Quando nel 1981 “Un lupo mannaro Americano a Londra” illuminava i grandi schermi di un cinema in attesa di nuovi fermenti,gli anni ’80 si levarono sulle poltrone in una standing ovation alla Black Comedy di un regista che solo l’anno prima siglava il blues urbano con la firma dei due fratelli che ne portavano addosso il nome.
Landis è stato assente dodici anni da una forma di spettacolo che gli era peculiare – fatta eccezione per la conduzione di alcuni episodi televisivi – e al cinema sono mancate le notti insonni di Goldblum con le note di B.B. King o i temi di Rawhide e dell’avvocato Mason rispolverati dalle serie televisive dei ’60 nei concerti di Belushi e Aykroyd.
Oggi il regista torna in scena,passata più di una generazione dai suoi migliori riflettori e poco più di un decennio dopo la farsa macabra e briosa di “Delitto imperfetto” e,come Polansky con “L’uomo nell’ombra”,rimette in gioco la sua magia di istrione e giocoliere a beneficio del sogno e dell’immaginazione di un pubblico che nel frattempo ha adattato le proprie aspettative alle fasi epocali di un cinema in continuo movimento.
Per chi non conosce Landis,sarebbe necessario lo sforzo di un impegno percettivo nei confronti di chi ha molto da insegnare dalla sua sedia di regista.
Chi lo conosce,dovrebbe avvertire il richiamo intrigante di un artista dello spettacolo che,dopo un lungo silenzio,può dare il sospetto di avere in serbo molte cose nuove da raccontare.
E infatti il regista,in “Burke and Hare” racconta.
E per narrare il suo cinema,rivisita allegramente la Storia in un suo capitolo greve in terra scozzese,una pagina buia di Edimburgo,vergata dalle righe dell’omicidio e della corruzione.
Ma in “Burke and Hare” il dramma e l’horror lasciano lo spazio ad una lettura goliardica e grottesca di tristi fatti realmente accaduti nei primi decenni del diciannovesimo secolo.
William Burke (Simon Pegg – lo si incontrerà prossimamente nel “Tin Tin” di Spielberg – e William Hare (Andy Serkis,anche lui nello stesso lavoro),sono due squattrinati cialtroni irlandesi,che scoprono il modo di trarre profitto dalla vendita di cadaveri nella Edimburgo del 1827.
Dopo l’entrata in vigore della legge che limitava la pena capitale,i corpi dei condannati a morte,gli unici che potevano essere messi a disposizione delle università per i corsi di anatomia,subirono un crollo verticale,per cui le facoltà di medicina si trovarono nella difficoltà di affrontare le esercitazioni pratiche nella mancanza dei corpi necessari per le dissezioni.
Il Dr. Knox ( Tom Wilkinson),scienziato impegnato sul fronte della ricerca,propone ai due gaglioffi di collaborare con lui,pagandoli 3 pounds – poi diventati 5 pounds !– per ogni cadavere che questi possono portargli,mettendolo così in grado di distanziare il suo rivale Dr. Monroe (Tim Curry) e di mettersi in primo piano sulla frontiera della medicina del Paese.
Burke, più raffinato e metodico,inizialmente pare riservato ed incerto e Hare,più grezzo e cinico,è trascinato dalla disinibita e molesta moglie Lucky (Jessica Hynes).
Convincere Burke del tutto sarà facile,quando questo s’innamora della giovane attrice Ginny (Isla Fisher),che servirà da esca a Hare per riunire gli intenti.
Ma i traffici attirano l’attenzione delle guardie armate al comando del capitano McLintoch (Ronnie Corbett),che non si concede pace nel proposito di smascherare le malefatte dei due loschi figuri.
Landis ricorre all’algoritmo comico per risolvere un dramma storico di penosa attualità.
Ma ogni sottotrama è trascurabile in questa commedia di raffinata ironia imbastita su un racconto brillante e dinamico,spogliato da ogni sottinteso etico e privato da ogni metafora apologetica e che trova in un divertissement quasi teatrale la sua essenza spettacolare.
Fitto di dialoghi irriverenti ma mai irrispettosi,situazioni bizzarre,trovate stravaganti e comparsate cameo (Christopher Lee,fra i molti),il film non chiede che di essere visto nella sua interezza,senza quesiti sulle derivazioni storiche o le malformazioni episodiche.
Nella realtà Burke e Hare assassinarono 17 persone per denaro,ma qui la genialità di Landis è quella di aver voluto stravolgere una realtà malvagia per offrire la traduzione satirica di una componente tragica della storia scozzese e comunque umana.
Per chi si appaga di assistere alla versione di Landis senza farsi opinionisti oltre la misura consentita,non sfugge la completezza della struttura filmica,la splendida ricostruzione ambientale (forte ricorso alla CGI),uno score da brividi ed una mirabile scelta cromatica nei fasci di luci ed ombre stemprate nel velo di seppia soffuso sul palcoscenico urbano di un secolo e mezzo fa.
Le situazioni irrazionali danzano al gioco di figurine e balocchi che il regista mette in scena con insolente compostezza fitta di richiami ma mai saturata da volgarità o luoghi comuni (cfr la sequenza dello scavo della fossa al cimitero fra le ossa di vecchi cadaveri ed il cane in attesa del premio, o la strizzata al Wile E Coyote della Warner nella scena della diligenza che precipita dalla scogliera con il piccolo tuffo finale ripreso dall’alto).
L’ironia e il sarcasmo sono situazionali (il cappello di Hare sempre al suo posto salvo in tre situazioni ben precise),ma soprattutto colloquiali,conformandosi al teatro caricaturale popolare e mai smodato.
Peccato nella versione italiana non partecipare alle sottili cadenze scozzesi e britanniche (ci sono le eccezioni),accenti importanti per l’identità della commedia anglosassone.
Ma non può sfuggire ll brivido di uno score devastante e fisico,una struttura musicale che regge il film dai titoli di testa all’epilogo,dove il blues è Irish e la musica non ha più confini
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