno che tenta di scoprire cosa si nasconde dietro ogni singolo tratto, qualcuno che vuole leggere nel vero senso delle parola l’essenza delle cose, e non si limita a gettarci solo un’occhiata fugace. Film che fa riflettere regalando anche qualche piccolo, ma sincero, sorriso durante il suo corso.
P.S. Forse Miriam Giovanelli all’inizio può sembrare un po’ irritante nella sua poco credibile e troppo fisica adolescenza, ma a conti fatti funziona così perfettamente in coppia con Andrea Bosca che alla fine ci si lascia catturare.
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moulinsky
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giovedì 13 settembre 2012
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loro sfiorati, noi devastati
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Nel mondo 2011 secondo Fandango, che rivisita il secondo romanzo di Sandro Veronesi datato Millenovecentonovanta e ambientato nei famigerati Ottanta, tentando ridicoli aggiornamenti spaziotemporali (cellulari strategici per la sceneggiatura, facebook…) con la regia di Matteo Rovere e la penna di Francesco Piccolo (sigh!), i ggiovani lavorano tutti (ma quando mai?) ed entrano ed escono dagli uffici quando vogliono come una volta si sarebbe detto per le case che non sono alberghi, le belle fighe ballano bertoluccianamente da sole (e si chiamano Belinda), i padri di famiglia sono tormentati come eroi di Muccino, il protagonista si chiama Mète (così tanto per essere originali e alludere a chissà quale orizzonte, forse quello di una rassegna veneziana).
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Nel mondo 2011 secondo Fandango, che rivisita il secondo romanzo di Sandro Veronesi datato Millenovecentonovanta e ambientato nei famigerati Ottanta, tentando ridicoli aggiornamenti spaziotemporali (cellulari strategici per la sceneggiatura, facebook…) con la regia di Matteo Rovere e la penna di Francesco Piccolo (sigh!), i ggiovani lavorano tutti (ma quando mai?) ed entrano ed escono dagli uffici quando vogliono come una volta si sarebbe detto per le case che non sono alberghi, le belle fighe ballano bertoluccianamente da sole (e si chiamano Belinda), i padri di famiglia sono tormentati come eroi di Muccino, il protagonista si chiama Mète (così tanto per essere originali e alludere a chissà quale orizzonte, forse quello di una rassegna veneziana). Il nodo della vicenda ruota intorno alle curve della bionda Miriam Giovanelli, attrice italo-ispanica, un nome che evoca erotismi da parrucchiera almodovariana, qui invece figlia-di-papà nullafacente autoreclusasi in casa del fratellastro in attesa delle nozze del babbo comune (un Popolizio con calvizie trecciata patito di calcio). Pour épater le bourgeois si strizza l’occhio al probabile incesto (lei d’altronde è sempre in mutande) alfine consumato con piacere voyeuristico di tutti (a quanto raccontano i Nanetti anche della troupe che ha allestito un secondo monitor alla bisogna). Per far felice qualche critico si imbastisce una confusa categoria di nuovi disperati che il prode Santamaria (in crisi vera di identità, lui, poveraccio, con quegli occhialoni very Eighties!) tenta di portare a verità scientifica analizzandone la grafia (ma Rovere, perbacco, chi cazzo scrive più nel Duemilaundici?): gli Sfiorati del titolo, comunque, quelli che – recita il copione – non provocano più domande post-sessantottine sui massimi sistemi tipo chisiamo-dadoveveniamo-doveandiamo ma ci mandano in tilt perché ci costringono a chiederci se ci stanno ascoltando. E perché mai lo dovrebbero fare, ci si domanda allora noi giustamente?, Annientati dalla bacheca dei presunti ricercatori trapuntata di fogli e foglietti che manco la lavagna della polizia di Miami, Sfibrati dall’attesa del manifestarsi non dico di un colpo di scena ma almeno delle promesse rotondità della Miriam-Miranda di cui sopra, Depistati dietro il gigioneggiare sardonico dell’Asia Argento (che qui giganteggia addirittura come in certe scarse formazioni di calcio a volte capita all’umile terzino destro) che fa scherzoni agli uomini (il povero giovane Montalbano rampante latin lover di Tecnocasa) e il cui sorriso beffardo è al dunque il miglior commento al film medesimo. Per chiudere niente di meglio che aggiungere l’ennesima canzone popolare cantata in auto in un film italiano dell’era post La stanza del figlio. Con scelta molto radical chic si punta allora su “Più bella cosa” del Ramazzotti, perché si sa gli intellettuali del nostro panorama cine-librario – i Paraculati – hanno sempre da mostrare quanto apprezzano la cultura nazional-popolare che in realtà disprezzano per non essere accusati d’essere snob.
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astromelia
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lunedì 27 agosto 2012
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sigh...
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se un film incentrato sull'incesto non ti lascia vivamente concentrato e se dopo mezz'ora ti accorgi di distrarti,vuol dire che la trasposizione dal romanzo è quantomai sonnolenta e priva di interesse,insomma questi film italiani non decollano mai.....
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raniero1
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lunedì 13 agosto 2012
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pretenzioso
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Fasullo dal primo all'ultimo fotogramma, 1 ora e mezza per un incesto che dovrebbe essere eccitante, romantico e appassionato, presumibilmente, tutto il resto è un contorno ancor piu mal riuscito e inutile dai personaggi alla sceneggiatura. Anche il casting completamente fallito insieme alla fotografia e scenografia da scuola di cinema. Unico respiro Asia Argento, una goccia di acqua nel fango che non basta a salvare dal senso di claustrofobia di un film che puo essere definito con un solo triste eufemistico giudizio: pretenzioso. Esprime tutto il complesso dell italiano medio, il tentativo di dimostrare di essere migliori, quello che ha tentato di fare il regista.
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