gallo1
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mercoledì 16 marzo 2011
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sesto episodio che non convince
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In questo sesto episodio della saga di Romero sui morti che tornano in vita, il regista ha fatto qualche passo indietro rispetto all'ottimo Diary of the Dead e si riassesta sui livelli, non eccelsi, del quarto episodio Land of the Dead. Pur trattandosi, comunque, di un film ricco di spunti di riflessione e scene e trovate memorabili (la scena di chiusura del film, o gli zombie/schiavi/bestie ridotti in catene a reiterare per l'eternità i medesimi vacui gesti lavorativi) - marchio distintivo dell'opera di Romero - , porta con sé gli stessi difetti del quarto episodio, in cui gli intenti parodistici e di critica sociale hanno un eccessivo sopravvento sulla trama e la tensione narrativa con un risultato di eccessiva prevedibilità per lo spettatore.
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In questo sesto episodio della saga di Romero sui morti che tornano in vita, il regista ha fatto qualche passo indietro rispetto all'ottimo Diary of the Dead e si riassesta sui livelli, non eccelsi, del quarto episodio Land of the Dead. Pur trattandosi, comunque, di un film ricco di spunti di riflessione e scene e trovate memorabili (la scena di chiusura del film, o gli zombie/schiavi/bestie ridotti in catene a reiterare per l'eternità i medesimi vacui gesti lavorativi) - marchio distintivo dell'opera di Romero - , porta con sé gli stessi difetti del quarto episodio, in cui gli intenti parodistici e di critica sociale hanno un eccessivo sopravvento sulla trama e la tensione narrativa con un risultato di eccessiva prevedibilità per lo spettatore. Poco aiuta comprendere il fatto che la trama sia svolta semplicisticamente proprio per fini metaforici (la vita dell'uomo moderno) e parodistici (generi cinematografici del passato ridicolizzati), l'effetto complessivo resta lo stesso deludente (a differenza di Diary in cui il discorso metacinematografico era svolto in modo più fine e profondo anche se a volte ridondante).
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peer gynt
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martedì 12 ottobre 2010
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cari amati parenti zombi
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Come ci sono pittori che dipingono sempre lo stesso soggetto (pensiamo
alle bottiglie di Morandi), cosi’ ci sono registi che filmano sempre le
stesse cose. E le bottiglie di Romero, come si sa, sono gli zombi. Romero,
classe 1940, famoso per il classico della zombologia “La notte dei morti
viventi” (del 1969), nel 2009 gira un altro film sui morti viventi!
Perfino gli appassionati del genere non ne possono piu’ di questi film.
Eppure, malgrado i presupposti, la pellicola riesce ad essere quasi
originale.
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Come ci sono pittori che dipingono sempre lo stesso soggetto (pensiamo
alle bottiglie di Morandi), cosi’ ci sono registi che filmano sempre le
stesse cose. E le bottiglie di Romero, come si sa, sono gli zombi. Romero,
classe 1940, famoso per il classico della zombologia “La notte dei morti
viventi” (del 1969), nel 2009 gira un altro film sui morti viventi!
Perfino gli appassionati del genere non ne possono piu’ di questi film.
Eppure, malgrado i presupposti, la pellicola riesce ad essere quasi
originale. La variante dell’ultimo Romero e’ lo zombi-western. Due vecchi
capostipiti di famiglie rivali (gli O’Flynn e i Muldoon) vivono in
un’isola che non ha nulla da invidiare alle localita’ western dei film di
John Wayne. I due patriarchi sono acerrimi nemici e quindi, sul problema
dei morti viventi, la pensano in modo del tutto opposto: uno li vuole
distruggere tutti senza pensarci due volte, l’altro invece fa differenza
fra gli zombi stranieri (che vanno distrutti) e quelli che fanno parte del
clan, della famiglia. Questi non vanno distrutti, ma legati alla catena
(quasi fossero capi di bestiame), perche’ in fin dei conti sono dei
nostri, sono i nostri cari e basta renderli incapaci di nuocere. Da questo
spunto narrativo parte una storia che si snoda, veloce e sicura, verso la
fine, con quel pizzico di autoironia che in questi film e’ necessaria e
con una scena finale, che non vogliamo anticipare, che dimostra pero’
quanto due acerrimi nemici possano avere bisogno l’uno dell’altro!
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dario carta
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giovedì 21 ottobre 2010
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gli zombi vuoti
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Roger Corman è il mago dietro le quinte di un cinema che nel ventennio ’50 / ’60 prese a bordo il pubblico dell’horror picture inglese,traghettandolo come Caronte oltre le paludi dello spettacolo stagnante della Hollywood prebellica e dando aria di novità alle emozioni che afferravano l’audience delle sale alle radici della paura.
Nel ’68 George A. Romero,con un’intuizione che ha forgiato quello che oggi legge il gore come il nuovo conio del vecchio Grand Guignol,inaugura con “La notte dei morti viventi” il franchise più ossequiato nel cinema dei morti. Impregnato di satira e ironia sociale,il cinema di Romero era troppo furbo per fermarsi allo stop del raccapriccio visivo.
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Roger Corman è il mago dietro le quinte di un cinema che nel ventennio ’50 / ’60 prese a bordo il pubblico dell’horror picture inglese,traghettandolo come Caronte oltre le paludi dello spettacolo stagnante della Hollywood prebellica e dando aria di novità alle emozioni che afferravano l’audience delle sale alle radici della paura.
Nel ’68 George A. Romero,con un’intuizione che ha forgiato quello che oggi legge il gore come il nuovo conio del vecchio Grand Guignol,inaugura con “La notte dei morti viventi” il franchise più ossequiato nel cinema dei morti. Impregnato di satira e ironia sociale,il cinema di Romero era troppo furbo per fermarsi allo stop del raccapriccio visivo. I non morti,rianimati ad una goffa vita in movenze grottesche,facevano da contorno ad una realtà sociale ben più pregnante ed autorevole del gruppo di bizzarri cadaveri che gremiva una collettività afflitta da mali ben più gravi.
“La notte dei morti viventi” ed il suo seguito, “Zombi”(1978),commentavano elegantemente (con maggiore attenzione il primo,rispetto al secondo),l’horror di una società malata di razzismo e consumismo (cfr. le scene nei centri commerciali) con il ricorso a sottotesti profondamente critici e di evidente lettura. I titoli successivi,”La terra dei morti viventi”,2005 e “Le cronache dei morti viventi”,2007 hanno tradotto in termini minori i malesseri della collettività e le paranoie derivanti dalla tecnologia ossessiva,dando continuità al fil rouge tematico che faceva del cinema del regista l’allegoria centrale del suo pensiero.
“Survival of the Dead” è il sesto episodio della saga dei non morti ed è indice di una evidente perdita di smalto del regista.
Povero di idee e dialoghi sensati,il lavoro di Romero non si identifica con i suoi predecessori,dai quali si discosta sensibilmente per mancanza di originalità e spessore.
Su un’isola al largo del Delaware due famiglie di origini irlandesi,gli O’ Flynns e i Muldoons si scontrano l’un l’altra sulle modalità di affrontare l’invasione degli zombi.
Alla tolleranza zero del patriarca O’Flynn (Kenneth Welsh) si oppone l’approccio del capo del clan dei Muldoons (Richard Fitzpatrick),più incline ad accettarli in società,magari incatenati e sollecitati a mangiare qualcosa di diverso dalla carne umana.
Quando O’Flynn viene esiliato sulla terraferma,decide di vendicarsi dell’affronto e ritorna sull’isola con una squadra al comando di un veterano delle “Cronache” (Alan Van Sprang),dove si imbattono in una realtà di zombi prigionieri e intenti a svolgere attività delle quali conservano una lontana reminiscenza.
Difficile riconoscere la firma di Romero in questo dozzinale prodotto televisivo,privo di qualsiasi pregnanza.
Fatta mancante della struttura ironica dei migliori lavori del regista,la narrazione procede a stento in una serie di farneticazioni malamente cucite fra loro in una trama inconsistente e tediosa,retta da una regia televisiva e dilettantistica.
Sceneggiatura,montaggio ed editing completano una storia povera a tutto tondo,con più noia che morti.
Questa volta Romero nega ai suoi fans il suo seducente piglio beffardo e tesse un racconto slavato,revival di un cinema più morto degli zombi che lo infestano,inquietante segno di uno spettacolo muffo e vecchio,rinchiuso nella soffitta delle cose che hanno fatto il loro tempo
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nick castle
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mercoledì 3 novembre 2010
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un messaggio sempre pià fievole...
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Romero torna alla cara macchina su cavalletto e non più traballante, ma il digitale rimane, infatti questo seguito collegato direttamente con il precedente film, è stato girato con la Red One Camera, il che fa parte dell'adeguarsi ai tempi, che Romero sembra ben intenzionato a continuare. Si torna un po' a vecchi tempi, e il messaggio è ben chiaro ed era già stato affrontato nel capitolo "Il giorno degli zombi": non soccombiano nei ricordi e cerchiamo di guardare sempre avanti, lasciandoci dietro il passato in ogni momento (anche se io non sono d'accordo con questo pensiero). Nel film, le persone che cercano di vivere in sicurezza sull'isola non riescono a separarsi dai loro cari ormai zombificati, ma lo scontro tra due famiglie, storiche abitanti dell'isola e l'arrivo di un gruppo di militari in cerca di un posto sicuro cambiaranno le cose.
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Romero torna alla cara macchina su cavalletto e non più traballante, ma il digitale rimane, infatti questo seguito collegato direttamente con il precedente film, è stato girato con la Red One Camera, il che fa parte dell'adeguarsi ai tempi, che Romero sembra ben intenzionato a continuare. Si torna un po' a vecchi tempi, e il messaggio è ben chiaro ed era già stato affrontato nel capitolo "Il giorno degli zombi": non soccombiano nei ricordi e cerchiamo di guardare sempre avanti, lasciandoci dietro il passato in ogni momento (anche se io non sono d'accordo con questo pensiero). Nel film, le persone che cercano di vivere in sicurezza sull'isola non riescono a separarsi dai loro cari ormai zombificati, ma lo scontro tra due famiglie, storiche abitanti dell'isola e l'arrivo di un gruppo di militari in cerca di un posto sicuro cambiaranno le cose. Romero quà non è al megli di se, e il messagio pur ben chiaro è debole e sa di già sentito. Purtroppo gli ultimi due film sugli zombi, pur decenti, non solo assolutamente all'alteza dei primi quattro.
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