herzogx
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martedì 28 febbraio 2012
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atmosfere rarefatte e attori credibili
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“I giorni della vendemmia” è un’opera prima anomala e intensa, non solo paragonandola all’asfittico panorama cinematografico italiano.
Innanzitutto è un opera “in levare” e non “per accumulo”: il giovane regista Marco Righi non cerca quindi di inserire in un film la propria filosofia omnia di vita (classico errore dei registi/sceneggiatori alle prime armi), ma si limita a raccontarci personaggi e a darci spunti di riflessione e nostalgia. Questo porta anche al piacevole side effect di avere un film con pochi dialoghi, incentrato sulle atmosfere più che su una storia compiuta; un film che, mi si perdoni il paragone, naviga dalle parti di Olmi, Piavoli e Diritti.
Poi è un’opera estremamente curata dal punto di vista visivo, girata in un digitale quasi mai percettibile e con un incredibile lavoro di fotografia e post-produzione per rendere credibili visivamente anche quelli che possono essere i punti deboli di un’opera girata a basso budget (la sottoesposizione nelle scene con poca luce, ad esempio).
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“I giorni della vendemmia” è un’opera prima anomala e intensa, non solo paragonandola all’asfittico panorama cinematografico italiano.
Innanzitutto è un opera “in levare” e non “per accumulo”: il giovane regista Marco Righi non cerca quindi di inserire in un film la propria filosofia omnia di vita (classico errore dei registi/sceneggiatori alle prime armi), ma si limita a raccontarci personaggi e a darci spunti di riflessione e nostalgia. Questo porta anche al piacevole side effect di avere un film con pochi dialoghi, incentrato sulle atmosfere più che su una storia compiuta; un film che, mi si perdoni il paragone, naviga dalle parti di Olmi, Piavoli e Diritti.
Poi è un’opera estremamente curata dal punto di vista visivo, girata in un digitale quasi mai percettibile e con un incredibile lavoro di fotografia e post-produzione per rendere credibili visivamente anche quelli che possono essere i punti deboli di un’opera girata a basso budget (la sottoesposizione nelle scene con poca luce, ad esempio).
Per finire, è impressionante la credibilità di Marco d’Agostin nella parte di Elia, sintomo non solo di una grande capacità di selezione degli attori ma anche di un ottimo livello di direzione degli stessi. Sono, certo, un po’ più enfatici e meno credibili Lavinia Longhi e alcuni altri comprimari (su tutti però spicca, per bravura e credibilità, la ruspante Elide Bertani), ma rimangono comunque sopra la media cinematografica attuale.
Marco Righi, in questo film, si è costruito una sua poetica e il mio augurio è che rimanga una mosca bianca nel pianeta cinema e, invece che sperimentare nuove soluzioni, continui a percorrere questo solco diventando un autore riconoscibile a tutti gli effetti.
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nonarte
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lunedì 5 marzo 2012
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un bel film
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Il film mi è piaciuto tanto. Penso che oltre alla storia, delicata e vera, abbiano fatto tanto le inquadrature sempre sui gesti, sugli occhi, sulla bocca e sicuramente la musica.
Non è un film da piangere. Eppure a un certo punto mi sono trovata con le lacrime fino al collo. E' stata una questione di due, tre secondi al massimo e mi sono sentita "toccare" nel profondo e poi...
poi il gioco era fatto e piangevo già.
E' stata quella sequenza lenta, di gesti visti da vicino , quasi a farli io, quasi fossero mie quelle mani e quelle degli attori . Parlo del gesto della nonna che pulisci i fiori del cortile, togliendo con cura dalle piante dei gerani i fiori sfioriti ;il gesto della madre che nel retro della casa tocca gli abiti dei componenti della propria famiglia e li stende al sole ;il gesto che padre che passa fra i filari della vigna e la sfiora, quasi la accarezza , perchè su quelle foglie che nascondono l'uva ci sono giorni e giorni del proprio lavoro, c'è il sale del proprio sudore.
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Il film mi è piaciuto tanto. Penso che oltre alla storia, delicata e vera, abbiano fatto tanto le inquadrature sempre sui gesti, sugli occhi, sulla bocca e sicuramente la musica.
Non è un film da piangere. Eppure a un certo punto mi sono trovata con le lacrime fino al collo. E' stata una questione di due, tre secondi al massimo e mi sono sentita "toccare" nel profondo e poi...
poi il gioco era fatto e piangevo già.
E' stata quella sequenza lenta, di gesti visti da vicino , quasi a farli io, quasi fossero mie quelle mani e quelle degli attori . Parlo del gesto della nonna che pulisci i fiori del cortile, togliendo con cura dalle piante dei gerani i fiori sfioriti ;il gesto della madre che nel retro della casa tocca gli abiti dei componenti della propria famiglia e li stende al sole ;il gesto che padre che passa fra i filari della vigna e la sfiora, quasi la accarezza , perchè su quelle foglie che nascondono l'uva ci sono giorni e giorni del proprio lavoro, c'è il sale del proprio sudore. Sono gesti sospesi, lenti . Avverti l'abitudine del gesto nelle mani di chi lo compie ma , forse per effetto delle musiche o delle inquadrature, passa la solennità di quei gesti, il valore di quel mondo, il valore del prendersi cura dei fiori, della vigna , di chi indosserà quegli abiti lavati e stesi al sole.
VIolentemente ho sentito dentro di me quanto fossero parte di me quei gesti che tante volte ho vissuto in diretta accanto a mia madre e nn a quella del film, a mio padre e nn a quello del film. E per fortuna che c'era la musica che mi ha aiutato a riprendermi il respiro , ad uscire da cio' che stavo vivendo nn con nostalgia ma con dolore. Il dolore di aver tradito quei gesti, quel "prendersi cura" di cio' che fai crescere intorno a te che mi è stato trasmesso non con parole o discorsi ma semplicemente con l'esempio, con il ripetersi di quei gestii. Mi sono sentita cresciuta con quei gesti e identica a quei gesti, identica nel mio profondo , anche se il sano 'egoismo di cui ora faccio una bandiera
da sventolare mi spinge alla ricerca di nuovi gesti. E nel film,forse
come nella vita, ognuno trova il suo posto perchè fa bene quelle cose , quei gesti semplici, anche di fatica , che implicano un sacrificio , da ripetere forse con un po' di noia tutti i giorni ma che fanno scorrere la vita per un verso giusto perchè poi i fiori sono rigogliosi e profumati nel giardino. l'uva dara' un buon vino, gli abiti profumati verranno indossati dal ragazzino che cresce intelligente e sensibile.
E nn è un caso che Samuele che nn compie nessuno di quei gesti è il "ribelle" e per vivere la sua realtà deve allontanarsi da quel mondo.
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rototom
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giovedì 23 febbraio 2012
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l'età del cambiamento
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Settembre è il mese dei cambiamenti. Nelle campagne è il momento in cui i grappoli d’uva gravidi di succo si lasciano cogliere durante un rito, quello della vendemmia, profondamente legato alla fertilità della terra. C’è qualcosa di religioso e pagano insieme nel rito della vendemmia, qualcosa di antico che si tramanda di generazione in generazione. Nella campagna emiliana convivono in equilibrio simbiotico la devozione a Dio e il più radicale sentimento marxista. La natura è fatta di equilibri e rotture, ricomposizioni. Il 1984 teatro della vicenda è l’anno in cui Enrico Berliguer muore e finisce un’era, come se venisse improvvisamente a mancare uno dei bracci che reggono quell’equilibrio di contraddizioni scaraventando in un nuovo mondo, diverso, sconosciuto, la piccola società rurale.
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Settembre è il mese dei cambiamenti. Nelle campagne è il momento in cui i grappoli d’uva gravidi di succo si lasciano cogliere durante un rito, quello della vendemmia, profondamente legato alla fertilità della terra. C’è qualcosa di religioso e pagano insieme nel rito della vendemmia, qualcosa di antico che si tramanda di generazione in generazione. Nella campagna emiliana convivono in equilibrio simbiotico la devozione a Dio e il più radicale sentimento marxista. La natura è fatta di equilibri e rotture, ricomposizioni. Il 1984 teatro della vicenda è l’anno in cui Enrico Berliguer muore e finisce un’era, come se venisse improvvisamente a mancare uno dei bracci che reggono quell’equilibrio di contraddizioni scaraventando in un nuovo mondo, diverso, sconosciuto, la piccola società rurale.
L’educazione sentimentale di Elia avviene in questo contesto. Nel ronzante silenzio della campagna irrompe un corpo estraneo, Emilia, cittadina sfrontata e moderna che sconvolge le placide sicurezze del ragazzo. Un piccolo fatto privato e universale al tempo stesso. La campagna di Elia è un Eden nel quale accogliere Emilia, il gioco di seduzione avviene complice la natura dalla quale cogliere il primo frutto adulto ma la trasformazione del mondo di Elia in qualcosa di nuovo passa necessariamente per il dolore, come una nuova nascita. Dall’ iniziale ritrosia della ragazza vinta con pazienza e di nuovo con l’irruzione del fratello Samuele, attraente anticonformista che porta germi di una cultura lontana a sedimentare nell’orto di casa, il ciclo della vita si compie frammentandosi e ricomponendosi nelle relazioni tra i tre ragazzi. La dilatazione temporale riprende il passo delle lunghe giornate estive, quando sembra che la sera non giunga mai. Un ritmo al quale non si è più abituati, come non si è più abituati alla mancanza di un “essere” invasivo come la tecnologia. Tra i corpi e le parole non ci sono filtri, le pulsioni esplodono con la genuinità dettata dalla stimolazione dei sensi. L’amore si confonde con l’ebbrezza del desiderio, si corrompe con la gelosia, si scioglie nella rabbiosa necessità dell’autoerotismo.
I giorni della vendemmia è una sinfonia di corpi che si sfiorano e sguardi che si intrecciano tra i tralci di vite. E’ una poesia lieve che lascia la nostalgia fuori campo. Piuttosto si avverte il retrogusto di qualcosa che è sfuggito dalle mani troppo presto, una rimembranza di colori, suoni – l’uso del dialetto è evocativo e riporta ad una cultura ormai ridotta ad un’eco in dissoluzione - e sapori rimasti a sedimentare e che la delicata messa in scena riesce a far decantare. Girato in due settimane nelle campagne intorno a Reggio Emilia, I giorni della vendemmia si rivela un’opera prima sottile e trattenuta, tanto intima quanto matura, intrisa di prezioso pudore nell’indagare sui corpi acerbi dei protagonisti e dall’ottima fotografia che eleva l’ambientazione agreste a vero e proprio personaggio narrante. Ottimi gli attori, Marco d’Agostin (Elia) che praticamente all’esordio nel lungometraggio regala una prova intensa e Lavinia Longhi (Emilia) che espone la sua consapevole bellezza alle esigenze della storia. Danno vita a personaggi che mutano come impongono le stagioni che regolano ogni ciclo vitale, legati alla terra da un legame atavico. “Sulla mia terra, ciò che sono mi aiuterà a vivere la mia vita” . La frase di Pier Vittorio Tondelli che apre il film ne riassume ogni senso.
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stefano-kun
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mercoledì 10 ottobre 2012
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adolescenza inquieta all'ombra di un vigneto
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Sarà perché in provincia tutto arriva con un po' di ritardo, o forse sarà che il ritratto degli anni '80 come età spensierata e consumista è opera di falsari patentati, ma nell'Emilia di quegli anni si agitava una gran inquietudine pronta a venire a galla. E' l'"Emilia paranoica" cantata dai CCCP e abitata da quei giovani smarriti raccontati da Tondelli.
Nel settembre del 1984 Elia ha 17 anni e vive assieme al padre comunista, alla madre molto cattolica e all nonna nella campagna attorno a Reggio Emilia. Vie di fuga da un ambiente così tradizionale, del quale l'adolescente inizia ad avvertire il peso, ce ne sono poche: una di queste è "Altri libertini", proprio il romanzo del conterraneo Tondelli, che Elia ama leggere mentre si fuma una sigaretta, il tutto di nascosto, s'intende.
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Sarà perché in provincia tutto arriva con un po' di ritardo, o forse sarà che il ritratto degli anni '80 come età spensierata e consumista è opera di falsari patentati, ma nell'Emilia di quegli anni si agitava una gran inquietudine pronta a venire a galla. E' l'"Emilia paranoica" cantata dai CCCP e abitata da quei giovani smarriti raccontati da Tondelli.
Nel settembre del 1984 Elia ha 17 anni e vive assieme al padre comunista, alla madre molto cattolica e all nonna nella campagna attorno a Reggio Emilia. Vie di fuga da un ambiente così tradizionale, del quale l'adolescente inizia ad avvertire il peso, ce ne sono poche: una di queste è "Altri libertini", proprio il romanzo del conterraneo Tondelli, che Elia ama leggere mentre si fuma una sigaretta, il tutto di nascosto, s'intende. A sconvolgere tale quadretto, che del resto poteva sembrare tranquillo solamente a un osservatore distratto, arriva Emilia, studentessa di città tornata in campagna a dare una mano con la vendemmia. I sensi del giovane Elia sono immediatamente turbati e scossi dall'apparizione della giovane donna, che sembra consapevole e divertita della situazione che sta creando.
Se molti dei giovani che popolano "Altri libertini" erano viaggiatori, per il nostro Elia è sufficiente spostarsi dai vigneti alla camera, tempio delle sue piccole innocue trasgressioni, per testimoniare quello spaesamento e quell'inquietudine dell'adolescenza, ancor più acute quando quando è vissuta in provincia e quando è alimentata da certe letture (e dalla presenza invisibile di un fratello maggiore che invece vive in giro per l'Europa). Credo che il regista Marco Righi abbia dimostrato un grande talento nel disegnare un personaggio così credibile e con il quale è facile identificarsi (aiutato nel compito da un bravissimo Marco D'Agostin). Un'abilità che forse è inferiore solo a quella di riprendere i paesaggi, di rendere con delicatezza e realismo la campagna e la vita nella provincia emiliana. Tutte le relazioni tra i personaggi si giocano in questo ambiente allo stesso tempo realistico e simbolico, in quel caldo umido di settembre che rispecchia i sensi eccitati del giovane protagonista.
Un film piccolo che racconta una storia piccolissima, un esordio nel cinema che ha avuto un successo meritato e ci lascia con la speranza che film come questo continuino ad essere pensati, realizzati e distribuiti.
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filo86
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mercoledì 27 giugno 2012
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un film in cui tutti possono identificarsi
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I giorni della vendemmia è un film che si discosta molto dal cinema italiano contemporaneo o almeno dalla gran parte di esso... Finalmente.
La pellicola riporta in modo equilibrato, mai sopra le righe, il turbamento che tutti abbiamo provato in età adolescenziale quando forse per la prima volta abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare realmente ciò che forse prima rimaneva una fantasia e potevamo esprimere solo tramite l’autoerotismo. E ciò non conosce distinzioni di luogo e tempo.
E come dimostra il film, a volte le opportunità rimangono tali, non si concretizzano: mettici un ragazza più grande che si diverte solo a stuzzicare o un fratello maggiore, con cui ci si sente un po’ in competizione, che manda all’aria tutti i piani sentimentali.
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I giorni della vendemmia è un film che si discosta molto dal cinema italiano contemporaneo o almeno dalla gran parte di esso... Finalmente.
La pellicola riporta in modo equilibrato, mai sopra le righe, il turbamento che tutti abbiamo provato in età adolescenziale quando forse per la prima volta abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare realmente ciò che forse prima rimaneva una fantasia e potevamo esprimere solo tramite l’autoerotismo. E ciò non conosce distinzioni di luogo e tempo.
E come dimostra il film, a volte le opportunità rimangono tali, non si concretizzano: mettici un ragazza più grande che si diverte solo a stuzzicare o un fratello maggiore, con cui ci si sente un po’ in competizione, che manda all’aria tutti i piani sentimentali.
Personaggio da segnalare la nonna che per tutto il film rimane un personaggio marginale, quasi assente ma che alla fine, con quella frase detta ad Emilia, dimostra, guardando a distanza, di capire sempre tutto meglio degli altri (meglio anche di chi la situazione la vive in prima persona).
Grandi prove attoriali da parte di tutti i protagonisti.
Il film inizia nel modo giusto con una frase di Pier Vittorio Tondelli e chiude al momento giusto, quando si è espresso tutto quello che c’era da esprimere, senza dilungarsi inutilmente.
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ester pantano
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martedì 24 luglio 2012
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stralci di vendemmia
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Non so come ma dopo essermi seduta lì, al mio posto, fila E poltrona numero 6 del cinema King di Catania,
improvvisamente ho sentito l’odore di quel salotto, ho pregato insieme a Maddalena,
ed ho sofferto per la comunione nella fede in cui non riusciva a farsi coinvolgere il marito …
per poi trovarmi catapultata in un vigneto,
con l’odore del caldo,
il profumo del sole
e la friabilità della terra fra le dita dei piedi.
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Non so come ma dopo essermi seduta lì, al mio posto, fila E poltrona numero 6 del cinema King di Catania,
improvvisamente ho sentito l’odore di quel salotto, ho pregato insieme a Maddalena,
ed ho sofferto per la comunione nella fede in cui non riusciva a farsi coinvolgere il marito …
per poi trovarmi catapultata in un vigneto,
con l’odore del caldo,
il profumo del sole
e la friabilità della terra fra le dita dei piedi.
Ho sentito tutte le emozioni che ho a disposizione attraversare il mio corpo e farmi vibrare alto.
Ho avuto in dono un vecchio cappello di paglia da un ragazzo, l’ho indossato.
Ho usato quel cappello ed ho viaggiato fra quelle schiere di vigneti pronti a servire la vendemmia.
Sono andata a Londra ed ho sentito il tradimento e la pena del ritorno in un luogo lento che mi hanno detto chiamarsi casa.
Ho sentito l’attività seduta dei corpi, ed il desiderio fermo di intervenire in questo nostro mondo.
E poi … Maria, che non ha bisogno di un codice comune per regalarti il senso di colpa.
Pregna di emozioni vive vi ringrazio e mi auguro che continuiate a scommettere sulle emozioni.
Ester Pantano
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francesca meneghetti
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lunedì 6 agosto 2012
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ma l'uva è ancora acerba
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Lo spettatore che si accinge a vedere “I giorni della vendemmia” è ben disposto: è al corrente dei riconoscimenti internazionali, del passaparola che ha decretato il successo di un prodotto giovane e indipendente. Si aspetta molto da questo film.
Che inizia con una citazione di Pier Vittorio Tondelli di Correggio, scrittore allevato al Dams di Bologna, morto precocemente di AIDS nel 1991 (nonché compatriota di Ligabue e di Valentina Vezzali). Il libro, “scandaloso”, da cui è tratta la frase posta in avant propos, è “Altri libertini” edito nel gennaio 1980 da Feltrinelli, con una copertina che riprende i colori acidi di moda a quel tempo: verde e giallo.
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Lo spettatore che si accinge a vedere “I giorni della vendemmia” è ben disposto: è al corrente dei riconoscimenti internazionali, del passaparola che ha decretato il successo di un prodotto giovane e indipendente. Si aspetta molto da questo film.
Che inizia con una citazione di Pier Vittorio Tondelli di Correggio, scrittore allevato al Dams di Bologna, morto precocemente di AIDS nel 1991 (nonché compatriota di Ligabue e di Valentina Vezzali). Il libro, “scandaloso”, da cui è tratta la frase posta in avant propos, è “Altri libertini” edito nel gennaio 1980 da Feltrinelli, con una copertina che riprende i colori acidi di moda a quel tempo: verde e giallo. Erano, giova ricordarlo, perché il film si rivelerà una sorta di omaggio quel libro, gli anni del travoltismo, delle nuove manie della discoteca, della festa, dell’India, del macrobiotico e dell’astrologia, per non parlare dell’erba: erano i segni del riflusso, apripista ai cosiddetti “stupidi anni ‘80”.
Ci sono tutte le premesse per assistere a un film trasgressivo e forte nei contenuti. Invece subentra presto la delusione: le trasgressioni messe in scena sono blande e caste (se confrontate al libro, che torna due volte come oggetto e come immagine nel film).I rinvii alla situazione storica discontinui e forzati (lo sono in particolare i riferimenti ai funerali di Enrico Berlinguer, assunto, forse, come simbolo di un’epoca, anche se, prima della sua morte, era additato dal movimento del ‘77 come responsabile del compromesso storico e della rinuncia a un’alternativa rivoluzionaria). Tra l’altro, Berlinguer muore l’11 giugno e il film, con un salto di continuità temporale non esplicitato, ci porta subito dopo alla vendemmia, cioè alla fine dell’estate.
Emergono subito due punti deboli, a nostro avviso: una certa superficialità nel riproporre un passato recente, ma che un regista under 30 non può certo ricordare, e la mancanza di una struttura narrativa. Potrebbe anche trattarsi di una storia di formazione, un genere classico, sempre apprezzato dai giovani. Ma, se tale era l’intento, rimane più nei propositi che nella realizzazione. Che cosa impara il giovane Elia, interpretato splendidamente, questo sì, dal trevigiano Marco D’Agostin, da questa vicenda? Che non ci si deve fidare delle belle ragazze e dei fratelli “mitici”? Un po’ poco, come sostanza.
Restando sul piano dei contenuti, qualcuno ha parlato anche di un certo realismo del film nella rappresentazione della campagna emiliana, citando persino Giorgio Diritti. Neanche su questo punto ci siamo: è realistica per caso la rappresentazione della vendemmia, con casse d’uva che si dileguano nel nulla (senza che si proceda alla macinatura dei grani o al trasporto dell’uva in una cantina)? O forse quella delle riunioni spirituali della mamma di Elia, più consone a un cristianesimo protestante che non al cattolicesimo italico, molto più rituale e meno spirituale? O forse quella del padre, orfano di Berlinguer, per ricreare perfettamente in famiglia il cattocomunismo? Un militante così isolato, non definito socialmente, che si qualifica solo perché ogni tanto sbircia l’Unità?
Forse l’obiettivo di Marco Righi era di suggerire atmosfere, per pennellate. C’è riuscito forse a livello stilistico, con una scelta cromatica che cita le tinte acide care agli anni ’80 (il verde, soprattutto, è il colore dominante, fin dalla prima inquadratura che inquadra la parete con il crocifisso), inquadrature “posterizzate”, una messa a fuoco quasi sempre sfocata, una fotografia talora sottoesposta. La macchina da presa si muove poco e lentamente: può essere simbolico anche questo?
Riteniamo comunque che per dei giovani portare alla conclusione un’impresa costosa con scarsi mezzi e spirito d’indipendenza sia comunque un risultato positivo. Il giovane regista, forte dei riconoscimenti ottenuti, avrà la possibilità di realizzarsi ulteriormente. Il protagonista maschile ci pare ugualmente promettente, mentre degli altri due attori comprimari, Lavinia Longhi e Gian Marco Tavani, sono bellissimi, ma troppo consapevoli di esserlo per risultare altrettanto bravi.
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stefano-kun
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mercoledì 10 ottobre 2012
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adolescenza inquieta all'ombra di un vigneto
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Sarà perché in provincia tutto arriva con un po' di ritardo, o forse sarà che il ritratto degli anni '80 come età
spensierata e consumista è opera di falsari patentati, ma nell'Emilia di quegli anni si agitava una gran inquietudine
pronta a venire a galla. E' l'"Emilia paranoica" cantata dai CCCP e abitata da quei giovani smarriti raccontati da
Tondelli.
Nel settembre del 1984 Elia ha 17 anni e vive assieme al padre comunista, alla madre molto cattolica e all nonna nella
campagna attorno a Reggio Emilia.
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Sarà perché in provincia tutto arriva con un po' di ritardo, o forse sarà che il ritratto degli anni '80 come età
spensierata e consumista è opera di falsari patentati, ma nell'Emilia di quegli anni si agitava una gran inquietudine
pronta a venire a galla. E' l'"Emilia paranoica" cantata dai CCCP e abitata da quei giovani smarriti raccontati da
Tondelli.
Nel settembre del 1984 Elia ha 17 anni e vive assieme al padre comunista, alla madre molto cattolica e all nonna nella
campagna attorno a Reggio Emilia. Vie di fuga da un ambiente così tradizionale, del quale l'adolescente inizia ad avvertire
il peso, ce ne sono poche: una di queste è "Altri libertini", proprio il romanzo del conterraneo Tondelli, che Elia ama
leggere mentre si fuma una sigaretta, il tutto di nascosto, s'intende. A sconvolgere tale quadretto, che del resto poteva
sembrare tranquillo solamente a un osservatore distratto, arriva Emilia, studentessa di città tornata in campagna a dare
una mano con la vendemmia. I sensi del giovane Elia sono immediatamente turbati e scossi dall'apparizione della giovane
donna, che sembra consapevole e divertita della situazione che sta creando.
Se molti dei giovani che popolano "Altri libertini" erano viaggiatori, per il nostro Elia è sufficiente spostarsi dai
vigneti alla camera, tempio delle sue piccole innocue trasgressioni, per testimoniare quello spaesamento e
quell'inquietudine dell'adolescenza, ancor più acute quando quando è vissuta in provincia e quando è alimentata da certe
letture (e dalla presenza invisibile di un fratello maggiore che invece vive in giro per l'Europa). Credo che il regista
Marco Righi abbia dimostrato un grande talento nel disegnare un personaggio così credibile e con il quale è facile
identificarsi (aiutato nel compito da un bravissimo Marco D'Agostin). Un'abilità che forse è inferiore solo a quella di
riprendere i paesaggi, di rendere con delicatezza e realismo la campagna e la vita nella provincia emiliana. Tutte le
relazioni tra i personaggi si giocano in questo ambiente allo stesso tempo realistico e simbolico, in quel caldo umido di
settembre che rispecchia i sensi eccitati del giovane protagonista.
Un film piccolo che racconta una storia piccolissima, un esordio nel cinema che ha avuto un successo meritato e ci lascia
con la speranza che film come questo continuino ad essere pensati, realizzati e distribuiti.
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bonnard
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giovedì 29 novembre 2012
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amore adolescenziale sotto il sole dell'estate '84
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I giorni della vendemmia, di Marco Righi, si presenta come una mancata storia d'amore adolescenziale, in cui il protagonista Elia, un ragazzino che vive nella campagna dell'Emilia, sotto il caldo sole estivo del 1984, viene colpito dall'arrivo della bellissima Emilia, studentessa universitaria arrivata dalla città per guadagnare qualche soldo aiutando nella vendemmia. Elia è affascinato da Emilia, ma l'arrivo del fratello grande rompe ogni illusione circa questo amore platonico. La trama semplice, quasi banale, lascia spazio all'accenno di alcuni temi importanti, che fanno riferimento alla storia politica e sociale dell'epoca: la contrapposizione cattolici, comunisti, incarnata dalla coppia di genitori del protagonista, l'omosessualità non dichiarata del fratello giramondo.
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I giorni della vendemmia, di Marco Righi, si presenta come una mancata storia d'amore adolescenziale, in cui il protagonista Elia, un ragazzino che vive nella campagna dell'Emilia, sotto il caldo sole estivo del 1984, viene colpito dall'arrivo della bellissima Emilia, studentessa universitaria arrivata dalla città per guadagnare qualche soldo aiutando nella vendemmia. Elia è affascinato da Emilia, ma l'arrivo del fratello grande rompe ogni illusione circa questo amore platonico. La trama semplice, quasi banale, lascia spazio all'accenno di alcuni temi importanti, che fanno riferimento alla storia politica e sociale dell'epoca: la contrapposizione cattolici, comunisti, incarnata dalla coppia di genitori del protagonista, l'omosessualità non dichiarata del fratello giramondo. Lodevole la cura delle inquadrature e della fotografia: non può non colpire per l'acuta ironia il cambiamento di fuoco che lentamente mette in evidenza, dietro una statuetta della Madonna, l'inconfondibile sagoma della marionetta di Pinocchio, segno di un evidente impegno politico dell'autore.
Il film, che comunque riesce a provocare una certa empatia nello spettatore, presentando un piuttosto elevato grado di cura estetica, risulta però troppo semplicistico nell'analisi dei complessi temi che presenta.
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enzo70
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domenica 1 novembre 2015
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ottimo esordio
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Marco Righi esordisce alla regia con un film che propone una diversa modalità con la quale raccontare le intermittenze dell’adolescenza. Il film è ambientato in una fattoria dell’Emilia, negli anni ottanta, ma ad anni luce dalla Milano da bere. Elia si barcamena tra la fede cattolica della madre e l’attivismo politico del padre comunista, correva l’anno 1984, quello della morte di Berlinguer, studia e lavora nella fattoria dei genitori; è periodo di vendemmia e alla fattoria arriva Emilia per guadagnare qualche soldo. Ed inizia un gioco di seduzione in cui Elia è chiaramente destinato a soccombere, la differenza di età e la malizia di Emilia non consentono un rapporto paritetico.
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Marco Righi esordisce alla regia con un film che propone una diversa modalità con la quale raccontare le intermittenze dell’adolescenza. Il film è ambientato in una fattoria dell’Emilia, negli anni ottanta, ma ad anni luce dalla Milano da bere. Elia si barcamena tra la fede cattolica della madre e l’attivismo politico del padre comunista, correva l’anno 1984, quello della morte di Berlinguer, studia e lavora nella fattoria dei genitori; è periodo di vendemmia e alla fattoria arriva Emilia per guadagnare qualche soldo. Ed inizia un gioco di seduzione in cui Elia è chiaramente destinato a soccombere, la differenza di età e la malizia di Emilia non consentono un rapporto paritetico. L’arrivo di Samuele, fratello di Elia e sempre in giro per l’Europa, porta un carico di problemi relazionali che investe, nuovamente, Elia. Un film che guarda alla tradizione del cinema italiano, si pensi ai ritmi narrativi di Olmi, ma che allo stesso tempo è innovativo rispetto al panorama attuale. Righi riesce con grande capacità a proporre un film lento, ma mai noioso, rigoroso nella regia e nella descrizione degli stati d’animo e capace di appassionare. Ottimo esordio.
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