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cappellaio matt.o
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lunedì 18 gennaio 2010
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mah
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difficile trovare l originalità in questo tipo di film, non è un filmone ma non è neanche brutto, sempre bravo bruce!
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simonk92
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sabato 16 gennaio 2010
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il mondo dei replicanti: film riuscito a metà
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Il film propone uno scenario di come potrebbe cambiare il mondo nel bene ,ma soprattutto nel male , con l'introduzione dei surrogati nella vita delle persone.
L'idea è originale e interessante ,ma il film poteva essere realizzato meglio, infatti ,a mio giudizio, un film di questo tipo non può essere raccontato in una pellicola di 95min.
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luca alvino
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sabato 16 gennaio 2010
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irreversibilmente
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La tecnologia ci aiuta a scegliere o ci impedisce di farlo? ci incita ad accettare il cambiamento o ci stimola a resistere a esso? libera il nostro tempo o ne assorbe le energie più significative? Sono le domande che mi sono posto uscendo con un po' di angoscia dalla visione del "Mondo dei replicanti" (Surrogates). Perché - per quanto possa sembrare paradossale - mi sembra che se esistesse davvero una tecnologia analoga a quella immaginata nella storia del film, essa prenderebbe piede facilmente (me lo conferma mia figlia quindicenne con uno sguardo sognante, perso in chissà quale gorgo di possibilità). A ben guardare infatti, nel primo decennio del terzo millennio il processo di virtualizzazione della vita sociale ha subìto una rapida accelerazione, come si evince da una pur superficiale analisi delle tecnologie più in voga (chat, sms, social network, second life, ecc.
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La tecnologia ci aiuta a scegliere o ci impedisce di farlo? ci incita ad accettare il cambiamento o ci stimola a resistere a esso? libera il nostro tempo o ne assorbe le energie più significative? Sono le domande che mi sono posto uscendo con un po' di angoscia dalla visione del "Mondo dei replicanti" (Surrogates). Perché - per quanto possa sembrare paradossale - mi sembra che se esistesse davvero una tecnologia analoga a quella immaginata nella storia del film, essa prenderebbe piede facilmente (me lo conferma mia figlia quindicenne con uno sguardo sognante, perso in chissà quale gorgo di possibilità). A ben guardare infatti, nel primo decennio del terzo millennio il processo di virtualizzazione della vita sociale ha subìto una rapida accelerazione, come si evince da una pur superficiale analisi delle tecnologie più in voga (chat, sms, social network, second life, ecc.). L'idea di un surrogato, dunque, che viva al posto nostro, proteggendoci dall'irreversibilità dell'esistenza, mi sembra dunque che possa funzionare assai bene. L'insensato timore dell'irreversibilità dell'esistenza: è questo il punto cruciale della storia. L'agente Greer (il poliziotto impersonato da Bruce Willis) e il dottor Canter (l'inventore della tecnologia dei surrogati) l'hanno sperimentata nella maniera più drammatica, con la perdita di un figlio. Entrambi sanno che l'irreversibilità - lungi dall'essere un accidente che è possibile combattere ed evitare - è connaturata all'esperienza stessa dell'umanità di esistere nel tempo. Per quanto si possa fare per rallentarne il processo - andando a rimodellare periodicamente l'involucro dei surroghi con appositi interventi estetici - non c'è nulla che possa proteggere gli esseri umani dalla quintessenza stessa dell'irreversibilità, ovvero dalla morte. E questo è chiaro fin dall'inizio, quando il dottor Canter, nella sua ultima conversazione con il figlio, gli riassume con una risata amara la conclusione della Tosca: "va a finire come finiscono tutte le storie: muoiono tutti". I replicanti possono vivere al posto nostro, rischiare di farsi male in nostra vece, di avere un incidente che sarebbe dovuto capitare a noi; sono loro a mettere la faccia nelle relazioni sociali, ed è impressionante vedere un mondo costituito interamente da persone giovani, belle, sempre sorridenti e disponibili al flirt (salvo poi scoprire che dietro la bionda avvenente abbordata in discoteca si cela un ciccione sudato in canottiera, in cerca di trasgressione). Ma vale la pena rinunciare a entrare nel tempo, evitare di scegliere, rifiutare il cambiamento? vale la pena risparmiarsi il dolore, l'umiliazione del rifiuto, la desolazione dell'invecchiamento, se questo significa rinunciare all'essenza stessa della vita? Come ai tempi del giardino dell'Eden - quando preferì un travagliato libero arbitrio a un'immobile, eterna beatitudine - anche oggi l'uomo è chiamato a rischiare, a compiere la propria esperienza nella storia accettando di esserne modellato per sempre, di riceverne i segni indelebili sulla pelle e nella coscienza. Rivendicando con orgoglio di averlo fatto. Irreversibilmente.
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(di disincantato83)
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odisseo2001
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mercoledì 13 gennaio 2010
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sùrroghi: postumano (iv).
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Ed ecco, infine, la lista dei precedenti film che hanno usato la metafora fantascientifica per trattare tematiche analoghe a quelle di quest'ultimo (e forse pure di Avatar: vedremo quando uscirà), e a cui con, ogni evidente probabilità si sono ispirati in un modo o nell'altro gli autori: si parte con l'archetipo ante litteram dell'alienazione-robotizzazione umana "Metropolis" di Friz-Lang (1927 - attenzione alla data, e alle tematiche in parte riprese addirittura dal "Frankenstein" di M. Shelley, rinnovate in chiave tencologico-fantascientifica) per far poi tappa nella rivolta della tecnologia autocosciente col geniale e sempre attuale "2001 Odissea nello spazio" di Kubrik (1968), quindi c'è l'episodio altrettanto geniale del controllo genetico umano da parte delle macchine in "L'uomo che fuggì dal futuro" (1971 - di G.
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Ed ecco, infine, la lista dei precedenti film che hanno usato la metafora fantascientifica per trattare tematiche analoghe a quelle di quest'ultimo (e forse pure di Avatar: vedremo quando uscirà), e a cui con, ogni evidente probabilità si sono ispirati in un modo o nell'altro gli autori: si parte con l'archetipo ante litteram dell'alienazione-robotizzazione umana "Metropolis" di Friz-Lang (1927 - attenzione alla data, e alle tematiche in parte riprese addirittura dal "Frankenstein" di M. Shelley, rinnovate in chiave tencologico-fantascientifica) per far poi tappa nella rivolta della tecnologia autocosciente col geniale e sempre attuale "2001 Odissea nello spazio" di Kubrik (1968), quindi c'è l'episodio altrettanto geniale del controllo genetico umano da parte delle macchine in "L'uomo che fuggì dal futuro" (1971 - di G. Luckas, che poi creerà anche la straordinaria e insuperata saga fanta-mitologica di "Star Wars"), quindi il premonitore "Il mondo dei robot" (1973), l'impareggiabile e supremo "Blade Runner" (1974), poi ancora il prodromo generale d'una lunga serie "Terminator" (1984) e a questo il collegato "Total Recall" (1990), il cyber-horror "Il Tagliaerbe" (1992) e l'avveniristico-profetico "Strange Days" (1995), il lungimirante "Il sesto giorno" (2001), per arrivar infine al riassuntivo e rilanciante "Matrix" (1999), il similare ma più profondo e co-diretto (Kubrik-Spielberg) "Artificial Intelligence" (2001) e la versione per pellicola di "Io Robot" (2004 - ma il libro di Asimov risale addirittura al 1950: e come si nota, la letteratura vede ben più lontano del cinema - in tema analogo, ad esempio, "Pinocchio" di Collodi lo testimonia senz'alcun dubbio), si passa anche poi per l'interessante episodio psico-tecnologico di "Se mi lasci ti cancello" (2004) e s'arriva quindi - almeno per il momento - alla scottante bio-ingegneria e alla sottesa bio-etica di "The Island" (2005).
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mercoledì 13 gennaio 2010
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sùrroghi: postumano (iii).
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Insomma, ammetto certo che (anche) qui l'idea c'è (pur se, ripeto, non è per niente nuova: ma la forza di un'idea si constata, appunto, dal fatto che resiste perché continua a valere come chiave di lettura del mondo e dell'uomo, attraverso tutti i mutamenti delle varie epoche); eppure, per quanto buona sia l'idea, se non le viene dato il giusto risalto e peso e prospettiva essa perde molta parte della sua forza; e in questo film non è appunto stata approfondita e condotta a dovere, come accennavo prima: sono sicuro che i fratelli Wachowski, per esempio, avrebbero fatto molto meglio, dando profondità all'importante (anzi fondamentale, direi) tesi di fondo del film, con dialoghi più coinvolgenti e profondi, e anche con una congruenza generale maggiore (un altro dubbio, sempre a titolo d'esempio: come fa l'inventore d'una tecnologia talmente avanzata, com'è quella dei surrogati, a non arrivare infine a capire, nel suo piano di ritorno all'umano e alla vita autentica, che appunto non è affatto necessario - per non dire proprio del tutto controproducente e sotto ogni aspetto, soprattutto etico, sconveniente - uccidere appunto gli umani stessi, che si vorrebbe così riportare alla loro vita vera ("La verità vi renderà liberi", diceva già 2000 e più anni fa qualcuno che aveva una visione piuttosto alta dell'Uomo)? Dico: se arriva a capirlo infine anche il personaggio di Buce Willis, un semplice poliziotto, come fa allora proprio un genio quale il padre dei surrogati a non arrivarci, almeno per via meramente intellettuale se non propriamente col cuore e l'anima intera).
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Insomma, ammetto certo che (anche) qui l'idea c'è (pur se, ripeto, non è per niente nuova: ma la forza di un'idea si constata, appunto, dal fatto che resiste perché continua a valere come chiave di lettura del mondo e dell'uomo, attraverso tutti i mutamenti delle varie epoche); eppure, per quanto buona sia l'idea, se non le viene dato il giusto risalto e peso e prospettiva essa perde molta parte della sua forza; e in questo film non è appunto stata approfondita e condotta a dovere, come accennavo prima: sono sicuro che i fratelli Wachowski, per esempio, avrebbero fatto molto meglio, dando profondità all'importante (anzi fondamentale, direi) tesi di fondo del film, con dialoghi più coinvolgenti e profondi, e anche con una congruenza generale maggiore (un altro dubbio, sempre a titolo d'esempio: come fa l'inventore d'una tecnologia talmente avanzata, com'è quella dei surrogati, a non arrivare infine a capire, nel suo piano di ritorno all'umano e alla vita autentica, che appunto non è affatto necessario - per non dire proprio del tutto controproducente e sotto ogni aspetto, soprattutto etico, sconveniente - uccidere appunto gli umani stessi, che si vorrebbe così riportare alla loro vita vera ("La verità vi renderà liberi", diceva già 2000 e più anni fa qualcuno che aveva una visione piuttosto alta dell'Uomo)? Dico: se arriva a capirlo infine anche il personaggio di Buce Willis, un semplice poliziotto, come fa allora proprio un genio quale il padre dei surrogati a non arrivarci, almeno per via meramente intellettuale se non propriamente col cuore e l'anima intera).
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mercoledì 13 gennaio 2010
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sùrroghi: postumano (i).
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Una domanda generale, necessaria premessa per poi andar a parlare del film con una prospettiva di lettura (e/o di visione) più ampia, in cui è coinvolto ma certo non l'esaurisce.
Dato che, come dichiarato dagli autori (e come del resto tanti altri film che derivano da racconti precedenti: narrazioni orali raccolte poi in fiabe trascritte, o libri di novelle o romanzi, opere teatrali o musicali o altro, ma anche da fumetti o da vecchi film o cortometraggi etc. - dei quali tutti, l'unica e inesauribile fonte è, comunque, solo e sempre la realtà - vera o trasfigurata dalla fantasia, la sostanza non cambia), questo film è basato su una graphic novel (sono americani: riporto fedelmente) ossia su un racconto a fumetti (che non è certo il semplice e facile 'fumetto per bambini', ma un vero e proprio avanzato, complesso e articolato linguaggio di narrazione: per immagini, con accompagnamento di qualche parola, ma non necessariamente; per non dire che è, molto probabilmente, addirittura il più antico codice di comunicazione umano: risalente alla preistoria, e che tra l'altro resiste tuttora a tecnologie ben più accessibilmente fruibili e accattivanti, come il cinema e la stessa virtualità dell'web), mi chiedo quindi subito perché anche in questo film si verifica una volta di più (e di troppo, direi, ormai) che - mal per noi - mai nessun autore di fantascienza, se non forse appunto quelli dei soli fumetti, o quasi (ma lì si tratta magari di risultati raggiunti anche con uso o meglio abuso di sostanze stupefacenti - più precisamente acidi, come del resto suggeriva un noto disegnatore di fumetti veneziano, che ho conosciuto di persona a un suo corso gratuito a Mestre-Venezia qualche anno fa), dicevo nessun autore di fantascienza riesce in realtà ad andar mai oltre il mero potenziamento di quanto già c'è oggi, ovvero esclusivamente per quanto riguarda il solo livello della tecnologia?
Fateci un po' caso: nessuno, o pochissimi e per lo più misconosciuti o comunque travisati (e a riprova chiedo, per esempio: a chi alludevo, poco fa, con l'accenno agli acidi?), riescono a pensare né sanno quindi immaginare non soli sviluppi tecnici, riguardanti cioè la mera tecnologia attuale, il potenziamento delle macchine e di tutto ciò che di meccanico c'è nell'essere umano stesso; dico: mai nessuno riesce a creare sul piano della fantasia un essere umano realmente più evoluto, e quindi radicalmente diverso dall'attuale, più progredito veramente nell'intimo e più sviluppato e consapevole in senso propriamente umano ossia nelle sue facoltà spirituali migliori: perché, dunque, tutti sanno immaginare solo questi appariscenti quanto si vuole, ma sempre e solo meri potenziamenti tecnologici, e mai c'è un vero e proprio salto di qualità antropologico, profondo e reale, almeno finora, nella fantascienza? Perché solo e sempre ci si spinge, al massimo, a raffigurarsi una crescita della mera macchinalità, e non realmente dell'umanità in quanto tale? Come mai, insomma, quasi nessun autore di fantascienza sa vedere un mondo, avere la visione d'un futuro in cui l'umanità sia il vero cuore e la radice profonda e autentica del cambiamento, del vero e unico miglioramento possibile, auspicato da Cristo a Buddha (per citarne solo due noti ai più)?
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Una domanda generale, necessaria premessa per poi andar a parlare del film con una prospettiva di lettura (e/o di visione) più ampia, in cui è coinvolto ma certo non l'esaurisce.
Dato che, come dichiarato dagli autori (e come del resto tanti altri film che derivano da racconti precedenti: narrazioni orali raccolte poi in fiabe trascritte, o libri di novelle o romanzi, opere teatrali o musicali o altro, ma anche da fumetti o da vecchi film o cortometraggi etc. - dei quali tutti, l'unica e inesauribile fonte è, comunque, solo e sempre la realtà - vera o trasfigurata dalla fantasia, la sostanza non cambia), questo film è basato su una graphic novel (sono americani: riporto fedelmente) ossia su un racconto a fumetti (che non è certo il semplice e facile 'fumetto per bambini', ma un vero e proprio avanzato, complesso e articolato linguaggio di narrazione: per immagini, con accompagnamento di qualche parola, ma non necessariamente; per non dire che è, molto probabilmente, addirittura il più antico codice di comunicazione umano: risalente alla preistoria, e che tra l'altro resiste tuttora a tecnologie ben più accessibilmente fruibili e accattivanti, come il cinema e la stessa virtualità dell'web), mi chiedo quindi subito perché anche in questo film si verifica una volta di più (e di troppo, direi, ormai) che - mal per noi - mai nessun autore di fantascienza, se non forse appunto quelli dei soli fumetti, o quasi (ma lì si tratta magari di risultati raggiunti anche con uso o meglio abuso di sostanze stupefacenti - più precisamente acidi, come del resto suggeriva un noto disegnatore di fumetti veneziano, che ho conosciuto di persona a un suo corso gratuito a Mestre-Venezia qualche anno fa), dicevo nessun autore di fantascienza riesce in realtà ad andar mai oltre il mero potenziamento di quanto già c'è oggi, ovvero esclusivamente per quanto riguarda il solo livello della tecnologia?
Fateci un po' caso: nessuno, o pochissimi e per lo più misconosciuti o comunque travisati (e a riprova chiedo, per esempio: a chi alludevo, poco fa, con l'accenno agli acidi?), riescono a pensare né sanno quindi immaginare non soli sviluppi tecnici, riguardanti cioè la mera tecnologia attuale, il potenziamento delle macchine e di tutto ciò che di meccanico c'è nell'essere umano stesso; dico: mai nessuno riesce a creare sul piano della fantasia un essere umano realmente più evoluto, e quindi radicalmente diverso dall'attuale, più progredito veramente nell'intimo e più sviluppato e consapevole in senso propriamente umano ossia nelle sue facoltà spirituali migliori: perché, dunque, tutti sanno immaginare solo questi appariscenti quanto si vuole, ma sempre e solo meri potenziamenti tecnologici, e mai c'è un vero e proprio salto di qualità antropologico, profondo e reale, almeno finora, nella fantascienza? Perché solo e sempre ci si spinge, al massimo, a raffigurarsi una crescita della mera macchinalità, e non realmente dell'umanità in quanto tale? Come mai, insomma, quasi nessun autore di fantascienza sa vedere un mondo, avere la visione d'un futuro in cui l'umanità sia il vero cuore e la radice profonda e autentica del cambiamento, del vero e unico miglioramento possibile, auspicato da Cristo a Buddha (per citarne solo due noti ai più)?
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[+] a quando il progresso umano?
(di dannyfour)
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italico
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mercoledì 13 gennaio 2010
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finali oramai prevedibile, discreta idea
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l'idea del film è discreta ma con lo scorrere della pellicola diventa prevedibile come film e dal finale scontato... un genere con la data di scadenza a breve
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nino pell.
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lunedì 11 gennaio 2010
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un filone fantascientifico mai tramontato
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Il genere fantascientifico legato alla robotica mi ha sempre affascinato. Sin quando ero bambino, ricordo che mi rimase particolarmente impresso il film "Il mondo dei robot". Così come successivamente ho apprezzato tantissimo la saga di "Terminator". Ebbene non poteva certo non piacermi anche questo ultimo film di tale filone fantascientifico che porta la firma del regista Jonathan Mostow. Considero, senza dubbio, la trama decisamente originale ed uscendo dalla sala dopo aver visto questo film, l'impressione che ho avuto è stata quella di non essere molto d'accordo con una parte della critica che ha definito tale pellicola una specie di fumettone. Certo non mi sento di definirlo un film d'autore (come le si possono definire certe opere passate che hanno portato la firma di registi come Spielberg o Kubrick), ma nonostante il suo aspetto tipicamente manieristico, lo reputo interessante come tematica ed avvincente e fluido nella sceneggiatura e nelle scene d'azione.
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Il genere fantascientifico legato alla robotica mi ha sempre affascinato. Sin quando ero bambino, ricordo che mi rimase particolarmente impresso il film "Il mondo dei robot". Così come successivamente ho apprezzato tantissimo la saga di "Terminator". Ebbene non poteva certo non piacermi anche questo ultimo film di tale filone fantascientifico che porta la firma del regista Jonathan Mostow. Considero, senza dubbio, la trama decisamente originale ed uscendo dalla sala dopo aver visto questo film, l'impressione che ho avuto è stata quella di non essere molto d'accordo con una parte della critica che ha definito tale pellicola una specie di fumettone. Certo non mi sento di definirlo un film d'autore (come le si possono definire certe opere passate che hanno portato la firma di registi come Spielberg o Kubrick), ma nonostante il suo aspetto tipicamente manieristico, lo reputo interessante come tematica ed avvincente e fluido nella sceneggiatura e nelle scene d'azione. Assolutamente non banale cone certi filmetti fantasy moderni nei quali sovrabbondano tanti megagalattici effetti speciali creati (gulp) col computer. Del resto la presenza di un attore come Bruce Willis è già di per se una garanzia. In un prossimo futuro, si narra, che gli uomini preferiranno nella quasi totalità dei casi restarsene a casa, dal momento che si serviranno di cloni sintetici che svolgeranno per loro conto qualsiasi attività inerente la vita sociale: lavoro, divertimento e naturalmente andare a combattere quando scoppierà una guerra. Una sorta di estremizzazione concettuale di ciò che già si sta intravedendo, per certe sfaccettature, nel nostro presente concreto: la diffusione di Internet, della televisione come passatempi sempre più imperanti coi quali l'uomo si vede sempre meno in giro, preferendo "rannicchiarsi" in un mondo casalingo e virtuale sempre più diffuso. Ed appunto questo film, attraverso una narrazione che lascia spazio ad un'intelligente componente fantasiosa e dinamica, ci ammonisce di una morale: non dimentichiamoci che siamo esseri umani e nessuna forma di surrogato virtuale potrà mai sostituire la nostra vera felicità che trova il suo fondamento nella nostra voglia di condividere concretamente la nostra esperienza di vita con gli altri.
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gropius
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lunedì 11 gennaio 2010
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dal cellulare al surrogato?...speriamo di no
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Siamo al cospetto di un buon film di fantascienza,vecchio stile in cui a prevalere non sono suntuosi effetti speciali e neppure eccessive scene d’azione. Qualcuno ne rimarrà certamente deluso per questo ma credo che ciò che dovrebbe colpire lo spettatore sia invece il messaggio di denuncia sociale che è insito in questa pellicola. Un’accurata riflessione su quali dovrebbero essere, e che sempre più spesso vengono prevaricati,i confini etici della scienza. Il film propone la visione di una popolazione,in un imminente futuro,soggiogata dai media,dalle grandi corporations le quali professano il culto della paura nei confronti della criminalità(vedi il parallelismo con l’eccessiva angoscia che si perpetra nei confronti dei cittadini attraverso l’uso strumentale del terrorismo da parte dell’informazione ai giorni nostri),e l’eccessivo timore di inadeguatezza estetica che si infonda nei cittadini, timorosi di non rispecchiare i giusti canoni estetici.
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Siamo al cospetto di un buon film di fantascienza,vecchio stile in cui a prevalere non sono suntuosi effetti speciali e neppure eccessive scene d’azione. Qualcuno ne rimarrà certamente deluso per questo ma credo che ciò che dovrebbe colpire lo spettatore sia invece il messaggio di denuncia sociale che è insito in questa pellicola. Un’accurata riflessione su quali dovrebbero essere, e che sempre più spesso vengono prevaricati,i confini etici della scienza. Il film propone la visione di una popolazione,in un imminente futuro,soggiogata dai media,dalle grandi corporations le quali professano il culto della paura nei confronti della criminalità(vedi il parallelismo con l’eccessiva angoscia che si perpetra nei confronti dei cittadini attraverso l’uso strumentale del terrorismo da parte dell’informazione ai giorni nostri),e l’eccessivo timore di inadeguatezza estetica che si infonda nei cittadini, timorosi di non rispecchiare i giusti canoni estetici. Una società che vive nella paura,maggiormente controllabile dai poteri economici, che riduce le persone a delle larve rinchiuse nei propri appartamenti e che faccia agire in loro sostituzione delle macchine(surrogati) nel mondo reale esterno che tale non è più.Individui privi di spontanee relazioni sociali persino tra i famigliari stessi, le quali possono essere paragonate per certi versi a ciò che accade oggi attraverso l’uso eccessivo di chat in cui il computer crea quella barriera psicologica che nel film è rappresentata dal surrogato.Una proiezione sociale futura a dir poco agghiacciante alla quale spero non arriveremo mai in cui è triste poter notare come le uniche persone che ancora rimangono ancorate ai vecchi valori di una comunità e che rifiutano quindi di possedere i “surrogati”siano costretti a vivere ghettizzati come bestie.Riconosco che il film non possiede un’elaborata sceneggiatura e che forse il finale può risultare abbastanza scontato ma non si può rimanere comunque indifferenti nei confronti di un film che cerca a suo modo di far riflettere le nostre coscienze non avendo come unica funzione quella di imbottirci di effetti speciali.
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federer85
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lunedì 11 gennaio 2010
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buon film
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Tutto sommato i 4 euro e 50 spesi non sono stati buttati. Idea(quasi)originale, discreti effetti speciali,discreto Willis,peccato per il contorto finale.Cmq,ripeto,un film da vedere.Soprattutto per gli appassionati del genere fantascienza/azione.
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