laulilla
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sabato 13 febbraio 2010
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la libertà di dio e i dubbi di chi soffre
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Una cosa emerge con chiarezza nel film di Jessica Hausner, almeno a parer mio: la solitudine profonda e incolmabile di chi soffre. Non mancano a Lourdes, naturalmente, luoghi deputati all'accoglienza e alla cura dei malati, volontari che aiutano, preti che danno assistenza spirituale, tuttavia l'impressione che rimane è quella di una efficientissima macchina organizzativa che non dà e non può dare un vero e solidale aiuto, perché il dolore non è solo quello che proviene dal corpo, ma è quello dato dal senso di ingiustizia che coglie ogni malato grave, quando riflette sul proprio individuale destino. Alle domande dei sofferenti che non sono diverse da quelle che ciascuno di noi, o prima o poi, nella vita si pone, riflettendo sulla morte, non arriva risposta, perché una risposta, probabilmente non è possibile.
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Una cosa emerge con chiarezza nel film di Jessica Hausner, almeno a parer mio: la solitudine profonda e incolmabile di chi soffre. Non mancano a Lourdes, naturalmente, luoghi deputati all'accoglienza e alla cura dei malati, volontari che aiutano, preti che danno assistenza spirituale, tuttavia l'impressione che rimane è quella di una efficientissima macchina organizzativa che non dà e non può dare un vero e solidale aiuto, perché il dolore non è solo quello che proviene dal corpo, ma è quello dato dal senso di ingiustizia che coglie ogni malato grave, quando riflette sul proprio individuale destino. Alle domande dei sofferenti che non sono diverse da quelle che ciascuno di noi, o prima o poi, nella vita si pone, riflettendo sulla morte, non arriva risposta, perché una risposta, probabilmente non è possibile.
"Dio è libero", dirà il sacerdote a chi gli chiede ragione di una guarigione improvvisa, che sembra ingiusta, di fronte al persistere della malattia di chi è a sua volta malato ugualmente sofferente.
Da un punto di vista teologico e filosofico la risposta è ineccepibile: Dio è l'essere incondizionato per definizione. Bisogna ammettere però che non è una risposta sufficiente a risarcire chi di questa libertà si sente quasi vittima. L'altra domanda correlata è infatti quella, presente a sua volta nel film, circa il rapporto fra l'onnipotenza e la bontà di Dio. Perché Dio infinitamente buono e onnipotente permette tanto dolore? Christine, la giovane protagonista del film non chiede altro che di vivere, facendo ciò che fanno gli altri giovani e che una crudele malattia le nega: amare, ballare, progettare la propria vita, ma anche gli altri malati non chiedono altro e vivono come un'ingiustizia il "miracolo" che sembra aver graziato solo lei. "Che cosa bisogna fare?" per tenere il dolore lontano da noi? Anche in questo caso la risposta teologica, secondo la quale la Chiesa cura le anime e non i corpi, appare davvero poco convincente e certo in contraddizione con l'apparato medico e terapeutico che intorno al santuario sorge. Il gigantesco rito propiziatorio di massa, che si ripete negli anni e nei secoli, è quindi uno strumento di organizzazione del consenso e una esibizione di potere? La regista,immergendosi in questa realtà, non dà giudizi: prende atto e comunica impressioni, dubbi, sensazioni, ma non ha soluzioni da proporre e ciò, secondo me, va ascritto a suo merito, perché, induce lo spettatore a esercitare il suo senso critico e a rifuggire dalle semplificazioni comode.
Film molto interessante, alieno da retorica apologetica, splendidamente interpretato.
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frate
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domenica 14 febbraio 2010
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ne abbiamo bisogno
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L'abbiamo visto ieri sera in tre frati. al cinema c'era molta gente. i primi 40 minuti sono silenziosi e introducono delicatamente nella storia. la regista (atea) non si schiera da nessuna parte, ha l'occhio distaccato ma intelligente. il film ha un'alta atmosfera dall'inizio alla fine. tiene. i personaggi marginali sono molto curati nel senso che a volte ne cogli le emozioni e i sentimenti. così i protagonisti. l'attrice principale purtroppo non riceverà l'oscar ma noi frati, ieri sera, glielo abbiamo dato. davvero intensa, brava: una recitazione per sottrazione.
il finale: ambivalente. forse la fine di un sogno, o del miracolo mai avvenuto. però lei sorride: ha accettato la sofferenza? ha trovato comunque una via di gioia? non lo sappiamo ma possiamo continuarlo noi.
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L'abbiamo visto ieri sera in tre frati. al cinema c'era molta gente. i primi 40 minuti sono silenziosi e introducono delicatamente nella storia. la regista (atea) non si schiera da nessuna parte, ha l'occhio distaccato ma intelligente. il film ha un'alta atmosfera dall'inizio alla fine. tiene. i personaggi marginali sono molto curati nel senso che a volte ne cogli le emozioni e i sentimenti. così i protagonisti. l'attrice principale purtroppo non riceverà l'oscar ma noi frati, ieri sera, glielo abbiamo dato. davvero intensa, brava: una recitazione per sottrazione.
il finale: ambivalente. forse la fine di un sogno, o del miracolo mai avvenuto. però lei sorride: ha accettato la sofferenza? ha trovato comunque una via di gioia? non lo sappiamo ma possiamo continuarlo noi.
un film che fa pensare. geniale la trovata di mettere i premi vinti prima di titoli di testa. così trovi che insieme al premio Cattolico Lourdes ha vinto il riconoscimento degli atei e degli agnostici. tutti d'accordo!? no. è che il film si presta ad una duplice lettura: chi ha la fede come dono coglie le sfumature di questo sguardo, nel sorriso della protagonista nel finale.
memorabile la signora anziana che attraversa tutto il film pregando e aiutando. L'unica davvero che ha fede. il suo volto è normale, perciò bellissimo. grazie per questo film, ne avevo bisogno. frate giancarlo
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(di marezia)
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paola di giuseppe
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domenica 14 febbraio 2010
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fino al prossimo pellegrinaggio
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Un film che mette s’accordo atei e credenti? Come spesso accade con i sofismi, ci si ritrova ad aver ragione tutti e alla fine quello che farà la differenza sarà la carica persuasiva della parola.
E parole per convincere le masse ne sono state usate molte, da che mondo è mondo, e in tutte le religioni, dunque nessuno stupore nel vedere milioni di disperati in attesa del miracolo che, puntualmente, si verifica, ma, e lì è il bello, serve solo a far vedere quanto siamo inadeguati perfino di fronte a quello che aspettavamo di vedere. E solo perché è toccato ad altri e non a noi.
Invidiuzze, distiguo a non finire (durerà? non sarà mica una cosa temporanea? nessuna esultanza di fronte alla malata che si alza dalla sedia a rotelle, passi in infermeria, piuttosto, altrimenti il miracolo non sarà riconosciuto, ma perchè è toccato proprio a lei? ma Dio che fa, va a caso?).
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Un film che mette s’accordo atei e credenti? Come spesso accade con i sofismi, ci si ritrova ad aver ragione tutti e alla fine quello che farà la differenza sarà la carica persuasiva della parola.
E parole per convincere le masse ne sono state usate molte, da che mondo è mondo, e in tutte le religioni, dunque nessuno stupore nel vedere milioni di disperati in attesa del miracolo che, puntualmente, si verifica, ma, e lì è il bello, serve solo a far vedere quanto siamo inadeguati perfino di fronte a quello che aspettavamo di vedere. E solo perché è toccato ad altri e non a noi.
Invidiuzze, distiguo a non finire (durerà? non sarà mica una cosa temporanea? nessuna esultanza di fronte alla malata che si alza dalla sedia a rotelle, passi in infermeria, piuttosto, altrimenti il miracolo non sarà riconosciuto, ma perchè è toccato proprio a lei? ma Dio che fa, va a caso?).
Amore non se ne vede, in questo film tremendo, minimalista, asettico e perciò tanto più lancinante nel colpire.
Dai tempi di Lazzaro alle moderne agenzie di viaggio e soggiorno “inclusive tour”, con tanto di supporto di volontari e crocerossine in belle divise e belle speranze, strada se n’è fatta parecchia e il profumo del business è quello che arriva agli dei dai moderni altari dei santuari delle illusioni.
Ricordare Bunuel è d’obbligo, ma anche L’ora di religione di Bellocchio non va dimenticato.
Jessica Hausner ha messo il dito in una piaga purulenta, che non è quella dei lebbrosi, per cui quel lontano predicatore del deserto nutrì amore e pietà infinita, ma è quella dei mercanti del tempio, degli abilissimi venditori di speranze e biglietti.
La cura nel ricostruire l’ambiente e l’atmosfera dei rituali è estrema, il lessico della devozione, la gestualità sommessa,la tipologia dei personaggi, tutto denota acume, sottigliezza, capacità di ironia sottile, mai irriverente.
Non c’è luce in questo film che si presupporrebbe inondato da quella delle tre virtù teologali, volate via dal sacrario di tutti i sacrari, la grotta dei Pirenei, dove la piccola Bernadette vide per 18 volte “la bella Signora” nell’Anno del Signore 1864.
Quell’enorme edificio che ora la ingloba incombe inquietante dall’alto, pietra grigia, pesante, dietro la foto ricordo, file interminabili di fedeli, negozi di souvenir, acqua miracolosa offerta in bicchieri usa e getta.
E’ piuttosto la tenera Christine il vero miracolo, con i suoi sorrisi smarriti e pazienti, il suo andare per pellegrinaggi, sola, pur di uscire di casa, anche se preferirebbe Roma, “più culturale”.
Il suo pallido amore dura l’éspace d’un matin, basta quella caduta improvvisa nella sala della festa di chiusura del viaggio per riportare tutto nella normalità di un mondo dove, si sa, i miracoli veri sono ben altra cosa.
Un tocco quasi felliniano quel ballo finale con la musica di Al Bano e Romina, si parla di felicità, si spinge alla socializzazione fra compagni di sventura, ma da domani di nuovo soli e così sia.
Fino al prossimo pellegrinaggio.
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ondacinema
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sabato 13 febbraio 2010
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uno dei migliori film di venezia 2009
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L'aspetto commerciale, l'industria-Lourdes col suo gigantesco fatturato, sarebbe il bersaglio più facile da colpire. Ma lo sguardo dell'autrice è più ampio, ne indaga gli aspetti reconditi, riflette sull'uomo, le sua fede più o meno autentica, le sue credenze pagane e le istituzioni che lo circondano, dalla chiesa alle associazioni di volontariato. Da questa panoramica a tutto tondo emerge una scarsa fiducia nelle persone, dedite agli intrighi sentimentali piuttosto che alla preghiera, opportuniste appena ne hanno l'occasione, gelose delle altrui fortune; nel personale ecclesiastico, sempre pronto a fornire una risposta, ma insufficiente e preconfezionata, e incapace di spiegazioni adeguate ai grandi interrogativi della fede e alle ingiustizie del modo; nella religione stessa, voce di un Dio che premia in maniera del tutto casuale, in barba a qualsiasi meritocrazia.
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L'aspetto commerciale, l'industria-Lourdes col suo gigantesco fatturato, sarebbe il bersaglio più facile da colpire. Ma lo sguardo dell'autrice è più ampio, ne indaga gli aspetti reconditi, riflette sull'uomo, le sua fede più o meno autentica, le sue credenze pagane e le istituzioni che lo circondano, dalla chiesa alle associazioni di volontariato. Da questa panoramica a tutto tondo emerge una scarsa fiducia nelle persone, dedite agli intrighi sentimentali piuttosto che alla preghiera, opportuniste appena ne hanno l'occasione, gelose delle altrui fortune; nel personale ecclesiastico, sempre pronto a fornire una risposta, ma insufficiente e preconfezionata, e incapace di spiegazioni adeguate ai grandi interrogativi della fede e alle ingiustizie del modo; nella religione stessa, voce di un Dio che premia in maniera del tutto casuale, in barba a qualsiasi meritocrazia.
Si è citato da più parti il nome di Luis Buñuel, ma l'ironia della Hausner è tutta in punta di penna, l'approccio ancora più rispettoso di quello del regista aragonese: Il campionario di difetti del mondo raffigurato non suggerisce una mostruosa disumanità dello stesso, ma piuttosto una certa bonaria pateticità, mentre il debito distacco osservato dell'autrice richiama piuttosto lo stile di un Aki Kaurismaki. Così come le scelte intelligentemente antispettacolari della messa in scena (ricca per altro di elementi stranianti, in senso generale più che brechtiano): su tutte la sequenza del presunto miracolo - perfettamente contrappuntato dalla malattia di una delle assistenti - che inizia in penombra e prosegue quasi del tutto fuori campo, mentre i sogni premonitori dell'evento, raccontati da i protagonisti, non sono mostrati.
La regia semplice e alquanto personale, la capacità di descrivere tipi, momenti, luoghi, fanno insomma di "Lourdes" un piccolo grande evento della stagione in corso. Acuto, spassoso, assolutamente da non perdere.
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hollygoli
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mercoledì 23 giugno 2010
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terribile, disturbante, perfetto
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Conosco dall'interno la liturgia delle dinamiche sottese ai pellegrinaggi verso i santuari cattolici dei miracoli o, più in generale, ai raduni religiosi di massa e non, e posso dire che già le prime inquadrature di "Lourdes" mi hanno fatto sprofondare in una asfissiante sensazione di deja vù. Ogni dettaglio, nel film, è perfetto, e ricostruisce magistralmente l'atmosfera asettica ed opprimente che si respira in questi luoghi. Tutto è ordinato, in questi contesti, tirato a lucido, splendente, ed abbellito secondo i miserrimi canoni estetici standard e kitsch tipici; tutti parlano a voce bassa, come in ospedale, sono cortesi e tranquilli, e costantemente impegnati a seguire il programma di marcia e disporsi, e disporre i pellegrini, ordinatamente a tavola, in fila, al posto assegnato per la messa solenne.
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Conosco dall'interno la liturgia delle dinamiche sottese ai pellegrinaggi verso i santuari cattolici dei miracoli o, più in generale, ai raduni religiosi di massa e non, e posso dire che già le prime inquadrature di "Lourdes" mi hanno fatto sprofondare in una asfissiante sensazione di deja vù. Ogni dettaglio, nel film, è perfetto, e ricostruisce magistralmente l'atmosfera asettica ed opprimente che si respira in questi luoghi. Tutto è ordinato, in questi contesti, tirato a lucido, splendente, ed abbellito secondo i miserrimi canoni estetici standard e kitsch tipici; tutti parlano a voce bassa, come in ospedale, sono cortesi e tranquilli, e costantemente impegnati a seguire il programma di marcia e disporsi, e disporre i pellegrini, ordinatamente a tavola, in fila, al posto assegnato per la messa solenne. Dietro l'apparente bontà e disponibilità c'è però il vuoto, e, a causa di questo, l'incapacità di tollerare un minimo scarto nella gelida e immutabile ritualità codificata: chiunque esca, anche solo per un attimo, dalla massa-gregge affermando - anche involontariamente, come accade a Christine nella scena in chiesa, quando la sua carrozzina viene spostata e collocata in una fila che non è quella che le è stata destinata - la propria individualità, viene aspramente redarguito e ricondotto nei ranghi. La sensazione superficiale è quella di una calma rassicurante, quasi un linimento alle tante miserie e al tanto dolore che in questi posti alberga,ed è per questo illusorio conforto, soprattutto, che frotte di gente accorrono a questi luoghi, accettando di vivere per tre giorni o una settimana rigidamente regolati da norme inaccettabili ormai anche per gli asili d'infanzia. Permane, tuttavia, terribile e disturbante, il contrasto tra il dolore, fisico e morale, di persone, individui fatti di carne e sangue, devastati ed umiliati dalla malattia, e la mancanza di empatia di tutto l'apparato religioso, che non ha più a cuore - forse non l'ha mai avuto - l'individuo, la persona, ma l'evento. Così la gentilezza di cui viene fatto oggetto Christine è lampantemente dovuta ad un clichè, sia quando è tetraplegica, con le barelliere capaci di accarezzarla, disporle ordinatamente i capelli intorno al viso, imboccarla con delicatezza, senza che quei gesti perdano una sola volta la loro evidente meccanicità, sia quando è "miracolata", come, ad esempio, nella sarcastica scena in cui, mentre gusta felice un gelato al tavolino di un bar, tutti i camerieri le vengono davanti per applaudirla. Per la macchina di Lourdes Christine non conta come persona; a nessuno interessa veramente come si sente, nessuno riesce, o prova, a mettersi nei suoi panni, a cominciare dal prete, capace solo di ripetere disumane frasi stereotipate, quando (alla sera, quando i malati sono a letto e lui è sollevato dai suoi compiti) non di rasentare la blasfemia con barzellette che buttano tutto in burletta. Christine diventa interessante solo da miracolata, e solo perché a quel punto incarna la vivente dimostrazione dell'assunto su cui si regge tutta la macchina di Lourdes, e cioè che a Lourdes accadono i miracoli; e smette di esserlo per ritornare rapidamente, brutalmente, nell'ombra, quando la certezza del suo esser stata miracolata vacilla. A Lourdes, emblema di tutti i luoghi "miracolosi" come San Giovanni Rotondo o Medjugorje, non è concesso il dubbio, il tormento del cuore: non è concesso chiedere un umano, e legittimo "perché"; tutto dev'esser chiaro e di solare evidenza, come nel peggior fondamentalismo, o nel più rutilante reality show televisivo. Comprendo, conoscendo la mentalità degli organizzatori e dei frequentatori di questi posti, il motivo per cui il film è stato premiato dalle associazioni cattoliche: "Lourdes", narrando i fatti nel loro esatto svolgimento, è nella loro insensibilità percepito come una sorta di ottimo film propagandistico. Comprendo altresì, e mi associo convinta, il premio assegnato dall'Unione atei ed agnostici: a chi lo vuol vedere con altri occhi, Lourdes appare un film disturbante, che narra in modo perfetto una realtà terribile.
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[+] bravissima hollygoli
(di mary22)
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maria cristina nascosi sandri
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venerdì 12 febbraio 2010
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una lourdes da...manuale
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Nostra Signora di Lourdes o, più semplicemente, la Madonna di Lourdes, è uno degli appellativi dati a Maria Vergine, madre di Gesù, secondo la chiesa cattolica e si riferisce ad una delle più venerate apparizioni mariane, quelle di Lourdes, paese dei Paesi Baschi, in cui tra l’11 febbraio ed il 16 luglio del 1858, una giovane pastorella, Bernadette Soubirous, disse di aver avuto 18 manifestazioni della ‘bella Signora’.
La storia, a seguire, è troppo nota, e non si vuole qui raccontarne ulteriormente, ma è quantomeno ‘curioso’ che il film sia uscito nelle sale italiane proprio ieri,11 febbraio, anniversario, per l’appunto, della prima delle apparizioni di cui sopra.
Distribuito da Cinecittà Luce, nelle sale è giunto in oltre 70 copie, dopo la presentazione ufficiale avvenuta all’ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove il film era in concorso, tra i più votati dalla critica e più applauditi dal pubblico.
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Nostra Signora di Lourdes o, più semplicemente, la Madonna di Lourdes, è uno degli appellativi dati a Maria Vergine, madre di Gesù, secondo la chiesa cattolica e si riferisce ad una delle più venerate apparizioni mariane, quelle di Lourdes, paese dei Paesi Baschi, in cui tra l’11 febbraio ed il 16 luglio del 1858, una giovane pastorella, Bernadette Soubirous, disse di aver avuto 18 manifestazioni della ‘bella Signora’.
La storia, a seguire, è troppo nota, e non si vuole qui raccontarne ulteriormente, ma è quantomeno ‘curioso’ che il film sia uscito nelle sale italiane proprio ieri,11 febbraio, anniversario, per l’appunto, della prima delle apparizioni di cui sopra.
Distribuito da Cinecittà Luce, nelle sale è giunto in oltre 70 copie, dopo la presentazione ufficiale avvenuta all’ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove il film era in concorso, tra i più votati dalla critica e più applauditi dal pubblico.
Opera dell’austriaca Jessica Hausner, la pellicola in cui l’Ave Maria di Schubert è notevole glossa integrante, narra una vicenda che volutamente vuol rimanere super partes o, meglio, extra partes.
La sua sospensione di giudizio lascia libertà e respiro ad una storia che facilmente avrebbe potuto ‘uscire da un credibile seminato’.
Non un film, dunque, da manuale, come fu Bernadette, di Henry King, protagonista una Jennifer Jones agli esordi, non ancora la grande diva de L’amore è una cosa meravigliosa, che, però, con questa sua interpretazione, il giorno del suo 25esimo compleanno vinse l'Oscar, ma un testo da vedere per riflettere un po’ più a fondo sulle cose di questo nostro sempre più problematico e difficile (da vivere) pianeta.
Maria Cristina Nascosi
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roberto simeoni
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lunedì 15 febbraio 2010
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laico e rigoroso
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Lourdes è uno splendido film. Il suo merito sta nel fatto di essere rigoroso al punto che, nel mostrare la vicenda che si svolge nel luogo di culto "miracolistico" più famoso del mondo occidentale, non si lascia mai prendere la mano dal sarcasmo o dalla satira, bensì lascia che sia lo spettatore a cogliere nei comportamenti di tutti i personaggi l'assurdità di questo tipo di fede: una fede che ha più a che fare con un atteggiamento di culto superficiale, egoista ed in definitiva "pagano", che con l'insegnamento di Gesù Cristo. In questo senso è giusto e comprensibile che il film abbia ricevuto consensi sia da associazioni di credenti che da associazioni di agnostici.
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Lourdes è uno splendido film. Il suo merito sta nel fatto di essere rigoroso al punto che, nel mostrare la vicenda che si svolge nel luogo di culto "miracolistico" più famoso del mondo occidentale, non si lascia mai prendere la mano dal sarcasmo o dalla satira, bensì lascia che sia lo spettatore a cogliere nei comportamenti di tutti i personaggi l'assurdità di questo tipo di fede: una fede che ha più a che fare con un atteggiamento di culto superficiale, egoista ed in definitiva "pagano", che con l'insegnamento di Gesù Cristo. In questo senso è giusto e comprensibile che il film abbia ricevuto consensi sia da associazioni di credenti che da associazioni di agnostici.
Da vedere
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[+] roberto simeoni,
(di marezia)
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catinka
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sabato 13 febbraio 2010
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siamo tutti pellegrini
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D'accordo con quasi tutta la recensione, che ha centrato bene il punto del film: la ricerca della felicità. La condizione dei pellegrini è la rappresentazione simbolica, spietata e ironica di una condizione che ci riguarda tutti, in maniera più o meno profonda. Vogliamo tutti essere felici, ma pochi sono disposti a ricercare la felicità dentro di sè, o a trovare le ragioni della propria infelicità in se stessi. Tutti, come i pellegrini che vanno in cerca di un miracolo, andiamo in cerca di qualcosa di esterno che ci renda felici. E quando non lo siamo, felici, ci sentiamo diversi, lontani dal mondo "normale", sfortunati.
Il senso che ho trovato nel film è la responsabilità personale che abbiamo sulle nostra vite.
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D'accordo con quasi tutta la recensione, che ha centrato bene il punto del film: la ricerca della felicità. La condizione dei pellegrini è la rappresentazione simbolica, spietata e ironica di una condizione che ci riguarda tutti, in maniera più o meno profonda. Vogliamo tutti essere felici, ma pochi sono disposti a ricercare la felicità dentro di sè, o a trovare le ragioni della propria infelicità in se stessi. Tutti, come i pellegrini che vanno in cerca di un miracolo, andiamo in cerca di qualcosa di esterno che ci renda felici. E quando non lo siamo, felici, ci sentiamo diversi, lontani dal mondo "normale", sfortunati.
Il senso che ho trovato nel film è la responsabilità personale che abbiamo sulle nostra vite. Attraverso la soffernza passa la felicità, per tutti, malati e non. Ed è questo che impara Christine. Voleva essere sana, trascurando il fatto che non necessariamente nella salute fisica si trova la felicità. E infatti, pur miracolata, comprende di poter essere lo stesso infelice. Pur essendo capace di muoversi, e di ballare, può sentirsi ferita, può soffrire per altre cause, le si può spezzare il cuore. Ingenuamente, sperava che bastasse alzarsi da quella sedia per vivere una vita perfetta. Capisce che non è così, anche se sani si può essere infelici. Il miracolo è servito a poco, per una vita felice ci vuole ben altro. Allora si risiede sulla sedia a rotelle e accetta la sua condizione di vita, serenamente (e sorride). Non ho trovato il finale amaro. No, credo che il messaggio sia, pur nella sua formulazione negativa, molto positivo.
Non è un miracolo che può renderti felice, significa che tutti possiamo essere felici. Senza miracoli.
Credo che le risposte date dal prete nel film non siano affatto "semplicistiche" o "inconsapevolemte esilaranti". Paradossalmente anzi, proprio da un uomo di chiesa arriva la visione più umanistica e terrena che si possa dare a chi soffre: non è un miracolo che ti renderà felice. Non dipende da Dio, dipende da te. E questa non è una risposta semplicistica, ma è talmente complessa da essere rifiutata da chi, per paura o incapacità, cerca risposte ultraterrene e spera in doni dal cielo, invece ci guardarsi dentro e capire che non è così che ci si libera delle sofferenze.
Il dialogo tra Christine e il prete durante la confessione è secondo me una dichiarazione del tema del film. Lei dice che prova rabbia verso le persone "normali", quelle che possono camminare, perchè sono felici, mentre lei non lo è. Il prete le dice: pensi davvero che chi cammina ha una vita più felice della tua? Non ci sono scorciatoie per la felicità, per nessuno.
E così anche le altre risposte che il prete dà durante il film mi sembrano molto profonde e vere, inaspettatamente slegate dal concetto di fede, molto legate invece al rispetto della libertà di ognuno, e all'inutilità di cercare altrove, all'esterno, fuori da sè, tutte le soluzioni.
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[+] il prete
(di francesco2)
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(di laulilla)
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howlingfantod
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domenica 18 novembre 2012
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il miracolo durerà?
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Che al film sia stato riconosciuto il premio Signis, riconoscimento per valori spirituali assegnato dall’organizzazione cattolica per il cinema e gli audiovisivi e allo stesso modo dallo UAAR (unione degli atei agnostici razionalisti) è di per sé significativo del valore estrinseco e dirompente o solo disgregante nel senso di trasversale e/o universale di questo racconto che è poi in fondo niente di più della cronaca di un pellegrinaggio a Lourdes di una giovane donna (si suppone francese) afflitta da sclerosi a placche nella speranza “laica” di un miracolo. Che poi la sua rappresentazione sia schietta e asciutta fino all’essenziale con la recitazione elementare e minima e giocata più sui gesti e con solo tracce di una sceneggiatura vera e propria e che questo valga come una specie di narcolettico che devitalizzi l’ alone di spiritualità tutto che ci si potrebbe aspettare da una narrazione con cotanto soggetto, trova la sua coesione nell’essenza secolarizzata di ogni chiesa (non solo confessionale) del 21° secolo.
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Che al film sia stato riconosciuto il premio Signis, riconoscimento per valori spirituali assegnato dall’organizzazione cattolica per il cinema e gli audiovisivi e allo stesso modo dallo UAAR (unione degli atei agnostici razionalisti) è di per sé significativo del valore estrinseco e dirompente o solo disgregante nel senso di trasversale e/o universale di questo racconto che è poi in fondo niente di più della cronaca di un pellegrinaggio a Lourdes di una giovane donna (si suppone francese) afflitta da sclerosi a placche nella speranza “laica” di un miracolo. Che poi la sua rappresentazione sia schietta e asciutta fino all’essenziale con la recitazione elementare e minima e giocata più sui gesti e con solo tracce di una sceneggiatura vera e propria e che questo valga come una specie di narcolettico che devitalizzi l’ alone di spiritualità tutto che ci si potrebbe aspettare da una narrazione con cotanto soggetto, trova la sua coesione nell’essenza secolarizzata di ogni chiesa (non solo confessionale) del 21° secolo. Il soggiorno della protagonista, pur ottima nella sua prova attoriale, candida, pura e incastonata come un icona nel suo buffo berretto rosso divenuto appunto simbolo e gadget del film stesso come in ogni società secolare e massmedizzata, ha i tratti di una ricerca laica della felicità, quella che invidia alle consorelle (con tanto di croce occitana sul petto), specie di crocerossine laiche e fintamente maliziose che filano con i gendarmi. Lei stessa diventa il frutto dell’invidia e della gelosia (così umana) degli altri pellegrini. Il film sembra quindi non avere picchi o salti anche solo emozionali nella pretesa (forse solo da noi auspicata) spiritualità che come insieme avrebbe dovuto contenere, ma vola basso, scorre piano e asciutto eppure dolce come una sciarpa di seta e qui è la sua grazia ed il suo credo estetico, sfiora noi tutti, così puro e morbido, eppure qualcosa manca, mentre le incursioni ufficiali della spiritualità sono solo didascaliche ed emendate alla musica come il Bach utilizzato da Tarkovsky in Solaris nella scena della levitazione e citato non a caso dalla Hausner a più riprese oppure come il Kyrie. Tutto il resto rimane nascosto, trattenuto, sommesso, nel supposto o nel sottinteso, nel malinteso, nell’interrogativo e nelle domande non risposte perché la volontà divina rimane sempre inesplicabile e viene da chiedersi essendo questo Lourdes poi così prontamente terrigno da dove venga la giovane inferma poi miracolata, se dal non lontano Languedoc Roussillon o dal Perigord, oppure molto più a nord in qualche immediata banlieue di Parigi, oppure ovunque nell’Ile de France o ancor più su nella lontana Normandia e se poi dopo il miracolo lei la protagonista rimarrà per sempre lì o se ne tornerà alla sua dimora nella speranza di una vita nuova e allora scriverà magari anche un bestseller sulla sua storia, e ancora quanto avrà pagato per l’organizzazione di quel pellegrinaggio-vacanza? E soprattutto come tutti i grandi enigmi non sciolti: il miracolo durerà? Sulle note e le parole sbiascicate dal francese all’italiano di Felicità di Albano questa domanda si amplia in tutta la sua inquietudine con la protagonista che si adagia provata sulla sedie a rotelle mentre subito dopo scorrono i titoli di coda.
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domenico a
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giovedì 18 febbraio 2010
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ascetico e blasfemo
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Lourdes è uno di quei buoni film passati all’ultimo Festival di Venezia, ha ottenuto il Premio Fipresci come miglior film, il premio Signis e altri premi collaterali. E’ un racconto sempre in bilico tra fideismo e blasfemia, realizzato con tono apparentemente asettico e freddo. Così ascetico per certi versi che riesce a coniugare senza sortire fratture la musica di Schubert e Bach con quella di Albano e Romina e Fred Bongusto; mostra dei Pellegrini tanto credenti quanto pusillanimi e modesti spiritualmente, fa chiedere domande spirituali importanti a pellegrini ( “ Padre, Dio è buono o è onnipotente ? E se è buono perché non salva tutti ? ) e gendarmi dell’Ordine di Malta e fa dare risposte dal prete-accompagnatore che risultano esauste ed evasive ( “ Non possiamo sondare la volontà di nostro Signore “ ); fa dire a un medico che visita una miracolata: forse non dura, comunque stia il più possibile all’aria aperta.
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Lourdes è uno di quei buoni film passati all’ultimo Festival di Venezia, ha ottenuto il Premio Fipresci come miglior film, il premio Signis e altri premi collaterali. E’ un racconto sempre in bilico tra fideismo e blasfemia, realizzato con tono apparentemente asettico e freddo. Così ascetico per certi versi che riesce a coniugare senza sortire fratture la musica di Schubert e Bach con quella di Albano e Romina e Fred Bongusto; mostra dei Pellegrini tanto credenti quanto pusillanimi e modesti spiritualmente, fa chiedere domande spirituali importanti a pellegrini ( “ Padre, Dio è buono o è onnipotente ? E se è buono perché non salva tutti ? ) e gendarmi dell’Ordine di Malta e fa dare risposte dal prete-accompagnatore che risultano esauste ed evasive ( “ Non possiamo sondare la volontà di nostro Signore “ ); fa dire a un medico che visita una miracolata: forse non dura, comunque stia il più possibile all’aria aperta. E chi è la miracolata ? Una signorina sfortunata che non sembra nemmeno tanto credente ma solo una gentile e dolce ragazza con una gran voglia di vivere. Forse proprio per questo stile sottilmente irridente ci potrebbe far dire che è un cinema che ci ricorda Bunuel: ma in questo caso, siamo noi forse a essere blasfemi nel paragone. Nel Maestro Bunuel c’era una carica sovversiva e provocatoria degna dei suoi tempi, tempi molto differenti e imparagonabili. Probabilmente in alcuni passaggi ci ricorda più da vicino il primo Walerian Borowczyk e segue lo scetticismo di Kaurismäki. Il film è girato con stile documentaristico, inquadrature fisse e lunghe ( ogni azione è inserita sapientemente in un'armonia di geometrie ) e interni iper-oggettivi e asettici. Ogni scena corrisponde a un quadro fisso ( da segnalare, la sequenza iniziale della silenziosa e apatica preparazione della sala da pranzo per i malati ). E i dialoghi sono così essenziali che non riusciamo a sentire la voce della madre-accompagnatrice della protagonista.
Le protagoniste sono due. Christine, giovane donna dolce e curiosa, delicata e riservata. Sembra quasi “ perfetta “ ma ha un momento in cui sfoga tutto il suo dolore e il suo male di vivere che in effetti la divora, nel confessionale si dichiara colpevole di invidia per le persone sane e ‘normali'. L’altra protagonista è Lourdes, un luogo di dolori estremi, di disfacimento fisico, morale e spirituale, dove l’aspetto del business turistico e la mercificazione del luogo di culto, con le sue bacheche di souvenirs e l’organizzazione maniacale, da tour operator la rendono degna del golgota: tuttavia la regista ( “ Lovely Rita “, il suo primo lungometraggio, “ Hotel “, il suo secondo del 2005 ) si muove in questi meandri con leggerezza e freddezza,
mostrandoci tutte le dinamiche che scaturiscono quando si parla dei “ massimi sistemi “ sull’essere umano, il suo dolore, la sua sofferenza e il suo bisogno di sacro.
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