stefano capasso
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giovedì 7 settembre 2023
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dalla meccanica alle emozioni
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In un villaggio greco sul mare, Marina, 23 anni, vive col padre malato in fase terminale. Vive un’esistenza abbastanza ritirata dal mondo, come anche il padre, in cui l’unico contatto umano è con l’amica Bella. Per lavoro dovrà accompagnare un uomo venuto da fuori nei suoi vari spostamenti, e da questo incontro, per Marina, si apre una nuova finestra sulla vita.
Il film di Athina Rachel Tsangari racconta la meccanizzazione delle esistenze del mondo contemporaneo, dove predomina il ricorso alla protezione offerta dal “pensiero” sull’aspetto emotivo, sulla capacità di sentire le emozioni. La protagonista ha un’amica che è in qualche modo il suo opposto e che diverrà importante per cominciare ad affrontare il cambiamento.
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In un villaggio greco sul mare, Marina, 23 anni, vive col padre malato in fase terminale. Vive un’esistenza abbastanza ritirata dal mondo, come anche il padre, in cui l’unico contatto umano è con l’amica Bella. Per lavoro dovrà accompagnare un uomo venuto da fuori nei suoi vari spostamenti, e da questo incontro, per Marina, si apre una nuova finestra sulla vita.
Il film di Athina Rachel Tsangari racconta la meccanizzazione delle esistenze del mondo contemporaneo, dove predomina il ricorso alla protezione offerta dal “pensiero” sull’aspetto emotivo, sulla capacità di sentire le emozioni. La protagonista ha un’amica che è in qualche modo il suo opposto e che diverrà importante per cominciare ad affrontare il cambiamento. Non meno importante, infatti, è il rapporto con il padre, dal quale la ragazza prende un certo rifiuto dal mondo, che diventa estremamente rigido, perché privo di emozioni, a differenza di quello del padre. Proprio la condizione terminale di quest’ultimo darà modo a Marina di tentare un avvicinamento al mondo in m odo emotivo. Sarà un processo difficile e dal risultato incerto.
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guidobaldo maria riccardelli
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lunedì 4 aprile 2016
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la meccanizzazione dell'esistenza
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Attraverso l'espediente del racconto di formazione, Athina Rachel Tsangari mette in scena un più ampio discorso sulla società, sulle sue dinamiche, all'insegna di una crescente standardizzazione dei sentimenti, ridotti a meccaniche vuote, avvicinabili a quelle proprie del regno animale. Nel fare ciò ricorre esplicitamente a ritualistiche manifestazioni (le passeggiate-danze delle amiche Marina e Bella, le lotte di supremazia animalesche) ed implicitamente ad un fotografia geometrica, nella quale si perseguono le linee rette ed i colori uniformi; persino l'uso delle musiche segue questa logica, con l'esecuzione del motivo "Tous les garçons et les filles" di Françoise Hardy, allo stesso tempo romantico e cadenzato.
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Attraverso l'espediente del racconto di formazione, Athina Rachel Tsangari mette in scena un più ampio discorso sulla società, sulle sue dinamiche, all'insegna di una crescente standardizzazione dei sentimenti, ridotti a meccaniche vuote, avvicinabili a quelle proprie del regno animale. Nel fare ciò ricorre esplicitamente a ritualistiche manifestazioni (le passeggiate-danze delle amiche Marina e Bella, le lotte di supremazia animalesche) ed implicitamente ad un fotografia geometrica, nella quale si perseguono le linee rette ed i colori uniformi; persino l'uso delle musiche segue questa logica, con l'esecuzione del motivo "Tous les garçons et les filles" di Françoise Hardy, allo stesso tempo romantico e cadenzato.
Nemmeno l'atto della riproduzione sfugge ad una tale lettura, ridotto ad un discorso reificato, fatto di pistoni ed ingranaggi, sì come un aggeggio industriale, ed analizzato in fieri, didascalizzato come in un racconto documentaristico.
Chiaramente il linguaggio viene in aiuto e sostiene questa visione del mondo, replicabile e potenzialmente infinito, come i riuscitissimi giochi di parole, volti ad identificarne una delle proprietà fondamentali, la doppia articolazione, confermano.
Nemmeno la morte può sfuggire a questo circolo vizioso, fatta di freddi obblighi e procedure, aggiramento delle stesse, carichi e scarichi, trasformazione e confezionamento, percorso similare a quello di un prodotto industriale, dopotutto.
Molto in parte il cast, in interpretazioni tutt'altro che agevoli od (ironia della sorte) automatiche.
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gianleo67
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mercoledì 1 luglio 2015
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eros e thanatos...a strapiombo dall'acropoli
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Figlia di un architetto affetto da un mare incurabile con cui convive nell'assenza di una figura materna, la giovane Marina è una ragazza introversa che non ha mai avvicinato gli uomini e che vive una relazione morbosa ed infantile con la più disinvolta e spregiudicata amica Bella. Allorquando si avvicina la fine per il genitore, la ragazza manifesta i sintomi di un disagio e di una irrequietezza interiori che la portano a concedersi ad un giovane ingegnere che ha conosciuto per motivi di lavoro. Benchè importante e sconvolgente questa tardiva esperienza si rivelerà per lei ormai assolutamente inutile.
Sullo sfondo di una desolazione industriale e urbanistica di un'Acropoli a strapiombo sul mare, la cosmopolita regista (e teatrante) greca Athina Rachel Tsangari ambienta questo dramma della solitudine e dell'inadeguatezza che utilizza, con proprietà di linguaggio e lucidità di sguardo, il registro di un'allegoria civile e politica ormai divenuto un marchio di fabbrica del nuovo cinema ellenico da Lanthimos (Kynodontas - 2009; Alpeis - 2011) ad Alexandros Avranas (Miss Violence - 2013) e capace di compendiare con straordinaria efficacia tanto le istanze naturalistiche del racconto sociale quanto le suggestive astrazioni del discorso teorico.
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Figlia di un architetto affetto da un mare incurabile con cui convive nell'assenza di una figura materna, la giovane Marina è una ragazza introversa che non ha mai avvicinato gli uomini e che vive una relazione morbosa ed infantile con la più disinvolta e spregiudicata amica Bella. Allorquando si avvicina la fine per il genitore, la ragazza manifesta i sintomi di un disagio e di una irrequietezza interiori che la portano a concedersi ad un giovane ingegnere che ha conosciuto per motivi di lavoro. Benchè importante e sconvolgente questa tardiva esperienza si rivelerà per lei ormai assolutamente inutile.
Sullo sfondo di una desolazione industriale e urbanistica di un'Acropoli a strapiombo sul mare, la cosmopolita regista (e teatrante) greca Athina Rachel Tsangari ambienta questo dramma della solitudine e dell'inadeguatezza che utilizza, con proprietà di linguaggio e lucidità di sguardo, il registro di un'allegoria civile e politica ormai divenuto un marchio di fabbrica del nuovo cinema ellenico da Lanthimos (Kynodontas - 2009; Alpeis - 2011) ad Alexandros Avranas (Miss Violence - 2013) e capace di compendiare con straordinaria efficacia tanto le istanze naturalistiche del racconto sociale quanto le suggestive astrazioni del discorso teorico. Questa nuova sintassi del linguaggio filmico fa il paio con lo scimmiottamento di un'apprendistato sentimentale e sessuale di una giovane protagonista cresciuta nella cattività di una relazione parentale senza sbocco, quale stadio terminale di una inevitabile deriva familiare in cui si riflette la crisi irreversibile della società greca costretta tra il retaggio di una tradizione pastorale e le macerie di una civiltà post-industriale ("Abbiamo costruito una colonia industriale su un recinto di pecore...e pensato che stavamo facendo la rivoluzione."). La morte del padre diventa quindi il paradigma di una sconfitta generazionale ove abbandonare figli inesperti ed inadeguati alla loro incapacità relazionale e civile, in una regressione antropologica in cui non serve nemmeno studiare i rudimenti dell'etologia dei primati per recuperare il senso e la riscoperta dell'essere uomini, per risollevarsi dalla prostrazione di una disfatta morale che spreca il seme e disperde le ceneri, adagiandosi inerti nel letto dell'amore senza scopo come nel rimirare l'uniforme squallore di un orizzonte senza speranza. Ma la malattia del padre è anche la malattia della Nazione, un corpo inutile e inoperoso che non è più in grado di agire, genitore ormai impotente di una prole sterile destinata all'estinzione ("Sto boicottando il XX secolo. E' sopravvalutato e non mi dispiace per niente lasciarlo. Sono un vecchio uomo ateo. Un residuo tossico del modernismo...del post-Illuminismo...e ti lascio nelle mani del nuovo secolo senza averti insegnato nulla."). Coacervo di suggestioni umorali e di rimandi ancestrali al fatalismo di un paesaggio mediterraneo che diventa fondale scenico di un lucido sogno ad occhi aperti, la Tsangari ordisce la trama di un discorso politico non banale, concedendosi qua e là il vezzo di qualche vivace contrappunto pop (l'intermezzo di una civettuola formazione sentimentale sulle note di 'Tous Les Garçons Et Les Filles' e l'isterico balletto di una veglia funebre al ritmo della 'Be bop kid ' dei Suicide) e di una grottesca pantomima marziale ma facendo tesoro del rigore di una lontana tradizione cinematografica che rimanda alla potenza ed alla lezione di mostri sacri del cinema ellenico quali Angelopoulos e Damianos. Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia per l'attrice franco-greca Ariane Labed la cui bellezza è difficile da camuffare persino dagli ingombranti pullover di lana e grande prova per Vangelis Mourikis nel ruolo dell'anziano padre morente. Da segnalare il cameo di Giorgos Lanthimos nel ruolo del giovane ingegnere per cui la Labed reciterà nel successivo Alpeis del 2011.
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peer gynt
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venerdì 15 ottobre 2010
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la più strana e incomprensibile delle bestie
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Marina, ragazza franco-greca ventitreenne, non ama gli esseri umani. Se ne
tiene alla larga, e intanto guarda con molto interesse i documentari sugli
animali di David Attenborough (del cui nome il titolo del film è una storpiatura). E, con l’amica Bella, cerca di riprodurre i passi degli
animali, in passeggiate che sembrano goffe danze. Marina vive una vita
solitaria fra l’amica, che le fa provare le sue prime esperienze erotiche,
il padre malato terminale che filosofeggia sulla vita e prepara con
accuratezza il suo imminente trapasso, e un uomo incontrato per caso e col quale si lega perchè
deve provare, quasi scientificamente, cosa sia l’amore. Infatti, mentre sta con
lui, descrive quello che fanno a voce alta, come se fosse una specie di
documentarista di se stessa, di quella strana bestia che è l’uomo.
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Marina, ragazza franco-greca ventitreenne, non ama gli esseri umani. Se ne
tiene alla larga, e intanto guarda con molto interesse i documentari sugli
animali di David Attenborough (del cui nome il titolo del film è una storpiatura). E, con l’amica Bella, cerca di riprodurre i passi degli
animali, in passeggiate che sembrano goffe danze. Marina vive una vita
solitaria fra l’amica, che le fa provare le sue prime esperienze erotiche,
il padre malato terminale che filosofeggia sulla vita e prepara con
accuratezza il suo imminente trapasso, e un uomo incontrato per caso e col quale si lega perchè
deve provare, quasi scientificamente, cosa sia l’amore. Infatti, mentre sta con
lui, descrive quello che fanno a voce alta, come se fosse una specie di
documentarista di se stessa, di quella strana bestia che è l’uomo.
Alla fine bisogna ammettere che qualche idea originale c’è, in questo film greco, ma lo stile lento e prolisso, la
recitazione assente e volutamente monocorde (incredibilmente premiata all'ultima Mostra del cinema di Venezia) e un eccessivo gusto per una
specie di poetica dei muri scrostati rendono la pellicola più noiosa che
intrigante. Da rifare con più convinzione!
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