martacora
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venerdì 4 febbraio 2011
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away we go, in equilibrio tra amore e maternità
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Se ancora non l'avete visto, non perdete tempo perchè Away We Go è una piccola perla di semplicità e sincerità davvero ben amalgamate.
L'arrivo di una bambina è davvero un evento importante per ogni coppia e sembra davvero che tanti altri ormai più esperti in convivenze e matrimoni possano dispensare per i neo-genitori saggezza e supporto negli ovvi e comprensibile dubbi di una mamma e un papà in erba. O almeno questo è quello che pensano i nostri due protagonisti che nel loro lungo viaggio tenteranno di trovare il "guru" della loro futura genitorialità ad ogni costo.
Il finale non potrebbe essere più ragionevole e giusto di ciò che vi aspetterà al concludersi di questa pellicola davvero piacevole e intelligente.
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Se ancora non l'avete visto, non perdete tempo perchè Away We Go è una piccola perla di semplicità e sincerità davvero ben amalgamate.
L'arrivo di una bambina è davvero un evento importante per ogni coppia e sembra davvero che tanti altri ormai più esperti in convivenze e matrimoni possano dispensare per i neo-genitori saggezza e supporto negli ovvi e comprensibile dubbi di una mamma e un papà in erba. O almeno questo è quello che pensano i nostri due protagonisti che nel loro lungo viaggio tenteranno di trovare il "guru" della loro futura genitorialità ad ogni costo.
Il finale non potrebbe essere più ragionevole e giusto di ciò che vi aspetterà al concludersi di questa pellicola davvero piacevole e intelligente.
Non macheranno battute brillanti, esilaranti interpretazioni, momenti di riflessione e alcuni meno profondi. In ogni caso il film riesce a conciliare il tono spensierato e divertito di una commedia senza scadere in descizioni banali o superficiali della giovane generazione americana.
Dopo Revolutionary Road, Sam Mendes torna a raccontarci le difficili dinamiche dei rapporti di coppia, di quanto l'amore possia rivelarsi difficile e imprevisto, di quanto la maternità possa cambiare la vita. Questa volta il bilancio è sicuramente meno tragico e ad anche l'epilogo della lunga peregrinazione non può che farci lasciare lo schermo con una speranza in più.
Come sempre, la distribuzione ha sbagliato di gran lunga il momento d'uscita nei cinema italiani e Away We Go è rimasto tagliato fuori per le poche sale, schiacciato dai cinepanettoni sovraffolati. Poco lusinghiera come al solto la scelta del cambiare titolo in American Life, il solito specchietto per le allodole che neanche è valso alla traduzione dell'originale.
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gianluca bazzon
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sabato 18 giugno 2011
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manuale della famiglia moderna
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Burt e Verona sono in attesa di una bambina e scoprono che i genitori di lui stanno per dare una svolta alla loro vita onorando un progetto che li accomunava da quindici anni: andare a vivere in Belgio, a più di cinquemila chilometri dalla futura nipote. E' la crisi di certezze.
Senza più vincoli geografici e affettivi, decidono di intraprendere un viaggio in giro per l'America e non solo, alla ricerca del luogo ideale per dare i natali alla benvenuta.
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Burt e Verona sono in attesa di una bambina e scoprono che i genitori di lui stanno per dare una svolta alla loro vita onorando un progetto che li accomunava da quindici anni: andare a vivere in Belgio, a più di cinquemila chilometri dalla futura nipote. E' la crisi di certezze.
Senza più vincoli geografici e affettivi, decidono di intraprendere un viaggio in giro per l'America e non solo, alla ricerca del luogo ideale per dare i natali alla benvenuta.
Gli incontri sono talvolta esilaranti, dalla ex collega sboccata col marito catastrofista alla cugina pseudo-hippy che vive una surreale vita new age e ne segue le rigidissime regole insieme al compagno e al 'povero' figlio.
La loro è una vera e propria Odissea, attraverso stili e abitudini di vita e in particolare modelli famigliari, che li getta verso un'indagine sulle loro aspettative, speranze e paure alla luce della quale tirano le fila su come vogliono e non vogliono essere.
A tratti il film, diretto da Sam Mendes già autore di "American Beauty", come a ricordare che in quanto a stile made in the u.s.a è un maestro, sembra essere un manuale della famiglia, pregi e difetti illustrati. Ma Burt e Verona sono solamente una coppia di persone innamorate che aspettano un figlio e che vivono con una percezione profondamente ironica e sana della realtà. Vogliono fare la cosa giusta. L'importanza delle intenzioni e degli intenti supera quella dei problemi materiali, delle caratteristiche estetiche ( i due non sono esempi di bellezza ), e del successo personale.
La loro forza sta in questo, nella genuinità e nella onestà intellettuale che li porta continuamente a mettersi in discussione. Lo dimostra una delle scene iniziali in cui Verona chiede ripetutamente a Burt: "siamo dei falliti?"
La domanda è sana e produttiva in quanto porta ad un ridimensionamento di sè e ad un desiderio di conoscere il proprio ruolo in mezzo agli altri, facendo i conti con il proprio bagaglio personale.
Il finale a cui manca solo la scritta "..e vissero felici e contenti" delle fiabe, è un po' scontato ma rappresenta quello che meritano: una bella casa dove costruire una sana famiglia.
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reservoir dogs
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martedì 18 gennaio 2011
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una vita americana nel sogno americano
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Burt (Krasinski) e Verona (Rudolph) sono una coppia di trentaquattrenni con una bimba in arrivo.
Quando i genitori di lui (quelli di lei sono morti) poco interessati all'arrivo della pupa decidono di partire per l'India la giovane coppia sceglie di compiere un gesto semplice ma coraggioso per i tempi che corrono: quello di cominciare un viaggio per l'America alla ricerca del nido adatto in cui crescere la piccola in arrivo.
Dovranno affrontare persone/famiglie di ogni tipo: dagli amici di Verona (Janney e Gaffigan), genitori troppo presi da loro stessi da non pensare e non sentire i loro figli alla bella sorella di Verona (Ejogo) che ha puntato tutto nella vita professionale per non parlare della cugina "acquisita" di Burt (Gyllenhaal) che nella propria utopistica perfezione familiare teme il passeggino come strumento di distacco materno.
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Burt (Krasinski) e Verona (Rudolph) sono una coppia di trentaquattrenni con una bimba in arrivo.
Quando i genitori di lui (quelli di lei sono morti) poco interessati all'arrivo della pupa decidono di partire per l'India la giovane coppia sceglie di compiere un gesto semplice ma coraggioso per i tempi che corrono: quello di cominciare un viaggio per l'America alla ricerca del nido adatto in cui crescere la piccola in arrivo.
Dovranno affrontare persone/famiglie di ogni tipo: dagli amici di Verona (Janney e Gaffigan), genitori troppo presi da loro stessi da non pensare e non sentire i loro figli alla bella sorella di Verona (Ejogo) che ha puntato tutto nella vita professionale per non parlare della cugina "acquisita" di Burt (Gyllenhaal) che nella propria utopistica perfezione familiare teme il passeggino come strumento di distacco materno.
I nostri eroi dopo un lungo ed istruttivo viaggio comprenderanno come sia necessario comprendere il passato e quindi farne tesoro in una casa con un albero di "frutta appesa" per poter guardare dritto nel futuro di una famiglia.
Nicholas Ray parlando de "Il temerario" constatò come il desiderio di possedere una casa incarnasse pienamente il concetto di Sogno Americano, in quel Sogno si trova una vita americana che due "apparenti falliti" hanno deciso eroicamente di avere.
Commedia leggera ed intensa allo stesso tempo quella di Mendes che riparte dalla vita di coppia laddove ci aveva lasciato con Revolutionary Road; con una coppia che decide stavolta di fare davvero il grande passo del trasferimento che invece Frank e April Wheeler prima desideravano ma poi temevano e reprimevano nelle convezioni sociali.
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everyone
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venerdì 24 dicembre 2010
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un messaggio davvero natalizio
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Volendo scegliere un film adatto al Natale questo davvero è quello giusto.E' una testimonianza di fiducia nella vita cioè sia nella propria che in quella che sta per nascere.La storia è semplice una coppia di trentenni compie un lungo viaggio negli States alla ricerca del posto migliore per fare nascere la loro bambina e nel farlo si trovano ad affrontare situazioni diverse non tutte positive e tutte legate dal filo conduttore relativo alla scelta di essere genitori al nostro tempo.
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paapla
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lunedì 27 dicembre 2010
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...gravità permanente
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Nel vuoto spinto dei film di Natale, America live di Sam Mendes, merita il massimo dei voti. Arrivato in Italia con un anno di ritardo, distribuito malissimo, pochissime copie e in sale di periferie tanto per gradire, merita attenzione. Chi si allontanerà dal centro, per trovare la sala, sarà ripagato dalla bellissima prova di Burt e Verona, protagonisti veri e sinceri del viaggio targato Sam Mendes, alla ricerca di: "Cerco centro di gravità permanente".
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astromelia
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giovedì 20 gennaio 2011
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troppo bello
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la maternità e le sue sfaccettature, esilarante e dentro il tema,raramente si vede un film così ben costruito,bravi gli attori
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aesse
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domenica 26 dicembre 2010
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c’e’ qualcosa di nuovo oggi nell’aria...
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SU AMERICAN LIFE “ C’E’ QUALCOSA DI NUOVO OGGI NELL’ARIA…ANZI DI ANTICO”
Questo American life, nuova opera diversa di Sem Mendes, è il miglior film di Natale che nel terzo millennio si potesse sperare di vedere ,sì, perché non c’è nessun motivo, oltretutto con la precarietà del momento, per rinunciare al racconto consolatorio, basta commisurare la sua efficacia attualizzandone le tematiche. Si tratta indubbiamente di un film ottimistico il cui lieto fine arriva come un caldo cataplasma per un freddo inverno ma di un ottimismo non stucchevole e quindi praticabile, oserei dire didattico.
Il film si depana seguendo la metafora dell’evoluzione dell’albero che, nel rispetto entelechiale, deve poggiarsi su delle solide radici che lo alimentino e che gli permettano di fruttificare: questo è anche il destino al quale la generazione dei protagonisti ( trentenni o poco più) definita qui da noi “ senza futuro” ha il dovere di non rinunciare.
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SU AMERICAN LIFE “ C’E’ QUALCOSA DI NUOVO OGGI NELL’ARIA…ANZI DI ANTICO”
Questo American life, nuova opera diversa di Sem Mendes, è il miglior film di Natale che nel terzo millennio si potesse sperare di vedere ,sì, perché non c’è nessun motivo, oltretutto con la precarietà del momento, per rinunciare al racconto consolatorio, basta commisurare la sua efficacia attualizzandone le tematiche. Si tratta indubbiamente di un film ottimistico il cui lieto fine arriva come un caldo cataplasma per un freddo inverno ma di un ottimismo non stucchevole e quindi praticabile, oserei dire didattico.
Il film si depana seguendo la metafora dell’evoluzione dell’albero che, nel rispetto entelechiale, deve poggiarsi su delle solide radici che lo alimentino e che gli permettano di fruttificare: questo è anche il destino al quale la generazione dei protagonisti ( trentenni o poco più) definita qui da noi “ senza futuro” ha il dovere di non rinunciare. Questo è ciò che si impegna a fare la coppia meticcia della nostra storia appena la promessa di fruttificazione si manifesta attraverso un alterato gusto delle secrezioni vaginali, questa volta fruttato, percepito da un incredulo Burt durante un cunnilingus che riempie tutta la prima scena del film. Si vedono i suoi piedi che spuntano dal letto e spingono una valigia che è metafora del destino che li attende, armato di occhiali che non abbandonerà mai neanche nelle circostanze in cui sarebbe dato aspettarselo, sonno e sesso per esempio… non dimentichiamoci che questi trentenni , tanta è la tensione nel trovare un contesto che li rispetti che si negano al sogno nel tentativo di oggettivizzare tutto… ma proprio tutto…
Nella seconda scena è la pancia scura e gravida di Verona a farci intuire il progetto del racconto: possibilità di fruttificazione quindi ricerca di radici=valigia. Guai però a pianificare ciò che queste radici può avere la prerogativa di predeterminare quindi no alla vicinanza ai genitori di lui che, improbabili nonni ne rifiutano il ruolo programmando un’inaspettata uscita di scena ( si trasferiranno ad Anversa) della serie gli unici genitori buoni sono quelli morti come quelli di Verona che avranno modo di risultare benefici se non risolutivi anziché deludenti come quelli vivi di Burt. Non risulta migliore l’idea di famiglia che può dare la vicinanza alla sorella di lei né agli amici del college animatori di una presunta famiglia perfetta:figli di tutti i colori compreso un piccolo emulo di un Jackson Five a caso ma nessuno mai nella pancia. Non risulta attrattivo il luogo dove Burt dovrebbe avere un nuovo lavoro, ma per fortuna no, né quello dove dimorano degli ex amici ex hippy.
Soprattutto no all’idea di rendere solido un amore e il futuro di un amore attraverso il matrimonio che Verona pervicacemente rifiuta. Praticando un giro di prova in diverse città degli Stati Uniti e anche Canada, gli amici perfetti stanno a Montreal, Burt e Verona giungono alla conclusione che l’unico luogo in cui valga la pena di provare a fermarsi e germinare, in cui scrivere la propria narrazione sia quello dell’infanzia di lei dove ricordi e nostalgia siano sostanziosi prodromi della fruttificazione del loro albero che solido e sano crescerà in presenza di quello sterile e contraffatto( addobbato di frutti finti come ricorda Verona) che si intravede all’ingresso del giardino di quella casa il cui retro si spalanca su un mirabile paesaggio acquatico che i due si siedono a guardare.
ANTONELLA SENSI
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pepito1948
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martedì 11 gennaio 2011
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padri, figli e nonni
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Prendi un precedente titolo di successo di Sam Mendes (American Beauty), lascialo in inglese, mantieni l’aggettivo (American, che fa sempre effetto) e cambia il sostantivo (Life): una deplorevole bricconata che, come spesso accade nelle versioni italiane, non è in alcuna relazione con il contenuto del film. Il cui titolo originale è invece “Away we go”, andiamo via, vieni via con me o traduzioni simili, dove si intravede la direttrice narrativa nella quale è instradato lo spettatore.
Fatta questa doverosa ed, ahimè, non nuova premessa, metti che una coppia di ultracinquantenni americani ancora validi e gaudenti, per circostanze fortunate, decida di trasferirsi in Europa coronando un antico sogno, proprio nel momento in cui il figlio trentenne e la sua compagna incinta ne saggiano la disponibilità a fare i nonni e quindi a dare loro una mano.
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Prendi un precedente titolo di successo di Sam Mendes (American Beauty), lascialo in inglese, mantieni l’aggettivo (American, che fa sempre effetto) e cambia il sostantivo (Life): una deplorevole bricconata che, come spesso accade nelle versioni italiane, non è in alcuna relazione con il contenuto del film. Il cui titolo originale è invece “Away we go”, andiamo via, vieni via con me o traduzioni simili, dove si intravede la direttrice narrativa nella quale è instradato lo spettatore.
Fatta questa doverosa ed, ahimè, non nuova premessa, metti che una coppia di ultracinquantenni americani ancora validi e gaudenti, per circostanze fortunate, decida di trasferirsi in Europa coronando un antico sogno, proprio nel momento in cui il figlio trentenne e la sua compagna incinta ne saggiano la disponibilità a fare i nonni e quindi a dare loro una mano. Prima riflessione: al di là del primo istintivo giudizio di egoismo o menefreghismo verso un evento che dovrebbe essere fortemente aggregante in una normale famiglia, è proprio condannabile chi, magari dopo lunga attesa e forse sacrifici, non rinunci a realizzare un’aspirazione da tempo coltivata e forse non rimandabile evitando così le vincolanti incombenze del mestiere di nonno, considerato che la decisione e la responsabilità di mettere al mondo un bambino è esclusivamente dei genitori, che dovrebbero essere in grado di farvi fronte autonomamente? Io non sarei così severo; in ogni caso pongo in termini generali la domanda, soprattutto a coloro che sono stati da entrambe le parti della barricata.
Comunque nel film succede proprio così, e questa è la premessa che induce la coppia di giovani in dolce attesa, belli, affiatati, innamorati e pienamente in sintonia (tranne che in una cosa, ma non è poi così rilevante: la differente posizione verso il matrimonio), ad affrontare un viaggio attraverso gli Stati Uniti per scegliere il luogo ottimale in cui far nascere e crescere il bambino, sfruttando conoscenze e parentele come punti di riferimento. Un viaggio on the road quindi per impostare il proprio futuro a tre, che inizialmente appare piacevole e intriso di speranza, ma che, tappa dopo tappa, diviene sempre più problematico rispetto alle attese di partenza. Le persone, gli esempi, le realtà incontrate, quindi la verifica delle possibili alternative per una scelta soddisfacente non dà esiti convincenti, i nuovi ambienti scandagliati in quel grande calderone variegato che sono gli USA, non offrono garanzie di un futuro conforme alle proprie idee, di una sistemazione realisticamente accettabile in un contesto migliore. Dopo incontri con soggetti squinternati, egoisti, pessimi esempi umani e genitoriali, ai nostri protagonisti non resta che tornare indietro, ed accettare di rifugiarsi nei luoghi d’origine, certo non irresistibili ma più rassicuranti di tutto ciò che hanno appena visto. Fallimento? Disperazione? No, perché comunque il viaggio li ha fatti crescere mostrando loro il mondo circostante per quello che è, con tutte le difficoltà, le brutture, i rischi che esso comporta, ed inoltre i nostri non sono bamboccioni, hanno le idee chiare (almeno sulla carta), sanno rifuggire da modelli inadeguati, sono legati da valori sani, e perseguono i propri obiettivi con determinazione e coraggio. Disillusione? Sì, perché le aspettative non hanno trovato riscontro nel multiforme oceano americano, dove è più facile incontrare tracine che delfini. Ma il viaggio li ha comunque arricchiti, spingendoli ad una maggior consapevolezza di se stessi che non può che corroborare le loro scelte di vita.
Mendes, dopo alcune prove di intensa drammaticità e di forte pathos, stempera temi pure importanti, come l’incertezza del futuro soprattutto delle nuove generazioni e il superamento dei modelli comportamentali di una società minata da una crisi a tutto campo forse senza precedenti, in una commedia gradevole, scorrevole, ma non particolarmente originale; i dialoghi sono apprezzabili, ma Woody Allen è un’altra cosa. Gli attori si esprimono al meglio delle possibilità, ma non sono indimenticabili. Sembra che Mendes si sia adeguato con rispettosa acquiescenza al copione di due grandi sceneggiatori, ma si sente la mancanza di un’impronta forte e personale nel dirigere il tutto, come avvenuto in opere precedenti. Si esce dal cinema portandosi appresso una certa simpatia verso i due protagonisti, ma il retaggio di pensieri e sensazioni emersi in sala non resta per molto tempo.
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pipay
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domenica 9 gennaio 2011
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stranezze on the road
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Il film vorrebbe offrire uno spaccato della società americana, in particolare della famiglia, del nucleo familiare, con le sue abitudini, le sue stranezze, i suoi preconcetti, con l'apertura o la chiusura verso gli altri, siano essi estranei, amici o parenti. Però, a parte qualche scena grottesca o godibile, la storia in fondo in fondo non è un granché, si ripiega su se stessa e poco ci manca che scada nella noia. Insomma, "American Life" è un film che si può tranquillamente evitare.
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algernon
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domenica 26 dicembre 2010
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ottimista/pessimista
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una giovane coppia americana in attesa del primo figlio e in cerca di un luogo dove mettere casa. Burt e Verona sono molto uniti e non hanno vincoli di lavoro, così cercano un posto dove ci sia qualche parente o amico che possa dare un appoggio di compagnia e di vita. ma i genitori di lui sono del tutto ininteressati e in partenza per l'Europa, e quelli di lei sono morti, e gli amici e parenti che vanno a visitare sono tutti in varie forme portatori di messaggi e stili di vita negativi, persone con cui non potrebbe esserci accordo o da cui non ci si potrebbe aspettare l'appoggio desiderato. alla fine Burt e Verona si fermano nella vecchia casa dei genitori di lei, una bella casa in riva a un lago, senza nessuno intorno, e decidono di bastare a sé stessi: meglio soli che male accompagnati.
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una giovane coppia americana in attesa del primo figlio e in cerca di un luogo dove mettere casa. Burt e Verona sono molto uniti e non hanno vincoli di lavoro, così cercano un posto dove ci sia qualche parente o amico che possa dare un appoggio di compagnia e di vita. ma i genitori di lui sono del tutto ininteressati e in partenza per l'Europa, e quelli di lei sono morti, e gli amici e parenti che vanno a visitare sono tutti in varie forme portatori di messaggi e stili di vita negativi, persone con cui non potrebbe esserci accordo o da cui non ci si potrebbe aspettare l'appoggio desiderato. alla fine Burt e Verona si fermano nella vecchia casa dei genitori di lei, una bella casa in riva a un lago, senza nessuno intorno, e decidono di bastare a sé stessi: meglio soli che male accompagnati. così, se Burt e Verona, nonostante tutto, vanno incontro alla nascita della loro figlia con ottimismo, è il film di Mendes intrinsecamente pessimista: davvero davvero non si trova un nessuno in tutto il mondo da cui valga la pena di avere amicizia e supporto? il film è abbastanza interessante e originale, ma a tratti risulta noioso.
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