hulk1
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mercoledì 11 agosto 2010
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film inutile solo per fan di cameron diax
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Nel momento in cui le idee stanno a zero vai di remake, oppure un tuffo nel passato. Gli angosciosi anni 70, il Wietnam , il Waterghate , il periodo storico nel quale gli USA hanno toccato il fondo quanto a credibilità, come fiaccola della democrazia. Il colpo di stato in Cile etc. Ma vi era anche presente la corsa nello spazio, la tecnologia informatica che stava per essere distribuita a tuttti . In questo pastrocchio, ma non è l'unico esempio R. Scot ed i suoi gangseter anni 70 , si ripropongono stili di regia, illuminazione, movimenti di macchina tematiche anni 70. Anni fecondi , forse la stagione che data la crisi che attanagliava gli USA hanno sfornato : Il maratoneta, I tre giorni del condor, Tutti gli uomini, la cosacrazione dei nuovi registi Scorsese, Coppola , Spilby.
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Nel momento in cui le idee stanno a zero vai di remake, oppure un tuffo nel passato. Gli angosciosi anni 70, il Wietnam , il Waterghate , il periodo storico nel quale gli USA hanno toccato il fondo quanto a credibilità, come fiaccola della democrazia. Il colpo di stato in Cile etc. Ma vi era anche presente la corsa nello spazio, la tecnologia informatica che stava per essere distribuita a tuttti . In questo pastrocchio, ma non è l'unico esempio R. Scot ed i suoi gangseter anni 70 , si ripropongono stili di regia, illuminazione, movimenti di macchina tematiche anni 70. Anni fecondi , forse la stagione che data la crisi che attanagliava gli USA hanno sfornato : Il maratoneta, I tre giorni del condor, Tutti gli uomini, la cosacrazione dei nuovi registi Scorsese, Coppola , Spilby. Così ecco un pasticcio vagamente vintage come the box, forse un avviso su come tutto sommato le cose sarebbero peggiorate con l'arrivo del Cow Boy Ronnie e del suo decerebrato successore Bush, i magnifici anni ottttttanata. Un film inutile, D. Darko è ormai lontano nel tempo, come buona parte del cinema sfornato in questi anni. La macchina deve continuare a produrre, la crisi?? Ma.....certamete non si rischia, ma Hollywood va sempre sul sicuro. Quel che è certo che a parte Cameron Diax, vedere questi prodotti è una perdita di tempo, è inutile sprecare soldi al cinema, per i dvd. Per i fan della Cameron ok
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[+] cosa hai detto????!??!?!
(di iacorenx)
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[+] waterghate? wietnam? diax??????
(di ioalierto)
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francesco1960
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mercoledì 11 agosto 2010
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...ma che conseguenze hanno le nostre azioni?
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Ho visto The Box quasi con prevenzione, vista la pletora di critiche che ho letto su questo sito... ma siccome ho anche visto che molte delle stesse persone lodavano un film sciagurato e inguardabile come Solomon Kane... alla fine sono andato. Per fortuna. Forse 35 anni e piu' (molto piu'?) di 2000 film non sono sufficienti a fare il Morandini, ma credo bastino a capire se un film ha quel qualcosa che giustifica il biglietto, che lascia sveglia la mente. E questo ce l'ha. Senza essere un capolavoro (è un *** 1/2, in verità) e con cosceinza dei suoi buchi, il film tratto dal racconto fulminante del grande Matheson è bello e soprattutto fa riflettere, senza perdere la tensione di un thriller (che comunque non è), sul rapporto tra azioni e conseguenze e sul sottile e diabolico (= ingannevole) confine tra perdita dell'innocenza etica e discesa nell'abisso.
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Ho visto The Box quasi con prevenzione, vista la pletora di critiche che ho letto su questo sito... ma siccome ho anche visto che molte delle stesse persone lodavano un film sciagurato e inguardabile come Solomon Kane... alla fine sono andato. Per fortuna. Forse 35 anni e piu' (molto piu'?) di 2000 film non sono sufficienti a fare il Morandini, ma credo bastino a capire se un film ha quel qualcosa che giustifica il biglietto, che lascia sveglia la mente. E questo ce l'ha. Senza essere un capolavoro (è un *** 1/2, in verità) e con cosceinza dei suoi buchi, il film tratto dal racconto fulminante del grande Matheson è bello e soprattutto fa riflettere, senza perdere la tensione di un thriller (che comunque non è), sul rapporto tra azioni e conseguenze e sul sottile e diabolico (= ingannevole) confine tra perdita dell'innocenza etica e discesa nell'abisso. Il film è chiarissimo: non è in ballo un giudizio sul singolo, ma sulla struttura (decadenza?) morale del genere umano. La scatola siamo noi e il bottone che premiamo, alla fine, anche se l'avidità ci rende piccoli piccoli e egoisti, riguarda proprio noi. Incomprensibile la scelta dei distributori di mettere questo film in programmazione estiva.
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greg2
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sabato 7 agosto 2010
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ben fatto
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The box non passa inosservato perchè è volutamente enigmatico con un finale che lascia a mille interpretazioni.
Ho apprezzato l'originalità e il messaggio del film, l'inquitudine che traspare e la buona recitazione degli attori; è un film che lascia piuttosto basiti, perchè nonostante la trama non sia lineare e abbia ambigue interpretazioni, alcune scene sono davvero forti ed evidenziano il messaggio del regista: la rinuncia al proprio egoismo per salvare la specie umana. Ben fatto, nel grigiore del cinema estivo the box rappresenta una piacevole sorpresa.
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atreiu
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venerdì 6 agosto 2010
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non aprite quella scatola
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La problematica di adattamento cinematografico di un opera letteraria ha sempre portato dei problemi agli sceneggiatori dei film. Alcune volte i linguaggi autoriali sono più compatibili con i ritimi di uno script per il grande schermo, si veda ad esempio i legal-thriller ripresi dai racconti di John Ghrisham. Alcune volte richedono uno "stravolgimento" della trama come nell'esempio eclatante di "Shining" di Stephen King, o un intervento stilistico-narrativo come nel caso di "Blade Runner" tratto da un racconto breve di Philip K. Dick. Nel film "The Box" il pur talentuoso regista di "Donnie Darko" non riesce a dare un'impronta originale alla breve trama del racconto e, complice una sceneggiatura molto carente, si ha la sensazione di aver già visto tutto nei primi 20 minuti.
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La problematica di adattamento cinematografico di un opera letteraria ha sempre portato dei problemi agli sceneggiatori dei film. Alcune volte i linguaggi autoriali sono più compatibili con i ritimi di uno script per il grande schermo, si veda ad esempio i legal-thriller ripresi dai racconti di John Ghrisham. Alcune volte richedono uno "stravolgimento" della trama come nell'esempio eclatante di "Shining" di Stephen King, o un intervento stilistico-narrativo come nel caso di "Blade Runner" tratto da un racconto breve di Philip K. Dick. Nel film "The Box" il pur talentuoso regista di "Donnie Darko" non riesce a dare un'impronta originale alla breve trama del racconto e, complice una sceneggiatura molto carente, si ha la sensazione di aver già visto tutto nei primi 20 minuti. In effetti sembra di assistere a una riedizione dell'episodio "Ai confini della realtà" dove la suspance si esaurisce nella rivelazione dell'uso del pulsante, il "motore" narrativo del film, e dove il dilemma centrale è già stato affrontato. I personaggi stessi e le varie incongruenze logiche sembrano uno sforzo di allungare il film verso derive "oniriche" che non danno supporto a una evoluzione dei personaggi nè ad un avanzamento nelle conseguenze della trama. Tutto sembra ruotare intorno a un "piano superiore" nei quali lo spettatore e la "sospensione della realtà" non trovano giustificazione e il tutto genera una apatia sottile che il film non riesce a scrollarsi di dosso.
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andaland
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giovedì 5 agosto 2010
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difficile capirlo
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e' un film dell'orrore? un thriller? non si capisce bene come classificare un lavoro simile, paranoico e visionario, lento e a tratti pure noioso. La gente in sala sbadigliava e alla scena finale c'è stato un mormorio non proprio di approvazione. personalmente lo trovo il peggor film visto in stagione, ma forse qualcuno può aiutarmi a capirne il senso?
[+] solo una precisazione
(di storyteller)
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mary70
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giovedì 5 agosto 2010
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opinione con domanda finale.....
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c'è chi guarda i film cosi tanto per vedere, per passatempo ect.. e non riesce mai a trarne nulla perchè non gli frega niente trarre un senso da un film...finito il film finito tutto...
a prescindere che il film sia fatto bene o meno, che sia piaciuto oppure no... solo chi guarda i film in profondità e al di là dell'apparenza riesce a percepire il profondo significato che hanno certi film come THE BOX.. che onestamente non è piaciauto un granchè neanche a me..mi ha lasciato con un pò di amaro in bocca ed insoddisfatta devo dire..non è sto gran film che mi aspettavo... però mi ha lasciato con delle domande esistenziali.
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c'è chi guarda i film cosi tanto per vedere, per passatempo ect.. e non riesce mai a trarne nulla perchè non gli frega niente trarre un senso da un film...finito il film finito tutto...
a prescindere che il film sia fatto bene o meno, che sia piaciuto oppure no... solo chi guarda i film in profondità e al di là dell'apparenza riesce a percepire il profondo significato che hanno certi film come THE BOX.. che onestamente non è piaciauto un granchè neanche a me..mi ha lasciato con un pò di amaro in bocca ed insoddisfatta devo dire..non è sto gran film che mi aspettavo... però mi ha lasciato con delle domande esistenziali...''L'ESSERE UMANO DIFRONTE AI SOLDI O AL PROPRIO BENESSERE PERSONALE, ALLE PROPRIE PERSONALI ESIGENZE ED EGOISMI NON GUARDA IN FACCIA NIENTE E NESSUNO IL PIU' DELLE VOLTE......''SE CAPITASSE A VOI UNA SITUAZIONE DEL GENERE, ESSENDO ALL'OSCURO POI DELLE CONSEGUENZE ovviamente, esattamente come nel film.. COSA FARESTE DIFRONTE AD UN MILIONE DI DOLLARI?..PREMERESTE QUEL PULSANTE SAPENDO CHE QUALCUNO NON SI SA DOVE E NON SI SA CHI VERREBBE UCCISO?...
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scuolaomero
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giovedì 5 agosto 2010
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pretenzioso ma legittimo
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Dopo le critiche fin troppo lusinghiere di Donny Darko e dopo il flop al botteghino di Southland Tales, Richard Kelly - regista e sceneggiatore statunitense - fa il suo ritorno sul grande schermo con The Box, un altrettanto pretenzioso lungometraggio dai contorni immancabilmente soprannaturali.
Una mattina come tante, sulla porta di casa di Norma (Cameron Diaz) e Arthur Lewis (James Marsden) - giovane coppia di Richmond - appare un pacco contenente una scatola di legno, provvista di un pulsante rosso. Il criptico marchingegno è accompagnato da un biglietto che annuncia la visita pomeridiana di uno sconosciuto, Arlington Steward (Frank Langella).
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Dopo le critiche fin troppo lusinghiere di Donny Darko e dopo il flop al botteghino di Southland Tales, Richard Kelly - regista e sceneggiatore statunitense - fa il suo ritorno sul grande schermo con The Box, un altrettanto pretenzioso lungometraggio dai contorni immancabilmente soprannaturali.
Una mattina come tante, sulla porta di casa di Norma (Cameron Diaz) e Arthur Lewis (James Marsden) - giovane coppia di Richmond - appare un pacco contenente una scatola di legno, provvista di un pulsante rosso. Il criptico marchingegno è accompagnato da un biglietto che annuncia la visita pomeridiana di uno sconosciuto, Arlington Steward (Frank Langella). Il misterioso ambasciatore, distinto e ben vestito ma con una guancia deturpata da una profonda ustione, li metterà di fronte a un dilemma: premere o non premere quel pulsante. Dalla loro scelta scaturiranno effetti irreversibili. Se Norma e Arthur decreteranno di pigiare il bottone, accadranno due cose: qualcuno che non conoscono in qualche parte del mondo morirà. E, in secondo luogo, riceveranno un pagamento immediato di un milione di dollari. Hanno a disposizione ventiquattro ore di tempo per riflettere, dopodiché il congegno sarà riprogrammato e consegnato ad altre persone, sottoposte al medesimo quesito.
Il rapporto dei Lewis è solido e la loro vita borghese scorre più o meno tranquilla, lui ingegnere alla NASA, lei un'insegnante. Man a mano trapelano, però, i disagi che li rendono inquieti: ad Arthur viene negato l'incarico tanto agognato di astronauta, Norma è costretta a zoppicare per via di un piede menomato a seguito di un vecchio incidente e sta subendo, per questo motivo, torture psicologiche da parte di uno studente mentalmente instabile. Inoltre, non ottenendo entrambi le promozioni lavorative che si aspettavano, non potranno far frequentare al figlio Walter la scuola più rinomata. E Norma non potrà affrontare l'operazione al piede che la priverebbe del suo handicap. Ma sono forse questi motivi validi per uccidere? Perché di questo si tratta: uccidere qualcuno in cambio di denaro.
Kelly si ispira ad un racconto di Richard Matheson, Button, button, del 1970, già adattato negli anni '80 per un episodio della serie Ai confini della realtà. La novella termina con il messaggero che esce di scena con la scatola dopo che i personaggi hanno deliberato di premere il famigerato pulsante. Il regista, invece, intende andare oltre, immaginando un'evoluzione del finale di Metheson. "Sono rimasto subito affascinato da questo racconto e volevo saperne di più: da dove viene la scatola? - confessa Kelly - Cosa significa? Coloro che decidessero di premere quel pulsante potrebbero mai pensare di redimersi? E come?". In realtà, questo desiderio di dilatare una struttura già ben compiuta, con eccessivi deliri e suggestioni, dà vita ad un risultato confuso e che rende poca giustizia allo spunto originale.
La scelta di ambientare la storia nel 1976 è giustificata dal proposito del regista di associarla all'atterraggio effettuato dalla NASA su Marte tramite l'unità robotica Vicking. Una fotografia patinata e minuziosa rispecchia egregiamente sia gli interni che gli esterni dell'epoca.
Il messaggero Arlington Steward si svelerà essere morto e poi resuscitato da entità superiori che governano i fulmini e, scappato dalla base NASA dove lavorava, ha costruito la scatola per porre una sorta di test all'umanità. Test da cui soprattutto la figura della donna risulterà svalutata. È, infatti, la donna che, come la progenitrice Eva, con un gesto superficiale - che qui consiste nel premere il bottone senza pensarci su troppo - mette a rischio l'intero genere umano, nonostante i "maschietti" cerchino, invano, di salvarlo. Che la corruzione possa investire chiunque, anche una famiglia apparentemente per bene, non è una deduzione particolarmente originale così come non lo è la soluzione del libero arbitrio che adotta Kelly. Ma, se la prima parte del film mantiene a stento elevata la tensione, soprattutto grazie ad una suggestiva colonna sonora, la seconda si perde in improbabili scene che vorrebbero omaggiare Lynch ma che sfociano nel grottesco e nel noioso più che nel simbolismo onirico.
Una citazione di Sartre presente nel film riassume la morale che Kelly vuole a tutti i costi trasmettere: "Ci sono due modi per affrontare l'ultimo viaggio: liberi o in catene". E il finale apocalittico è legittimato dal calcolo del "coefficiente altruistico" dell'uomo che, se non è in grado di sacrificare se stesso per gli altri, non merita di vivere.
(Recensione di Francesca Trapè su "O" la rivista di Omero)
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davidr
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mercoledì 4 agosto 2010
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interessante
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visionario quanto basta (non certo quanto il suo famoso "predecessore" Donnie Darko), il film è un'affascinante riflessione etica sull'egoismo e il desiderio di ricchezza della razza umana che non manca di inquietare. Troppo facile forse il ripiego sugli alieni per spiegare il tutto ma tant'è. Buoni gli interpreti (Langella, complice anche il formidabile trucco, risulta credibilissimo. La Diaz conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di essere brava oltre che bella).
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mister_wnb
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martedì 3 agosto 2010
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interessante
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è un film interessante ma che non mostra tutto il talento di kelly a parer mio.
ci sono problemi di sceneggiatura e di plot in particolare lungo in alcuni parti centrali e manca di alcuni approfondimenti all'inizio.
ma alcune scene sono davvero notevoli e mostrano la mano di un regista assai talentuoso che ama spesso complicarsi il lavoro.
un film che richiama a volte un po lo stile kubrickiano con quelle simmetrie claustrofofiche e inquietanti.
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ilpredicatore
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sabato 31 luglio 2010
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scelte e conseguenze, dilemma firmato kelly.
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Il suo nome è Richard Kelly, giovane e talentuoso regista che all'età di 26 anni ha fatto il botto con Donnie Darko, cult movie generazionale grazie in particolare a un determinante passaparola dopo che l'uscita nelle sale era stata oscurata dalla tragedia dell'11 Settembre. Qualche anno dopo Kelly sforna il visionario Southland Tales, ovvero lo “scult”, il flop che ha rischiato di mettere già fine alla sua breve carriera, un film di cui indubbiamente non si può restare indifferenti, ma che conserva un fascino che molti forse non hanno saputo vedere. Ed eccoci quindi a The Box, tratto da un racconto di Matheson e prodotto dai “famigerati” Weinstein. Kelly lo fa su commissione e si vede: regia più controllata, meno rischio, meno azzardo, a volte si ha l'idea che l'autore di Donnie Darko abbia un po' le mani legate.
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Il suo nome è Richard Kelly, giovane e talentuoso regista che all'età di 26 anni ha fatto il botto con Donnie Darko, cult movie generazionale grazie in particolare a un determinante passaparola dopo che l'uscita nelle sale era stata oscurata dalla tragedia dell'11 Settembre. Qualche anno dopo Kelly sforna il visionario Southland Tales, ovvero lo “scult”, il flop che ha rischiato di mettere già fine alla sua breve carriera, un film di cui indubbiamente non si può restare indifferenti, ma che conserva un fascino che molti forse non hanno saputo vedere. Ed eccoci quindi a The Box, tratto da un racconto di Matheson e prodotto dai “famigerati” Weinstein. Kelly lo fa su commissione e si vede: regia più controllata, meno rischio, meno azzardo, a volte si ha l'idea che l'autore di Donnie Darko abbia un po' le mani legate. Ciò nonostante elementi specifici dei suoi film precedenti sono ben visibili: l'atmosfera densamente apocalittica e a tratti surreale, lunghe scene fatte solo di sguardi e dialoghi lenti e quell'occhio lynchiano e quasi kubrickiano. Diciamolo, oltre che formidabile, Richard Kelly è uno dei migliori autori cinematografici del terzo millennio, quindi uno dei più sottovalutati. La sua telecamera punta su casa Lewis, dove una scatola chiusa viene lasciata alla porta. La scatola contiene un congegno con un bottone. Il giorno dopo si presenta un misterioso e menomato signore, che spiega loro le regole di un gioco apparentemente semplice: premendo quel bottone da qualche parte nel mondo una persona morirà, ma in cambio avranno un milione di dollari. Altrimenti niente compenso. Dopo un'ora buona nella quale la tensione si alza gradualmente sembra che si voglia sfociare nell'horror fantascientifico, tra alcuni momenti inquietanti e conturbanti e qualche sobbalzo sulla sedia, ma non è questo a cui mira Richard Kelly, che col suo personaggio chiave Arlington Steward (un messaggero menomato e risorto come un certo coniglio di nome Frank) conduce noi e i protagonisti verso un risvolto morale ed etico, anche se risaputo, del tutto essenziale, specie per i tempi che corrono oggi. E alla fine il messaggio che manda è chiaro: l'uomo è inevitabilmente un animale egoista. O no? Come nelle sue opere precedenti, Kelly confonde le nostre idee, ci porta in strade che non avremmo immaginato di percorrere, ci stupisce e a volte comprendere è quasi impossibile. Così è stato in Donnie Darko e in Southland Tales, ma qui è diverso. Scene dove tutto viene spiegato dettagliatamente devono essere state imposte dalla produzione. Poco male, su tutto il regista riesce a lasciarci sempre un alone di mistero e di incertezze e ciò che importa è il dilemma che porta fino in fondo. Speriamo solo che continui ancora a lavorare. The Box è una delle opere migliori di questa stagione stanca e troppo avatariana, sia come thriller, horror, fantascienza, sia come dramma suggestivo e ben musicato. Bravo James Marsden, interprete che meriterebbe più attenzione. Cameron Diaz funziona, ma forse non è la scelta più azzeccata. Su tutti un superbo Frank Langella, vera anima di questa pellicola notevole ed esemplare.
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